Cloto dilatò le narici, stizzita.
Prese un capo del filo con un polpastrello
rosicchiato e lo tese ben bene dinanzi agli occhi cisposi, attenta che
l’estremità fosse perfettamente tirata tra le dita dell’altra mano.
Un Mh roco
e prolungato le proruppe della labbra livide, provocando un gran sconquasso di
pelle cadente sotto il mento posticcio; socchiuse le palpebre, lo sguardo
grigiastro divenne poco meno che riflesso d’acqua stagnante.
-Ach!- berciò, infine -Crea Cloto! Tessi, Cloto!
Concedi nuovo respiro ai mortali, trame di vita per il loro fragile corpo! E
per cosa, poi? Che promessa di splendore avevo intrecciato per costui ed ora
debbo lasciarlo a te, fetida Atropo, perché tu possa reciderne lo stelo prima
del tempo!- storse la bocca e snudò i denti lucidi di saliva, come una belva
vecchia e ossuta -Che gli Dei facciano pure ciò che desiderano, s’affoghino
d’ambrosia per quel che m’importa! Il Padre degli Dei così ha deciso? E sia! Che
muoia pure costui, per un capriccio di Giove! Che le Arpie insozzino di lordume
il mio lavoro ancora una volta!- puntò il dito nodoso verso la bocca della
grotta, ora di nuovo tetra, scura, umida dopo che Iride le aveva lasciate in
uno svolazzo d’impalpabile arcobaleno -Ma Cloto non s’inchina, Giove! Cloto non
dimentica!-
-Basta ciance!- la rimproverò Lachesi, tendendo
sbrigativa la mano -A me quel filo, cosicché possa ammirarne un’ultima volta l’opera!
Quell’opera che, se Iride non ha appesantito di troppi, svenevoli vezzi le
proprie parole, tanto ha sdegnato gli Dei, i soli, fra tutti, a render facezia
il Destino dei mortali.
James “Honcho” MacDonald conosceva le moto fin da
bambino, fin da quando suo padre gli regalava modellini in scala da far correre
sul balcone del loro piccolo appartamento a Washington.
Una volta aveva chiesto a Reddy cosa fossero per lui
le moto e quello lo aveva guardato per un po’ prima di rispondere, ciancicando
il filtro della sigaretta smangiucchiata.
Le moto sono come
la musica aveva
detto, mentre annuiva e tossicchiava via un po’ di tabacco E la cassa toracica con quei suoi bum-bum l’amplificatore perfetto.
Stava indossando una maglietta scolorita dei Ruff
Stuff quando se n’era uscito con quella pillola di saggezza da strada, nata
durante i lunghi vagabondaggi attraverso gli orizzonti d’America, e la cosa
aveva assunto un che di incontrovertibile e inconfutabile, una mistica aura da
Vangelo. Wolf, con il volto bruno di cuoio tirato e la poca predisposizione
alla cortesia tipica dei Californiani del vecchio mondo, aveva grugnito e la
questione si era chiusa lì.
Erano i primi tempi del Team America, in fondo, non
si poteva pretendere più di qualche discussione a senso unico –Soprattutto se
ti chiami Honcho, hai un passato come Agente della C.I.A. e l’innata capacità
di leggere nella testa delle persone come se fossero un libro esposto in
vetrina.
Ma che fosse musica, un collegamento diretto tra
mente e motore, o Il sole che brucia
sull’infinita lingua d’asfalto californiana, secondo la borbottata risposta
di Wolf, Honcho avrebbe riconosciuto la loro voce.
Ovunque.
Sorrise nell’avvertire un rombo arrampicarsi sulle
pareti della galleria che li avrebbe condotti al centro del Madison Square;
piegò appena il capo, scambiandosi uno sguardo d’intesa con Reddy già in sella
alla moto, le dita che tamburellavano senza requie sul casco rosso.
Quella era il suono inconfondibile di una Harley-Davidson
WLA Liberator, anno 1942. E a possederla era soltanto una persona.
-Capitano.
Capitan America sterzò e frenò, emergendo dal buio
dell’androne e ponendosi con la moto in laterale rispetto a loro; si portò una
mano alla fronte nel tipico saluto militare, quindi lanciò un sorriso e
assottigliò le palpebre con fare cordiale. L’Harley-Davidson si acquietò
dolcemente al suo tocco, come un cucciolo ben ammaestrato.
