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Autore: __Stella Swan__    24/03/2013    1 recensioni
«Troveremo Victor, Kim. Te lo prometto».
«Non promettere cose che no puoi mantenere», lo rimproverò il mio ragazzo. Sospirai.
Che diavolo stavo facendo? Non mi riconoscevo più. Non era da me torturare i vampiri – anche se amavo ucciderli – e tantomeno rivolgermi verso i miei unici amici in quel modo. Stavo cambiando di nuovo? Non volevo tornare la principessa di ghiaccio, no. Quello era solo un triste ricordo.
Ora ero Kimberly Sarah Drake, cacciatrice di vampiri.
(Estratto dal primo capitolo)
Terzo episodio della saga di ICE HEART.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Ice Heart Saga.'
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Kim/Derek - Imperdonabile


Mi osservai ancora una volta allo specchio. Non mi sarei mai abituata a quella pelle pallida, dura come una corazza, le labbra scure, i capelli neri e le iridi viola ametista. Non mi accettavo nei panni di una vampira, preferivo cento, mille, un milione di volte la vecchia, semplice ed umana Kim. Dagli occhi verdi, dalla pelle abbronzata, dal cuore che batteva.
Piegai di poco la testa, portandomi una mano sul collo, dove mi aveva morso Derek. Non aveva esitato questa volta: aveva bisogno del mio sangue, anche se avrebbe preferito quello di quando ero ancora viva. Aveva fatto girare la testa anche a me, quando ero entrata nella sua stanza.
E stranamente non mi aveva obbligata a bere il suo. Certo, lui non ne aveva preso tanto dal mio corpo, ma conoscendolo, preferiva essere sicuro che io stessi bene, che non rischiassi di perdere il controllo, donandomi di nuovo il suo sangue.
“Come potevo amare quella donna?”,mi aveva chiesto subito dopo aver staccato le sue labbra dal mio collo. Io gli tenevo una mano stretta tra i capelli. “E’ completamente diversa da te”.
“No, non più di tanto”, gli risposi.
“Sì invece. Lei è un’assassina e tu sei...”.
“Un’assassina”.
Mi guardò con quegli occhi ardenti, mentre si puliva la bocca. “Tu non sei un’assassina, tu uccidi gli assassini come lei. Mi vergogno di averla amata”.
“Non ti farà più soffrire, lo impedirò”. Anche se la prima a farlo soffrire ero io stessa, mi dissi nella mente.
Uscii dal bagno di camera mia, guardandomi intorno. Il sole era ancora in cielo e ci sarebbe stato per almeno ancora qualche ora. Chissà se la signora Montgomery si era ripresa del tutto, o se ricordava qualche cosa della nottata precedente.
Elizabeth...
Solo a pensare quel nome mi venne una rabbia che avrei voluto spaccare qualsiasi cosa.
Andai nell’armeria, pronta a scegliere le armi per un allenamento improvvisato. Giusto per dare libero sfogo ai miei nervi. Osservai le pistola, ma passai subito oltre. Preferivo un profilo nettamente più basso, come un pugnale. Non mi andava di fare tanto chiasso, dato che l’altra idea era di accendere lo stereo con un po’ di musica rock-metal – di cui la mia playlist andava fiera -  adatta alla situazione.
Presi in mano il pugnale egizio e subito mi vennero in mente due cose: lo scontro tra Tia e Lamia, nell’antico Egitto del mio passato, ed i primi allenamenti con Gabriel, nel sotterraneo, quando dovevamo uccidere Arthur Blood.
Allungai la mano, ma appena gli sfiorai la punta, mi tagliai lungo tutto l’indice, mentre afferravo completamente il manico. Doveva essere un taglio da niente e non doveva nemmeno essere un problema dato che le ferite dei vampiri si curavano molto facilmente. Ma quando osservai meglio la superficie del pugnale, notai che era ricoperto di una patina più opaca causata da... acqua santa.
Sentivo una nauseante puzza di bruciato e tutta la mano bruciava.
Lasciai cadere il pugnale a terra, stringendo gli occhi per il dolore, ansimando.  
Derek entrò di volata e portò il dito alle sue labbra. Bevve un goccio di sangue, per poi mordersi il polso e lasciar cadere qualche goccia sulla mia ferita. Poco dopo, iniziavo a sentirmi più sollevata, ed il bruciore stava scomparendo. Derek tirò un sospiro di sollievo.
«Buttare sempre un po’ di sangue sulle ferite prodotte da acqua santa. Se prese in tempo, non causano problemi», mi spiegò, continuando a controllarmi la mano. «Va meglio?».
Annuii. «Sì, non mi ero accorta che ci fosse ancora dell’acqua santa. Forse è meglio che io tenga gli occhi ben aperti», mormorai ridacchiando.
«A proposito di occhi», e con due dita mi tirò su il mento, osservandomi attentamente.
Scossi la testa. «Ero arrabbiata, non ti preoccupare», tagliai corto, dato che sapevo cosa stesse pensando: la sete.
