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Autore: LaMicheCoria    12/04/2013    1 recensioni
«Non so come funzioni il sistema di notizie nell’Ade, Capitano, ma si dà il caso che io mi sia spezzato la schiena pur di venire a tirarti fuori da questo piattume greco e tu…»
«Io sono morto, Tony. I morti devono rimanere coi morti. Noi non apparteniamo alla vita. Noi apparteniamo all’Ade. Non abbiamo più passato, non c’è concesso futuro. Possediamo solo il presente. E il presente è nell’Ade. Insieme ai morti. Noi non apparteniamo alla vita. I morti devono rimanere coi morti. Io sono morto, Tony.»

Per ordine di Giove, Atropo recide il Filo della Vita di Steve Rogers. Un sacrificio necessario per riportare l'Equilibrio nell'esistenza dei mortali, perchè è giunto il momento che il Destino di Capitan America finalmente si compia.
Ma forse non tutto è così semplice e se Temi, la Giustizia Divina, non interviene più nelle vicende degli uomini, sarà il Caso a far sì che l'inganno -Se esiste, venga svelato.
Per riportare indietro il loro compagno i Vendicatori si spingeranno fino alla bocca dell'Ade -E anche oltre.
[Steve/Tony] [Clint/Coulson] [Bruce/Natasha] [Thor/Jane - Amora/Thor] [ CONCLUSA ]
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cause Nobody Wants To Be The Last One There :.'
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.:  *** :.

 

 

 

Cloto dilatò le narici, stizzita.
Prese un capo del filo con un polpastrello rosicchiato e lo tese ben bene dinanzi agli occhi cisposi, attenta che l’estremità fosse perfettamente tirata tra le dita dell’altra mano.
Un Mh roco e prolungato le proruppe della labbra livide, provocando un gran sconquasso di pelle cadente sotto il mento posticcio; socchiuse le palpebre, lo sguardo grigiastro divenne poco meno che riflesso d’acqua stagnante.
-Ach!- berciò, infine -Crea Cloto! Tessi, Cloto! Concedi nuovo respiro ai mortali, trame di vita per il loro fragile corpo! E per cosa, poi? Che promessa di splendore avevo intrecciato per costui ed ora debbo lasciarlo a te, fetida Atropo, perché tu possa reciderne lo stelo prima del tempo!- storse la bocca e snudò i denti lucidi di saliva, come una belva vecchia e ossuta -Che gli Dei facciano pure ciò che desiderano, s’affoghino d’ambrosia per quel che m’importa! Il Padre degli Dei così ha deciso? E sia! Che muoia pure costui, per un capriccio di Giove! Che le Arpie insozzino di lordume il mio lavoro ancora una volta!- puntò il dito nodoso verso la bocca della grotta, ora di nuovo tetra, scura, umida dopo che Iride le aveva lasciate in uno svolazzo d’impalpabile arcobaleno -Ma Cloto non s’inchina, Giove! Cloto non dimentica!-
-Basta ciance!- la rimproverò Lachesi, tendendo sbrigativa la mano -A me quel filo, cosicché possa ammirarne un’ultima volta l’opera! Quell’opera che, se Iride non ha appesantito di troppi, svenevoli vezzi le proprie parole, tanto ha sdegnato gli Dei, i soli, fra tutti, a render facezia il Destino dei mortali.

 
***

 

