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Autore: Ataraxia Diagrams    19/04/2013    3 recensioni
Si avvicinò ancora con il suo passo aristocratico, ma improvvisamente sparì dalla mia visuale. Il mio cuore perse uno...due..tre e forse quattro battiti quando scomparve lasciando un raggelante senso di vuoto.
-Tana per Emy- sobbalzai gridando e mi riotrovai con la schiena pigiata contro il finestrino mentre sul suo volto perfetto si dipingeva un sorriso sadico che non mi rassicurava affatto.
-C...chi sei!?-
-Tipica domanda da copione di film horror...mi aspettavo qualcosa di meglio da te, Vichbourg...- il suo volto era maledettamente vicino al mio e potevo sentire il suo fiato...il suo fiato inesistente che nella mia immaginazione, mi sfiorava il volto madido di sudore. Non respirava...non ne aveva bisogno.
-I...io voglio solo...solo tornare a casa mia...dalla mia famiglia...- mormorai terrorizzata. Mi vergognavo del mio tono implorante e patetico...ma non era il momento per l'orgoglio.
-Oh...ma ci tornerai, piccolina...ci tornerai eccome...lascia che ti accompagni io- il ghigno sadico si trasformò in un sorriso pericoloso e letale che non preannunciava nulla di buono e gridai quando la sua mano, curata e affusolata, mi afferrò con forza il polso attirandomi bruscamente a sè. Le mie urla cessarono di colpo quando mi ritrovai lì, "al sicuro" contro il suo petto, stretta dalle sue braccia che corsero a tenermi la schiena e le gambe sollevandomi da terra.
Era così freddo...
-No! Dove...dove cazzo mi stai portando!?-
-Bhè...se te lo dicessi...che razza di rapimento sarebbe?-
Genere: Azione, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Note dell’Autore: Ma che sono passati quasi due anni dall'ultimo capitolo, vogliamo parlarne? No seriamente, lo so, stavolta ho esagerato. Sarò chiara. Non avevo voglia. Non avevo idee. Non avevo il tempo. O forse un pochino lo avevo...ma era tutto il resto a mancare. Negli ultimi anni per me scrivere è divenuto un'agonia. Non riuscivo più a farlo con la stessa passione, ecco il motivo per cui ci ho messo due anni. Ora credo di aver raggiunto una maturità diversa che mi ha portata a continuare questa storia. Ero tentata di cancellarla. Odio lasciare le cose incomplete: o le finisco una volta per tutte, o le cancello direttamente. Dunque, ecco il penultimo capitolo. Il prossimo -non chiedetemi quando arriverà, perché dato quanto ci ho messo stavolta, ho paura che possano passare altri dieci anni- sarà quello conclusivo. Se quando metterò la parola FINE a questa storia sarò ancora ispirata, scriverò il seguito, che ho già in testa. Ma è tutto da vedere. Non fatevi false speranze, non sono in grado di aggiornare in un mese né di mantenere la parola data, quando si tratta di fanfiction. Non mi resta altro da dire, se non scusarmi ancora per tutto questo tempo, e augurarvi una buona lettura. Ci tengo che commentiate...vorrei sapere cosa ne pensate.


~~~


Ora, vorrei soltanto avere più tempo per decidere. Ora, vorrei semplicemente che tutto si fermasse un istante. Attorno a me, il vento smetterebbe di soffiare, rimanendo ad aleggiare statico nell’aria, come un presagio. Le grida si fermerebbero nel palato dei guerrieri. Il sangue rimarrebbe a gocciolare tra cielo e terra, senza fare rumore.
Allora potrei sedermi, stanca. Sedermi e pensare. Ad un’altra soluzione. Ad un modo per uscirne. Avendo più tempo per decidere, forse non saremmo giunti a questo, Evan. Avendo più tempo per ragionare, forse potrei crogiolarmi nell’idea di poter vedere ancora una volta il tuo sorriso.
Solo che non ho più tempo. Mi dispiace, avrei voluto che le cose fossero andate in modo diverso. Avrei voluto davvero avere il coraggio di sacrificare tutto per te. Ma non ho più nulla, se non me stessa. Tutto scorre veloce. Panta Rei. Come un fiume. Tutto scorre, ed io passo. Come i minuti, come le stagioni, come i pensieri. Come la vita. Le cose mortali, tendono a scivolare via dalle mani con una facilità tremenda. Forse, però, il sacrificio è soltanto lo slancio di coraggio ultimo dei vigliacchi. Per tutta la mia vita, ancora agli albori, non ho fatto altro che fuggire. Sono fuggita anche da te.
