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Autore: Mary West    09/04/2013    6 recensioni
Un evento incredibile sconvolge la vita tranquilla di Tony Stark e lui si sentirà più solo e distrutto che mai proprio nel momento in cui il mondo ha bisogno di Iron Man più che mai prima d'ora. Un arrivo dal passato, un nuovo nemico da sconfiggere, amicizie indistruttibili e l'amore più puro fanno da sfondo all'avventura del secolo e tra litigi, notti insonni, travestimenti e bugie gli Avengers si riuniranno ancora.
Lei annuì e tornò ad accarezzargli la mascella, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi perfetti.
«Baciami» sussurrò adorante. «Tutta la notte.» Lui sorrise e la accontentò.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'You'll find that life is still worthwhile, if you just smile'
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Capitolo XVIII
Instant Stark



Virginia aveva smesso di pensare.
Ogni idea, ricordo, pensiero raziocinante sembrava sfuggito dalla sua mente e tutto ciò che era rimasto era una paura folle e fitta coma una nebbia densa e senza uscita. Era una gabbia inviolabile di dolore e perdizione intellettuale, un tunnel psicologico da cui non riusciva più a trovare la strada per casa.
Cinque giorni. Erano passati cinque giorni esatti da quel momento e quel momento era ormai l’unico briciolo di memoria nella sua testa svuotata, un solo momento che continuava a vagare in quella nuvola grigia che l'avvolgeva, a cui aggrapparsi con le unghie, disperatamente, e in cui perdeva, perché non si poteva afferrare l'aria con le mani.

“Steve!”
La sua voce rimbombò vuota fra le macerie dell’esplosione e Tony era scomparso. Il Tesseract giaceva inattivo su un lato e Pepper lo gettò di malagrazia nella borsa, la mano tremante ancora fasciata nel guanto magnetico, cercando di farsi spazio fra i detriti polverosi e l’aria tossica alla ricerca di suo marito. Non aveva risposto al suo richiamo e lei, spaventata e piena di agitazione, aveva cercato il Capitano. Steve, che era il più vicino a lei, colse la sua voce e saltò su due droni ormai sconfitti, raggiungendo la sala attigua a quella nella torre, da cui era divisa a causa di un cumulo di macerie. Scavalcò due colonne frantumate e varcò la soglia. Sentì il fiato mozzargli il respiro quando riconobbe il corpo steso, inerme, sul pavimento della stanza.
“Stark!”
Corse in sua direzione, tentando di pensare, di riflettere e lo rigirò, cercando sui tratti del suo viso un accenno di vita. La risata di Glanster risuonò agghiacciante dentro di lui.
“Mi dispiace, Capitano. Avete perso il vostro Iron Man.”
Steve serrò la mascella, senza avere il coraggio di muoversi; poi qualcosa scattò nella sua testa e si rigirò di botto, urlando feroce. Sollevò lo scudo e lo usò per colpire il volto disgustosamente felice di Glanster. Preso alla sprovvista, Damon incassò il colpo e cadde all’indietro, stringendosi una mano sulla bocca sanguinante. Steve tremava e ringhiava.
“Capitano” lo schernì l’altro fintamente sorpreso. “Quanto ardore…”
Steve non pensò più. Rivide l’immagine di Tony davanti agli occhi, vide Peggy senza vita, Virginia ferita, Phil torturato, vite innocenti – migliaia di vite innocenti – distrutte solo per le sue manie di grandezza. Alzò il braccio e colpì, colpì e colpì ancora fino a quando Glanster non si trovò sull’orlo del baratro.
“È finita” sibilò deciso. “Per sempre.”
Colpì un’ultima volta e il sorriso folle di Glanster fu l’ultima cosa che vide prima che cadesse. La voce di Nick risuonò fredda.
“Il debito è saldato.”
Fu allora che Virginia lo raggiunse.
“Steve!” urlò disperata. “Aiutami… ti prego.”
Il Capitano le andò incontro e la vide china su Tony, che giaceva ancora pallido e immobile fra i detriti polverosi. Lei lo liberò dalle macerie e infilò con dita tremanti il reattore nel suo petto, ma quello non si illuminò.
“Tony” sussurrò agitata, accarezzandogli delicatamente il volto. Non piangeva, non singhiozzava, non si lamentava; era solo un petalo di orchidea abbandonato sotto il gelo. Il dolore che traboccava dalla sua voce fievole esplodeva nelle tremanti iridi di cielo.
“Tony” disse con più forza. Phil entrò anche lui e si avvicinò a Pepper, sollevandola di peso per la vita.
“Vieni” le bisbigliò dolce. Lei non si mosse; si districò dalla stretta e ritornò a chinarsi su suo marito.
“No” replicò convinta e Steve avvertì un groppo alla gola per la familiarità di quella situazione, eppure era diverso. Non poteva non esserlo.
“È ancora vivo” sussurrò lei sicura. “Dobbiamo portarlo all’ospedale, ce la farà.”
Deglutì e fece per sollevarlo, ma il peso era eccessivo per lei e cadde a terra rovinosamente. Steve si mosse finalmente; fece due passi verso di lei e prese Stark con le proprie braccia. I suoi occhi azzurri cercarono quelli cerulei di Virginia e vi lesse la stessa angosciante determinazione che, era certo, illuminava i propri.
“Andiamo.”
 
