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Autore: _ivan    20/03/2013    4 recensioni
Un londinese sfortunato, un cinico parigino e un'italiana che si porta sulle spalle l'eredità di una pessima reputazione. Non è l'inizio di una barzelletta, ma il profilo di tre studenti dell'Accademia di magia dell'Ardéche, dove quest'anno serpeggia uno spietato traditore.
Coinvolti nel groviglio di misteri che si celano nell'antica scuola, i tre impareranno ad affrontare i propri mostri, ad affinare l'ingegno e a dubitare di chiunque...anche dei loro più cari amici.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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|| Finalmente riesco ad aggiornare. Dannato lavoro che mi fa sembrare un frustratone da novanta. A questo giro non ho molto da dire, se non che troverete meno azione e più caratterizzazione dei personaggi (ogni tanto ci vuole, 'che ce volete fa'). Spero non ci siano troppe imprecisioni: in tal caso sappiate che sono dovute ad una correzione 'scazzo', perchè in questo periodo non ho molto cervello per mettermi lì ad editare in maniera precisa (chi lo sa, magari troverete qualche aggettivo in meno, olè...o in più). Due questioni importanti che metto ai voti: come chiamare la Magizia e le Guerre Magiche? Magizia fa schifo, Guerre Magiche è stato fregato dalla Rowling (maledetta). Fatemi sapere! Se volete, chiaro. Passo e chiudo!



Quando Denise aprì la porta Snow non la riconobbe subito, ma dovette attendere il suo inconfondibile sorriso.
Ne osservò i capelli incredibilmente corti per un tempo indefinito che valicò il limite dell’inopportuno e si riprese solo quando la sentì tossire e la vide passarsi una mano sulla fronte, velata da un trucco quasi invisibile.
Dall’interno, appena accennata, proveniva una canzone che lui conosceva bene e che si sorprese di sentire in camera di Denise: Everything’s perfect, di Magnet. Quel brano gli ricordava Kensington Garden, con non poca malinconia.
Nell’aria c’era un buon profumo di caffè.
«Lo so, non dire nulla» lo anticipò lei con un sorriso forzato «Avevo bisogno di cambiare. E smettila di guardarmi in quel modo. Non è carino».
Snow si scoprì a fissarla ancora e si costrinse ad abbassare il viso, imbarazzato. Denise con i capelli così corti era uno shock. Quando lei gli diede le spalle, la seguì in silenzio e chiuse la porta.
Era la prima volta che metteva piede in quella camera, quindi si concesse tutto il tempo necessario a studiarla: era bene o male della stessa dimensione della sua, ma il fatto d’avere pochi pezzi di mobilia e un balcone dalla porta finestra doppia la rendeva a prima impressione molto più ariosa e spaziosa. Fuori l’acquazzone scrosciava con forza, illuminato a tratti dai lampi. La presenza di Lefevbre si limitava a una bottiglia d’acqua e una custodia per occhiali sul comodino, niente più. Nel complesso era una stanza piatta, senza personalità, come fosse stata appena abitata.
Snow arricciò il naso, un po’ deluso, si avvicinò al tavolo a penisola e prese posto su uno sgabello; nel mentre Denise si avvolse il corpo in una coperta di lana. Quando gli esaminò le mani fasciate, lui le ritirò subito sotto il tavolo.
Aveva immaginato questo momento molto diverso: forse era un’impressione, ma la sentiva distaccata.
«Mi sono fatto un po’ male durante la prova» le disse.
«Nulla di grave, giusto?»
«Qualche sbucciatura. Domani dovrei già essere come nuovo. Mi dà solo un po’ fastidio il fianco».
«Com’è andata?»
«Abbiamo perso: hanno fatto quasi il doppio dei punti».
«Mathieu?»
«Sta bene. Ed era con me, nei rosa».
Denise sorrise immaginandosi Mathieu, e Snow la imitò, osservandola in silenzio. Lei tossì in modo forzato, poi tirò su col naso e sospirò appena.
«Guarda che non devi fingere di star male, non serve» le disse Snow in tutta calma «Non servono mica delle scuse, davvero: so che non te la sentivi di partecipare e penso tu abbia fatto bene a non farlo, tutto qui. Per certe cose bisogna essere pronti, e ognuno ha i suoi tempi e i suoi modi».
