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Autore: _ivan    03/04/2013    5 recensioni
Un londinese sfortunato, un cinico parigino e un'italiana che si porta sulle spalle l'eredità di una pessima reputazione. Non è l'inizio di una barzelletta, ma il profilo di tre studenti dell'Accademia di magia dell'Ardéche, dove quest'anno serpeggia uno spietato traditore.
Coinvolti nel groviglio di misteri che si celano nell'antica scuola, i tre impareranno ad affrontare i propri mostri, ad affinare l'ingegno e a dubitare di chiunque...anche dei loro più cari amici.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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|| E Quarantotto, lettore e artista, ha deciso di disegnare un altro soggetto di Monetarium, concentrando la sua attenzione su Denise, che nell'ultimo capitolo si è tagliata i capelli. Ha anche aggiunto che 'lui, non sa perchè, ma la vede dentona', quindi ecco a voi il risultato. Mi - e gli - farebbe molto piacere se lasciaste un piccolo commento a lui indirizzato. qui trovate il suo profilo di deviantart, ancora un po' scarno ma in fase di costruzione e aggiornamento. Non penso - dati alcuni motivi vari - che realizzerà altri disegni di Monetarium, quindi mettetevi l'animo in pace: Snow non lo vedrete mai (lol). Se volete ve lo disegnerò io, anche se non so quanto possa convenire...
Non vi rubo altro tempo. Buona lettura! Un abbraccio forte, Ivan.




(Ultime frasi del capitolo precedente)

«Che corsa!» sbuffò.
Snow sorrise «Preso qualcosa?»
«Una tazza decorata con dei mosaici, scarpe, e una sciarpa».
Snow si accigliò.
«Non ti facevo da souvenirs» disse.
Sembrava che fosse l’unico del trio senza una passione o un desiderio di collezione particolare: non si era mai reso conto d’essere atipico. La rivelazione gli lasciò l’amaro in bocca.
«Edward è già qui? Ha fatto in fretta» si intromise Mathieu aprendo l'ombrello «Edward. Le mani di forbici» mimò, indicando poi Denise «Oh, insomma, lasciate perdere, andiamo a pranzo».
Denise ridacchiò nonostante fosse l’unica che non avrebbe dovuto, e insieme si misero a cercare un posto dove mangiare.

(Nuovo capitolo)

La scelta ricadde sul “VraimentVert”, che lì a Fort Saint Marcel si trovava in un edificio distinguibile dagli altri solo grazie alle due grandi “V” verdi dell’insegna. L’ampiezza, indeducibile dall’esterno, ospitava un paradiso in linea con la filosofia della catena: un prato verde tagliato da un ruscello dal letto ciottoloso, sovrastato da un cielo terso artificiale, come quelli dei casinò di Las Vegas. Dell’acqua vaporizzata venne spruzzata sulla sala e Snow ne percepì il sibilo che coprì i rumori della natura, realistici ma dopo tutto non molto credibili.
«Questo è bello quasi quanto quello di Londra» disse avvicinandosi alla cassa e mettendosi in fila, ombrello chiuso alla mano.
«Coraline tuba con Evan» rispose invece Denise.
Snow e Mathieu si voltarono nella direzione che lei indicò loro. Coraline e Evan, sdraiati nell’erba su un fianco, si scambiavano carezze, parole e sorrisi, non troppo distanti dal ruscello. Lui era il ragazzo con cui si erano fronteggiati alla Bataille, quello che Snow aveva chiamato Ethan, dallo sguardo cattivo. Di primo acchito rimase confuso; non sapeva fosse il ragazzo di Coraline.
Presero posto tra le radici di un sambuco in fiore.
Il pane era fresco di giornata e l'insalata croccante: consumare  il pranzo sotto i raggi del sole fu piacevole e rilassante al punto da far dimenticare a tutti del mondo esterno, umido e grigio.
Denise picchiettava la forchetta sul fondo dell'insalatiera, svogliata. Infilzò un crostino ammorbidito dai condimenti e lo portò alla bocca.
