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Autore: adropintheocean_    08/04/2013    4 recensioni
"Sono un paio di fossette e un sorriso allegro che catturano la mia attenzione.
C’è un ragazzo, in fondo al locale, tiene in mano un vassoio con due bicchieri vuoti e un piatto con qualche briciola. Indossa un grembiule verde scuro, legato sui fianchi, sopra un paio di jeans sgarrati. Sorride cordiale a due ragazze sedute al tavolo, poi si gira per tornare indietro.
Volta lo sguardo, per un secondo questo si intreccia al mio.
Mi viene voglia di alzarmi dal tavolo, andare lì da lui, prenderlo e baciarlo. Quindi lo faccio."
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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ADAM’S POV
“Quindi … poteva andare peggio?” balbetto a fatica con la voce roca. Non riesco ancora ad alzarmi dal lettino, il massimo che riesco a fare è alzare il collo dal cuscino per una manciata di secondi.
Il dottore annuisce serio, tiene in mano la mia cartella clinica, vi scribacchia sopra con una penna bic nera. “Non ti sei rotto né braccia e né gambe, la commozione cerebrale e l’emorragia si sono fortunatamente risolte senza evidenti problemi o interventi chirurgici. Perciò, si, poteva andare decisamente molto peggio. La fascia sulla testa la devi tenere per un’altra settimana, ritornando qui in ospedale ogni giorno per cambiarla” continua informandomi sul da farsi. “Dopodiché lunedì prossimo potremo levare i punti e sarai libero” mi dà un’appena pronunciata pacca sulla spalla.
“Pensa che potrò partire per andare in vacanza?” domando dopo un istante di silenzio. Più della mia saluta, ora come ora, mi interessa il tempo che passerò con Lou. Volevo confessarle i miei sentimenti, volevo farle capire quanto mi piace, quanto lei è importante per me … e invece, ecco com’è finita.
“Certamente, Adam, certamente” mi rassicura il dottore sbattendo le palpebre tre volte. “Ovviamente bisognerà controllare lo stato della tua ferita ma penso che in una settimana, dieci giorni ti sarai rimesso completamente” sorride paziente. “Ora scusami, devo andare. Ripasserò nel pomeriggio e deciderò quando dimetterti” detto questo, imbocca la porta dileguandosi.
Rimango solo, la luce del Sole si infiltra curiosa tra le tende, mi inonda il viso e io sono costretto a socchiudere gli occhi.
Dov’è Lou?
La flebo sepolta nel mio braccio mi pizzica come se fosse un peperoncino infilato in gola. Faccio forza sul materasso cercando di tirarmi su e con grande sforzo riesco quasi a sedermi.
Ho bisogno di parlare con Lou. Le devo dire che …
“Buongiorno, mi scusi il disturbo” un’infermiera entra portandosi al seguito un grande cestino nero. Vi svuota il secchio della mia camera, dopo mi fa un cenno sorridendo. “L’orario delle visite è iniziato, qui fuori c’è una ragazza che dice di essere tua amica, posso farla entrare, Adam?”
La bocca, come se non lo fosse già abbastanza, mi si asciuga completamente e io non riesco ad emettere alcun suono. È il bip che monitora il mio cuore che parla per me, accelerando all’impazzata come se non ci fosse un domani.
L’infermiera ridacchia con l’espressione di chi la sa lunga. “Deduco sia un si” esce dalla porta e la sento direi: “Prego, vieni pure, cara”.
Prendo un lungo, lungo respiro tentando di limitare i danni: credo mi verrà un infarto. Andiamo, Adam, hai ventitré anni, sei grande e adulto. Ancora con le farfalle nello stomaco? Trova un contegno.
Mi aspetto di veder comparire dietro la porta che si apre il viso dolce di Marylou, le guance che arrossiscono e gli occhi che istantaneamente guardano verso il basso per evitare i miei; i capelli castani che le nascondono il viso quando si imbarazza e i denti che mordicchiano le labbra quando è indecisa.
“Adam!” urla una voce concitata allungando inutilmente e fastidiosamente le vocali del mio nome. Il tono stridulo mi rimbomba nelle orecchie fin troppo abituate al silenzio come fossero delle unghie su una lavagna.