«Per qualche ragione particolare?».
«Per una futura vampira gemella da ammazzare». Abbozzai un sorriso, ma lui non mi ricambiò. Su questo argomento era piuttosto serio. Fece un grosso respiro, uscendo dall’armeria.
«Andiamo, oggi si va a caccia di vampiri».
«E non andrete da soli», continuò Logan, spuntando nel salotto di casa mia. Gabriel era qualche passo più indietro di lui, l’espressione relativamente tranquilla. Accennò un sorriso appena mi vide ed io, automaticamente, ricambiai.
«Aquanto vedo casa mia è diventata un bar», scherzai. Il cowboy si strinse nelle spalle, sistemandosi il cappello.
«Allora, andiamo a friggere qualcuno fuori?».
«Sì ed è meglio che nessuno frigga qui dentro», continuò Derek, sorpassandomi. Strinsi i denti, trattenendomi dalla voglia di dargli un pugno sulla spalla. Mi aveva aiutata, dopo tutto. Se non fosse stato per lui, a quest’ora forse ero cenere nera sparsa nell’armeria.
Scossi la testa per cancellare dalla mia mente quell’immagine.
Uscimmo che era ancora abbastanza chiaro, prima delle quattro di pomeriggio. Camminavamo tutti e quattro molto tranquillamente, per le strade di Londra.
Inizialmente fummo costretti a passare in centro, dato che Logan voleva andare a visitare la zona nord ovest. I giardini ed i parchi erano colmi di bambini che giocavano, genitori che chiacchieravano seduti sulle panchine, alcuni che sistemavano bene il cappotto ai propri figli. Mi bloccai, ricordandomi la giostra sulla quale saliva sempre Megan.
“Guarda Kim”,diceva sempre, afferrando gli anelli e mettendosi a testa in giù, “sono come Tomb Raider!”.
“Si chiama Lara Croft la ragazza”, le ripetevo a mia volta. “E poi Lara non era così piccola”.
“Quindi io sono più brava di lei?”.
“Sì piccola, da grande sarai molto più brava di lei”.
«Kim», mi richiamò Derek, scuotendomi il braccio. Sbattei le palpebre, tirando dritto. Tutti i loro occhi erano fissi su di me. Cercai di trattenere il respiro, perché anche se erano tutti ben coperti, potevo sentire infiniti odori di sangue diversi. Alcuni più dolci – forse appartenente ai bambini – altri meno.
Non ricordavo quanto potesse essere bello passeggiare in città. L’ultima volta lo avevo fatto con Gabriel, quando Derek non era ancora arrivato. Spostai i miei occhi sul ragazzo che camminava davanti a me, molto serenamente. Lui non aveva la sciarpa; un motivo in più per trattenere il respiro.
Arrivammo nella zona che ci aveva detto Logan e ci fermammo in semicerchio, ad aspettare.
Ora le strade erano meno popolate, ma sembrava che dominasse una calma piatta, quasi impossibile da credere. Non sentivo alcun rumore nelle vicinanze, nessun’aura malvagia.
Nessun nemico da combattere.
Poi sentimmo tutti dei passi provenire da dietro le nostre spalle. Un momento di immobilità statica, dove ognuno afferrava le proprie armi.
Ci voltammo tutti con, rispettivamente, pistola, fucile, balestra e pugnale dritti davanti al petto. Il signore strabuzzò gli occhi, alzando le mani.
Aprii la bocca, ma in un primo momento uscì solo dell’aria. «Professore?», domandai.
Scosse la testa. «Eric», precisò.
Alzai gli occhi al cielo. Certo, Eric, mi dissi. «Che ci fai qui?».
«Vi ho visti al parco ed ho deciso di seguirvi. Non credo siate usciti per una passeggiata, o sbaglio?», domandò a sua volta, sorridendo. Abbassammo tutti le armi, rilassandoci.
«Vuole unirsi alla caccia? Qui a quanto pare non c’è nulla», disse Logan, guardandosi ancora in giro.
«Andiamo nel bosco», li interruppi, «probabilmente è là che si mostrerà, dato che là ha tentato di uccidermi».
«Chi ha tentato di ucciderti? E là dove?». Il professore non capiva. Eric, mi imposi. Comunque, lui non sapeva la storia.
«Le raccontiamo strada facendo. Intanto, andiamo verso il bosco». Gabriel fiancheggiò Eric.
Mentre camminavamo verso la nostra prossima meta, i due umani si impegnarono a raccontare al prof la vicenda della serata precedente, di Elizabeth e del perché avesse utilizzato il corpo di Ashley Proud per i suoi loschi scopi.
L’incontro con Hilda, il perché Ashley avesse chiesto i libri di invocazione e del perché Elizabeth fosse tornata per uccidermi.
«Quindi vuole vendicarsi?», disse Eric, grattandosi il mento, l’aria pensierosa. I suoi occhi grigio fumo erano incollati a Derek. Anche se, ogni tanto, lanciava delle occhiate nella mia direzione.