Cinque giorni da quel momento e Tony era rimasto sempre così, pallido, inerme, con lo sguardo serrato e la voce scomparsa. Niente più battute, niente risate, occhiate esasperate o incredule. Nulla; solo un silenzio freddo, smunto, morto, inaccettabile. E Pepper aveva ascoltato quel silenzio per quei cinque giorni: era rimasta lì, sempre, senza muoversi dal letto nella stanza bianca, senza allontanarsi mai, senza cambiarsi, senza quasi mangiare e bere. Era stata lì, seduta su quella sedia rigida e scomoda, con la mano piccola, adornata finalmente dall’acquamarina splendente, a stringere quella fredda di suo marito.
Era l’alba del sesto giorno quando Steve entrò nella stanza. Virginia si era addormentata e aveva il capo poggiato sulle braccia incrociate sul letto di Tony, ancora pienamente immobile, con la mascherina d’ossigeno a dargli fiato e il petto che si alzava e si abbassava ritmicamente. Steve entrò e chiuse con delicatezza la porta alle sue spalle, raggiungendo Virginia; appena la sua mano le sfiorò con estrema delicatezza la chioma ramata, lei trasalì con violenza.
“Steve!” esclamò poi trattenendo la voce, come se Tony in realtà stesse riposando di un sonno ristoratore e temesse di svegliarlo. “Che ci fai qui?”
Lui sorrise debolmente e le porse una borsa ampia e strapiena.
“Sono venuto a vedere come stavate, voi due” disse gentile. “Phil mi ha detto che oggi non potrà venire al solito orario, ma che farà un po’ più tardi. Ti manda un cambio e qualcosa da mangiare.”
Virginia annuì distrattamente e tirò fuori dalla borsa una maglietta e un paio di jeans perfettamente lavati e stirati.
“Mi cambierò dopo” dichiarò dopo qualche minuto. Si abbassò di nuovo verso Tony e la sua mano piccola e calorosa andò ad accarezzargli affettuosamente la fronte, appena coperta da una ciocca di capelli sbarazzina. I suoi occhi si illuminarono leggermente e Steve avvertì un nodo all’altezza della gola per quella patina luccicante che aveva scorto nelle iridi cerulee di fronte a sé. La sua mano andò spontaneamente a posarsi su quella di Pepper e la strinse.
“Andrà tutto bene” sussurrò sommesso. “Ne sono certo.”
Pepper strinse le palpebre e una lacrima traditrice le sfuggì lungo la guancia, fino alle labbra cremisi.
“Lo spero” bisbigliò tremante. “Non so come potrebbe andare, altrimenti.”
Steve scosse la testa con vigore e cercò il suo sguardo dall’altro lato del letto.
“Non devi dire così” le disse testardo. “Non c’è nessun altrimenti. Andrà bene. Punto.”
Pepper non rispose. Schiuse di nuovo gli occhi e le sue iridi tremarono sconvolte.
Perché non si svegliava? Perché, perché, perché? Com’era possibile?
Improvvisamente, ebbe la chiara visione della situazione e percepì l’immane, stravolgente, concreto peso di quello che stava succedendo ed ebbe voglia di piangere, urlare, scuoterlo finché non si fosse svegliato perché lui non poteva abbandonarla. Non poteva, gliel’aveva promesso.
Non lasciarmi. Mai. Giurami che non mi lascerai e che non ci sarà nessuna missione, nessun pericolo, niente in grado di separarci.
Io non ti lascerò mai. Te lo prometto.
Mi hai promesso che non mi lascerai.