Morire per qualcuno che si ama, non è coraggio. E’ semplicemente il prezzo che paghiamo per i nostri attimi di felicità più pura.

Non avrei mai pensato di partecipare ad una guerra di successione. A dire il vero, non avrei mai pensato di essere un ibrido, né di essere rapita e finire in quell’assurdo intrigo di potere. Negli ultimi tempi, comunque, mi ero dovuta ricredere su molte cose. Al momento, qualsiasi prospettiva impensabile, non era più tale. Il grande salone della Residenza Ausiliare di Evan, si era trasformato in un brulicare silenzioso di vampiri. “Silenzioso”, non era esattamente ciò che mi sarei aspettata durante i preparativi per una guerra. I Vampiri erano molto simili a noi esseri umani, superficialmente, ma c’erano un paio di cosette nelle quali ci distinguevamo fin troppo, tanto da sembrare due creature completamente opposte. Vorrei parlare di razza, ma il Re aveva calcato la mano su quell’argomento, e sul fatto che appartenessi ad una razza ibrida, abbastanza da darmi la nausea. Non sopportavo il razzismo. O meglio: un tempo lo ero stata. Amare un vampiro ti porta a rivedere le tue priorità in merito. Comunque, non lo sopportavo nel momento in cui non fosse giustificato. Insomma, non era colpa mia se ero nata in parte Umana, ed in parte Porfirica. Non era neanche colpa mia se Antoin non era riuscito a dare un freno alle passioni di sua moglie, o a non rendersi abbastanza sopportabile da piacerle.
Nel caos più totale, i Vampiri sembravano mantenere perfettamente il controllo. Forse erano spaventati. Nel caso, non lo davano affatto a vedere. Evitare scene di isteria collettiva, con succhiasangue che andavano gridando in giro “moriremo tutti”, mi andava bene...ma quel silenzio e quella calma piatta, mi inquietavano. Io stavo per avere un attacco di panico, e stare in mezzo a gente del tutto indifferente a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, non mi aiutava affatto, anzi. Mentre Evan discuteva con i suoi seguaci le dinamiche dello scontro, avevo avuto il tempo per farmi una doccia, ripulendo dalla mia pelle l’umidità e lo sporco di quella che era stata la mia cella, prima che Daniel mi tirasse fuori.
Scesi nel Salone, ora adibito a quartier generale ed armeria, dopo aver indossato un maglione grigio a collo alto ed un cardigan azzurro, sopra dei jeans comodi. Erano abiti che mi venivano puntualmente prestati da Selìn, dal momento che non ne avevo di miei. Mi dispiaceva da morire, sformarglieli. A dire il vero, no. Non me ne fregava niente. Fortunata succhiasangue perfetta!
Quando giunsi al centro della sala, attraversandola a passo svelto, gli occhi dei vampiri si posavano sistematicamente su di me, curiosi. Ehi gente, sono un’ibrida! Il fottuto errore delle natura. Guardatemi! In un angolo della sala, attorno ad una grossa scrivania, stavano Evan e Daniel, Selìn, e altri due vampiri. Quando mi vide, il primo sorrise, alzandosi con un cenno di scuse del capo, venendomi incontro. Le sue mani si strinsero dolcemente attorno alle mie spalle, attirandomi a sé. Mi sfiorò una guancia con le labbra fresche, inspirando il profumo dei capelli appena lavati. Alcune ciocche chiare, ancora umide, ricadevano sul mio volto come spighe di grano sottili e dritte.
-Hai bisogno di qualcosa?- chiese, distaccandosi appena, ma le sue mani rimasero lì, contro gli abiti che dividevano la nostra carne, crudelmente. I suoi occhi incontrarono i miei, in un turbinio di acqua e ghiaccio, quali erano le nostre iridi. Scossi la testa, abbassando lo sguardo sul suo corpo.
Aveva indosso pantaloni di pelle neri, abbastanza stretti da fasciargli i muscoli delle gambe ed i polpacci, in una curva sinuosa. Il petto, era coperto da un collo alto nero, sul quale brillava una pettorina di metallo scuro, come il petrolio. Era formata da grandi scaglie, sovrapposte le une alle altre, che gli proteggevano il busto, scendendo in una cintola al centro del bacino, fino a metà coscia. Dovevo aspettarmi che i vampiri fossero amanti delle tradizioni, ed indossassero armature.