Wolf storse le labbra e Reddy –Reddy che aveva messo
su quella faccia segaligna l’espressione più palesemente stupita e idiota mai
vista- sollevò eloquente le sopracciglia. Per Wolf Capitan America poteva anche
essere un semplice e disgustoso gringo
bianco, la sua moto un rudere scatarrante, ma le ruote imponenti
raccontavano ben altra storia, il verde militare della carrozzeria e gli
impianti lucidi di metallo scaglionavano all’intorno ricordi di fango, di
guerra, di sangue. Non era una moto, non era una Harley-Davidson, era la moto, la Harley-Davidson e tutto quello stava facendo vibrare la schiena
di Honcho per l’eccitazione.
-Signori- il Capitano chinò il capo in un altro,
rapido saluto -E’ un onore conoscervi.
Un onore. Per Capitan America era un onore conoscere loro. A James stava girando la testa.
-Winthrop Roan Jr, signore.
Honcho e Wolf sussultarono all’unisono: che Reddy
palesasse il suo nome di battesimo era un evento da registrare negli annali.
Forse i Maya ci avevano azzeccato con la storiella della Fine del Mondo,
dopotutto.
-Ma tutti mi chiamano Reddy- concluse, stiracchiando
un sorriso imbarazzato.
-E’ un onore, giovanotto- il Capitano annuì e spostò
lo sguardo su James, che deglutì e si umettò le labbra.
-James MacDonald. Honcho- chiarì, dopo qualche istante
-E lui- indicò Wolf, che si sarebbe fatto amputare il braccio destro piuttosto
che salutare il gringo bianco -E’
Wolf. Solo Wolf.
Non c’era bisogno di rendere partecipe il Capitano
di El Barrio, né dei Diablos –Honcho e Reddy sapevano bene come Wolf avesse
taciuto anche a loro molte più cose di quanto fosse lecito. Ma non avevano mai
chiesto oltre e James si era rifiutato di accedere alla database della C.I.A.
per sanare la propria curiosità.
-Capitano, che scortesia. Sei così eccitato all’idea
di esibirti da esserti dimenticato le buone maniere? Non mi presenti ai tuoi
nuovi amici?
Honcho aveva visto Anthony Stark solo in
televisione, mai dal vivo, e doveva ammettere che lo schermo gli regalava
almeno due spanne in più d’altezza: smoking nero di manifattura italiana,
camicia bianca che a occhio e croce valeva quanto il reddito del Principato di
Monaco, scarpe scure e cravatta coordinata stretta con cerimoniosa perfezione,
James faticava davvero a collegare quella figura tirata a lucido ad Iron Man.
Si sarebbero dette due persone differenti.
Il Capitano accolse l’entrata in scena del magnate
con un rassegnato roteare d’occhi e Reddy reagì alla cosa soffocando tra le
labbra una risata nervosa. Wolf biascicò qualcosa, accompagnandolo ad un
sogghigno divertito –Honcho preferì non chiedergli di ripetere.
-Bene, adesso che siamo tutti qui come un’allegra
famigliola da pubblicità, direi che è ora di far iniziare lo spettacolo- Tony
Stark si sfregò i palmi delle mani e rivolse loro un sorriso saputo,
superandoli a grandi falcate -Mi raccomando, non fatemi fare brutte figure.
Janet Van Dyne ha richiesto personalmente la vostra presenza per l’esibizione e
spero non vi abbia scelto per puro canone estetico. Anche se ne dubito per due
motivi, ossia la mia mancata partecipazione alla cosa e..- inarcò malizioso un
sopracciglio, lo sguardo scivolato inequivocabilmente sulla figura di Wolf, che
digrignò i denti e serrò la mascella, la fronte aggrottata sotto la fascia
scarlatta –Comunque. La folla c’è, le ballerine pure, il Falco è appollaiato da
qualche parte col suo becchime..
Reddy lanciò a James un’occhiata interrogativa, cui
lui non seppe rispondere. Spostò invece l’attenzione su Capitan America: questi
aveva annuito alle ultime parole di Stark, gli occhi improvvisamente scuri,
seri, la tensione visibile nelle nocche strette
attorno al manubrio della moto.
-Signorine. Si va in scena.