«Sì, quindi è mio compito ucciderla», rispose Derek, la voce fredda. Stava calcolando tutto in ogni minimo dettaglio. Quando ucciderla, come ucciderla... L’unica cosa che aveva stabilito era che doveva essere lui a darle il colpo di grazia.
Ci addentrammo nel bosco, molto cautamente. Tenevo le orecchie ben tese e gli occhi vigili, nella speranza di trovarla davanti a me. Mi sarebbe costata molta fatica non ucciderla subito, dato che sentivo già le mani fremere. Volevo misurarmi con lei, vedere quanto potesse essere forte una vampira con la sua esperienza.
Beh infondo avevo già provato con Arthur, Henry e Victor.
E l’ultima missione non era andata proprio secondo i miei piani.
Non avevo contato del fatto che sarei dovuta forzatamente diventare vampira per sterminare quella razza.
«Ma sei sicuro che ce la farai?», continuò Eric, sospirando. «Voglio dire, non deve essere facile».
«Il passato è passato e lei non è più niente per me».
Gabriel si voltò verso Derek, le palpebre socchiuse. “E’ possibile odiare così tanto la persona che si aveva amato?”, si chiese nella mente.
Già, è possibile?, mi domandai a mia volta, osservando il vampiro. Il suo sguardo ed il suo tono non ammettevano repliche, certo, e nemmeno i suoi pensieri. Io potevo sentire che desiderasse fino alla morte di ucciderla, lo percepivo dal suo stato d’animo.
Magari sarei potuta essere d’aiuto con i miei poteri, controllarle la mente. Ma Derek mi avrebbe permesso almeno quello? Ed Elizabeth sarebbe stata in grado di resistere?
L’unico modo era tentare.
«Quando ti ha attaccata, Kim?», chiese ancora Eric.
«Meno di due mesi fa», risposi automaticamente. Come dimenticarlo: la sera in cui Derek mi aveva chiamata con quel nome, quando ero infuriata con lui per aver detto a Gabriel del nostro bacio. Scossi la testa, per cercar di non ricordare la sensazione di toccare l’acqua fredda del Tamigi, della quale potevo sentire lo scorrere in prossimità degli alberi.
«E come ha fatto?».
«L’ha fatta uscire di strada in macchina, in piena notte. Conta, non era ancora una vampira, quindi era buio e lei non poteva vederla. Le aveva tirato un pugno allo stomaco, per poi farla cadere nel fiume», continuò Derek al mio posto.
Vidi la mano di Gabriel stringersi in un pugno di ferro, mentre camminava davanti a me. Si stava innervosendo al solo ricordo.
Sospirai, alzando gli occhi su di lui.
E quello che sentii subito dopo fu come un forte bisogno. Le voci di Derek, Logan ed Eric diventavano sempre più fioche, deboli.
Assottigliai lo sguardo, mordendomi il labbro inferiore. Riuscivo a vedere perfettamente quel percorso blu chiaro sul suo collo, per poi interrompersi a causa della giacca. Feci un passo più veloce, per accorciare le distanze. Il tutto senza distogliere gli occhi da lui, come se mi stesse chiamando. In effetti, era quello che sentivo: il richiamo del suo sangue.
Non ci badai molto, ma per fortuna Derek – qualche passo più avanti con Eric e Logan – non se n’era ancora accorto. Continuava a parlare, anche se io non lo sentivo.
Cercai di respirare con la bocca chiusa, per non farmi sentire. Il bruciore era sempre più intenso, quasi peggio di quando avevo toccato l’acqua santa. E non pera per niente simpatico.
Solo una piccola parolina vorticava nella mia mente.
Sangue, sangue, sangue.
Afferrai la mano di Gabriel, strattonandolo. «Kim...», mormorò. Premetti l’altro palmo sulla sua bocca, in modo che non fiatasse e lasciandogli l’altra mano, spostai il colletto della giacca. Sentivo i canini già allungati e quel profumo che mi aveva fatto perdere la ragione. La sua pelle emanava calore, lo potevo sentire sulle mie guance: era una sensazione indescrivibile.
Molto velocemente sentii la pelle perforarsi sotto i miei denti e cominciai a bere il sangue.
Però era qualcosa di diverso.
Lo immaginavo in un altro modo, anche perché quel sangue io...
Aprii gli occhi e vidi Derek che spostava Gabriel con un braccio, mentre mi spingeva sempre più indietro. Il sangue cominciò a colare dalla sua mano, arrivando fino al polsino della maglia, sporcandola completamente.
Aprii bene la bocca, in modo che si potesse liberare dal mio morso. Spostai gli occhi – che bruciavano ancora – su Gabriel. I denti stretti, pupille ridotte a due piccoli puntini. E notavo le fiamme delle mie iridi riflettersi nel suo sguardo.
Mi sentii, in un certo senso, mancare: non riuscivo a parlare, talmente mi sentissi male.
Mi ero appena resa conto di cosa stavo per fare. Qualcosa che non avrei mai dovuto, qualcosa di imperdonabile.