Era assurdo...
Mi prese il mento gentilmente, costringendomi ad alzare lo sguardo. Incontrai nuovamente i suoi occhi, ma non v’era più alcuna maschera che ne opacizzasse i pensieri. Potevo leggervi, per la prima volta in modo tanto chiaro, una sottile paura. Non era codardia. Semplicemente, il terrore che si ha quando c’è la possibilità di perdere tutto. Tutto ciò che ci appartiene. Che amiamo. Era un sentimento fin troppo familiare, dal momento che nei miei occhi si rifletteva lo stesso timore.
-Antoin è già in movimento con le sue truppe, per raggiungerci e spazzarci via. Tra poco farò disporre una macchina ed una scorta che ti riporteranno a casa. Tra gli umani. Lì sarai al sicuro- rimasi a guardarlo per un momento, assimilando quelle parole, sentendo la rabbia montare poco a poco nello stomaco. Lo scansai bruscamente, mettendo tra di noi un passo.
-Pretendi che me ne stia buona a pensare a te e al tuo popolo che venite massacrati!? E’ fuori discussione, Evan!- alle mie affermazioni, si portò le mani, coperte dai pesanti guanti neri dalle guaine di metallo, alle tempie, massaggiandole con fare stanco.
-Non posso concentrarmi sulla battaglia se so che potresti essere in pericolo- cercò di spiegare, con fare lento, come si spiegano le cose ad un bambino, per l’ennesima volta. Ero insopportabile, lo sapevo perfettamente. Ma non potevo lasciarlo a morire da solo. Era la nostra responsabilità, quella. Avevamo stravolto i piani di suo padre, ed ora dovevamo affrontarlo. Semplice. Annullai del tutto la distanza, afferrandolo per il collo della maglia. Fu costretto ad abbassarsi con il busto, per potermi guardare meglio negli occhi, mentre gli sibilavo ad un centimetro dal volto.
-Se Antoin vi sconfiggerà, verrà a cercarmi tra gli Umani. E prima di trovarmi, farà una strage di innocenti. Una volta che mi avrà presa, porterà a termine il suo intrigo. Allora, se dovessimo perdere, preferisco morire, così che non mi abbia mai- le sue dita si strinsero gentilmente attorno alle mie mani, e lentamente lasciai la presa sul tessuto. Le prese tra le sue, portandosele alle labbra. Aveva socchiuso gli occhi, e appariva stanco. Mi sentivo in colpa dal momento che ero la causa principale di tutti i suoi problemi, ma proprio per questo non lo avrei lasciato a sbrigare il lavoro sporco da solo.
-Emily...tu non hai minimamente idea di cosa vuoi affrontare. Non è una caccia ai Mannari, questa. Antoin non morirà con una pallottola d'argento- tornò a guardarmi. Mi stava pregando, con lo sguardo, di lasciar perdere. Sembrava un bambino che prega la madre di non lasciarlo a scuola per rimanere con lei. Ed era strano, vederlo tanto umano. Non mi arresi, comunque. Gli presi gentilmente il volto nei palmi.
-Sono un'Umana. Ma non abbastanza. Così come non sono completamente un Vampiro. Voi siete il mio popolo, tanto quanto gli umani. Non vi lascerò morire per me- il mio tono non ammetteva repliche, e fui soddisfatta della decisione che riuscii ad imprimere alla mia voce. Evan mi fissò per qualche attimo, pensieroso, per poi sospirare.
-So già che mi pentirò di questa scelta. Ma dal momento che sei la persona più testarda e sconsiderata che abbia mai conosciuto, ti permetterò di seguirmi. Ad un patto- fu il mio turno di studiare i suoi occhi chiari. Calò il silenzio, interrotto solamente dallo sferragliare lontano di qualche arma.
-Sarebbe?-
-Ti unirai al corpo medico. Aiuterai i feriti, e farai qualsiasi cosa ti venga ordinata, per la tua sicurezza. Chiaro?- era il massimo che avrei potuto ottenere, lo sapevamo entrambi. Non mi aspettavo che Evan mi mettesse in mano una spada più grande di me mandandomi al massacro, ovviamente, ma almeno potevo essere presente e dare il mio contributo. Annuii, infine, con un sorriso.
-In poche parole, se mi dicono di scappare, chiedo quanto veloce e quanto lontano- dissi con una scrollata di spalle. Evan sembrò soddisfatto. Le sue mani si intrecciarono tra i miei capelli, attirandomi a sé. Mi alzai sulle punte dei piedi, incontrando la fresca carezza delle sue labbra sulle mie, mentre i miei abiti morbidi entravano crudelmente in contatto con le protezioni solide di quella che era la sua corazza.