L’idea di esser stata smascherata agitò per qualche istante Denise, che trattenne il respiro. Avesse potuto fare un rumore, il suo cervello avrebbe prodotto un clangore assordante. Rimase a pensare fissando il tavolo in un punto imprecisato, dunque, con calma e un respiro profondo, si tolse la coperta dalle spalle e la lasciò cadere a terra. Denise sorrise distesa: liberarsi di quel fardello aveva restituito ai suoi occhi la lucentezza di sempre. Snow non potè non sorridere.
«Allora? Ti piaccio?» chiese lei con una voce rinnovata, la schiena dritta e lo sguardo vivo «Ho fatto la pazzia questa mattina, senza rendermene conto: ho preso le forbici e zac! Mi sono tagliata i capelli a manciate. Non sono ancora pienamente convinta del risultato, ma così diversa, in fondo, mi sento bene».
Snow seguì lo sguardo di Denise e vide, sparse sul pavimento, le lunghe ciocche di capelli recise. Dall’ingresso non le aveva notate. Il perché fossero ancora lì non gli era chiaro e trovava la cosa anche lievemente sgradevole, ma si premurò di tenere ogni pensiero per sé e si nascose dietro a un sorriso.
La nuova capigliatura di Denise, a ogni modo, le metteva in risalto i lineamenti dolci del viso, gli occhi grandi e il labbro superiore lievemente sporgente. Aveva anche una bella forma della testa e le orecchie, così piccole da sembrare disegnate da un bambino, sembravano evadere ogni regola di proporzione. Il taglio era palesemente impreciso, ma nel complesso non riusciva a non piacergli.
«Sei…diversa» le disse soltanto «Ma stai bene, giuro».
Denise non sembrò molto convinta della risposta ottenuta, ma alla fine accettò il complimento di buon grado, si alzò dallo sgabello e gli offrì un tè.
«Mi sento che questa sarà una nuova Denise» disse lei, forse più a sé stessa che a Snow, per poi aggiungere: «Dai, raccontami tutto, forza».
Sotto invito, Snow cominciò così a narrarle della Bataille, di come lui e Mathieu avevano salvato Jasmine e di come poi questa fosse finita nuovamente in trappola. Si preoccupò di far apparire Adrien ancora più cattivo di quanto non fosse stato e ripetè almeno cinque volte come fosse palese che Alberto, che in fondo era di cuore buono, si fosse sentito a disagio per averlo colpito in pieno. Come un bravo sarto, Snow tagliò alcuni pezzi di discorso e vi cucì qua e là delle altre frasi. Quando alla fine gli parve d’esser riuscito a vendersi piuttosto bene, sorrise disteso.
«Ti ha fatto molto male? Adrien, dico» gli chiese Denise «Ancora non mi è chiaro il perché di questo suo accanimento».
«Un po’, ma ora sto abbastanza bene. Mi sento come se ieri avessi fatto ore di allenamento in palestra e avessi i muscoli spaccati. Le mani prima bruciavano un bel po’, ma ora che mi hanno medicato danno solo fastidio».
Snow macchiò il tè col latte e ne bevve un lungo sorso.
Si era tenuto il più bello per la fine ed era elettrizzato all’idea di poterglielo raccontare. Lo scontro alla Grotta del Drago, così, lo descrisse con foga, impegnandosi a sottolineare come fosse stata assolutamente geniale la sua trovata del parafulmine e limitandosi a qualche blando complimento per le Garguille di Mathieu che, a detta sua, si erano rivelate più rischiose che vantaggiose. Denise, che pendeva dalle sue labbra, di tanto in tanto faceva domande o commentava a bassa voce: fece i complimenti a entrambi, disse che odiava Adrien, che Jasmine era stata carina nei loro confronti e che le dispiaceva se si erano fatti male, ma che era sicura che presto si sarebbero rimessi in forze. Quando Snow si ritenne soddisfatto delle risposte, terminò il discorso e non andò oltre per non apparire pesante.
A conclusione fatta, Denise si rabbuiò appena e Snow dedusse che doveva essersi pentita di non aver avuto il coraggio di affrontare le sue paure in tempo, perdendosi così un’avventura speciale.
Forse non avrebbe dovuto presentare il tutto in maniera così romanzata; col senno di poi era stato un errore.
Il calore della tazza tra le mani, il profumo del tè nero, il rumore incessante della pioggia contro i vetri e la luce soffusa della stanza: Snow le fece un sorriso di cuore e cercò di farle tornare il buonumore. Solo quando lei gli rispose allo stesso modo, il ragazzo poggiò la tazza, infilò una mano nel collo del maglioncino e ne tirò fuori il monetarium, che tintinnò.