Fare del male alla persona più importante della mia vita.
Derek si avvicinò a me, cercando di pulirmi il viso dal suo sangue. Le sue iridi erano così chiare che sembravano quasi bianche. «Kim», disse con voce dolce e non di rimprovero come mi sarei aspettata.
Mi allontanai da lui, non volevo nemmeno sfiorarlo. «Gabr... io...», balbettai.
Volandomi, cominciai a correre all’impazzata.
C’era solo il suono del fiume ormai nella mia mente.
 
 
Scomparve dietro gli alberi e non riuscii subito a sondarle la mente.
Poi rimasi un attimo in ascolto. L’acqua...
«Il fiume!», gridai spalancando gli occhi. Stavo per correre, ma Gabriel mi afferrò per il gomito.
«Cosa vuol dire ‘il fiume’?», chiese innervosito, preoccupato. E faceva bene ad esserlo.
«Vuole suicidarsi!». Diedi uno strattone, in modo da fargli mollare la presa e cominciai a correre, seguendo il suo profumo.
Come le era saltato in mente? Era tutta colpa mia, non avrei dovuto lasciarla assetata la sera precedente e non avrei dovuto portarla nel bosco, così vicino al Tamigi. Se solo Kim fosse riuscita a raggiungere l’acqua in tempo...
Accelerai il passo, cominciando a scorgerla. Vedevo la sua schiena, mentre era in piedi su un piccolo ponte di legno che collegava dall’altra parte della sponda.
Non muoveva un solo muscolo e teneva la testa bassa, fissa sull’acqua. Ricordava perfettamente che lei, come neo vampira, non poteva tuffarsi. Eppure, eccola lì, pronta a spiccare il balzo nel fiume.
Corsi il più veloce che potessi, mentre alzava il piede dalla lastra di legno. I suoi occhi erano chiusi.
La spinsi via, facendola cadere in mezzo all’erba, abbracciata a me. I passi in lontananza di Logan, Gabriel ed Eric si stavano avvicinando, con una corsa umana.
Kim aprì gli occhi, fin troppo scuri. «Derek, che hai fatto...», si lamentò a bassa voce.
«Cosa stavi per fare te? Hai idea di cosa sarebbe successo?», le domandai piuttosto irritato, sciogliendomi però nei suoi occhi. Il modo in cui mi guardavano... sembrava volesse piangere.
Scosse debolmente la testa, stringendo le labbra. «Ho rischiato di fargli del male, capisci?».
«E tu cosa stavi per fare? Stavi per far del male a tutti noi suicidandoti».
Mi guardai in giro, cercando di capire quanto fossero ancora lontani. Infine, mi morsi il polso, avvicinandolo alle sue labbra. Stava per parlare, ma assottigliai lo sguardo. «Non voglio sentire storie questa volta. Tu ora bevi il mio sangue, così non rischi di nuovo di perdere il controllo». La voce uscì quasi in un ringhio.
Non disse altro e senza fiatare afferrò il mio braccio e mi morse esattamente dove mi ero tagliato, cercando di non bere troppo sangue. Intanto alzai la testa, osservando il sole che pian piano scompariva dietro gli alberi, pronto a lasciar spazio alla sera.
Appena finì, ci alzammo in piedi e tornammo sui nostri passi. I ragazzi ci vennero incontro ed appena Gabriel alzò i suoi occhi su Kim, la ragazza cercò di evitarlo, oltrepassandolo, senza respirare. L’unica cosa che voleva era andarsene a casa, stare da sola, per evitare altri danni.
«Credo che l’escursione di oggi sia finita», sentenziò il cowboy, toccandosi il cappello, con un leggero sbuffo. Quasi si fosse annoiato a morte.
«Ne parleremo un’altra volta, va bene Kim?». Il professor Tunner si voltò verso di lei, attendendo una risposta che, pensava, non sarebbe mai arrivata.
Kimberly non si girò, né mosse un muscolo. «Okay». Gabriel strinse i denti, premendo con due dita sulle sue tempie. Controllai comunque se stesse perfettamente bene. Il suo collo era intatto, senza un minimo graffio.
E Kim riprese a camminare, in direzione opposta del sole che calava.
 
 
Entrai subito in camera mia, sedendomi sul letto. Tirai indietro i capelli con una mano, gli occhi chiusi, mentre pensavo a quanto fossi stupida e debole.
Cedere in quel modo... Era stata una cosa imperdonabile.
Cercando di allontanare da me quel pensiero, mi avvicinai all’armadio, aprendo un anta. Ai miei piedi, il solito rifornimento nascosto di armi. Sarebbe stato meglio dare qualche boccetta d’acqua santa in più a Gabriel, od un paletto in frassino, nel caso lo avessi ancora attaccato.
Sentii dei passi provenire dal corridoio e mi voltai prima che la porta venisse aperta da mio padre. «Com’è andata oggi?», chiese cercando di sorridermi.