Contro ogni mia aspettativa, il viso che vedo comparire nella mia stanza non è quello dolce e imbarazzato di Lou, bensì quello super truccato e sfacciato di Eleanor, che con un colpo di testa ondulatorio scuote i boccoli biondi facendoli ricadere sulla sua spalla.
Lì per lì rimango un secondo interdetto, la bocca spalancata a metà, l’aria calda che la secca ulteriormente. Poi la richiudo frettoloso e inghiotto un malloppo di saliva. “Eleanor!” mi fingo sorpreso, anche se in realtà sono solo deluso e scocciato. Perché Lou non è qui con me? Perché al suo posto c’è Eleanor? “Che … che ci fai qui?” mi costringo a mostrarmi cordiale, l’unica cosa che vorrei fare, però, è dirle di uscire dalla stanza quanto prima.
“Come che ci faccio, Adam?” mormora lei con l’espressione contrita. “Il mio amico è ricoverato in ospedale e io non lo vado a trovare? Che persona orrenda sarei?” gioca con un boccolo arricciandolo col dito, mi guarda sbattendo le ciglia zuppe di mascara.
Rifletto su quanto la mia amicizia con Eleanor possa essere ferrata: non mi pare di esserle mai stato particolarmente simpatico. Il nostro rapporto è iniziato con lei che mi dava del “maniaco del cazzo” e, obiettivamente, non penso che sia proprio il modo migliore per stringere amicizia con qualcuno. Mi sbaglierò, ma ne sono quasi certo.
Trascina una sedia e la posa accanto al mio lettino. Vi si siede incrociando le gambe coperte da un minuscolo pezzo di jeans, con la mano sfiora il dorso della mia. Quel contatto mi riporta alla mente Lou, ancora una volta penso dove diavolo si possa essere cacciata.
Cercando di non offenderla, sottraggo la mano dal contatto e le sorrido paziente. “Allora … Lou come sta?” le domando e in quel preciso istante mi rendo conto di una cosa: Lou potrebbe essere in ospedale, ferita chissà quanto gravemente. E io sono qui, a chiedermi perché lei non stia accanto a me. Egoista. Sono un’idiota. “Lou, Lou sta bene? Dimmi di si, Eleanor” non le do il tempo di rispondere, braccandola di domande.
Eleanor espone un’espressione leggermente contrariata e scocciata, alza gli occhi al cielo deviando il mio sguardo inquisitorio. “Si, si. Sta alla grande, l’hanno dimessa ieri pomeriggio”
Lascio andare un sospiro e mi rilasso. Grazie a Dio, la mia Lou sta bene. Ma allora, perché non è qui? Di nuovo la mia mente viene assalita dai dubbi.
“Ma sto bene anche io, grazie per l’interessamento” stizzita, Eleanor si alza dalla sedia e si affaccia alla finestra dandomi le spalle. La vedo chinare la testa verso il basso. “In fondo, non ho passato due giorni in preda alla preoccupazione … senza sapere se avresti passato o no la notte” sussurra così piano che a malapena la sento, la sua voce sembra rotta dal pianto. Come le chiamano alla tv? Ah si, lacrime di coccodrillo.
Sbuffo, ma senza farmi sentire. “Mi spiace” nella mia voce si nota molto il sarcasmo, eppure sto facendo del mio meglio per nasconderlo. “Come stai, allora?” le domando infine stizzito.
Lei si volta col viso in fiamme, l’espressione addolorata che farebbe invidia ad una qualsiasi telenovelas spagnola. Ho quasi paura che tiri fuori un paio d’occhiali alla Patty e mi cominci a gridare “Matias, Matias, perché non mi ami?!”
Di donne strane ne ho incontrate in vita, ma appiccicose e teatrali come Eleanor … mai.
“Non sto bene, Adam. Non lo sono stata, tesoro” mi accarezza il viso col dorso della mano.
Ecco qua, il primo passo per il rimorchio è la confidenza, sia vocale che gestuale. Chi meglio di me può saperlo? Ho avuto tante di quelle storie toccata e fuga nella mia vita che ora che i ruoli si sono invertiti provo una vaga sensazione di fastidio. Fastidio e disgusto.
“Saperti qui … in quelle condizioni …” si interrompe portandosi una mano sulla bocca.