James “Honcho” MacDonald conosceva le moto fin da bambino, fin da quando suo padre gli regalava modellini in scala da far correre sul balcone del loro piccolo appartamento a Washington.
Una volta aveva chiesto a Reddy cosa fossero per lui le moto e quello lo aveva guardato per un po’ prima di rispondere, ciancicando il filtro della sigaretta smangiucchiata.
Le moto sono come la musica aveva detto, mentre annuiva e tossicchiava via un po’ di tabacco E la cassa toracica con quei suoi bum-bum l’amplificatore perfetto.
Stava indossando una maglietta scolorita dei Ruff Stuff quando se n’era uscito con quella pillola di saggezza da strada, nata durante i lunghi vagabondaggi attraverso gli orizzonti d’America, e la cosa aveva assunto un che di incontrovertibile e inconfutabile, una mistica aura da Vangelo. Wolf, con il volto bruno di cuoio tirato e la poca predisposizione alla cortesia tipica dei Californiani del vecchio mondo, aveva grugnito e la questione si era chiusa lì.
Erano i primi tempi del Team America, in fondo, non si poteva pretendere più di qualche discussione a senso unico –Soprattutto se ti chiami Honcho, hai un passato come Agente della C.I.A. e l’innata capacità di leggere nella testa delle persone come se fossero un libro esposto in vetrina.
Ma che fosse musica, un collegamento diretto tra mente e motore, o Il sole che brucia sull’infinita lingua d’asfalto californiana, secondo la borbottata risposta di Wolf, Honcho avrebbe riconosciuto la loro voce.
Ovunque.
Sorrise nell’avvertire un rombo arrampicarsi sulle pareti della galleria che li avrebbe condotti al centro del Madison Square; piegò appena il capo, scambiandosi uno sguardo d’intesa con Reddy già in sella alla moto, le dita che tamburellavano senza requie sul casco rosso.
Quella era il suono inconfondibile di una Harley-Davidson WLA Liberator, anno 1942. E a possederla era soltanto una persona.
-Capitano.
Capitan America sterzò e frenò, emergendo dal buio dell’androne e ponendosi con la moto in laterale rispetto a loro; si portò una mano alla fronte nel tipico saluto militare, quindi lanciò un sorriso e assottigliò le palpebre con fare cordiale. L’Harley-Davidson si acquietò dolcemente al suo tocco, come un cucciolo ben ammaestrato.
Wolf storse le labbra e Reddy –Reddy che aveva messo su quella faccia segaligna l’espressione più palesemente stupita e idiota mai vista- sollevò eloquente le sopracciglia. Per Wolf Capitan America poteva anche essere un semplice e disgustoso gringo bianco, la sua moto un rudere scatarrante, ma le ruote imponenti raccontavano ben altra storia, il verde militare della carrozzeria e gli impianti lucidi di metallo scaglionavano all’intorno ricordi di fango, di guerra, di sangue. Non era una moto, non era una Harley-Davidson, era la moto, la Harley-Davidson e tutto quello stava facendo vibrare la schiena di Honcho per l’eccitazione.
-Signori- il Capitano chinò il capo in un altro, rapido saluto -E’ un onore conoscervi.
Un onore. Per Capitan America era un onore conoscere loro. A James stava girando la testa.
-Winthrop Roan Jr, signore.
Honcho e Wolf sussultarono all’unisono: che Reddy palesasse il suo nome di battesimo era un evento da registrare negli annali. Forse i Maya ci avevano azzeccato con la storiella della Fine del Mondo, dopotutto.
-Ma tutti mi chiamano Reddy- concluse, stiracchiando un sorriso imbarazzato.
-E’ un onore, giovanotto- il Capitano annuì e spostò lo sguardo su James, che deglutì e si umettò le labbra.
-James MacDonald. Honcho- chiarì, dopo qualche istante -E lui- indicò Wolf, che si sarebbe fatto amputare il braccio destro piuttosto che salutare il gringo bianco -E’ Wolf. Solo Wolf.
Non c’era bisogno di rendere partecipe il Capitano di El Barrio, né dei Diablos –Honcho e Reddy sapevano bene come Wolf avesse taciuto anche a loro molte più cose di quanto fosse lecito. Ma non avevano mai chiesto oltre e James si era rifiutato di accedere alla database della C.I.A. per sanare la propria curiosità.
-Capitano, che scortesia. Sei così eccitato all’idea di esibirti da esserti dimenticato le buone maniere? Non mi presenti ai tuoi nuovi amici?
Honcho aveva visto Anthony Stark solo in televisione, mai dal vivo, e doveva ammettere che lo schermo gli regalava almeno due spanne in più d’altezza: smoking nero di manifattura italiana, camicia bianca che a occhio e croce valeva quanto il reddito del Principato di Monaco, scarpe scure e cravatta coordinata stretta con cerimoniosa perfezione, James faticava davvero a collegare quella figura tirata a lucido ad Iron Man. Si sarebbero dette due persone differenti.
Il Capitano accolse l’entrata in scena del magnate con un rassegnato roteare d’occhi e Reddy reagì alla cosa soffocando tra le labbra una risata nervosa. Wolf biascicò qualcosa, accompagnandolo ad un sogghigno divertito –Honcho preferì non chiedergli di ripetere.
-Bene, adesso che siamo tutti qui come un’allegra famigliola da pubblicità, direi che è ora di far iniziare lo spettacolo- Tony Stark si sfregò i palmi delle mani e rivolse loro un sorriso saputo, superandoli a grandi falcate -Mi raccomando, non fatemi fare brutte figure. Janet Van Dyne ha richiesto personalmente la vostra presenza per l’esibizione e spero non vi abbia scelto per puro canone estetico. Anche se ne dubito per due motivi, ossia la mia mancata partecipazione alla cosa e..- inarcò malizioso un sopracciglio, lo sguardo scivolato inequivocabilmente sulla figura di Wolf, che digrignò i denti e serrò la mascella, la fronte aggrottata sotto la fascia scarlatta –Comunque. La folla c’è, le ballerine pure, il Falco è appollaiato da qualche parte col suo becchime..
Reddy lanciò a James un’occhiata interrogativa, cui lui non seppe rispondere. Spostò invece l’attenzione su Capitan America: questi aveva annuito alle ultime parole di Stark, gli occhi improvvisamente scuri, seri, la tensione visibile nelle nocche  strette attorno al manubrio della moto.
-Signorine. Si va in scena.
E Honcho guardò Stark dar loro le spalle e allargare le braccia: mosse un passo in avanti e il Madison Square Garden lo accolse con un unico, roboante, scroscio di luci e applausi.

