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Autore: Nymphodora_Rainbow    11/04/2013    1 recensioni
La luna,enorme e magnifica,come a ogni sua alba oscura,osserva il mondo sottostante e lo illumina con le sue figlie,le stelle,lontane e accese come miliardi di puntini argentati disseminati nello spazio.
Nel buio,ondate di colori sottili e vivi si moltiplicano:blu,verde,viola,rosso e giallo,i colori si espandono,iniziano il loro cammino,si specchiano nell'oceano,sovrastano tutto,anche il castello,ne circondano le torri per poi avanzare con circospezione verso la prima foresta,il verde degli alberi si fa più chiaro. É l'aurora . L'inizio di tutto.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

ANCORA NAUFRAGA


Acqua.
Era la prima cosa che ricordavo di aver visto.
Lontana era la superficie e ancora ignoto era il cielo quando aprii gli occhi per la prima volta, o perlomeno la prima volta in cui ricordo di averli aperti, bisce erano i miei capelli e si muovevano lenti nell’acqua sfiorandomi le braccia, una sensazione simile a una carezza.
L’acqua mi cullava, come una madre attenta, o almeno così mi parve prima di percepire una violenza inaudita farsi strada fra gli abissi; fu questione di istanti prima che quella forza sconosciuta mi colpisse e mi capovolse, rendendomi inerte alla pari di un oggetto fragile e leggero abbandonato al vento.
In me si aprì un varco simile ai mulinelli che stavano formandosi nell’acqua, risucchiava tutto, meno due impulsi ai poli opposti di una scala, battagliavano nel mio animo: la vitalità del mio spirito e la conseguente aspirazione a vincere le onde da una parte e, dall’altra, l’opprimente necessità di cedere,arrendermi.
Non avevo nulla alle spalle, nessunissimo ricordo, solo la paura abbracciava il mio essere in una morsa d’acqua.
Infine optai per la decisione che mi richiedeva più coraggio: non sarei stata vittima dell’oceano, una forza amica pulsò di colpo nella mia pancia per poi raggiungere i miei occhi,occhi che finalmente volgevano al cielo,
Quella forza era il fuoco, proprio lui avrebbe vinto l’acqua, contro ogni logica e principio, il fuoco che in me ardeva come un falò nel folto della foresta.
Un onda.
L’oceano era forte ma io sarei stata più forte.
Non pensai cosa alcuna fuorchè alla potenza delle onde che mi calpestavano e feci mia quella forza, la impiegai contro l’oceano stesso, infine riemersi e per primo, sulla pelle, avvertii il vento, freddo, spietato.
Alzai il capo e nei miei occhi si specchiò la stessa spuma d’oceano contro la quale stavo combattendo.
Un’onda mi rispedì negli abissi.
Riemersi con forza e determinazione, una volontà guidata anche e soprattutto dalla curiosità e il desiderio di voler indagare sulla spuma del cielo, grigio-nera, malaticcia, lenta.
Una nuova onda mi colpì e, con la stessa sua tenacia della quale si era servita, risalii a galla, vidi allora un gran numero di uccelli volare a velocità improbabile, il cielo oramai era una tela nera puntellata da ali colorate.
Uno spettacolo terribilmente meraviglioso quando spaventoso: le acque erano il placo prediletto del vento ed io ero al centro di tutto questo, al centro dell’aria gelida, dell’oceano e della furia della natura impazzita.
Il mondo a me si presentò come una tela sulla quale i colori erano stati gettati con la rabbia dell’insoddisfazione: nero, blu e grigio tentavano di travolgere le delicate piume variopinte dei volatili.
Mi voltai dalla parte opposta della direzione verso la quale gli miravano per capire da dove venissero e lì scorsi la mia salvezza: una terra, la mia terra, ma ancora più vicino si ergeva un imponente promontorio dal quale emergevano incantevoli torri.
La forza che aveva avuto il suo principio nell’acqua stava animandomi e ora non volevo altro che raggiungere il promontorio, anche se non avrei avuto idea di come scalare la roccia, le mie braccia e le mie mani schiaffeggiarono, colpirono e ferirono l’orgogliosa acqua.
Il fuoco che avevo dentro cresceva a tal punto che credetti di avere il potere di incendiare il cielo.
Un’altra onda, gigantesca e crudele.
Travolta e scaraventata nelle profondità marine vidi affacciarsi di nuovo la possibilità della resa ma la rifiutai senza pensarci e innestai nelle gambe la forza di combattere.
Riemersi. Di nuovo.
Tra un’onda e un’altra vidi in lontananza che il promontorio era dotato di una cavità nella quale vedevo muoversi la veste di una figura indistinta, credetti fosse un’allucinazione.
Allungai lo sguardo ma, così facendo, smarrii la concentrazione e ricevetti una nuova umiliante sconfitta da parte dell’oceano.
Arrendersi? Non pensai neanche un istante di abbandonarmi alle acque e presto il vento riassaporò il profumo della mia pelle e dei miei capelli che stavano incollandosi al mio collo e al mio volto.
Una strana pietra galleggiante si mosse nella mia direzione, era velocissima e brillava sotto un lieve raggio di luce che finalmente stava penetrando la nera spuma celeste, non sapevo se fosse opportuno provare un qualche timore o meno.
Quando la pietra fu abbastanza vicina capii che si trattava di un guscio, il guscio di una voluminosa, per non dire colossale, tartaruga.
Lo sguardo dell’affascinante creatura era rassicurante così mi aggrappai alla sua corazza finchè un’onda non mi separò da lei,
La tartaruga mi seguì e spinse il mio corpo verso la superficie, riuscimmo immediatamente a riemergere e subito pensai di vedere doppio: le tartarughe erano due, la seconda tale e quale alla prima.
Anche la creatura appena arrivata mi guardò con sguardo amorevole, così, con un braccio mi attaccai al guscio di una e con l’altro mi reggevo al guscio della seconda, rapidamente mi ritrovai prossima alla cavità del promontorio, non potevo crederci, tutta quella distanza in così poco tempo?
La caverna era in alto, troppo in alto.
“Nuota, corri, ti aspetto!” Gridava una voce.
Alzai gli occhi e la vidi, colei che sarebbe diventata la mia balia, il suo viso squadrato e bianco avrebbe segnato i giorni a venire e da esso il mio sorriso avrebbe preso ispirazione, ma tutto questo mi era ignoto, ancora.
La donna gridò ancora e il desiderio di raggiungerla cresceva, si alimentava nutrendosi di fuoco, acqua, aria e pietra.
Guardai negli occhi entrambe le tartarughe e loro capirono.
Ero sempre più prossima alla meta, le creature mi fecero da scudo, difendendomi da gli scogli sparsi verso i quali le funeste onde ci sbattevano di continua, ammortizzavano con le proprie corazze ogni colpo e ad ogni colpo i miei occhi si stringevano per non guardare quell’acqua sanguinaria.
Con difficoltà, dopo qualche tentativo malriuscito e tanta paura riuscii a mettere un piede sul guscio di una tartaruga e l’altro sul secondo guscio, in quel momento la balia abbandonò il suo rifugio affondando i piedi nell’impervia roccia, i suoi occhi neri mi promisero amore, protezione.
Mi tese la mano, la afferrai
Mi sollevò e il suo braccio si mise a protezione della mia schiena, perciò con una sola mano cercò i punti più adatti al sostegno dei piedi, me li suggerii e presto raggiungemmo la caverna, appena in tempo per fuggire una maestosa, alta onda.