E Honcho guardò Stark dar loro le spalle e allargare
le braccia: mosse un passo in avanti e il Madison Square Garden lo accolse con
un unico, roboante, scroscio di luci e applausi.
***
Lachesi mugolò una maledizione tra le labbra
seriche.
Faceva scorrere il Filo tra le dita rinsecchite,
giorni passati e presenti le graffiavano il palmo calloso in rigagnoli di
sangue nero e memorie. Srotolava il fuso e ringhiava, si succhiava la bocca
stretta tra moncherini di denti e gengive pallide, il polso scrocchiava di
nervi ritorti, di muscoli marci. Gli occhiacci incolori si strinsero, le
palpebre posticce tremolarono e da essere caddero ciglia e squame di pelle
morta.
-Ach!- berciò, osservando con cipiglio funesto gli
intrecci della propria opera -A che è servito, oh Lachesi, donare soli e lune a
questo mortale, se con tale diletto Atropo si divertirà a reciderli uno per
uno? Hai concesso a costui cieli azzurri, fango e dolore, ricchezza d’animo,
virtù per mille volte mille uomini, ed ora guarda, ora ammira il taglio netto
delle cesoie! Assisti in silenzio nel mentre che Atropo Maligna occhieggia con
sguardo grifagno un’opera tanto succulenta, taci e non parlare, non dire di
più, perché così il Padre degli Dei ha deciso, così ha deliberato! Lui ed il
Barbaro Signore dei Corvi, che già troppo ha interferito con gli affari
dell’Olimpo! Ach!-
Diede uno strattone ed il Filo che invano aveva
tentato di riavvolgere attorno al fuso le si afflosciò sul ventre incavato.
Ringhiò e latrò come una cagna, bestemmiò gli Dei e rivolse loro turpi parole:
le dita lavoravano febbrili, le unghie nerastre, fetide strappavano e laceravano
brano a brano ogni nodo si presentasse loro davanti.
-Vani sono stati i tramonti, vane le albe, vane
perfino il nuovo affetto che ho intessuto per te, mortale! Ai vermi il tuo
corpo, ai vermi le tue lagne! Lasciale per l’Ade, allo scroscio dello Stige e..-
-Che son queste ciance da vergini?- Atropo si drizzò
in piedi, giganteggiando ingobbita per la furia -Che mai strillate e vi
lamentate, come foste vecchie capre al pascolo? Vi devo forse percuotere con lo
scudiscio? Basta piagnistei, Sorelle, ché se per ogni mortale dovessimo
comporre un threnos, questa nostra
grotta sarebbe adorna di tanti canti e tante lire da provocare l’ira d’Apollo
Saettante! Soffocate il pianto, non vi s’addice! Frenate le lacrime od esse vi
solcheranno il volto avvizzito con nuove rughe! Tacete, ora, cessate ogni grido!
Silenzio, cosicché meglio si spanda il suono di queste mie cesoie fino al
ventre flaccido dell’Ade!
***
Le luci del Madison Square Garden si raggranellavano
quiete attorno al profilo di Tony, che arrivava agli occhi di Steve quasi del
tutto immerso nella penombra. Il figlio di Howard teneva le braccia alzate,
ogni tanto le abbassava e le tendeva al pubblico, un sorriso ghignante appeso
alle labbra: si godeva gli applausi della gente e la gente si pasceva della sua
presenza, poteva sentirne lo scalpitante brusio formicolare tutt’intorno alle
gradinate.
Il Capitano scosse il capo e sorrise.
Da qualche parte, in alto o nascosto nella folla,
tra i servizi di sicurezza o accanto alle ambulanza, l’Agente Barton
controllava ogni cosa e nulla sfuggiva al suo sguardo. Vedova Nera non doveva
essergli troppo distante, in contatto diretto con lo S.H.I.E.L.D. Non che si
aspettassero un attacco a sorpresa di qualche supercattivo in astinenza dalle
opinabili manie di protagonismo, ma..Anzi, più che non aspettarselo, speravano di poter avere pace anche il
tempo di una sera.