 

***

Lachesi mugolò una maledizione tra le labbra seriche.
Faceva scorrere il Filo tra le dita rinsecchite, giorni passati e presenti le graffiavano il palmo calloso in rigagnoli di sangue nero e memorie. Srotolava il fuso e ringhiava, si succhiava la bocca stretta tra moncherini di denti e gengive pallide, il polso scrocchiava di nervi ritorti, di muscoli marci. Gli occhiacci incolori si strinsero, le palpebre posticce tremolarono e da essere caddero ciglia e squame di pelle morta.
-Ach!- berciò, osservando con cipiglio funesto gli intrecci della propria opera -A che è servito, oh Lachesi, donare soli e lune a questo mortale, se con tale diletto Atropo si divertirà a reciderli uno per uno? Hai concesso a costui cieli azzurri, fango e dolore, ricchezza d’animo, virtù per mille volte mille uomini, ed ora guarda, ora ammira il taglio netto delle cesoie! Assisti in silenzio nel mentre che Atropo Maligna occhieggia con sguardo grifagno un’opera tanto succulenta, taci e non parlare, non dire di più, perché così il Padre degli Dei ha deciso, così ha deliberato! Lui ed il Barbaro Signore dei Corvi, che già troppo ha interferito con gli affari dell’Olimpo! Ach!-
Diede uno strattone ed il Filo che invano aveva tentato di riavvolgere attorno al fuso le si afflosciò sul ventre incavato. Ringhiò e latrò come una cagna, bestemmiò gli Dei e rivolse loro turpi parole: le dita lavoravano febbrili, le unghie nerastre, fetide strappavano e laceravano brano a brano ogni nodo si presentasse loro davanti.
-Vani sono stati i tramonti, vane le albe, vane perfino il nuovo affetto che ho intessuto per te, mortale! Ai vermi il tuo corpo, ai vermi le tue lagne! Lasciale per l’Ade, allo scroscio dello Stige e..-
-Che son queste ciance da vergini?- Atropo si drizzò in piedi, giganteggiando ingobbita per la furia -Che mai strillate e vi lamentate, come foste vecchie capre al pascolo? Vi devo forse percuotere con lo scudiscio? Basta piagnistei, Sorelle, ché se per ogni mortale dovessimo comporre un threnos, questa nostra grotta sarebbe adorna di tanti canti e tante lire da provocare l’ira d’Apollo Saettante! Soffocate il pianto, non vi s’addice! Frenate le lacrime od esse vi solcheranno il volto avvizzito con nuove rughe! Tacete, ora, cessate ogni grido! Silenzio, cosicché meglio si spanda il suono di queste mie cesoie fino al ventre flaccido dell’Ade!