Ed è così.
 Te l’ho promesso e manterrò la promessa. Costi quel che costi.
E perché adesso la stava lasciando? Le aveva promesso di starle sempre accanto, nella buona e nella cattiva sorte, e invece ora se ne stava lì, senza sorrisi, senza sguardi, senza vita.
Finito, era finito, era tutto finito. La sua mano piccola tornò a stringere la sua, così fredda e distante, ed ebbe chiara l’assurdità di quella situazione. Era stata proprio lei, nel momento in cui l’istinto di fermarsi, per paura, per angoscia, era stato troppo forte, a dirgli che dovevano andare avanti, anche se erano spaventati, perché c’era qualcuno che credeva in loro e non potevano deluderli solo perché c’era il rischio di perdere qualcuno di amato. E lo stava perdendo.
Cedette.
Scivolò di nuovo sulla sedia scomoda e rigida, le mani che ora si aggrappano entrambe a Tony in una stretta forte, disperata, quasi convulsa, le lacrime che scendevano asfissianti sulle guance pallide e stanche, il petto che veniva scosso dai tremiti di quella consapevolezza che avevano vinto, sì, ma avevano anche perso e Pepper sapeva che era il prezzo più alto che potesse pagare.
“Virginia…”
La voce di Steve suonò tanto dolce da suonarle insopportabile.
“Virginia, ascoltami” le disse con più decisione. Le sue mani la sollevarono ancora, ma lei non lasciò andare la stretta da Tony.
“Devo rimanere con lui” sussurrò sconvolta. “Ha bisogno di me.”
“Lo so” replicò lui pacato. “Ma hai anche bisogno di riposarti o quando si sveglierà ci sgriderà tutti per averti permesso di ridurti in questo stato.”
Sciolse con delicatezza la stretta delle loro mani e la condusse fuori da quella stanza, sul balcone che dava all’esterno. Stava albeggiando.
Pepper camminò lentamente fino ai bagni, si liberò di quegli abiti e indossò quelli mandati da Phil, poi raggiunse Steve al terrazzo. Si sedette sul cornicione e chiuse gli occhi stanchi, respirando l’aria piacevolmente fresca del mattino e lasciando che i raggi dell’alba le riscaldassero il viso ghiacciato.
“Tieni” le disse poi Steve e lei afferrò una fetta del pane tostato che lui le stava porgendo. Morse un angolo e percepì il sapore familiare nella bocca.
“Steve” sospirò dopo qualche minuto di silenzio. “Che ti hanno detto i dottori?”
Steve alzò lentamente lo sguardo per scrutarla con più attenzione; esitò, poi rispose.
“Niente di particolarmente illuminante. Dicono che non dovrebbero esserci problemi di riabilitazione né danni cerebrali, ma non possono prevedere quando…”
Se.”
“… si sveglierà.”
Pepper sospirò ancora e annuì fra sé. Le sue iridi cerulee si specchiarono nella pietra gemella al suo dito.
“Ce la farà, Virginia” insistette Steve. “È la persona più forte che conosca. Ce la farà. Devi crederci.”
“E se…”
“Non c’è nessun ‘se’” replicò lui con più ardore. “Nessuno meglio di te dovrebbe saperlo, quant’è testardo. Cos’è” aggiunse con un sorriso affettuoso, “vuoi già liberarti di lui? Dopo meno di una settimana di matrimonio? Be’, non puoi dire che io non ti avessi avvertito.”
Lei rise e la sua risata risuonò cristallina fino alla stanza di Tony. La sua mano tremò.
 