Solo qualche ora in cui poter distendere in pace i
nervi, senza dover pensare al Mandrillo, al Pensatore Pazzo –Che, a quanto
riportavano i rapporti del Baxter Building era stato acciuffato da un Johnny
Storm parecchio in forma, o ancora Testa d’Uovo oppure Wonder Man. Un anno
prima la minaccia di Loki era stata la nascita dei Vendicatori, ma parimenti
aveva dato l’avvio ad una più che cospicua ondata di criminali, uno sciamare di
illegalità che aveva fatto vacillare la fiducia che il Capitano aveva
cominciato a riporre giorno dopo giorno nella moralità del nuovo millennio.
A rendere meno semplice la questione, inoltre, c’erano
voci che Heil, Hydra inneggiavano
nell’ombra, ricordi nascosti dietro la tozza silhouette di un bidone dell’immondizia,
occhi socchiusi, il baluginio di un ghigno appena sussurrato in mezzo al rumore
assordante di locali di bassa lega.
Il passato pronto a balzargli addosso alla prima
occasione.
Steve deglutì, imponendosi di tornare alla realtà
presente. Tony doveva aver appena concluso il suo discorso di presentazione,
con le mani faceva segno al pubblico di tacere, ma annuiva invitandoli a
continuare; la signorina Van Dyne, vestita d’oro e di nero, applaudiva accanto
a lui e sorrideva e rideva con la bocca e con gli occhi. Aveva un fascino
particolare, una vitalità spontanea e contagiosa, qualità che Stark non aveva
mancato di sottolineare più volte –Salvandosi dalla meritata conseguenza solo
elencando difetti quali la smodata passione per l’impicciarsi negli affari
altrui o l’incapacità congenita di rimanere in silenzio per un tempo superiore
al secondo.
-Siete pronto, signore?
Il Capitano alzò gli occhi verso James MacDonald e
annuì, scambiando con lui un cenno d’intesa.
Pronto? Non aspettava altro.
Le luci si spensero con un guizzo, la folla
rumoreggiò d’aspettativa.
-Avanti, Team America!
La voce di MacDonald esplose nella galleria, seguito
a ruota dal ringhio delle moto da corsa. Bianchi fasci tubolari ruggirono dai
fanali, scrosciarono sulle pareti, troneggiarono nella bocca squadrata che si
apriva sulla sabbia del Madison Square Garden. Il palpitare delle divise
colpite dai riflettori, eccoli in pista, accolti dalle grida di incitamento del
pubblico.
Steve attese qualche secondo, chiuse gli occhi a saggiare
le reazioni silenziose dell’Harley-Davidson, ad ascoltare i battiti furiosi del
cuore.
Hai intenzione di
mettere dell’altra brillantina su quella chioma leggendaria o possiamo andare,
Capitan Easy Rider?
Non è il momento
adatto, Stark.
Lo è, invece. Sai
quanto adori essere in ritardo, ma non quando si tratta
di eventi della Van Dyne. Se solo oso farti arrivare in ritardo, la prossima cosa che quella ragazza
organizzerà sarà il mio funerale.
Un colpo di polso, il motore vibrò gorgogliando
sotto le dita.
Aspetta. Non mi
dirai che sei terrorizzato da una cosetta come esibirti davanti ad
un..Ventimila persone, senza contare gli imbucati, vero?
Non si tratta di
questo.
E di cosa, allora?
Il respiro sostò un istante sulla punta della
lingua, scivolò bollente lungo la gola, si ramificò nei bronchi, incendiò i
polmoni, gonfiò il petto.
La moto per me è come il laboratorio per te, Tony. In sella
ad una moto sono pienamente me stesso. Non Capitan America, non l'eroe della
leggenda, non il Capitano Rogers, non il super soldato senza tempo e senza età.
Sono Steven Rogers e basta. La moto è la mia libertà.
Allora si può parlare col vero Steve Rogers solo su una
moto?
Il
gorgoglio del motore s’intensificò, i brividi lungo la schiena affondarono con
forza nelle vertebre.
Io
sono sempre Steve Rogers. Ma quando sono in sella ad una moto, essere Steve
Rogers mi sembra più semplice. Tutto combacia, tutto ha un senso. Non mi sento diverso in sella ad un moto. Mi sento nel pieno
della mia persona, mi sento...Quando costruisci, quando lavori sui tuoi
progetti, quando siete solo tu, un cacciavite e il silenzio...Non provi mai un'inspiegabile
sensazione di interezza?
Un istante. Un istante ancora. Aspetta.
Attendi.