 

***

Le luci del Madison Square Garden si raggranellavano quiete attorno al profilo di Tony, che arrivava agli occhi di Steve quasi del tutto immerso nella penombra. Il figlio di Howard teneva le braccia alzate, ogni tanto le abbassava e le tendeva al pubblico, un sorriso ghignante appeso alle labbra: si godeva gli applausi della gente e la gente si pasceva della sua presenza, poteva sentirne lo scalpitante brusio formicolare tutt’intorno alle gradinate.
Il Capitano scosse il capo e sorrise.
Da qualche parte, in alto o nascosto nella folla, tra i servizi di sicurezza o accanto alle ambulanza, l’Agente Barton controllava ogni cosa e nulla sfuggiva al suo sguardo. Vedova Nera non doveva essergli troppo distante, in contatto diretto con lo S.H.I.E.L.D. Non che si aspettassero un attacco a sorpresa di qualche supercattivo in astinenza dalle opinabili manie di protagonismo, ma..Anzi, più che non aspettarselo, speravano di poter avere pace anche il tempo di una sera.
Solo qualche ora in cui poter distendere in pace i nervi, senza dover pensare al Mandrillo, al Pensatore Pazzo –Che, a quanto riportavano i rapporti del Baxter Building era stato acciuffato da un Johnny Storm parecchio in forma, o ancora Testa d’Uovo oppure Wonder Man. Un anno prima la minaccia di Loki era stata la nascita dei Vendicatori, ma parimenti aveva dato l’avvio ad una più che cospicua ondata di criminali, uno sciamare di illegalità che aveva fatto vacillare la fiducia che il Capitano aveva cominciato a riporre giorno dopo giorno nella moralità del nuovo millennio.
A rendere meno semplice la questione, inoltre, c’erano voci che Heil, Hydra inneggiavano nell’ombra, ricordi nascosti dietro la tozza silhouette di un bidone dell’immondizia, occhi socchiusi, il baluginio di un ghigno appena sussurrato in mezzo al rumore assordante di locali di bassa lega.
Il passato pronto a balzargli addosso alla prima occasione.
Steve deglutì, imponendosi di tornare alla realtà presente. Tony doveva aver appena concluso il suo discorso di presentazione, con le mani faceva segno al pubblico di tacere, ma annuiva invitandoli a continuare; la signorina Van Dyne, vestita d’oro e di nero, applaudiva accanto a lui e sorrideva e rideva con la bocca e con gli occhi. Aveva un fascino particolare, una vitalità spontanea e contagiosa, qualità che Stark non aveva mancato di sottolineare più volte –Salvandosi dalla meritata conseguenza solo elencando difetti quali la smodata passione per l’impicciarsi negli affari altrui o l’incapacità congenita di rimanere in silenzio per un tempo superiore al secondo.
-Siete pronto, signore?
Il Capitano alzò gli occhi verso James MacDonald e annuì, scambiando con lui un cenno d’intesa.
Pronto? Non aspettava altro.
Le luci si spensero con un guizzo, la folla rumoreggiò d’aspettativa.
-Avanti, Team America!
La voce di MacDonald esplose nella galleria, seguito a ruota dal ringhio delle moto da corsa. Bianchi fasci tubolari ruggirono dai fanali, scrosciarono sulle pareti, troneggiarono nella bocca squadrata che si apriva sulla sabbia del Madison Square Garden. Il palpitare delle divise colpite dai riflettori, eccoli in pista, accolti dalle grida di incitamento del pubblico.
Steve attese qualche secondo, chiuse gli occhi a saggiare le reazioni silenziose dell’Harley-Davidson, ad ascoltare i battiti furiosi del cuore.
Hai intenzione di mettere dell’altra brillantina su quella chioma leggendaria o possiamo andare, Capitan Easy Rider?
Non è il momento adatto, Stark.
Lo è, invece. Sai quanto
adori essere in ritardo, ma non quando si tratta di eventi della Van Dyne. Se solo oso farti arrivare in ritardo, la prossima cosa che quella ragazza organizzerà sarà il mio funerale.
Un colpo di polso, il motore vibrò gorgogliando sotto le dita.
Aspetta. Non mi dirai che sei terrorizzato da una cosetta come esibirti davanti ad un..Ventimila persone, senza contare gli imbucati, vero?
Non si tratta di questo.
E di cosa, allora?

Il respiro sostò un istante sulla punta della lingua, scivolò bollente lungo la gola, si ramificò nei bronchi, incendiò i polmoni, gonfiò il petto.
La moto per me è come il laboratorio per te, Tony. In sella ad una moto sono pienamente me stesso. Non Capitan America, non l'eroe della leggenda, non il Capitano Rogers, non il super soldato senza tempo e senza età. Sono Steven Rogers e basta. La moto è la mia libertà.
Allora si può parlare col vero Steve Rogers solo su una moto?