*

 
Bruce aveva gli occhi chiusi e addormentati e stava sognando; ma quello non era un sogno: era un incubo. Si trovava ancora al castello e Glanster aveva vinto. I Vendicatori erano tutti stesi e sconfitti ai suoi piedi e la sua risata malvagia risuonava feroce e invincibile.
“Bruce!”
Trasalì nel sonno e si svegliò di soprassalto fra le lenzuola bianche del letto d’ospedale, bagnate dello stesso sudore che gli imperlava in uno strato freddo la sua fronte. Aprì lentamente gli occhi e respirò profondamente, cercando di tranquillizzarsi. Sentì la mano di Natasha sfiorargli la fronte e si calmò.
“Stai bene?” gli chiese la voce meno distaccata di quanto avesse voluto. Bruce annuì distrattamente.
“Sì” sussurrò infine. Gettò la testa all’indietro e schiuse gli occhi, fissando di sfuggita la propria gamba fasciata in resistenti bende bianche.
“Ti fa male?”
“No, no” rispose subito. “Come sta Tony?” chiese poi e un ciglio preoccupato gli annebbiò lo sguardo. Natasha non rispose.
Bruce si sollevò seduto e la guardò agitato.
“Cosa gli è successo? Sta male?”
“No, no” disse pronta Natasha. “Solo… non si è ancora svegliato.”
Bruce abbassò il capo e strinse le labbra, pensieroso. Poi parlò di nuovo.
“Voglio vederlo.”
Natasha scosse il capo.
“Stai ancora male, non puoi muovere la gamba né andare fino alla stanza di Stark che, per altro, sta ancora dormendo e non si accorgerà nemmeno della tua presenza…”
“Non m’interessa. Voglio vederlo.”
Natasha aprì la bocca e fece per parlare ancora, ma poi vide lo sguardo di Bruce e si arrese.
“Va bene.”
 