Lo guardai a lungo negli occhi, sperando che riuscisse ad interpretare il mio sguardo. «Male», sintetizzai, in modo molto conciso e con tono duro.
Entrò completamente in camera, tenendo la porta aperta con una mano. «E credo che tu non voglia parlarne».
«Infatti». Quasi non gli lasciai finire la frase. Ma alla fine, socchiusi gli occhi, sospirando. «Solo un incidente di percorso. Anzi, un quasi incidenteche avrebbe potuto essere fatale».
«Sono sicuro che non capiterà più, non ti preoccupare». Il suo sorriso di conforto, l’aria pienamente paterna. Come potevo essere cattiva anche con lui?
«Sì», risposi a bassa voce, guardandomi le mani. Senza dire niente, uscì dalla stanza, chiudendo la porta. Per un po’ di tempo rimasi ad ascoltare i suoi pensieri, mentre contavo le boccette d’acqua santa che mi rimanevano. “Incidenti di percorso, spero solo non sia stato nulla di grave”, si stava dicendo. “In particolar modo spero non c’entri niente Hilda, non voglio che Kim soffra ancora per lei”.
Alzai gli occhi, tenendoli fissi sull’armadio, davanti a me. Ero accucciata a terra e sentivo il pavimento muoversi sotto di me. I passi di qualcuno che si avvicinava alle spalle, l’aria che entrava dalla finestra aperta...
Mi voltai di scatto, tenendolo stretto per la gola e sollevandolo da terra.
«Giusto, mai entrare dalla finestra con te», tossì Gabriel, mezzo soffocato. Spalancai gli occhi, lasciandolo andare immediatamente. Arretrai di qualche passo, andando a sbattere contro l’anta dell’armadio.
«Gabriel, che diavolo ci fai qui?», gli chiesi colta di sorpresa, stupita. Ed intanto iniziavo già a cristonare contro me stessa per aver rischiato di fargli male... ancora.
Fece spallucce, toccandosi la gola. Ed intanto prendeva fiato. «Non ricordavo più che non era molto conveniente coglierti di sorpresa in camera tua», rispose, evitando la mia domanda.
Scossi la testa, senza badare alle sue parole. «Ad ogni modo, cosa ci fai qui?», sottolineai ancora, in modo più incisivo. Gabriel si guardò intorno, cercando di capire cosa stessi controllando nell’armadio. Assottigliò lo sguardo, per vedere meglio, e poi capì con che cosa avessi a che fare.
«Ti rispondo se mi dici il perché stavi toccando l’acqua santa». Il suo sguardo si posò poi su di me e mi sentii inchiodata a terra. Certo, potevo sempre controllare la sua mente e mandarlo via dalla mia vista. Infondo, era un pericolo per lui stare da solo con me. Ma possibile che non lo volesse capire?
Misi le mani sui fianchi, piegando la testa su un lato. «Volevo sapere quante boccette avessi ancora, così da potertene dare qualcuna nel caso capiti di nuovo un incidente», spiegai con tono annoiato, quasi lo stessi prendendo in giro.
«Di nuovo?». Si soffermò in particolar modo su quelle due parole. Come non poteva non capire...
«Sì, dato che quello che è successo oggi è stato un incidente». Socchiuse le labbra, sbattendo le palpebre qualche volta. Ora aveva capito. «E tu perché sei qui?».
Alla terza volta avrei ottenuto una risposta soddisfacente, no? «Non lo consideravo proprio un incidente, comunque ero venuto per vedere come stessi», mi disse in tono dolce, cercando in qualche modo di sorridermi. Continuavo a vedere, però, quelle fiamme che aveva notato nei miei occhi, dopo che avevo tentato – e quasi riuscito – di attaccarlo. Aveva ancora paura di me.
«Sto bene». Chiusi gli occhi, cercando di ignorare per l’ennesima volta quell’inutile domanda. Stare bene, come potevo stare bene in quel modo, come vampira? Come potevo star bene se avevo rischiato di ucciderlo, se ero diventata un’assassina senza pietà nemmeno verso gli umani?
Per fortuna ero abbastanza brava a dir le bugie. Anche se le odiavo profondamente, quasi più di me stessa. «Ora puoi anche andare», continuai indicando la finestra con un cenno del capo.
«Come, mi cacci via?», domandò confuso.
«Come ho detto, non voglio capitino altri incidenti». Per un minimo secondo, lasciai cadere i miei occhi sul suo collo. Fortunatamente, non lo avevo nemmeno sfiorato, ma se non ci fosse stato Derek... Poi continuai a guardarlo, continuando a chiedermi quanto fosse bello anche solo con dei semplici jeans ed una giacca di pelle nera.
Abbassò la testa, per catturare la mia attenzione. E ci riuscì perfettamente. «Beh, in realtà ero venuto a parlarti proprio di questo», mormorò a bassa voce. Ridussi gli occhi a due fessure, cercando di leggergli la mente. Ma in quel momento, mi era praticamente impossibile.