«Mathieu» disse, per poi deglutire «Si può sapere che genere di problemi hai con tuo padre?»
Fu come trafiggere sia Snow che Mathieu con un unico dardo, dritto al petto. Restarono entrambi senza fiato, col boccone sulla lingua e la masticazione immobile.
Snow fissò Denise con gli occhi sbarrati. Aveva il volto del terrore.
Mathieu rimase fermo ancora per qualche istante, poi riprese a mangiare la pasta fredda un fusillo alla volta. Entrambi lo studiarono mentre piluccava lento, pensieroso, l’uno preparandosi a una sua reazione, l’altra aspettando una sua risposta.
Mathieu si concesse tutto il tempo di pensare, quindi si schiarì la voce e sollevò gli occhi su Denise.
«Com’è la pasta?» si intromise Snow.
«Cosa vorresti sapere,» chiese Mathieu senza punto di domanda, prima di passarsi il dorso della mano sulle labbra.
Snow sospirò appena.
Denise sembrò pensarci su un istante.
«Bè, sì, insomma» disse «Perché sei sempre stizzito quando se ne parla, ecco. Sbotti anche quando non stiamo dicendo nulla di male, e non mi sembra una situazione piacevole, no?»
Mathieu poggiò la ciotola nell’erba e si stiracchiò.
«È tutta la vita che mi dà addosso per ogni ragione» disse tranquillo, facendo spallucce «Ho cercato con ogni mezzo di trovare un equilibrio, giuro, ma a quanto pare la sua mente contempla solo le sue opzioni. Non capisce che semplicemente abbiamo interessi diversi, poverino, perché è un concetto troppo articolato. Essendo convinto di avere la verità in tasca non capisce come sia possibile che a qualcuno non possa piacere la storia, o…la cultura, o quelle cose lì. Come se ci tenessi a diventare la sua fotocopia, capisci? Perché lui lo vorrebbe, cioè, la fotocopia, ma tra il volere il meglio per i figli e quello che fa lui, ce ne passa. E quindi mi bastona, capito? Per tutto. Ogni cosa. Ma non ha capito che se mi girano comincio a legnarlo io. Per davvero» Mathieu si passò la mano tra i capelli più e più volte, in un rabbioso tentativo di sistemarli nonostante non ce ne fosse bisogno «Che poi parliamone: cosa te ne frega a te di come cazzo vivo io?» chiese alzando la voce, spingendo qualcuno nelle vicinanze a voltarsi verso di loro.
Denise si accigliò.
«Dico mio padre, non tu» riprese Mathieu grattandosi la nuca con forza «Era un “tu” generico. Cioè, cosa gliene frega? Ma lasciami fare, no? Nemmeno spacciassi droga o rubassi Siv’ne. Non ho voglia di andare a leggere come lui? Wow, non mi sembra un reato. Ma è finito il periodo in cui annuivo e sorridevo, sai? Adesso gli rispondo eccome, e la cosa lo fa andare ai pazzi. E ci godo, mi ha rotto».
Snow rimase senza parole. Mathieu riprese la ciotola e infilzò gli ultimi quattro fusilli, che si infilò in bocca. Si guardò attorno, nervoso, e chi era voltato verso di loro tornò ai propri affari.
«Tutto qui?» Denise aggrottò la fronte «Solo perché vuole farti studiare? Non mi sembra una cosa così orribile, è un bene che ti sproni. Che poi…»
«Ok, credo possa bastare, stop» Snow mise una mano tra i due, a mezz’aria, e la mosse per richiamarne l’attenzione.
Il fuoco negli occhi di Mathieu gli bruciò la pelle.
«Stop un cazzo! Ma l’hai sentita, sta qui?» sbottò.
«Hey, i termini!» pigolò Denise.
«Ma cosa ne sai tu!»
«Disturbo?»
Alberto Ruiz, in piedi, li salutò timidamente con un gesto della mano.
«Sì» tagliò corto Mathieu.
«No! Ovviamente no» aggiunse Snow.