Il fischiettare allegro di Daniel ci interruppe, e quando ci dividemmo, questo giocherellava con una lettera che porse ad Evan.
-E' il sigillo dei Bouregard- mormorò cupo. La ceralacca rossa chiudeva i lembi della busta, e al centro vi era stato impresso l'emblema della Famiglia, ovvero una corona fatta di spine e rami secchi, inquietanti. La corona doveva rappresentare il potere reggente della famiglia, ma quelle spine sembravano vive nel rosso acceso della cera. Insanguinate. Evan intercettò il mio sguardo, ma non sorrise. Era teso, ed i suoi occhi lasciavano trasparire la sua agitazione più di quanto probabilmente non desiderasse fare.
-I Bouregard discendono da un'antica cricca di mercanti che durante l'anno mille si arricchì grazie al commercio, arrivando a finanziare crociate e guerre di successione tra gli umani. Océan Bouregard è considerata la nostra capostipite, la prima vampira ad istituire la Casata. Quando conquistò il trono, dopo un'interminabile scontro con la Casa dei Morgenster, cambiò il simbolo della Famiglia, una moneta d'oro con inciso un giglio, in questa corona di rovi. Per ricordare ai suoi successori, ai Bouregard che avrebbero dominato sulle nostre terre, che il prezzo del potere non è l'oro, ma dolore e sacrificio-
Lo spaccò, estraendo un foglio di carta delicata, color avorio, vergata con inchiostro nero. I suoi occhi scorsero rapidi, poi l'appallottolò con rabbia, scagliandola lontano.
Daniel lo afferrò gentilmente per il braccio, prima che Evan potesse andarsene.
-Cosa dice?-
-Antoin ci ha dichiarati nemici del Regno e traditori. Ha inoltre revocato la mia futura reggenza, eliminandomi dalla linea d'eredità-
Allora Selìn si fece avanti. Il suo corpo snello era fasciato in abiti scuri, aderenti, e sopra indossava la stessa pettorina di scaglie nere che scendeva fin tra le cosce. S'inchinò profondamente, sfoderando la spada, che tenne orizzontalmente tra le mani, porgendola di fronte al vampiro.
-Giuro allora fedeltà ad Evan, primo del suo nome, Rinnegato erede della Dinastia Bouregard. Questa è la spada della nobile Casata Morvant, difensori dei confini della Notte. Con essa, tutti i Morvant si piegano al tuo volere come Alfieri- a quelle parole, altri vennero avanti, ponendosi dietro Selìn, ed inchinandosi a loro volta, sfoderando le lame. Avevano tutti capelli corvini, lunghi e morbidi come seta, che raccoglievano in code basse. Immaginai che fossero cugini e parenti di Selìn, e che lei ne fosse la portavoce. Daniel fece lo stesso, parlando per la Casa Lampoure. E ancora altri vennero avanti, prestando a loro volta giuramento.
Graveheart, Nestor, Wolfcraig, Hyde, Valentine e ancora altri nomi che dimenticai dopo poco. Alla fine, l'intera sala era gremita di vampiri che porgevano le loro spade in segno di sottomissione alla nuova Corona. Evan abbassò lo sguardo su di me, sorridendo.
-Possiamo partire-

Marien Graveheart era sporca di sangue fino ai gomiti, e continuava a spingere le dita contro l'addome del ragazzo, per cercare di arrestare l'emorragia. Io avevo lo stomaco sotto sopra, ma era da un'ora che continuavamo a trasportare cadaveri decapitati e tagliare arti. Ormai non riuscivo neanche più ad essere spaventata.
La ferita continuava a dilatarsi, come se un acido mangiasse velocemente la carne dove la freccia l'aveva colpito. Spostai lo sguardo sulla donna, mentre mi urlava di tenergli il capo. Mi mossi alle spalle del vampiro, prendendo la testa e portandomela sulle ginocchia. I capelli rossi erano sporchi di sangue e terra, mentre le sue iridi ebano mi fissavano tremanti, spaventate. Rimasi a guardare quello sguardo di paura, sentendomi morire. Ora che stava morendo tra le mie braccia, non riuscivo a credere che avessi reputato quella gente, la mia gente...inumana. Avevano il nostro stesso terrore negli occhi. Perdevano sangue come noi. Soffrivano, come noi. E morivano come noi.