Fu il ricordo dell’espressione di
Tony, gli occhi socchiusi ed un sorriso se non sincero, meno costruito di
quelli che era solito addobbarsi la bocca, a dargli il segnale.
Devo
ammettere che hai ragione, Capitano.
Diede gas.
La partenza gli strappò il fiato dal torace, la voce
della gola. L’urlo dell’Harley-Davidson divenne il proprio grido di battaglia,
la zampata di polvere che si sollevò alla brusca frenata di traverso che gli
faceva da entrata coprì le gradinate e fu subito crivellata di applausi,
incoraggiamenti, il nome ripetuto, lanciato, chiamato da una parte all’altra,
esplodeva nelle luci, roboava nelle evoluzioni del Team America, si accordava
al canto delle loro moto.
Steve colse di striscio l’espressione trionfante di
Tony e l’occhiata estasiata della signorina Van Dyne, ma quando si lanciò verso
una delle impalcature al centro dello stadio, quando la fedele moto capovolse
il mondo, non gli sfuggì il cenno d’apprezzamento che Wolf gli rivolse dal capo
opposto della sabbia.
E tanto bastò.
Il sangue affluì al cervello, un fiotto d’eccitazione
si riversò nel petto e scrosciò tra le costole; il cuore balzò alla bocca,
battè contro le tempie, la realtà esplose in una girandola di colori, le gomme
trangugiavano metallo e polvere, Steve era la moto e la moto era Steve, una
sola forza trascinava entrambi verso nuove vette, un solo richiamo riverberava
tra loro e Honcho e Reddy e Wolf e li armonizzava, creava, costruiva nuove
coreografia, destra, sinistra, un salto sopra il pubblico impazzito, il vento
sotto i pneumatici, un’unica musica a suonare la marcia del trionfo: pistoni e
benzina, benzina e pistoni, gas, ringhi, sbuffi, ruggiti e urla, urla, urla,
urla.
Sentiva il sudore incollargli le tempie, rivoli
gelidi colare sotto la divisa e scendere come lacrime fino al mento. Il caldo salì
improvviso dal braccio sinistro al collo, crepitò nelle orbite e cozzò contro
le pareti del cranio.
-Ahn..
Steve ansimò a denti stretti, sterzò e si fermò al
centro dello stadio.
Mise un piede a terra, le dita della destra ancora
strette al manubrio e drizzò la schiena; fece per alzare il braccio sinistro come
a salutare la folla, a dire loro di non preoccuparsi, che andava tutto bene, perché
mi guardi, Tony, nulla di grave, lo spettacolo riprende, applaudite,
applaudite.
Con orrore, il Capitano si accorse di non riuscire a
sollevare il braccio sinistro oltre la spalla.
Fece per dire qualcosa, ma la lingua pesava gonfia
sui denti, stilettate bollenti mordevano ripetutamente i muscoli ed il petto.
Il battito cardiaco lo stava soffocando.
***
Le cesoie di Atropo scintillarono rugginose alla
luce claudicante della grotta.
-Di che vi lamentate? Di che vi lagnate? Cosa
piangete di questo mortale? Forse i bei occhi? Ditemi, allora, oh virginee
Sorelle dal cuore di cagna, ditemi a cosa mai gli servirà il ceruleo dell’iride
nel grigiore dell’Ade! A cosa i biondi capelli, filati dall’oro di Mida,
Signore della Frigia? Inutili vezzi per chi presto sarà solo un teschio tra
mille altri uguali, forse più bianco, forse più incrinato, ma con le medesime
orbite dimora di ragni, lui, anima errabonda tra raminghi spiriti?
Le Parche si guardarono l’un l’altra, si fissarono
negli occhi vuoti, nel volto magro, annuirono all’unisono.
Cloto tese il Filo da un capo, Lachesi ne prese la fine.
Atropo sollevò le cesoie.
-Per quanti anni la Vita s’è adornata di cotal
gioiello! È giunta l’ora, oh Morte, che anche tu ti cinga la fronte d’una tiara
marcescente! Vesti un chitone d’ossa, porta fiera ai polsi bracciali di
scheletri, orecchini di denti! A noi, a Te, anche gli Dei s’inchinano! Piega le
ginocchia, mortale, genuflettiti al nostro cospetto! Cloto ha deciso la tua
nascita, Lachesi ha intessuto trame di esistenza, ora Atropo ti taglierà il
respiro!