Alberto rimase in piedi e guardò Denise, perplesso, torturando con le dita la bretella di una borsa a tracolla. Quando anche lei diede il suo assenso, Ruiz si sedette accanto a Snow e gli sorrise.
Alberto raccontò di come i suoi compagni lo avevano mollato per andare a far compere e di come lui, dopo averli attesi per oltre quaranta minuti, aveva infine deciso di pranzare per i fatti suoi. Mathieu fissava altrove, disinteressato e scocciato.
«Credo che alla fine siano andati al forte, senza di me» disse Alberto sollevando le spalle, sereno.
Qualcuno strillò il discorso si interruppe.
Insieme si voltarono verso il capannello di gente che si era radunato attorno al tronco di un albero. Qualcuno rise sguaiato, altri tirarono fuori i cellulari. Quando un dipendente di VraimentVert si avvicinò, la folla si squarciò in due e poterono vedere Alf Becker ciondolare a testa in giù, appeso a un ramo per le caviglie. Sembrava un maialetto, col volto violaceo e gli occhi a palla. Mathieu scoppiò a ridere e tirò fuori il telefonino per scattare una foto. Snow sorrise, mentre Denise e Alberto rimasero impassibili, si guardarono attorno e sospirarono quasi all’unisono. Quando anche un secondo uomo con la casacca di VV raggiunse Alf, gli slegarono le caviglie, lo adagiarono nell’erba e gli diedero assistenza. La situazione, ormai noiosa, sparì così dagli occhi di tutti, e il mondo andò avanti come se nulla fosse mai accaduto.
Alberto si schiarì la voce con un colpo di tosse.
«Avete saputo della festa di Halloween?» chiese «Non la fanno più il primo novembre, a quanto pare, ma il trentuno».
«Halloween?» chiese Mathieu.
Alberto annuì. C’era qualcosa, nei suoi occhi piccoli come bottoni, che lo faceva apparire inquieto. Si guardò attorno in silenzio e poi alternò l’attenzione tra i due ragazzi.
«A dire il vero vi dovrei anche dire una cosa» disse passandosi una mano sul viso arrossato dall’acne «Ho saputo che Emilien vi vuole dare fastidio, alla festa».
Per un attimo ci fu il silenzio.
«Mpfh» sbuffò divertito Mathieu.
Denise sospirò «Forse dovrei parlargli» disse.
«Fuori discussione» si intromise Snow «Non ne posso più, giuro. Si comporta come se gli avessimo amputato una gamba. Ti ha fatto qualcosa?»
«A me?» ripeté Alberto «No. Non sanno nemmeno che sono stato io a interrompere Adrien. Ma attenti, ok? Emilien è cattivo e ha sempre preso seriamente il suo ruolo, ne so qualcosa».
«Come no» disse Mathieu, col capo chino e le mani prese ad annodare tra loro i fili d’erba «Non troverebbe le palle neanche col GPS. Possiamo stare tranquilli».
Alberto, senza parole, guardò Snow in cerca di comprensione.
«Grazie» gli disse semplicemente l’inglese «E grazie anche per l’aiuto alla Bataille. Staremo attenti».
 
*
 
Nel buio, una melma verdastra trasudò dalla roccia e colò a terra, dove formò una polla e cominciò a ribollire. Una propaggine si spinse verso l’alto e generò un corpo informe, al cui centro un nucleo rotondo venne avviluppato da nervature pulsanti. L’occhio roteò nella gelatina e scrutò lo spazio circostante, illuminato solo da una sottile crepa nell’unica alta parete di mattoni, all’inizio del tunnel. Tutt’attorno, la roccia disegnava una galleria primitiva che si perdeva più avanti, nel buio assoluto, sorretta qua e là da coppie di colonne scavate nella pietra.
Vil’yhak gorgogliò morso dal freddo e mosse le due piccole appendici che gli facevano da arti. Del Myst trasudò dalla melma, che s’accese d’una suggestiva bioluminescenza che accarezzò i profili scabri delle pareti e allargò la visuale.