Denise non se ne accorse subito, ma quando lo fece per poco non cadde dalla sedia per lo stupore.
«Questa notte ho fatto un sogno, hey, attenta!» Denise si sporse, afferrò il monetarium e lo tirò a sé con tanta foga da rischiare di strozzarlo, facendogli morire la frase in gola.
Snow urtò la tazza col petto e parte del tè tracimò sul tavolo.
«È il Si’v del Sogno» le disse con un filo di voce, resistendo alla sua presa e tirando nel senso opposto.
Denise fece dondolare la moneta davanti al viso, a mezz’aria, la studiò e la lasciò ricadere sul petto di Snow. Quando tornò al posto sembrò turbata.
«Non è un buon segno» gli disse, la voce velata di preoccupazione.
Non era più eccitata, ma solo molto pensierosa.
«Lo so. Pare significhi che succederà qualcosa, e con questo siamo a due moniti se consideriamo il cambio di Si’v che è avvenuto nella Prima Sala…È una situazione frustrante».
Mentre parlava, Snow strofinò le monete tra due dita, come volesse lucidarle con i polpastrelli o saggiarne le pregiate incisioni.
«Cosa hai sognato?» chiese Denise.
Snow non era mai stato bravo con le parole, e per questo motivo ci mise più tempo del necessario, ma alla fine riuscì a esporle i dettagli del sogno. Non fu facile, perché quando finalmente raggiungeva un determinato punto della narrazione ecco che, come un lampo lontano, un ricordo ad esso precedente si risvegliava costringendolo a tornare indietro per recuperare il filo. Denise però ascoltò attenta, passando solo di tanto in tanto la mano tra i capelli corti o inarcando il sopracciglio, e così non dovette ripeterle nulla per più di una volta.
Coinvolto dal ritmo di quello sfogo e privo dell’iniziale imbarazzo, Snow cominciò a raccontarle anche dei dubbi su Mathieu relativi alla sparizione dell’Elmo di Ade. Venne fuori tutto da solo, senza il minimo controllo da parte sua.
Espresse a voce, quelle congetture gli si rivelarono in tutta la loro stupidità. Sembravano concetti talmente lontani e strani da non sembrare neppure opera sua; eppure li aveva pensati.
«Sei solo molto stanco» disse Denise un po’ in difficoltà, prima di un altro sorso di tè «Vuoi il mio parere? Hai detto cavolate. Cioè, per Mathieu, dico. Si sarà solo fatto un giro, o magari vuole farti una sorpresa, non puoi saperlo. Insomma, è Mathieu, sarà anche un po’ strano, ma è un buono, e tu lo sai benissimo. E poi è solo uscito di casa, diamine: come sei paranoico!»
Denise ridacchiò e Snow si sentì ancora più stupido.
«Comunque il Sogno è un Si’v enigmatico, a cui piace parlare per indovinelli o comunque per vie traverse» aggiunse lei «Non è detto che ti abbia mostrato la realtà, anche se tu dici di non aver più trovato la scarpa sotto al letto. Forse doveva solo dirti qualcosa di irrilevante. Secondo me dovresti stare tranquillo, tanto vedrai che se dovrà succedere qualcosa, succederà».
Snow bevve un sorso di tè. Lo strofinìo delle bende sui palmi gli fece arricciare il naso. Sbirciò fuori dalla finestra, dove la pioggia scrosciava ancora, poi sorrise all’amica.
«Non è consolante. E se mi stesse avvisando che devo morire? Devo lasciarlo fare?» le chiese «Hai qualche biscotto?»
Denise lo osservò accigliata.
«Non erano collegate le domande. Cioè, vorrei un biscotto adesso, non quando morirò».
«Suppongo sia un tuo modo per chiudere il discorso» rispose lei, che si alzò e si avvicinò alla dispensa.
«Com’è vivere con Lefevrbe?»
Denise fece per poggiare il pacco dei biscotti in mezzo al tavolo poi, attraversata da un’idea che la fece sussultare, tornò accanto alla dispensa e cominciò a disporli su un piattino.
«Lascia stare» la fermò Snow.
«Troppo tardi. Già fatto».
La scelta era ampia: Snow prese una pasta alla cannella, la annusò e la morse. Era squisita, e lo provava il suo sorriso.