***
Il mondo si disfece in puntolini e bagliori. Il
respiro si sollevò, tacque. Mancò del tutto.
La realtà divenne un peso troppo grande da
sopportare. Le ginocchia cedettero. Gli occhi si impregnarono di nero, i
muscoli ed il cuore di freddo.
Non esisteva più il sopra, non c’era il più sotto.
Solo lacrime di esistenza che colavano ai lati del pensiero conscio,
cancellando nella propria scia ogni traccia di realtà, ogni forma di pensiero.
Il cuore batté stancamente un’ultima volta.
Atropo recise il
Filo.
***
Steve non fece in tempo a toccare il terreno, che
già Tony era balzato giù dalla piattaforma elevata.
Janet gli fu subito dietro, ma il figlio di Howard
non se ne accorse, non volle dargli peso. Il Team America fece ancora un giro
prima di accorgersi di Capitan America stramazzato al suolo e se si fermò fu
solo a causa dell’improvviso silenzio che era piombato, esploso, al Madison Square Garden.
-Barton!- latrò Stark, incurante della polvere che
si attaccava all’orlo dei pantaloni, che gli graffiava le scarpe, che gli si
aggrappava ai polmoni –Cosa è stato? Chi
è stato? Lo hai visto?
Un ronzio dalla trasmittente, poi la voce
accartocciata, distorta, asettica di
Occhio di Falco.
Nessuno.
-Ma deve essere stato qualcuno! Chiunque! Trovami
quel bastardo, Agente o io..
Non c’era nessuno,
Stark. Nessuno.
Ma già Tony non lo ascoltava più: aveva raggiunto il
corpo riverso di Steve, gli si era inginocchiato accanto, si era chinato a
sentirne il battito.
Mai come in quel momento il silenzio gli era parso
tanto assordante.
-No..- mormorò e Janet, di fianco a lui, si portò le
mani al volto con un lampo dei guanti dorati.
-Tony..
Stark non le rivolse nemmeno un cenno. Si avventò su
Rogers, lo prese per le spalle, gli assestò uno schiaffo sulla guancia.
Cristo.
-Andiamo! Andiamo, Capitano!- gli appoggiò le mani
sul torace, tese le braccia e scaricò il peso sui palmi una, due, tre volte. Svegliati, Rogers. È un ordine, soldato!
Nulla. Gli occhi ridotti ad un filamento bianco
dietro le palpebre socchiuse, la bocca semiaperta, il collo reclinato nella
polvere, la guancia abbandonata contro la sabbia. Incrostazioni di saliva
bianchiccia agli angoli delle labbra, il colorito sempre più livido, le guance
sempre più incavate.
-Andiamo!- ringhiò -Andiamo!-
-Tony..- Janet tentò ancora, ma Stark la scacciò, le
urlò qualcosa contro, cosa non aveva importanza, il pubblico, da muto che era
cominciò a borbottare, bisbigliare, il panico si insinuò tra le gradinate come
il più viscido serpente, qualcuno gridò, altri trattennero il respiro, c’era
chi stava già piangendo. Tony si vide circondato dal Team America, ma li tenne
lontani, che volevano? Che lo lasciassero in pace, che facessero qualcosa di
utile! Muovetevi, forza! Chiamate qualcuno, il massaggio cardiaco non funziona,
presto, perché siete ancora qui? Alzate i vostri maledetti culi da quelle cazzo
di moto e aiutatemi! Aiutatelo!
-Andiamo, ragazzone! Non ci puoi mica lasciare così,
eh! Guarda che è scortese, non te ne puoi andare. Non così..
Cristo. Cristo,
Steve, apri gli occhi. Per l’amor del Cielo, se questo era un tentativo di
scherzo, sappi che fai pena. Ottima recitazione, lo ammetto, ma pessimo tempismo: bocciato su tutta la linea. Allora, mi hai sentito?
Bocciato, devi rifare il corso, presentati domani mattina alla Stark Tower,
sette in punto.
Uno. Due. Tre.
Non arrivare in
ritardo e portati pure dietro il takeaway cinese, così ci risparmiamo il
pranzo, d’accordo? Ora però svegliati, amante del pilates, svegliati, apri gli
occhi, guardami. Guardami. Steve, guardami, cazzo!
-Chiamate l’ambulanza!- abbaiò –Chiamate l’ambulanza!