-Che diavolo gli succede!?- gridai a Marien. La ferita era diventata un buco grosso quando un pugno, ed ora le dita della vampira del corpo Medico cercavano di spingere dentro gli organi che minacciavano di uscire.
-Un veleno a base acida che non permette la normale rigenerazione dei tessuti, e li consuma velocemente- in altre parole, non potevamo fare nulla. Il ragazzo mi guardò, ed io gli accarezzai le gote, delicatamente. Dalle sue labbra gorgogliò fuori del sangue che gli soffocò il respiro e prese a colare lungo il mento.
La donna si rivolse a me, porgendomi una lama. La presi dalla parte del manico. Era un pugnale comune, dalle forme essenziali. Aveva bisogno di una bella affilata, ma ero pronta a scommettere che fosse ancora in grado di servire allo scopo.
-Che cosa...?- ma la donna del corpo medico non mi lasciò concludere. Guardai il baluginare della lama, senza capire. Gli occhi del ferito mi raggiunsero. Sembrò vedere il pugnale, e a quel punto la paura divenne terrore. Si agitò, e Marien fu prontamente su di lui, tenendolo fermo.
-Che aspetti?- la sentii gridare, ma io continuavo a non capire.
-Uccidilo! E' inutile prolungare le sue sofferenze. Non possiamo fare più nulla per lui- quelle parole mi investirono con violenza, lasciandomi per un attimo senza fiato. Sapevo come uccidere un vampiro. Ce lo avevano insegnato. Ma non era facile come con i Licantropi. Loro erano vivi, caldi, pulsanti, bestiali. I vampiri erano corpi morti...donar loro una morte ancor più profonda, era un altro conto.
-Io...non posso...- quelle parole uscirono come un fremito senza senso, e Marien sembrò perdere la pazienza.
-I Guaritori sono tutti impegnati! Serve che qualcuno lo tenga fermo, e tu non sei abbastanza forte. Quindi sta a te ucciderlo. Ora!- le sue grida mi riscossero dallo shock. Il vampiro aveva preso a gridare, ma dalla sua bocca sanguinante uscivano soltanto fiotti scuri e gemiti disarticolati. Strinsi la presa attorno all'elsa, ma le mie mani stavano tremando. La mia testa era annebbiata. Le grida, il cozzare delle armi, i morti, l'aria satura di morte.
-Voglio...- il gorgoglio che provenne dalle labbra del combattente si perse in altro sangue.
-Voglio...vivere- concluse, e quell'unica frase mi strinse il cuore. Vivere. Tutti lo volevamo. Ma la violenza ci aveva sopraffatti. Gli orrori della guerra. Ora sembrava tutto più chiaro. Noi Minori ci credevamo così forti, quando riportavamo a casa le carcasse dei Licantropi. Ma non avevamo mai affrontato una guerra. Non sapevamo niente, di quello che invece ci vantavamo di conoscere.
-Fallo!-
Alzai la lama sul suo petto. Poi, la calai. Il metallo si fece largo nella carne, tagliente, aprendo sul suo petto un triste sorriso sanguinolento. Il ragazzo sputò fuori altro sangue, cercando di gridare aiuto. Intanto la ferita che lo stava conducendo alla morte, continuava a consumare tutto ciò che trovava, tessuti, ossa, muscoli. Con il coltello conficcato nel suo petto, spinsi, aprendo un taglio verso il suo cuore. Gettai via l'arma. Le mie dita si affacciarono sulla ferita. Trattenni il respiro, quando immersi la destra nel suo petto. Il suo cuore era fermo, ma in esso si concentrava la vita sulla quale noi umani ci interrogavamo. Lo estrassi con forza. A quel punto, Marien me lo rubò dalle mani, e stringendolo nel pungo, cancellò ogni residuo di vita dal corpo del vampiro. In silenzio, egli sembrò quasi addormentarsi.
-Ora sai...che la morte non è divertente come credevi- non sentii neanche quelle parole. Una fitta alla bocca dello stomaco mi gettò da parte, e vomitai tutto quello che avevo nello stomaco. Le mie mani erano lorde di sangue, così come i miei vestiti. Quello poteva essere Evan. Poteva essere Daniel. Il solo pensiero minacciò per un secondo di farmi perdere i sensi. Mi pulii la bocca con il dorso della mano, disegnando le mie labbra con il rosso del sangue.