«Lefevbre è praticamente un ninja» disse Denise.
«Un’ombra» rincarò lui.
«Già» Denise girò il cucchiaino nella tazza vuota «Piove molto, eh?»
Snow annuì «Come va col Si’v?»
«Il mio? Meglio. Sai, credo di aver capito il perché non funzionasse. Cioè, è solo un mio pensiero, ma visto che oggi siamo in vena di confessare le nostre più strane congetture, forse è il caso che lo faccia anche io. Insomma, non c’è scritto nei libri, ma io credo che il Si’v della Luce si…appoggi alla luce interiore di una persona, e che sia forte solo quando questa stia bene con sé stessa e col resto del mondo. E prima non lo ero. Ora sì, credo».
«Non funziona perché non sei buona?»
«Non “buona”: anche il professor Lane ha detto che quello non c’entra, ma…non so, parlo di equilibrio, di pace interiore, non so spiegarmi».
Snow aveva l’impressione che Denise si stesse sbagliando, ma decise di non contraddirla. Se lei era giunta a quella conclusione e la cosa la faceva stare meglio, allora andava bene così e non c’era bisogno di aggiungere altro.
«Sai» riprese Denise «Forse in fondo non avevi tutti i torti: sono un po’ strana».
«Dici?»
Annuì «Mi fa piacere sapere che ci siate sia tu che Mathieu. Forse non dovrei attaccarmi così velocemente alle persone, ma non ho mai avuto qualcuno intorno con così tanta…costanza».
Snow non sapeva cosa dire: non era mai stato un ottimo oratore, figuriamoci in circostanze simili.
«Quindi pensi che ora funzionerà?» le chiese «La magia, intendo».
Denise lo studiò in silenzio riflettendo sulla domanda. Forse se ne aspettava una del tutto diversa, magari un ringraziamento per quelle belle parole.
«Bè, sì, spero» rispose con poca convinzione.
«Comunque grazie» le disse Snow.
«Grazie a te».
Denise sorrise.
 
*
 
Il giorno seguente la Magizia chiuse le porte dell’Accademia per indagare sulla sparizione dell’Elmo di Ade. Agli studenti, dunque, venne regalata una giornata di vacanza del tutto inaspettata, e tra loro non vi fu persona che non inneggiò almeno un momento al misterioso ladro.
«Comunque ieri sono andato da Coraline e mi sono fatto perdonare» disse Mathieu sfoggiando uno dei suoi sorrisi sghembi ed enigmatici.
Condivideva lo stesso ombrello con Denise e, alla sua sinistra, Snow si guardava attorno senza prestare troppa attenzione alle sue parole. La pioggia scendeva rada e debole, prossima a smettere; a Snow ricordò un po’ quella di Londra, sottilissima e un po’ fumosa.
Attraversarono il ponte a passo svelto, lottando contro il vento e camminando sul rumore delle acque impetuose del fiume Ardèche, che in quel punto si allargava tanto da risultare inguadabile perfino in periodo di secca. Si immisero dunque sulla strada principale di Fort Saint Marcel e si uniformarono al flusso di persone a passeggio.
La strada, che tutti chiamavano semplicemente ‘Il Viale’, serpeggiava risalendo lungo il promontorio e forniva alloggio alle coloratissime bancarelle del mercato giornaliero, attrazione locale. In fondo, la via sfociava nella piccola Piazza del Centauro, sulla quale si affacciava il forte del paese: una costruzione massiccia e anonima risalente al medioevo.
Snow, Mathieu e Denise si concessero il tempo di assaporare l’ingresso nel paese, ammirando l’agglomerato di edifici semplici e di pietra. A renderlo  famoso in tutta Francia erano i mosaici: oceani di tasselli colorati che rivestivano le strade e che, di tanto in tanto, risalivano lungo i profili delle case donando loro uno splendore fiabesco. Denise, a bocca aperta, fissò in silenzio le composizioni che piastrellavano la via principale, dove draghi rossi e blu si inseguivano in volo su foreste rigogliose. Fort Saint Marcel la prima volta faceva sempre quell’effetto.
«In estate dev’essere stupendo» disse con un sorriso ampio, senza mai staccare lo sguardo da terra.
Quasi le dispiaceva calpestare quell’opera d’arte.
«Gli strumenti di Pierre, migliori dell’Elmo di quel fannullone di Ade!» urlò un ragazzo ad un banco di chincaglierie di poco conto, nascosto dietro numerosi chili di troppo.