***
Sull’Helicar nessuno aveva ancora detto una parola.
Nick Fury guardava davanti a sé, ma non vedeva nulla.
L’Agente Hill aveva i pugni stretti sopra la propria postazione, la schiena
rigida e lo sguardo vitreo. Gli altri membri dello S.H.I.E.L.D. non avevano
nemmeno la forza di parlare, a stento si lanciavano qualche occhiata distrutta
gli uni con gli altri.
I pannelli digitali e i computer erano come tasselli
presi da un puzzle diverso, le immagini erano tutte in disaccordo tra loro,
ognuno di essi mostrava sempre qualcosa di diverso e sempre in continuo
movimento, statistiche, dati, Manhattan, il Baxter Building, un paesaggio di
montagna, persino le fogne.
Non uno di essi era collegato al notiziario, ma la
voce spezzata del presentatore riempiva comunque l’intera struttura, dal Ponte
di Comando fino ai livelli più bassi.
Interrompiamo i
programmi per una notizia di massima importanza.
È con la morte nel
cuore che annuncio agli Stati Uniti tutti la scomparsa di Capitan America,
avvenuta questa sera al Madison Square Garden durante l’esibizione di
beneficenza organizzata da Janet Van Dyne.
Il supereroe
nazionale è stato vittima di un malore improvviso, l’intervento dei paramedici
ed il trasporto in ambulanza sono stati inutili. Si presume che il decesso sia
avvenuto per circostante naturali, ma sono comunque previsti accertamenti.
Oggi non se ne è
andato solo un pezzo di storia, non solo uomo, non solo un eroe. Oggi è morta
la parte migliore dell’America, il suo simbolo, il suo cuore.
Il Presidente ha
annunciato tre giorni di lutto nazionale, cui seguirà la cerimonia funebre in
forma pubblica al cimitero di Arlington.
Grazie, Capitan
America. Che Dio ti benedica.
Riposa in pace.
Cor Mortem Ducens
#01. Avrei Potuto Salvarti?
Note
di Fine Capitolo
Ed ecco il primo capitolo vero e
proprio! Ne sono soddisfatta, strano, vero?
Allora, prima di tutto due note sull’evento
portante: l’esibizione di beneficenza al
Madison Square Garden. L’unica nota originale della mia testolina bacata è
che il tutto sia stato organizzato da Janet Van Dyne, alias Wasp –L’abito che indossa, inoltre,
come colori ricorda la divisa da lei portata in Avengers-I Più Potenti Eroi della Terra, per il resto l’occasione è
presa da “Capitan America – Una Mente
Perduta”, un numero del 1982 che ho avuto la fortuna di trovare in una
vecchia raccolta di Capitan
America&I Vendicatori. Dunque nemmeno Honcho, Reddy e Wolf sono
personaggi di mia invenzione, ma sono presenti all’interno della storia stessa
(e di una produzione a sé stante che si è però esaurita dopo dodici numeri).
Chi conosce il Team America saprà
che in realtà in membri sono più di questi tre, ma avendo a disposizione
unicamente il numero in cui compaiono Honcho&Co ho preferito non strafare e
limitarmi alla loro sola apparizione.
Poi. Vediamo. Citazioni varie..Bhè,
alcuni nemici della Marvel, il Baxter Building e I Fantastici Quattro e la
rinascita dell’HYDRA nel nuovo millennio.
Il discorso tra Tony Stark e Steve
Rogers sulla libertà e la moto proviene da una Role fatta col mio Tony Stark di
fiducia!
Il Threnos è un canto funebre. Arlington
è il cimitero dove viene sepolto Capitan America dopo la saga di Civil War –SE non dico un’idiozia dovrebbe essere dopo la saga di Civil War. Che
mi è arrivata giusto oggi. Ci piangerò sopra tutte le mie lacrime.
Il titolo del capitolo
è la traduzione di un verso della canzone “For
Blue Skies”
Per il resto, direi basta.
Ringrazio Alley (Vuoi tu prendermi come tua futura moglie?), _Kureiji e Essemcgregor per aver recensito
il prologo, _Kureiji_ per aver messo
la storia tra le preferite e alie13, Alley, Essemcgregor, Smith of Lies e
_Kureiji_ per averla inserita tra le
seguite!
Alla prossima!