Ora vorrei solo svegliarmi. Un sobbalzo, ed i miei occhi si aprirebbero alla sera cittadina. Tra i sedili dell'autobus, dove mi sono addormentata. Mi accorgerei di aver saltato la fermata, e allora imprecherei tra i denti, mettendomi lo zaino in spalla e mandando un messaggio a mia madre, per dirle di cenare senza di me. Una madre ed un padre che mi aspettano a casa. Scenderei e comincerei a tornare a piedi, con il fresco che mi accarezza la pelle. Continuerei a vivere la mia normalissima vita, ripensando a quel sogno. Così assurdo. Così sciocco. E di tutte quelle immagini, perderei ben presto la memoria. Come quando si sogna, e si perdono pezzi di storia. Ci si trova in luoghi sconosciuti senza sapere come vi si è giunti. Perderei tutto. Ma quel ragazzo...Evan. No, lui no.
Rimarrebbe un punto interrogativo nella mia testa. Lo strano personaggio di un sogno che mai avrei raccontato.
Se mi svegliassi ora, sarebbe tutto finito. La guerra, le grida, tutto. Ma forse non è ciò che voglio. Forse voglio vivere. O meglio: forse voglio vivere...di nuovo.

-E' finita- la voce di Daniel giunse ovattata, distante. I suoi occhi mi cercavano, ma io sembravo cieca. Vedevo davanti a me soltanto uno stuolo sterminato di cadaveri. Quali fossero i nostri morti, e quali i nemici, non era chiaro. Strinse il pugno attorno alla spada. Poi, la lasciò cadere a terra. L'erba era fradicia di umidità e sangue.
-E' veramente finita- il cielo era ancora scuro, e lo sarebbe stato per sempre, dal momento che la terra dei Porfirici non conosceva l'abbraccio della luce del giorno. Questo rendeva il rosso vivido meno visibile. Non volevo vedere. Desideravo che i miei occhi fossero ciechi. Che le mie orecchie smettessero di ascoltare, per non dover sentire quelle parole.
Noi sopravvissuti eravamo tutti in fila. Spalla a spalla, e guardavamo l'orizzonte nebuloso. Selìn tossì, cercando di coprirsi la bocca, ma ai lati della sua bocca colò una goccia cremisi. La sentii perdere l'equilibrio, e Dan fu abbastanza pronto da sorreggerla, stringendosela al petto.
-Non ora. Non è da te cadere in ginocchio- lei sorrise, cercando di reggersi inutilmente sulle proprie gambe. Un uomo si avvicinò, i suoi abiti pregni di sangue e terra. Era uno dei soldati di Antoin. Alzò la spada, puntandola alla gola di Daniel, intimandogli di lasciarla. Riluttante, lasciò la presa attorno alle spalle della ragazza, ed ella cadde a terra, senza un rumore. Si accasciò al suolo, attutendo la caduta con le mani, continuando a tossire sangue sull'erba.
-Avanti, rialzati- fu Daniel a parlare, stavolta. Il suo tono voleva essere duro, ma colsi quella nota di disperazione.
-Rialzati. Ti prego- lo disse tra i denti, in un grido scuro. La vampira serrò con forza i pugni, ed in un gemito tentò di rimettersi in piedi. L'uomo di Antoin le puntò la suola dello stivale sulla spalla destra, e con una spinta la fece rotolare sulla schiena. Daniel trattenne un ruggito tra i denti. Abbassai lo sguardo sulle mie mani, serrate sul ventre.
-Una Morvant che non riesce neanche a rialzarsi...è uno spettacolo raro questo- la guardia scoppiò in una risata stridente, fastidiosa, che fece tremare Daniel di rabbia. Sembrava che un filo sottile lo stesse trattenendo dall'impazzire completamente. Un ultimo filo di buonsenso.
Quando l'uomo del Re si voltò a guardarmi, abbassai lo sguardo. Fece per afferrarmi, ma Daniel si frappose fra di noi. In un attimo, l'uomo lo mise a terra, calciandolo sui fianchi, mozzandogli il respiro.
-Fetidi traditori...- sputò a terra. Poi, le sue dita si strinsero sui miei capelli, strattonandomi fuori dalla fila. Trattenni un grido di dolore, prima di finire con le ginocchia nel fango. Il soldato si fermò, afferrandomi per il fianco. La stretta violenta che mi aspettavo giunse. Mi rimise in piedi, trascinandomi per un polso. Cercai di dimenarmi, ma la sua stretta era troppo serrata. Ebbi il tempo di incontrare lo sguardo di Daniel. Era riuscito a tornare in piedi, mentre altri dei suoi compagni avevano fatto altrettanto con una stanca Selìn. Mosse un passo nella nostra direzione, ma altre guardie di Antoin lo circondarono, afferrandolo per le braccia, tenendolo fermo. I suoi occhi erano pozzi scuri di dolore e fallimento. Le sue labbra tremarono, mormorando un "perdonami". Questo un momento prima che un colpo alla nuca lo rendesse innocuo.