“Eleanor, sto bene adesso. Non … non fare così” le intimo visibilmente a disagio. Non sono mai stato bravo a consolare le persone, anche perché il mio speciale talento è soffrire e far soffrire gli altri, grazie al mio stupido carattere. Figuriamoci come posso comportarmi con una persona che non mi va a genio.
Ma insomma, dove cavolo è Lou?!
Eleanor mi stringe forte la mano nella sua, direi più che me la stritola. “Adam … tu mi piaci sul serio” mi guarda con gli occhi lacrimosi.
“Mi … stai facendo male” cerco di liberare la mano dalla sua stretta titanica, mentre il bip agitato e incredulo mi riempie le orecchie. La testa mi pulsa forsennatamente, penso che i punti che saturano la mia ferita potrebbero saltare in aria da un momento all’altro.
Lo sguardo languido di Eleanor cresce sempre di più, la vedo cominciare a chinarsi sul mio corpo.
Oh sant’Iddio, sono solo un povero malato, volete lasciarmi in pace?
“Eleanor, dai …” provo a farmi scudo con una mano posandogliela erroneamente sul petto. Lei se la preme contro e nello stesso istante le sue labbra incontrano impetuosamente le mie.
Sento la sua lingua farsi spazio nella mia bocca, che tenta invano di rimanere serrata, di chiudersi come una vongola appena pescata dall’acqua salata.
“Ti prego!” farfuglio, mentre lei di lasciarmi andare proprio non ne vuole sapere.
In quel preciso istante sento un rumore alquanto preoccupante: più preoccupante di Eleanor che tiene stretta la mia mano, delle sue labbra che mordono voraci le mie, della mia mano premuta dalla sua contro il suo petto. Si, più preoccupante di tutta questa spiacevolissima situazione.
Riesco a malapena a spostare la testa di qualche millimetro, quel poco che basta ai miei occhi per indirizzare lo sguardo verso la porta che si apre di slancio. Dietro di essa c’è Marylou, la mia Marylou, che ha in mano un piccolo e grazioso mazzo di rose rosso sangue, quello in cui vorrei affogare adesso.
Raccolgo tutte le poche e deboli forze che mi rimangono in corpo e le concentro nelle mie mani che, premendo ancora contro il petto dell’arpia che mi sta risucchiando la lingua, la scaraventano via. L’espressione sgomenta di Eleanor, con il rossetto tutto sbafato intorno alle labbra, sarebbe decisamente comica se fossi un semplice spettatore. Peccato che per stavolta ho avuto la sfortuna di essere il protagonista.
“Lou non te ne andare e fammi spiegare!” le urlo contro, le fitte che sento alla testa sono come tante piccole frecce che mi si conficcano in profondità. “Ti prego”
“Io mi fidavo di te” mormora Lou, gli occhi rilucono delle sue lacrime che a goccioloni le bagnano le guance rosse, non per la timidezza ma per la rabbia e la delusione. La sua mano si apre scoraggiata, le rose cadono a terra sfaldandosi e perdendo i petali. In poco tempo la vedo voltarsi di schiena e correre via a passo di carica.
Il mio sguardo glaciale non si permette di riempirsi di lacrime, di mostrarsi scoraggiato, triste o quant’altro. No. Rimane fermo, immobile, di ghiaccio. Passa in rassegna tutta la stanza fino ad arrivare al corpo di Eleanor, rimasto rannicchiato e silenzioso in un angolo.
“Esci di qui” non ho bisogno di urlarglielo, la mia voce fa già abbastanza paura così com’è.
Eleanor in un primo momento rimane zitta e immobile. “Ma Adam, io …” prova a controbattere.
La precedo. “Esci da questa cazzo di stanza” ho le corde vocali tese come le corde di un violino. Mi verrebbe voglia di alzarmi, prendere l’esile corpo di Eleanor e buttarlo fuori a calci. So che lei è una ragazza e so anche che è un pensiero orribile. Ma voglio essere egoista consapevolmente, per una volta tanto.
La vedo avviarsi all’uscita, prima di chiudere la porta completamente, però, mi rivolge un’ultima sguardo contrito. Come nella migliore delle più scadenti telenovelas sentimentali, la guardo male, malissimo e pronuncio le ultime parole che metteranno la parola “fine” alla nostra stupida, insignificante e inesistente amicizia: “E non farti più vedere”. 
  
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