«Non mi va di parlarne», risposi dandogli le spalle. Continuai a guardare lo scatolone dell’acqua santa, accanto alla quale c’era il paletto in frassino. Toccarlo non mi avrebbe dato alcun fastidio, il problema sostanziale era se io mi fossi ferita. «Comunque queste è meglio che le prendi. Anche il paletto, forse è...».
M’interruppi e se il mio cuore fosse stato ancora in grado di battere si sarebbe fermato in quell’istante. Chiusi gli occhi, annusando l’aria. Ormai quel profumo era entrato nel mio corpo attraverso bocca e naso, mentre sentivo la giacca di Gabriel cadere sul legno della scrivania.
Gli impulsi nel mio corpo urlavano, ma tenni i denti stretti. «Rimettiti. La. Giacca. Ora», ordinai quasi ringhiando e tentando di respirare il meno possibile. Ma mi era quasi impossibile, ormai.
«Non se ne parla nemmeno», rispose con tono altrettanto duro. Rimasi pietrificata, senza muovere un solo muscolo. I pugni erano rigidi, lungo i fianchi. Sentivo le unghie conficcarsi nella mano, ma poco importava, perché quel profumo mi aveva annebbiato ogni senso.
Lo sentii fare un piccolo movimento e quella che ormai era la mia droga mi colpì ancora più forte, come se mi avessero appena tirato un pugno in pieno stomaco. Anzi, ancora peggio di quando Victor mi aveva infilzata con la spada, o quando mi aveva dissanguata. Male, faceva molto più male tutto questo.
«Cosa stai facendo?», mormorai con voce bassa, quasi incredula. Anzi, sembrava quasi un’implorazione di evitare quello stupido gesto. Appena mi voltai, vidi che aveva il braccio teso in avanti, lo sguardo serio. E mi stava mostrando perfettamente il suo polso.
Scossi la testa, ancora prima che potesse parlare. «Ti prego, fallo».
Ti prego?,mi dissi.
«Non posso». Categoricamente, mi dissi nella mente.
«Se servirà a farti star meglio...».
«Non servirà a farmi star meglio. Servirà a farmi diventare dipendente da te!», lo contraddissi. Tese ancora di più il polso ed ormai mi sentivo in fiamme. «Smettila», continuai risoluta.
«No, non posso, non vedendo quanto soffri per colpa mia. Questo servirà per farti star meglio, credimi. Anche solo per poco tempo, ma almeno ti sentirai sollevata».
«E tu?», riposi in tono freddo, «tu sarai sollevato dopo che ti avrò dissanguato?».
Addolcì lo sguardo, rischiando di distruggermi a pezzi. «A me non interessa niente di cosa succederà». Sembrava davvero sincero mentre pronunciava quelle parole. Guardai ancora una volta il suo polso, da perfetta masochista. «Ti prego», sussurrò ancora una volta.
Strinsi i denti, prendendogli la mano. Ma invece che morderlo, come sperava lui, lo abbassai, avvicinandomi al suo petto. Il profumo dal suo collo era nettamente più forte, più dolce. E mescolato al profumo che si metteva sempre era semplicemente irresistibile. Notai però che c’era qualcosa: con entrambe le mani gli tolsi la catenina, facendola penzolare davanti ai nostri occhi.
La catenina con la K che gli avevo regalato a Natale. Non disse niente e gliela infilai nella tasca dei pantaloni.
Tornai con la concentrazione sul suo collo, mentre accorciavo le distanze. Una mano scese automaticamente dietro la sua schiena, stringendolo dolcemente, mentre l’altra lo sfiorava delicatamente, seguendo una vena bluastra.
“Ti prego”, pensò per l’ultima volta.
Ad occhi perfettamente chiusi, quasi strizzati, morsi dove avevo appena passato la mano.
Gabriel sentì come una fitta, irrigidendosi automaticamente. Io mi sentii come presa dalla frenesia e sapevo che non sarei riuscita a fermarmi. Nello stesso momento, avevo voglia di piangere per quella consapevolezza.
Strinse la mia maglia, lasciando cadere la testa all’indietro. Sentii una goccia scapparmi dalle labbra, colando lungo il suo collo. Molto velocemente mi staccai da lui per leccarla, poiché nemmeno quella andava sprecata.
Il sangue di un umano.
Il sangue di Gabriel. Era... perfetto.
Ciò che sicuramente il sangue di un vampiro non sarebbe potuto essere e nemmeno di qualsiasi altro umano. Non potevo saperlo con certezza e mai avrei voluto far del male ad altre persone. Semplicemente sapevo che il suo sangue era il più buono sulla faccia della terra.
Presi un po’ di fiato, cerando di controllarmi. «Kim», ansimò con un filo di voce, quasi inudibilmente. E senza pensarci lo spinsi sul letto, affondando di nuovo i canini nella sua pelle.
Ricominciai a bere, continuando a ripetermi quanto fosse estasiante succhiare il suo sangue. Capivo solo ora cosa significava essere veramente un vampiro e capivo anche l’impossibilità da parte loro di fermarsi. Ci voleva una gigantesca forza di volontà per riuscire a controllarsi.