Il gorgoglio del motore s’intensificò, i brividi lungo la schiena affondarono con forza nelle vertebre.
Io sono sempre Steve Rogers. Ma quando sono in sella ad una moto, essere Steve Rogers mi sembra più semplice. Tutto combacia, tutto ha un senso. Non mi sento diverso in sella ad un moto. Mi sento nel pieno della mia persona, mi sento...Quando costruisci, quando lavori sui tuoi progetti, quando siete solo tu, un cacciavite e il silenzio...Non provi mai un'inspiegabile sensazione di interezza?
Un istante. Un istante ancora. Aspetta. Attendi.
Fu il ricordo dell’espressione di Tony, gli occhi socchiusi ed un sorriso se non sincero, meno costruito di quelli che era solito addobbarsi la bocca, a dargli il segnale.
Devo ammettere che hai ragione, Capitano.
Diede gas.
La partenza gli strappò il fiato dal torace, la voce della gola. L’urlo dell’Harley-Davidson divenne il proprio grido di battaglia, la zampata di polvere che si sollevò alla brusca frenata di traverso che gli faceva da entrata coprì le gradinate e fu subito crivellata di applausi, incoraggiamenti, il nome ripetuto, lanciato, chiamato da una parte all’altra, esplodeva nelle luci, roboava nelle evoluzioni del Team America, si accordava al canto delle loro moto.
Steve colse di striscio l’espressione trionfante di Tony e l’occhiata estasiata della signorina Van Dyne, ma quando si lanciò verso una delle impalcature al centro dello stadio, quando la fedele moto capovolse il mondo, non gli sfuggì il cenno d’apprezzamento che Wolf gli rivolse dal capo opposto della sabbia.
E tanto bastò.
Il sangue affluì al cervello, un fiotto d’eccitazione si riversò nel petto e scrosciò tra le costole; il cuore balzò alla bocca, battè contro le tempie, la realtà esplose in una girandola di colori, le gomme trangugiavano metallo e polvere, Steve era la moto e la moto era Steve, una sola forza trascinava entrambi verso nuove vette, un solo richiamo riverberava tra loro e Honcho e Reddy e Wolf e li armonizzava, creava, costruiva nuove coreografia, destra, sinistra, un salto sopra il pubblico impazzito, il vento sotto i pneumatici, un’unica musica a suonare la marcia del trionfo: pistoni e benzina, benzina e pistoni, gas, ringhi, sbuffi, ruggiti e urla, urla, urla, urla.
Sentiva il sudore incollargli le tempie, rivoli gelidi colare sotto la divisa e scendere come lacrime fino al mento. Il caldo salì improvviso dal braccio sinistro al collo, crepitò nelle orbite e cozzò contro le pareti del cranio.
-Ahn..
Steve ansimò a denti stretti, sterzò e si fermò al centro dello stadio.
Mise un piede a terra, le dita della destra ancora strette al manubrio e drizzò la schiena; fece per alzare il braccio sinistro come a salutare la folla, a dire loro di non preoccuparsi, che andava tutto bene, perché mi guardi, Tony, nulla di grave, lo spettacolo riprende, applaudite, applaudite.
Con orrore, il Capitano si accorse di non riuscire a sollevare il braccio sinistro oltre la spalla.
Fece per dire qualcosa, ma la lingua pesava gonfia sui denti, stilettate bollenti mordevano ripetutamente i muscoli ed il petto.
Il battito cardiaco lo stava soffocando.

 

***

Le cesoie di Atropo scintillarono rugginose alla luce claudicante della grotta.
-Di che vi lamentate? Di che vi lagnate? Cosa piangete di questo mortale? Forse i bei occhi? Ditemi, allora, oh virginee Sorelle dal cuore di cagna, ditemi a cosa mai gli servirà il ceruleo dell’iride nel grigiore dell’Ade! A cosa i biondi capelli, filati dall’oro di Mida, Signore della Frigia? Inutili vezzi per chi presto sarà solo un teschio tra mille altri uguali, forse più bianco, forse più incrinato, ma con le medesime orbite dimora di ragni, lui, anima errabonda tra raminghi spiriti?
Le Parche si guardarono l’un l’altra, si fissarono negli occhi vuoti, nel volto magro, annuirono all’unisono.
Cloto tese il Filo da un capo, Lachesi ne prese la fine.
Atropo sollevò le cesoie.
-Per quanti anni la Vita s’è adornata di cotal gioiello! È giunta l’ora, oh Morte, che anche tu ti cinga la fronte d’una tiara marcescente! Vesti un chitone d’ossa, porta fiera ai polsi bracciali di scheletri, orecchini di denti! A noi, a Te, anche gli Dei s’inchinano! Piega le ginocchia, mortale, genuflettiti al nostro cospetto! Cloto ha deciso la tua nascita, Lachesi ha intessuto trame di esistenza, ora Atropo ti taglierà il respiro!