«Dolci!» gridò invece una signora sulla cinquantina, in voluttuose forme di stoffe leggere, seduta a gambe accavallate su un tavolo fluttuante, sospeso su una nuvola di zucchero filato dorato «Spiritelle, Gommogrosse, Risantine, Colorocchie!» squillò, circondata dai dolci che, tra polveri luminose, galleggiavano nell’aria accanto a lei.
«Ce ne prendiamo un po’?» propose Mathieu.
«Prima facciamo un giro» rispose Denise.
«Quello non è Ruiz?» chiese Snow, per poi salutare il ragazzo che gli rispose con un sorriso.
Andava nel senso opposto, verso l’uscita del paese.
I chiacchiericci si imponevano con prepotenza sui rumori della natura, lontana ma tutt’intorno. Lentamente la pioggia si affievolì fino a cessare. Snow sorrise ad un’anziana signora alla finestra di una casa, ma quella si rifugiò dietro le tende.
«Vi spiace se entro un secondo?» Denise indicò un negozio di vestiti.
«Atelier Tussaude» lesse a bassa voce Snow «Ok! Ci vediamo tra una mezz’oretta per pranzo, da Chocolat?»
Denise inarcò un sopracciglio, confusa.
«Lascia perdere» Mathieu si intromise e sventolò una mano a mezz’aria «Torniamo noi qui tra mezz’ora, tu cerca solo di non perderti tra gli scaffali, di grazia. E non andremo da Chocolat, l’ultima volta c’era più cibo per terra che sul menu. Quel posto è cinquanta sfumature di schifo».
«Continui con i grandi classici delle citazioni, eh?» Snow ridacchiò «Da Twilight all’erotico, ahia!» si contrasse per il pugno che, sul fianco già di per sé dolorante, sentì trapassare da parte a parte.
«Come mai si è tagliata i capelli?» chiese Mathieu «Secondo me stava meglio prima».
«Dice che è cambiata e che quindi sentiva il bisogno di fare qualcosa anche al suo corpo. Bo».
«Poteva cambiare smalto, invece che sfigurarsi con un trinciapolli».
«Dai, scemo. A me piace» Snow sorrise.
Mathieu roteò gli occhi, poi legò l’ombrello con il nastrino e chiese: «Quindi si è ripresa?»
Snow annuì.
«Meno male. Andiamo lì, è un rivenditore FighFight!»
Se fossero stati in un fumetto, a Mathieu sarebbero schizzati gli occhi fuori dalle orbite: quando sentiva parlare di FighFight! usciva fuori dalla grazia del Signore.
Snow, tuttavia, lo fermò afferrandogli un braccio. Prima doveva dirgli qualcosa di importante. Gli raccontò così del Si’v del Sogno e di ciò che aveva visto, del fatto che ne avesse già parlato con Denise e, addirittura, che per un istante aveva dubitato di lui per via del fatto che si ostinasse a tenergli segreto qualcosa.
«In fondo mi hai sempre detto tutto» gli disse, senza ottenere risposta.
«Come l’hai fatta tragica» disse invece Mathieu alla fine del discorso.
Non sembrava particolarmente colpito dalle sue parole, ma a onor del vero era sempre stato anche un ottimo bugiardo.
«A parte che lo sapevo già» aggiunse muovendosi verso il negozio «Ma per come eri partito sembrava dovessi dichiarare l’ultimo segreto di Fatima. Ho visto il tuo monetarium questa mattina sul comodino: da due a tre Siv’ne, il cambiamento non passa di certo inosservato. Non sei furbissimo».
Snow lo seguì, pensieroso. Non aveva ottenuto una sola parola in merito al segreto che si ostinava a nascondergli, e non era un fatto grave, chiaro, ma ora stava diventando una questione di principio piuttosto fastidiosa.
Il discorso, ad ogni modo, cadde lì e nessuno dei due lo rispolverò più.