*

 
Bruce era appena rientrato nella sua stanza quando Howard entrò in quella di Tony. Si avvicinò lentamente al letto del suo ragazzo, ancora profondamente addormentato, e sospirò.
I lineamenti fini ed eleganti del suo volto erano tesi in un’espressione di paura, angoscia, dolore soffocante e infinito. Fece altri due passi verso il letto e la sua mano si mosse naturale ed istintiva sulla sua fronte in una carezza affettuosa e tremante.
“Ehy.”
Si voltò di botto e sorrise debolmente all’indirizzo di Steve.
“Ciao” rispose in un sussurro. “Ti ho cercato prima.”
Steve annuì distrattamente sedendosi dall’altro lato del letto, sulla sedia scomoda e rigida che tanto era stata di Pepper.
“Sì, lo so” rispose prendendo posto. “Stavo con Virginia… l’ho convinta a mangiare qualcosa. Ora è con Phil, sta riposando un po’.”
Howard annuì a sua volta, preoccupato.
“Non si è mossa da qui per giorni. È a pezzi.”
“Hai ragione” concordò a sua volta Howard e di nuovo guardò Tony addormentato. I suoi occhi lo osservarono con dolce disperazione e Steve notò malinconico una ruga sottile incrinare la fronte dell’amico in un’espressione di preoccupazione che era qualcosa di più della preoccupazione stessa: era una forza incredibile, una tristezza infinita, come se avesse desiderato trovarsi in quel letto al posto del figlio, come se avesse preferito essere vittima di qualsiasi sofferenza pur di evitare a Tony quel rischio, come se stesse bruciando fra le fiamme vive dell’inferno perché stava vedendo suo figlio morire e non poteva fare nulla per evitarlo.
“Howard” lo chiamò gentile. Quello trasalì e lo guardò sua volta. Deglutì, poi iniziò a parlare.
“Quando sei scomparso, ho davvero fatto di tutto per ritrovarti” cominciò d’improvviso e Steve si chiese a chi stesse parlando. I suoi occhi vitrei erano fissi su un altro volto e Steve pensò che non gli era mai sembrato tanto stanco e vecchio. “Ho dato inizio a spedizioni, avviato imprese, convinto capi di stato… tutto. Io e Peggy ci siamo buttati a capofitto in mille tentativi e, dopo anni di sforzi vani, lei è scomparsa tentando il suicidio e io mi sono rintanato in me stesso. Per un periodo, ho smesso di lavorare.”
Steve strabuzzò leggermente gli occhi, sorpreso. Non avrebbe mai immaginato che Howard fosse capace di abbandonare la scienza; gli era sempre sembrata la cosa che più amasse al mondo.
“Non mangiavo, non lavoravo, niente. Poi una sera ho seguito un mio caro amico, Obadiah, ad una festa e ho conosciuto Maria.”
Il suo volto improvvisamente si illuminò e Steve poté vedere nella sua testa l’immagine del suo affascinante amico conoscere quella donna tanto bella e tanto intelligente da esser capace di attrarre tanto la sua attenzione.
“Era timida, gentile, sempre imbarazzata… assomigliava molto a Virginia, in un certo senso” aggiunse in un risolino divertito. “Mi piacque subito, all’istante. Non mi ero mai sentito così coinvolto da qualcuno… dopo anni di morte, mi sentii di nuovo vivo e fu come tornare a respirare dopo anni chiuso in gabbia. Ero innamorato di lei più di quanto avrei mai concesso a me stesso e la sposai.”
Sorrise di nuovo, debolmente, e Steve sorrise a sua volta.
“Ci trasferimmo a New York e io ripresi a lavorare. Creai le industrie, rimisi in piedi il lavoro di una vita e feci di un nome un colosso della produzione nazionale, ottenendo molto più successo di quanto ne avrei mai desiderato o sognato. Era tutto perfetto, capisci? La donna che amavo era diventata mia moglie, avevo coronato il mio sogno di gloria, il mio migliore amico mi era vicino… non mancava nient’altro e, lo ammetto, non desideravo nient’altro. Fu per questo che, quando Maria mi disse di aspettare un bambino, rimasi sconvolto.”
Sospirò e abbassò il capo; i suoi occhi erano sempre fissi e immobili a scrutare disperati il volto esamine di Tony.
“Non avevo un figlio in programma e avevo paura. Ero giovane e nella mia testa non c’era spazio per nient’altro se non per quei folli ed egoistici sogni giovanili. Non lo volevo, quel figlio” ammise ed era tremendo il concretizzarsi dei sensi di colpa sul suo viso anziano.