Venni scaraventata in avanti, e rotolai per qualche metro. Quando mi fermai, qualcuno mi fece voltare con la schiena al suolo. Mani e braccia mi costrinsero a tornare in piedi.
Era davvero finita.
Gli occhi cinerei di Antoin furono su di me. Sembravano più scuri di come li ricordavo. Duri come punte d'acciaio. Spietati e furiosi. Un'ira trattenuta, composta. Una rabbia silenziosa, quasi educata, che poteva sfociare solo in crudeltà sottile, affilata. Sorrise, ed i suoi canini si mostrarono al di sotto delle labbra.
-Emily- pronunciò il mio nome come se fosse una bestemmia oscena. Scossi il capo, spostando le ciocche di capelli sudici che mi ricadevano sul volto. Portava una corazza simile a quella dei soldati di Evan, ma la sua era linda e splendente. Non v'era alcuna traccia di sangue, di terra. Era il tipo di Re che guardava i suoi uomini morire dall'alto di uno trono.
-Dov'è Evan?- chiesi secca. I nostri sguardi si incrociarono per un attimo, senza che nessuno abbassasse gli occhi per primo. Poi, il Sovrano scoppiò in una risata fragorosa, divertita, letale.
-Mi aspettavo questa domanda. Il tuo dolce Principe...- mosse un passo avanti, superandomi, per rivolgersi alla schiera di sconfitti. Il suo volto trasudava una soddisfazione irritante.
-Il vostro amato "Liberatore"; colui che avete giurato di servire con tanta fedeltà, tanto da ribellarvi al vostro Re....portatelo qui!- gridò quell'ordine, e dalle file di uomini che si schieravano alle spalle del Sovrano, intravidi il guizzo chiaro degli occhi di Evan. Lo tenevano per le braccia. La sua corazza era lorda di sangue, abbozzata dove l'acciaio aveva cercato di farsi strada fin nella carne. Un lungo taglio scuro gli attraversava il volto. I capelli biondi si erano impastati di sangue e fango, a coprire l'occhio sinistro. Lo teneva chiuso, ed immaginai fosse per quello squarcio sul viso.
-Poveri idioti. Credevate davvero che vi avrebbe condotto alla vittoria? Che avrebbe ripagato la vostra fiducia!?- scoppiò in un'altra risata. Strinsi i denti. Non poteva dire davvero. Evan non era sconfitto. Noi non avevamo perso. Nessuno di noi era ancora perduto. Potevamo combattere. Potevamo...sperare. La nostra unica arma ora era la speranza. E se Evan era caduto, allora non avevamo neanche più quella. Mi voltai di scatto. Una rabbia cieca e disumana mi pulsava nel petto. Fronteggiai Antoin, sputandogli in faccia tutto il mio odio.
-Stronzate! Evan non ci ha illusi! E' un uomo d'onore, mentre tu non sai neanche cosa voglia dire!- quando finii, la gola mi bruciava, tanto avevo gridato. Sentivo gli occhi farsi umidi. Lacrime di disperazione. Non volevo arrendermi. No, mai.
La mancina del Re fu repentina. Mi afferrò per il collo, avvicinando il suo volto al mio. Il suo viso era pulito, la pelle lucente. Mentre il mio era una maschera di fuliggine e sangue.
-Onore? Come può una bastardina come te parlarmi di onore? Sei soltanto il frutto di un errore, e come tale, ti cancellerò dalla faccia di questa terra. Darò il suo corpo in pasto ai miei cani, e berrò il sangue della tua gente dal tuo cranio- il ringhio dell'uomo mi arrivò sulla faccia. Poi, in uno strattone, mi gettò contro la guardia.
-Tutti assisteranno, mentre mi nutrirò di te. Tutti assisteranno alla mia nuova natura- si voltò verso suo figlio, che gli giaceva alle spalle, in ginocchio. Respirava a fatica, stancamente.