«’Hanno rubato l'Elmo di Ade’ ha detto, ehk, ‘e solo tu puoi porvi rimedio, Vil’yahk’» disse il mostro «’Solo tu in tutto il mondo’» gorgogliò squarciando il corpo in un sorriso «Non posso stare solo nella Prima Sala, ma posso fare molto di più, ehk. Ci sono cose che solo io posso fare. Io in tutto il mondo» ripetè «’Vil’yahk fai questo e quello’. No! Ehk, Messer Vil’yahk non lo fa!»
Il Siv’ku rimase in silenzio ad ascoltare il suo urlo rimbombare nel buio. Alle sue spalle, oltre il muro di mattoni, qualcuno gridò qualcosa nella Sala delle Sale.
Sbarrò il suo unico occhio: doveva esser più cauto.
Vil’yahk strisciò verso il cuore della fredda terra e brancolò a lungo, guidato solo dalla sua fioca luminescenza. Si fermò davanti alle grate di un cancello che alto fino al soffitto e rimase ad ammirare le gocce d’acqua che, lente, scivolavano lungo le sue sbarre.
Un rumore nel buio lo fece trasalire con un risucchio viscido, ma quando oltre il cancello apparvero gli occhi rossi del suo amico, il gelatinoso si tranquillizzò. Il lupo si trascinò sulle zampe ossute con un ringhio basso e i denti in mostra. Sul corpo grinzoso e bluastro non restavano che poche manciate di ciuffi di peli grigi e tra quelli, sulla schiena tagliata in due dalle vertebre sporgenti, il grande serpente giallo che gli faceva da coda si risvegliò e si sollevò in aria, sibilando per saggiarla.
Entrambi i Siv’ku si avvicinarono al cancello, ma quando quello s'illuminò d'un riverbero argentato, un’energia invisibile impedì loro di accostarsi ulteriormente. Vil’yahk si squagliò a terra, ribollì agitato e poi si ricompose, con l’occhio che girava nel bacino melmoso.
«Non disperare, amico mio, ehk» disse «Presto sarai qui».
Alle spalle della chimera una bestia ringhiò nel buio, senza palesarsi. Lo strillo di un volatile rimbalzò nel tunnel. Vil'yhak si voltò, si avvicinò a una parete di roccia e la tastò con le sue piccole appendici. L'interruttore era piccolo, d'oro e nascosto tra piccoli funghi mucosi. Lo studiò in silenzio, il corpo flessuoso chinato in avanti.
«Ci vorrà un po' di tempo» disse Vil'yhak a sé stesso, a voce bassa «Ma presto c'è la farò, ehk. ‘Tu sei capace, Vil'yhak’ mi ha detto, ehk, ‘Devi attuare un cambio di programma. Hanno rubato l’Elmo’, ehk. Il ladro verrà fermato».
 
*
 
Dopo un giorno di vacanza la lezione di Storia della Magia era pesante ai limiti dell’insopportabile.
Fortunatamente, però, la Biblioteca Grande era una di quelle strutture in grado di lasciare senza parole anche a distanza di tempo, e così non era raro vedere gli studenti passare intere lezioni guardarsi intorno meravigliati.
La struttura, intagliata in titanici pannelli di noce, era caratterizzata dalla presenza di scultoree scene di battaglie, che si sviluppavano in orizzontale come nei fregi dei templi antichi, in file e file accatastate l’una sull’altra. Il soffitto, invece, si curvava a formare una cupola liscia, al cui centro bruciava una fiamma verde sospesa nel vuoto. Ricordava un po’ la Prima Sala, anche se in questo caso le dimensioni spropositate dell’ambiente non si spiegavano con l’uso che ne veniva fatto. A lasciare interdetti, inoltre, era il fatto che nonostante il nome non fosse presente neppure un libro; nessuno sapeva spiegarselo.
Snow stava osservando tutto questo, interrompendosi solo di tanto in tanto per muovere la matita sul foglio con tratti piccoli e precisi: evidenziò la peluria di un centauro senza braccia né testa, quindi lo osservò soddisfatto nonostante la totale assenza di proporzioni tra le zampe e il resto del corpo. Al suo fianco, la stessa figura mitologica infilzava con una lancia il corpo asciutto di un umano, e sopra le loro teste un drago d’ossa osservava la scena mostrando le fauci affilate.