“Maria però sì e così lo tenemmo. Quando nacque, tre settimane in anticipo, io rimasi senza parole. Per quanto avessi accettato quella responsabilità, non avevo comunque la più pallida idea di cosa significasse e i primi giorni restai assolutamente di sasso. Al contrario, Maria era una stella, sempre così radiosa e felice: lo teneva sempre in braccio, ad allattarlo, a cantare per lui, a giocarci insieme… Tony era un vero e proprio dono del cielo e lei non faceva che trascorrere con lui intere giornate e mostrarlo agli amici con vanto e orgoglio, mentre io e Obadiah ce ne stavamo chiusi in laboratorio a progettare l’ennesima uscita delle Industrie. Poi però, una sera Maria stette male, prese l’influenza e io… io avevo paura perché non mi ero mai occupato di Tony. Stavo sempre pochissimo con lui e raramente me ne prendevo cura personalmente. Lui aveva già quattro anni, ma restava comunque un bambino, che aveva bisogno di mille attenzioni. Fu la prima volta che mi sorprese: quando vide che la madre stava male, volle prendersi cura di lei. Mi venne vicino e mi aiutò a bagnarle il viso, a tenerla al caldo, a prepararle il cibo… volle occuparsi di lei e io rimasi senza fiato perché insomma” si interruppe in una risata folle, “non avevo mai visto un bambino di quattro anni comportarsi in modo così adulto… e non solo quello. Cominciai a stargli più vicino: ancora non ero sicuro di voler essere così responsabile come padre, ma c’era qualcosa di tremendamente affascinante in lui che mi incuriosiva. Cominciai a portarlo in laboratorio con me e, pochi mesi dopo, lui costruì un circuito… a quattro anni! Era incredibile da ammettere, ma ero così orgoglioso di lui, fiero di quanto mio figlio fosse intelligente. E tutti lo guardavano, si complimentavano perché era un talento, così giovane e brillante e, cosa che la madre teneva a sottolineare ancor più del resto, bello e luminoso. Sì, cominciai ad essere fiero di lui e volergli stare più vicino. Purtroppo, però, proprio in quel periodo l’America attraversava un brutto momento e, insieme a Nick, fondammo lo S.H.I.E.L.D.. Mi teneva lontano casa tanto tempo ed era ancora di più per un bambino che, io non riuscivo a capirlo, voleva solo passare del tempo con suo padre, imparare a conoscerlo, renderlo orgoglioso di sé, sentirgli dire che lo stimava, che gli voleva bene. E così arrivò quel giorno maledetto e rimase da solo… sua madre, su cui aveva sempre contato, che aveva sempre amato tanto, l’aveva lasciato per sempre, e suo padre aveva deciso di fare altrettanto. Lo osservai da lontano, troppo assorbito dal mondo delle armi e dello spionaggio per fare realmente parte della sua vita e lo vidi crescere a distanza, accompagnato dal mio migliore amico, diventare un uomo adulto, brillante, ricco, intelligente, capace di portar avanti un’azienda. Quando fu rapito” continuò con un tremito, “fu tremendo. Non avevo mai saputo, prima di adesso, che era stato Obadiah a cercare di ucciderli, lui e Virginia. Insomma, non solo l’aveva abbandonato, ma l’avevo anche messo in pericolo” aggiunse con una risata amara. “Eppure cominciavo davvero a sentire il peso di una vita mancata con lui e adesso, che ho finalmente avuto la possibilità di essere un padre vero” la sua voce s’incrinò, “ho permesso a qualcuno di gettarlo in un letto d’ospedale all’età di ventisette anni.”
Sospirò profondamente e la sua mascella si serrò.
“Non è colpa tua” intervenne subito Steve. “Sai com’è fatto… dice sempre di non essere un eroe, ma è sempre il primo a mettersi in pericolo per aiutare gli altri. Non avrebbe mai permesso a nessun altro di rischiare al suo posto.”
Howard sospirò ancora più profondamente.
“Non posso perderlo proprio ora che l’ho ritrovato. Non può andarsene e non sapere che suo padre gli vuole bene e che è orgoglioso di lui.”
Steve annuì e sorrise dolcemente.
“Non succederà. Ne sono certo.”
 