 

***

Il mondo si disfece in puntolini e bagliori. Il respiro si sollevò, tacque. Mancò del tutto.
La realtà divenne un peso troppo grande da sopportare. Le ginocchia cedettero. Gli occhi si impregnarono di nero, i muscoli ed il cuore di freddo.
Non esisteva più il sopra, non c’era il più sotto. Solo lacrime di esistenza che colavano ai lati del pensiero conscio, cancellando nella propria scia ogni traccia di realtà, ogni forma di pensiero.
Il cuore batté stancamente un’ultima volta.

 

Atropo recise il Filo.

 

***

 

Steve non fece in tempo a toccare il terreno, che già Tony era balzato giù dalla piattaforma elevata.
Janet gli fu subito dietro, ma il figlio di Howard non se ne accorse, non volle dargli peso. Il Team America fece ancora un giro prima di accorgersi di Capitan America stramazzato al suolo e se si fermò fu solo a causa dell’improvviso silenzio che era piombato, esploso, al Madison Square Garden.
-Barton!- latrò Stark, incurante della polvere che si attaccava all’orlo dei pantaloni, che gli graffiava le scarpe, che gli si aggrappava ai polmoni –Cosa è stato? Chi è stato? Lo hai visto?
Un ronzio dalla trasmittente, poi la voce accartocciata, distorta, asettica di Occhio di Falco.
Nessuno.
-Ma deve essere stato qualcuno! Chiunque! Trovami quel bastardo, Agente o io..
Non c’era nessuno, Stark. Nessuno.
Ma già Tony non lo ascoltava più: aveva raggiunto il corpo riverso di Steve, gli si era inginocchiato accanto, si era chinato a sentirne il battito.
Mai come in quel momento il silenzio gli era parso tanto assordante.
-No..- mormorò e Janet, di fianco a lui, si portò le mani al volto con un lampo dei guanti dorati.
-Tony..
Stark non le rivolse nemmeno un cenno. Si avventò su Rogers, lo prese per le spalle, gli assestò uno schiaffo sulla guancia.
Cristo.
-Andiamo! Andiamo, Capitano!- gli appoggiò le mani sul torace, tese le braccia e scaricò il peso sui palmi una, due, tre volte. Svegliati, Rogers. È un ordine, soldato!
Nulla. Gli occhi ridotti ad un filamento bianco dietro le palpebre socchiuse, la bocca semiaperta, il collo reclinato nella polvere, la guancia abbandonata contro la sabbia. Incrostazioni di saliva bianchiccia agli angoli delle labbra, il colorito sempre più livido, le guance sempre più incavate.
-Andiamo!- ringhiò -Andiamo!-
-Tony..- Janet tentò ancora, ma Stark la scacciò, le urlò qualcosa contro, cosa non aveva importanza, il pubblico, da muto che era cominciò a borbottare, bisbigliare, il panico si insinuò tra le gradinate come il più viscido serpente, qualcuno gridò, altri trattennero il respiro, c’era chi stava già piangendo. Tony si vide circondato dal Team America, ma li tenne lontani, che volevano? Che lo lasciassero in pace, che facessero qualcosa di utile! Muovetevi, forza! Chiamate qualcuno, il massaggio cardiaco non funziona, presto, perché siete ancora qui? Alzate i vostri maledetti culi da quelle cazzo di moto e aiutatemi! Aiutatelo!
-Andiamo, ragazzone! Non ci puoi mica lasciare così, eh! Guarda che è scortese, non te ne puoi andare. Non così..
Cristo. Cristo, Steve, apri gli occhi. Per l’amor del Cielo, se questo era un tentativo di scherzo, sappi che fai pena. Ottima recitazione, lo ammetto, ma pessimo tempismo: bocciato su tutta la linea. Allora, mi hai sentito? Bocciato, devi rifare il corso, presentati domani mattina alla Stark Tower, sette in punto.
Uno. Due. Tre.
Non arrivare in ritardo e portati pure dietro il takeaway cinese, così ci risparmiamo il pranzo, d’accordo? Ora però svegliati, amante del pilates, svegliati, apri gli occhi, guardami. Guardami. Steve, guardami, cazzo!
-Chiamate l’ambulanza!- abbaiò –Chiamate l’ambulanza!