Ed io, in quel momento, ne avevo ben poca. Non perché non pensassi che si trattava di Gabriel, ma più che altro perché mi stavo comportando da perfetta egoista, pensando solo a me stessa e non a lui.
Sentii i suoi pensieri: riusciva a percepire la sensazione di calore nel petto ed era come se fosse stata la più bella in assoluto. Subito dopo mi vennero proiettati i suoi ricordi: quando era stato adottato, quando aveva scoperto che suo fratellastro era morto, quando mi aveva incontrata, quando mi baciava... proprio tutto.
Ora, mi sembrava di capirlo un po’ meglio. I suoi sentimenti verso di me erano reali e Derek questo lo aveva percepito subito grazie alla sua dote.
Mi cinse il petto con le braccia, stringendomi di più a sé. Anche se sentivo che le sue forze andavano man mano scemando, così come ogni suo senso.
“Ti amo”, disse nella sua mente, conscio che sarei riuscita a sentirlo.
Mi bloccai subito, spalancando gli occhi. Il morso si trasformò con calma in un bacio sull’incavo della sua spalla, mentre mi sollevavo da lui.
Anche lui aveva gli occhi chiusi ed appena li aprì, la prima cosa che fece fu cercare i miei. Le sue iridi erano leggermente più scure a causa del buio, con le sfumature verde acqua. Magnifiche, come non erano mai state prima. Mentre i miei erano tornati viola molto velocemente, più del previsto. Forse era grazie al sangue umano.
«Non devi più pensare una cosa del genere. Non dopo quello che ti ho fatto», lo rimproverai, in tono serio e severo.
Mise una mano sulla mia guancia, accarezzandomi. Ed intanto comparve quel sorriso che tanto mi mancava, lo stesso che mi aveva fatto dopo avermi baciata per la prima volta. «Come potrei pensare diversamente? Ti avrei amata anche se tu mi avessi ucciso», mi rispose, la voce tranquilla e serena, come se avesse appena raggiunto la felicità che aveva sempre cercato.
Strinsi i denti e le labbra. «Kim, non capisci che così mi hai dimostrato che anche tu ci tieni ancora a me? Non avevi capito che era una prova?». Non risposi, abbassando la testa. Respiravo a fatica, anche se la mia specie non aveva il bisogno di respirare per vivere. Mi prese il viso con entrambe le mani, fissandomi ininterrottamente nelle pupille. «Kim, ti prego, non tenerti tutto dentro. Sfogati se devi farlo».
Senza dire niente, sentii le lacrime salire sempre più, fino a farmi bruciare gli occhi. Ed appena mi strinse un po’ di più, mi appoggiai sul suo petto, scoppiando a piangere.
Cercavo in ogni modo di trattenermi, ma gli spasmi erano davvero troppo forti e non riuscivo a smettere di singhiozzare. Intanto, Gabriel mi accarezzava i capelli. «Gabriel...», mormorai tra un singhiozzo e l’altro.
«Shh non parlare, non è successo niente. Sto bene, tranquilla», mi rassicurò, coccolandomi. Seguii il suo consiglio e rimasi in silenzio, continuando a versare le lacrime che avevo trattenuto per tutto quel tempo. Come la volta in cui gli avevo confessato di Megan. Solo che questa volta era peggio, perché avevo davvero creduto di ucciderlo. Ed anche solo l’idea di fargli del male mi faceva più paura della morte.
Alzai la testa dal suo corpo, accarezzandolo dove lo avevo morso. I buchi erano già freddi e non ci sarebbe voluto molto nel vederli lucidi, perenni. «Non volevo farti del male», sussurrai continuando a fissare quella che sarebbe stata la sua cicatrice.
«Non mi hai fatto del male», rispose riportando i miei occhi su di sé, come solo lui riusciva a fare. Passò poi l’indice sotto il mio labbro. «Il sangue è dolce, vero?».
Annuii, senza sciogliere le catene che mi tenevano legata ad ammirare il suo viso. «Sì», dissi molto semplicemente. Dopo aver tolto la goccia che avevo lasciato sulla bocca, si leccò il dito, assaporando il suo stesso sangue. Certo, per lui non poteva essere buono quanto lo fosse per me.
Ed ancora, prese il mio viso con entrambe le mani, iniziando ad avvicinarmi a sé. «Gabriel», lo richiamai subito, allarmata.
«Non mi farai del male». E così continuava a render nulla la nostra distanza. Appena ero a pochi centimetri dalla sua bocca, mi bloccai di nuovo.
«Gabriel».
Rese più ferrea la sua presa. I suoi occhi mi stavano incantando. «Non mi farai del male», ripeté sulle mie guance. In quel momento, l’unica cosa che riuscii a fare fu cedere.
Appena le nostre labbra si sfiorarono, mi sentii andare a fuoco. Peggio di quando avevo sete, di quando gli bevevo il sangue. Molto peggio.