*

 
Era notte fonda e anche quel sesto giorno era ormai finito.
La luna splendeva in uno spicchio opaco nel cielo e, mentre Steve e Howard giacevano scomposti sulle panchine nel corridoio dell’ospedale, Pepper si era riguadagnata faticosamente il suo posto sulla sedia scomoda accanto al letto di Tony e poggiava il capo eretto fra le braccia. I suoi occhi azzurri fissavano dolci e malinconici il viso rilassato del marito e sbatteva di tanto in tanto le palpebre sulle iridi cerulee.
L’orologio al suo polso sottile segnò le due di notte e la porta alle sue spalle si aprì. Lei si girò di scatto, trasalendo, poi vide la persona sulla soglia e si rilassò appena.
“Direttore” disse confusa. “Salve.”
Lui sorrise debolmente e le andò incontro. I suoi occhi si aggrottarono osservando la sedia sulla quale lei sembrava reggersi a fatica.
“Non sembra molto comoda.”
“No, infatti” replicò pronta lei. “Ma pazienza. Questa passa il convento.”
Lui rise appena e spostò lo sguardo su Tony. I tratti del suo volto si addolcirono.
“Come sta?”
Lei esitò.
“Così” disse infine. “Non sembrano esserci danni fisici… a parte il fatto che non si sveglia.”
“Lo farà” ribatté lui fiducioso. “Non ho dubbi. E neanche tu dovresti. A quanto dicono, sei la persona che conosce meglio il lato così testardo del suo carattere.”
Lei sorrise dolcemente e fissò di nuovo Tony con espressione affettuosa; gli accarezzò il viso in una carezza adorante e il suo sorriso si allargò.
“Immagino di sì” sussurrò gentile.
“Infatti” rispose a sua volta Nick. “Abbi fiducia… e coraggio. Non mi risulta siano qualità che ti mancano.”
Il sonno, la stanchezza e cinque giorni – ormai sei – trascorsi su quella scomoda sedia facevano senza dubbio il loro effetto e Pepper si chiese se non le stessero causando anche qualche danno all’udito. Rimase interdetta da quell’affermazione – cioè, era un complimento? – e sbatté le palpebre perplessa.
“Oh” esclamò incapace di dire altro. “Ehm… grazie” aggiunse imbarazzata e sentì le guance tingersi di un’imbarazzante sfumatura cremisi. Lui sorrise affabile.
“Mi dispiace per tutto quello che è successo” riprese e il suo sorriso si fece debole. “Mi dispiace avergli mentito, averlo coinvolto in questa missione, avergli fatto rischiare la vita. Mi dispiace averti giudicata e mi dispiace se ora entrambi state soffrendo a causa mia.”
Pepper capì. Scosse la testa con vigore e rispose sincera.
“Non è colpa tua. Ad aver giudicato siamo in due e, per quanto riguarda il mentire… be’, tutti commettiamo degli errori e so che non volevi ferirlo intenzionalmente. Se poi Glanster è un essere spregevole, non credo la colpa sia tua. Ce la farà” concluse e i suoi occhi tornarono su Tony.
“Pepper?”
La voce di Phil entrò dallo spiraglio nella porta e lui, Clint e Thor entrarono nella stanza con aria solenne, silenziosa, assolutamente imbarazzante e del tutto fuori luogo. Pepper rise appena; la mano di Tony tremò.
“Ciao” disse calorosa. “Che ci fate qui?”
Thor cominciò a giocherellare distrattamente con il Mjolnir e arrossì. Clint, a sua volta tinto di una vaga sfumatura rossastra, indicò Phil. Quello sorrise e rispose.
“Volevano vedere come stava Tony” spiegò tranquillo. Pepper rise con più forza; anche il braccio tremò un po’.
“Venite” disse gentile. “Sarà contento.”
Entrambi si mossero verso il letto con aria imbarazzata e Pepper vide Rhodey spingerli in avanti. Anche lui aveva trascorso tanto tempo con lei in ospedale.
“Sta dormendo?” chiese Thor ingenuamente. Pepper sospirò e la sua mano ad accarezzare la fronte di Tony, appena più calda.
“Sì.”
 