La voce del professor Blanchard era cantilenante e pacata: aveva smesso di ascoltarlo dopo appena cinque minuti, quando aveva cominciato a parlare della magia per gli antichi greci. Pronunciava le parole piano, come fossero parte di una stessa melodia mononota, camminando a passi corti tra i banchi nel vano tentativo di raccogliere un po’ di attenzione. Lì dove passava, così, gli studenti si zittivano, ma nel resto della classe la concentrazione era ai minimi storici, e una ragnatela di brusii serpeggiava tra i pochi banchi, in ordine a due a due al centro della grande sala.
«Fa un caldo fetido in questa stanza» bofonchiò Mathieu slacciandosi un bottone della camicia «E puzza di polvere. Solo lui poteva lavorare qui. Cosa disegni?»
Gli sfilò il disegno e lo squadrò.
«Non disegni male» disse, restituendoglielo.
Blanchard, dall'altro lato della stanza, li guardò senza interrompersi e poi si voltò altrove.
Snow riprese a disegnare, con la mente distante. Si figurò il centauro trafiggere con una lancia Adrien e sorrise, in dubbio se disegnarlo o meno. Ultimamente faceva pensieri nei quali non si riconosceva, tuttavia non poteva fare a meno di trarci un certo gusto.
«Come mai tuo padre non fa vedere il monetarium?» sussurrò senza staccare la matita dal foglio.
Mathieu squadrò suo padre e sbadigliò.
«Bè, non è vietato» rispose.
«Ma non è nemmeno ben visto. Ha qualcosa da nascondere?»
Mathieu ci pensò un po’ su, poi disse: «Nah. E poi ormai ha una sua reputazione da gentiluomo. Non ci fa più caso nessuno. La vede come una questione di privacy: mostrare il monetarium sarebbe come mettersi a nudo, dice. Ma vallo a capire. Comunque se glielo chiedi te lo mostra, non ha mai avuto problemi di questo tipo, solo non gli piace sbatacchiarlo in giro».
«Capisco. Qual è il suo primo?»
«Il Fumo».
«Blanchard, Mathieu» chiamò il professore interrompendoli «Può raggiungermi alla cattedra, per cortesia?»
La classe si voltò verso il francese, ma Mathieu non si alzò.
«Dimmi che non l’ha fatto» mormorò invece, a denti stretti.
Snow nascose il disegno sotto al libro e sbirciò verso Denise, con la quale scambiò un’occhiata e un sorriso.
«Blanchard» ripetè il professore «Sto aspettando».
Mathieu abbassò il viso, si alzò e si incamminò verso la cattedra. Suo padre si chinò e tirò fuori dal cassetto della cattedra un contenitore grande quanto una scatola di scarpe. Fece spostare Mathieu per metterlo frontale rispetto ai compagni e qualcuno ridacchiò per i suoi movimenti impacciati, chiaramente a disagio. Snow sorrise e cercò di scattare una foto con il cellulare. Quando finì, si concesse del tempo per studiare la scatola.
Sembrava metallica, opaca e verdastra, forse di rame, con motivi floreali sui lati e una piccola persona sdraiata sul coperchio. Non riusciva a vederne i dettagli, ma ebbe l’impressione che fosse molto bella, antica e ben fatta.
«Ora il vostro compagno vi dirà cos’è questo oggetto» disse Blanchard, prendendo posto sulla sua sedia «Mathieu» lo invitò.
Vuoi per il misterioso oggetto, vuoi per Mathieu, finalmente il professor Blanchard aveva raccolto l’attenzione di tutti e il silenzio era calato come una pesante coperta.
«È un L’ra’Cyh’t» rispose Mathieu.
«L’ra’Cyh’t» ripetè Blanchard con un sorriso, a voce alta «Per chi non udisse al di sotto dei due decibel».