Il rivenditore di FighFight! si sviluppava in un’unica sala con grosse scaffalature lungo i lati. Al centro, dietro un bancone quadrato, un uomo sulla quarantina, capelli brizzolati e baffi folti, li salutò cortese. Carte e monete erano esposte in ogni angolo, custodite singolarmente in teche di vetro o gettate in grosse scatole. Cartonati dei più grandi giocatori del mondo erano sparsi per il negozio, appesi al soffitto o attaccati alle pareti. Gli schiamazzi del drappello di ragazzi che si sfidavano in fondo alla sala, su tavoli tondi, animava l’ambiente silenzioso. I piccoli ologrammi dei Siv’ku evocati dalle carte si stavano fronteggiando in una sfida all'ultimo colpo: un Leone Cornuto caricò con ferocia un'Idra di Ferro, che incassò il colpo prima di ricoprirsi di spunzoni e frustare il nemico con la coda. L’immagine del leone si fece prima tremolante, poi svanì in una nuvoletta di Myst.
Mathieu sembrava smarrito: I prodotti esposti si rivelarono talmente tanti da essere troppi perfino per lui, che restò impietrito vicino all'ingresso cercando di capire da dove cominciare. Quando finalmente mosse il primo passo, cancellò Snow dal suo mondo e si alienò.
Snow si avvicinò ad una teca di vetro e si chinò per leggere da vicino i dettagli segnati sull’unica carta custodita al suo interno, sotto un’illustrazione acquerellata.
«Ymp» lesse a bassa voce «Manipolatore delle ombre e delle tenebre. La sua mente non risiede nella testa, ma nello scettro, dal quale non si separa mai».
Snow osservò il mostro, chinando la testa su un lato.
«Curioso» bofonchiò prima di sbuffare un sorriso «Questo ce l’hai?» chiese a Mathieu, tanto per intavolare un discorso.
Come previsto non arrivò alcuna risposta.
«Bè, allora io esco un attimo, ok?» chiese ancora, invano.
Sospirò e uscì dal negozio, sotto il cielo grigio della valle. L'aria fresca e i rumori del paese lo abbracciarono desiderosi.
Tre sedie sbuffarono volute di fumo e galleggiarono a decine di centimetri da terra, attirando la sua attenzione. Seguì con lo sguardo i ragazzi seduti sulla Fluttuovia fino a quando scomparvero oltre una fontana di pietra, in direzione del forte. A risvegliarlo fu la spallata che gli diede per sbaglio un bambino, prima di varcare la soglia del negozio davanti al quale era rimasto.
«Frutti succosi! Le ultime arance di Sicilia» urlò un venditore accanto ad un carretto con le ruote sbilenche.  
Tutti sembravano avere qualcosa da fare. Tutti tranne lui.
«Le scope di Madame Crisaude, spazzano da sole!»
Chissà come stavano gli altri, a Londra: non aveva notizie di nessuno da più d’una settimana. A volte, come ora, vivere lontano da casa si faceva insopportabile.
Una goccia di pioggia gli puntellò il naso, quindi aprì l'ombrello e rimase a guardare il paese. Di tanto in tanto qualcuno della sua età passava nelle vicinanze e incontrava il suo sguardo, così lui prontamente lo scostava e fissava altrove, timoroso d’essere riconosciuto per ciò che gli era successo nella Prima Sala. Era un pensiero che lo perseguitava ancora, nonostante nel frattempo il furto dell'Elmo di Ade e la Bataille avessero fornito altri buoni argomenti da intavolare. Ne era ben consapevole, ma nonostante ciò non riusciva a darsi pace.
Un treno fischiò, in lontananza. Snow lo vide, in alto e sottile come una riga, passare su un ponte stretto che tagliava in due la valle, il fumo che si disperdeva nella pioggia.
«Hey!» Denise corse sotto la pioggia zigzagando dall'ombra di un balcone all'altra.
Si infilò sotto l'ombrello di Snow e si shiacciò al suo corpo, ridacchiando divertita. I due sacchetti nelle sue mani scricchiolarono e sgocciolarono.
«Che corsa!» sbuffò.
Snow sorrise «Preso qualcosa?»
«Una tazza decorata con dei mosaici, scarpe, e unasciarpa»
Snow si accigliò «Non ti facevo da souvenirs» disse.
Sembrava che fosse l’unico del trio senza una passione o un desiderio di collezione particolare: non si era mai reso conto d’essere atipico. La rivelazione gli lasciò l’amaro in bocca.
«Edward è già qui? Ha fatto in fretta» si intromise Mathieu aprendo l'ombrello «Edward. Le mani di forbici» mimò, indicando poi Denise «Oh, insomma, lasciate perdere, andiamo a pranzo».
Denise ridacchiò nonostante fosse l’unica che non avrebbe dovuto.
   
 
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