*

 
Era la luce.
Sì, era la luce, Tony ne era sicuro.
Camminava in avanti, nella bagliore più totale e ammaliante e tutto era così luminoso e splendente e sfavillante e lui si sentiva parte di quella luce così immensa.
I suoi piedi scalzi toccavano smaniosi il pavimento freddo e invisibile mentre lui si spingeva sempre più avanti, verso quella radiazione.
Il cammino era ancora lungo, ma lui non si arrendeva facilmente e continuava a percorrere quella strada, senza scoraggiarsi. Non sapeva perché, ma sapeva che doveva arrivare alla fine di quel sentiero, doveva raggiungere la meta perché sapeva che lì c’era qualcosa – qualcuno – che lo stava aspettando.
La luce.
Continuava a camminare, sereno, tranquillo e si guardava intorno e sentiva delle voci di tanto in tanto, voci lontane, che dicevano il suo nome e che suonavano dolci e gentili e affettuose. E non solo perché sentiva calore, come se qualcuno lo stesse abbracciando ed era del tutto assurdo perché non c’era nessuno lì oltre lui e non poteva sentire caldo perché era nudo e l’aria fresca gli soffiava gradevolmente sul corpo scoperto.
Eppure era così.
Continuava a camminare e, dopo un po’, quelle voci cominciarono a farsi più decise, forti e con quelle sentiva qualcos’altro, di più familiare, delizioso: era come uno scampanellio ed era così luminoso, adorabile e delicato. Aveva cercato di afferrarlo spontaneamente, come se volesse catturare quel suono perfetto nelle mani, ma non c’era riuscito e allora aveva usato tutto il braccio, ma quello continuava a fuggire mentre lui continuava a camminare, camminare verso la luce.
L’aveva fatto per minuti, ore, giorni, non lo sapeva – ma forse il tempo, lì, nel sole, non esisteva – e alla fine era arrivato.
Fece l’ultimo passo e vide la luce. 















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Ma buonasera a tutti voi. *-*
Eccomi qui. Mi duole dire che purtroppo vado di frettissima e non avrò molto tempo da dedicarvi. T.T 
Non volevo farvi aspettare fino a domani sera, quando tornerò dall'Uni, per farvi leggere il nuovo capitolo, uno di quelli a cui, lo ammetto, sono più affezionata, in generale. Abbiamo, qui, un capitolo di transizione in cui Tony sta male davvero - okay, ho sfociato nel tragico, yeah XD - e queste sono, secondo me, le reazioni delle persone che lo circondano.
Ci tengo a precisare una cosa: la reazione di Pepper è stata un punto molto dolente perché non volevo tratteggiare il dipinto di una persona incapace di vivere senza un uomo, ma qui è diverso perché si tratta di una ragazza che è, all'improvviso, sul punto di perdere la persona più importante della sua vita e, io credo, almeno, che la sua reazione possa essere alquanto drammatica. Questo, tuttavia, non elimina dalla mia testa che Pepper sia una persona fortissima, una delle più forti che abbia mai visto; ma tutti diventano fragili, nella mia modestissima opinione, di fronte all'ipotesi di perdere qualcuno che si ama follemente come Pepper ami Tony e che è altrettanto follemente ricambiato come Tony ama Pepper. 
Glanster alla fine è morto e un applauso al nostro Capitano per la mossa finale. Come al solito, se ci sono domande, ponete pure e, come al solito:


[1]: Instant Star è una serie televisiva statunitense la cui protagonista è Jude Harrison; 
[2]: la parte, a inizio capitolo, in corsivo, è un flashback del capitolo scorso. Ci sono poi altri riferimenti a vari momenti della storia, come le citazioni, sempre in corsivo; sono certa che li avete colti tutti; 
[3]: la storia di Howard è inventata da me su parecchi punti, pur seguendo, nella linea generale, quello che sappiamo dai film; 
[4]: non so quanti anni abbia Tony. Ho detto ad una mia amica che gli avrei dato l’età del voto del suo primo esame universitario. LOL. 

E allora, buonanotte a tutti e alla prossima, credo con la serie, con qualcosina di Pepperony nel fandom di Iron Man, tra un cinque giorni. ^^
Prima di chiudere, grazie di cuore a quelle cinque splendide persone che sono di una pazienza infinita, non solo perché continuano a leggere tutte le mie follie, ma perché attendono con pazienza le mie risposte che, prometto, prima o poi, arriveranno: Yleania, Missys, Alley, Silvia e Maretta. Grazie di cuore. 
♥ Siete una luce nel buio. *-*
Un bacione, 
Mary. 
   
 
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