Timorosa mi affacciai sull’oceano con Ann ma impossibile risultò distinguere i gusci delle tartarughe dagli scogli.
Avevo portato a termine la mia decisione: avevo combattuto e la battaglia era stata vinta, in quel momento anche la balia prese una decisione, quella di prendersi cura di me come fossi una figlia; si tolse la mantellina marrone dalle spalle avvolgendola intorno alla mia.
Tutto ciò che allora era stata in grado di dirmi fu: “Principessa, questo è il minimo che posso fare per te”
Principessa. Era stata la prima parola, la prima informazione della quale era venuta a conoscenza su se stessa, da allora non sarebbe più stata sola e sarebbe stata quello per cui era nata, quello per cui era stata accudita in fin dei conti.


Nymphodora ricordava bene le grida folli delle onde, quasi le sembrava di sentirle, ombre di ricordi.
Tacque per verificare quei suoni che tormentavano i suoi sensi: echi, simili a grida lontane, ferivano il suo intelletto.
Acqua.
Era di nuovo nelle sue orecchie.
Acqua non le dava tregua.
Prossime , sentiva le onde trascinarsi e raccogliere detriti, come potenti tiranne depredavano le conchiglie dello loro perle e saccheggiavano la sabbia d’oro di ogni bene.
L’oceano infuriava.
Inarrestabili le onde si abbattevano sulla scogliera con grande fragore.
Lo sentiva.
Incontenibili,a impatto avvenuto,esse si disgiungevano in milioni di gocce vibranti nell’aria per poi precipitare e ricongiungersi nuovamente in acqua, e, subito pronte ad annunciare la prosecuzione della propria battaglia contro le inamovibili rocce, svelavano la loro più cruda brutalità.
Ancora.
Travolgenti, le signore dell’oceano ,inghiottivano le pietre più piccole ma insoddisfatte aspiravano a sopraffare le impervie rocce della scogliera fino a raggiungere il pendio più alto del promontorio sul quale si ergeva l’ultima torre del suo castello.
Consumata la sabbia dorata.
Logorata la pietra.
Percosse,frustate,morse e smorzate erano le rocce e la principessa avvertiva il loro dolore sulla schiena,invano affondava il volto nel cuscino, quasi urlavano le onde di vittoria ed lei non si sentiva altro che un loro detrito.
La suggestione arrivò a un punto tale che Nymphodora non resistette dal catapultarsi giù dal letto con la grazia di un ippopotamo per poi piombare sul davanzale della finestra: l’acqua era quieta, come a ogni dì, lucente del mattino.
  
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