Mi baciò velocemente, cercando di non pressare troppo già dal principio. E quando vide che ero ancora in grado di controllare me stessa, cominciò a baciarmi come faceva una volta, quando ero ancora umana.
Mi spinse indietro, facendomi appoggiare sulle ginocchia. E sempre continuando a baciarmi, si sfilò completamente la maglia, accoltellandomi di nuovo col suo profumo. Potevo sentire il calore che emanava ed i suoi pensieri su quanto fossi fredda al contatto con la sua pelle.
Stavamo andando oltre ogni schema di protezione, ogni regola che mi ero personalmente imposta di non trasgredire. Ma ormai, dopo quello che avevo fatto, cosa cambiava se trasgredirne una in più o una in meno? Il danno era fatto.
“Ti amo, ti amo, ti amo”. Lo ripeteva proprio come quella volta, la notte prima di morire. Ma questa volta senza che glielo ordinassi, perché non avevo più il bisogno fisico di sentirlo.
Lo sapevo dal principio.
Per la seconda volta mi preparai a provare quella fantastica sensazione di appartenenza a lui e lui soltanto. Non esisteva altro al di fuori di quel momento, di quei sentimenti, del calore della sua pelle, dei suoi muscoli tesi sopra di me.
Non ero del tutto sicura, però: la paura di fargli del male era fin troppo forte. Non paura di cedere all’impulso di bere ancora il suo sangue, ma di fargli del male fisico. Ero comunque una vampira, infinitamente più forte di lui.
Ogni suo tocco era più delicato di una piuma a mio parere. Ma ogni volta mi faceva di nuovo sentire viva, come se fossi sempre stata umana. Non ero una vampira, quando ero con lui, quando mi toccava, o quando mi baciava passionalmente. Ero me stessa, la vera Kim.
E proprio nel momento in cui mi aveva completamente annebbiato i sensi, si avvicinò al mio orecchio, i respiri corti. «Trasformami in un vampiro», fiatò malapena.
Aprii gli occhi e, riprendendo il controllo della situazione, lo feci cadere su un lato, bloccandolo sul materasso. «Cosa stai dicendo?», gli chiesi affilando lo sguardo come non mai, perfettamente lucida. Aveva riattivato il mio cervello con quella domanda.
Fece spallucce. «Non voglio farti preoccupare e non voglio che tu ti trattenga con me. Trasformami in un vampiro».
Lasciai scorrere una mano sui suoi pettorali, sospirando. «Tu non lo vorresti».
«Io voglio solo stare con te», rispose prontamente. «In qualche modo. Voglio esser sicuro che tu appartenga a me».
Accennai un sorriso. «Ma sai già che appartengo a te. E poi, c’è un altro modo per farmi sentire tua».
Gabriel si specchiò nei miei occhi e riprese a baciarmi ovunque: sul collo, sul petto, sul ventre. Mi ritrovai velocemente avvinghiata a lui, completamente svestita, mentre il tocco della sua pelle era maledettamente bollente. Mi sentivo andare a fuoco, più della prima volta che mi ero unita a lui così fisicamente, più di quando avevo bevuto il suo sangue.
Il dolore che, inizialmente, mi aveva colpita la prima volta che facevamo l’amore non si fece sentire minimamente, lasciando subito spazio ad un vortice di sensazioni indescrivibili. Il suo corpo tremava sia per il piacere sia per il contatto con la mia pelle fredda e dura come il marmo. Le sue labbra continuavano a stuzzicarmi su ogni parte del corpo, infondendomi ancora più calore.
Ed il suo profumo mi annebbiava il cervello come non aveva mai fatto.
Controllai il morso sulla sua gola e ci passai la mano sopra, mentre lo facevo cadere sul fianco. Rimasi immobile per qualche secondo, osservandolo attentamente, prima di riprendere da dove eravamo rimasti.
«Sei così fredda», mormorò spensierato sulle mie guance. Cominciò a muoversi più velocemente, mentre mi stringeva contro il suo petto.
«E tu sei bollente», risposi a fatica, mentre la mia voce era spezzata ogni tanto dai gemiti.
Il tempo avrebbe dovuto fermarsi in quel momento: non esistevano vampiri, non esistevano persone che tentavano di uccidermi, o sete di sangue. Eravamo solo io e Gabriel.
Passò velocemente un’ora, fino all’apice del piacere. Respiravo a bocca aperta, senza badare più di tanto al profumo di Gabriel che mi faceva tornare l’acquolina in bocca.
Mi appoggiai sul suo petto, rannicchiandomi accanto a lui sotto le coperte. Avevo il timore di fargli sentire troppo freddo, ma Gabriel mi abbracciò in modo da scaldarmi.
Mi strinse ancora di più a sé, come se avesse davvero avuto intenzione di fondersi con me. «Ti amo».
«Ti amo anche io». Lo sentii sospirare sui miei capelli, perfettamente scompigliati. Poco m’importava. E sentendo il battito del suo cuore sotto il mio orecchio, chiusi gli occhi.
  
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