La classe sobbollì in tante piccole risatine e Mathieu assottigliò lo sguardo, rosso in viso.
«E che cos’è?» chiese ancora il professore.
«È un vecchio monetarium».
«Benissimo. Al posto, grazie».
Mathieu tornò al banco trascinando a terra i piedi, con la coda tra le gambe. Quando si sedette strinse la matita con forza: Snow la vide vibrare tra le sue dita e temette di vederla spezzarsi, ma non disse nulla.
«Lo ha fatto apposta» disse Mathieu «Ecco perché non volevo nemmeno che si sapesse a scuola, che è mio padre. Lo ha fatto apposta, perché parlavamo. Hai visto, no? Poi non dovrei odiarlo. Cosa c’hai da guardare, eh?»
Melody Mallory, che li stava fissando, si voltò di scatto e diede loro le spalle. Snow rimase in silenzio.
«I monetarium non sono sempre esistiti, come già saprete» disse Blanchard, sistemandosi i lunghi capelli biondi dietro le orecchie «Ma sono stati inventati in epoca classica. Per questo hanno il nome latinante e non in lingua Cyh’t, come invece i nomi ‘Si’v’, ‘Siv’ne’, e gli altri».
Snow sbadigliò e strofinò un dito sull’occhio.
«Questo» continuò Blanchard «Perché solo sotto l’impero romano l’uomo scoprì come imbrigliare il Myst e comprimerlo al punto da creare gli anelli che portate al collo. Prima di allora non si conosceva oggetto inanimato in grado di sostenere l’energia sprigionata da una moneta durante il suo utilizzo e negli attimi precedenti e successivi. Ferro, oro, argento, pietra: si disgregavano tutti. Così, ogni Cyh’t portava con sé questa scatola dovunque andasse e dentro vi riponeva le sue monete, che all’occasione tirava fuori e utilizzava tenendole in mano. Era come i vostri portafogli».
Qualcuno borbottò ai primi banchi.
«Esattamente» continuò Blanchard «Non era molto comodo, ma era l’unico modo. Non si sa chi abbia inventato il L’ra’Cyht, ma si sa che veniva generato con il Si’v della Costruzione, e si pensa che sia stata questa stessa entità a donarlo per la prima volta agli uomini» Blanchard si alzò dalla sedia e sollevò il contenitore, che tenne tra le braccia come un bambino «Ora: di solito sui L’ra’Cyh’t venivano incisi o scolpiti i Si’v della prima moneta acquisita dal Cyh’t, i Primi, e qui abbiamo una splendida riproduzione del Si’v della Nebbia…Ma quello che interessa a noi è altro, ovvero: come si aprono questi scrigni?»
«Li si fa sbadigliare con queste cavolate» mormorò Mathieu, con il mento sul palmo della mano.
Snow sorrise e gli diede un buffetto sulla gamba.
«È un’operazione semplice: si premono testa e petto, contemporaneamente, così, vedete? Questo perché mente e cuore sono ciò che serve per eccellere come Cyh’t: è una visione un po’ romantica, ma cosa ci vogliamo fare» sorrise Blanchard.
Lo scrigno si aprì con lo sferragliare di più serrature, tra le braccia del professore. Blanchard scostò la testa altrove, poi poggiò il L’ra’Cyh’t sul primo banco e lo lasciò tra le mani degli studenti. L’attenzione si spostò da lui alla reliquia, e nessuno ascoltò più le sue spiegazioni e i cenni storici che elencò senza trasporto.
«Adesso ci cago dentro e poi glielo riporto» sibilò Mathieu, ancora stizzito.
«Sei il solito scemo…» rispose Snow, riprendendo a disegnare «Prima ti ho fatto una foto, facevi ridere».
Il telefono del francese vibrò.
«Esco un attimo» rispose quello, alzandosi.
«Tutto ok?»
«Ciao».



Beta-reader (e amica): Ely79.date un occhio al suo profilo, perchè ne vale la pena. E' tempo ben speso!! Qui c'è il link ( click )
   
 
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