 

***

Sull’Helicar nessuno aveva ancora detto una parola.
Nick Fury guardava davanti a sé, ma non vedeva nulla. L’Agente Hill aveva i pugni stretti sopra la propria postazione, la schiena rigida e lo sguardo vitreo. Gli altri membri dello S.H.I.E.L.D. non avevano nemmeno la forza di parlare, a stento si lanciavano qualche occhiata distrutta gli uni con gli altri.
I pannelli digitali e i computer erano come tasselli presi da un puzzle diverso, le immagini erano tutte in disaccordo tra loro, ognuno di essi mostrava sempre qualcosa di diverso e sempre in continuo movimento, statistiche, dati, Manhattan, il Baxter Building, un paesaggio di montagna, persino le fogne.
Non uno di essi era collegato al notiziario, ma la voce spezzata del presentatore riempiva comunque l’intera struttura, dal Ponte di Comando fino ai livelli più bassi.

 

 

 

 

Interrompiamo i programmi per una notizia di massima importanza.
È con la morte nel cuore che annuncio agli Stati Uniti tutti la scomparsa di Capitan America, avvenuta questa sera al Madison Square Garden durante l’esibizione di beneficenza organizzata da Janet Van Dyne.
Il supereroe nazionale è stato vittima di un malore improvviso, l’intervento dei paramedici ed il trasporto in ambulanza sono stati inutili. Si presume che il decesso sia avvenuto per circostante naturali, ma sono comunque previsti accertamenti.
Oggi non se ne è andato solo un pezzo di storia, non solo uomo, non solo un eroe. Oggi è morta la parte migliore dell’America, il suo simbolo, il suo cuore.
Il Presidente ha annunciato tre giorni di lutto nazionale, cui seguirà la cerimonia funebre in forma pubblica al cimitero di Arlington.
Grazie, Capitan America. Che Dio ti benedica.
Riposa in pace.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cor Mortem Ducens
#01. Avrei Potuto Salvarti?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note di Fine Capitolo

Ed ecco il primo capitolo vero e proprio! Ne sono soddisfatta, strano, vero?
Allora, prima di tutto due note sull’evento portante: l’esibizione di beneficenza al Madison Square Garden. L’unica nota originale della mia testolina bacata è che il tutto sia stato organizzato da Janet Van Dyne, alias Wasp –L’abito che indossa, inoltre, come colori ricorda la divisa da lei portata in Avengers-I Più Potenti Eroi della Terra, per il resto l’occasione è presa da “Capitan America – Una Mente Perduta”, un numero del 1982 che ho avuto la fortuna di trovare in una vecchia raccolta di Capitan America&I Vendicatori. Dunque nemmeno Honcho, Reddy e Wolf sono personaggi di mia invenzione, ma sono presenti all’interno della storia stessa (e di una produzione a sé stante che si è però esaurita dopo dodici numeri). Chi conosce il Team America saprà che in realtà in membri sono più di questi tre, ma avendo a disposizione unicamente il numero in cui compaiono Honcho&Co ho preferito non strafare e limitarmi alla loro sola apparizione.
Poi. Vediamo. Citazioni varie..Bhè, alcuni nemici della Marvel, il Baxter Building e I Fantastici Quattro e la rinascita dell’HYDRA nel nuovo millennio.
Il discorso tra Tony Stark e Steve Rogers sulla libertà e la moto proviene da una Role fatta col mio Tony Stark di fiducia!
Il Threnos è un canto funebre. Arlington è il cimitero dove viene sepolto Capitan America dopo la saga di Civil War SE non dico un’idiozia dovrebbe essere dopo la saga di Civil War. Che mi è arrivata giusto oggi. Ci piangerò sopra tutte le mie lacrime.

Il titolo del capitolo è la traduzione di un verso della canzone “For Blue Skies”
Per il resto, direi basta.
Ringrazio Alley (Vuoi tu prendermi come tua futura moglie?), _Kureiji e Essemcgregor per aver recensito il prologo, _Kureiji_ per aver messo la storia tra le preferite e alie13, Alley, Essemcgregor, Smith of Lies e _Kureiji_ per averla inserita tra le seguite!
Alla prossima!

   
 
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