-E tu, traditore del tuo stesso sangue...avrai il posto d'onore- i suoi occhi brillavano di una follia spaventosa. Il soldato mi afferrò alle spalle, cingendomi con le sue braccia, così che non potessi muoverle. Iniziai a scalciare, ma questo mi strinse più forte, spezzandomi quasi il fiato, sollevandomi da terra. I miei piedi colpivano l'aria, mentre cercavo di liberarmi.
-Non riuscirai ad avere da me ciò che desideri, Antoin! Quando ti avvicinerai a me, il senso di pericolo farà risvegliare quella parte di me che tanto disprezzi e brami!- gridai. La mia voce grattava le pareti della mia gola, dolorosamente. Avevo passato ore intere a gridare affinché nel rumore della battaglia, il corpo medico mi sentisse. Non che poi ci fosse molto da dire. "Deceduto". "Ferito". Queste erano le parole che più spesso si ripetevano. Il Re ignorò le mie parole, sorridendo.
-Procedi con l'iniezione- comandò ad un'altra delle sue guardie. Solo quando questa, giungendomi davanti, estrasse una siringa da un astuccio di velluto, compresi.
Presi a muovermi con foga, come un topo tra le fauci del serpente. I miei calci colpirono più volte le gambe dell'uomo che mi sosteneva, ma senza sortire alcun effetto. L'altro mi afferrò i capelli, tirando con forza, ed in un gemito strozzato fui costretta a piegare il capo lateralmente. Il mio collo era scoperto, sporco di fuliggine e terra. Vi fece calare l'ago senza esitazione, tenendomi il capo immobile. Quando il liquido si prosciugò dalla piccola fiala, estrasse l'ago, lasciandomi andare. Caddi a terra, cercando di rimanere sulle mie gambe, ma queste si fecero molli. Mi ritrovai con il viso tra i fili umidi d'erba, mentre il mio intero corpo perdeva gradualmente sensibilità, così come la mia mente si fece silenziosa, incapace di ragionare. Ogni parte di me sembrava anestetizzata, prossima alla morte. Una pace ed una tranquillità inquietanti avevano preso possesso di me, ed ora non sarei più stata in grado di temere nulla, di sentirmi in pericolo. Ero troppo confusa anche solo per pronunciare mentalmente quella parola.
-No...- udii la voce di Evan come un gemito lontano, ovattato. Ed era tremante, forse di paura, forse di rabbia. O forse le lacrime stavano nuovamente scivolando via dai suoi occhi color dell'infinito, mescolandosi al sangue che gli ricopriva la faccia. Non guardai. Non avevo neanche le forze di tenere le palpebre aperte.
-...io non sono morto, padre. E finché anche il mio corpo non sarà lauto pasto per i tuoi mastini, tu non mi avrai sconfitto- a quel punto, tutto stava sbiadendo. Voci, suoni, odori. Ma potevo ancora udire le sue parole di speranza. In fondo, Evan non si sarebbe davvero mai arreso. E questa poteva essere la nostra benedizione, e al tempo stesso la sua condanna. Antoin si voltò a fronteggiarlo. Il suo furore era sul punto di esplodere.
-Sono stanco della tua inettitudine. Stanco dei tuoi tradimenti! Sei come tua madre: una sporca vipera che non ha fatto altro che tramare contro la sua stessa famiglia- quelle parole colpirono Evan come uno schiaffo in pieno volto, e sebbene il suo viso fosse ridotto ad una maschera di sangue, potei vederlo digrignare i denti, emettendo un ringhio gutturale.
-Tu l'hai uccisa! E ora ci stai gettando tutti nel tuo inferno di follia!- in quel grido sprezzante, le sue braccia scattarono, scansando brutalmente le guardie che lo tenevano. Tentò di rialzarsi sulle proprie gambe, in cerca di una spada, ma ricadde sulle ginocchia, tenendosi il ventre in un sibilo di dolore. L'intero esercito di Antoin rise, mentre il Principe veniva nuovamente immobilizzato. Suo padre si portò le mani alle tempie, come a voler sedare un eccesso di collera improvviso, poi si rivolse ai suoi uomini.
-Ne ho abbastanza: procediamo- a quell'ordine, Evan gridò con quanto più fiato avesse in corpo, ma le guardie del Re lo costrinsero a terra. Avevo ancora la testa appannata, quando mi trascinarono su quella che doveva essere una roccia. Volevo aprire gli occhi, ma questi non facevano altro che richiudersi pesantemente. Mi immobilizzarono le braccia sopra il capo, ma nelle condizioni in cui il mio corpo e la mia volontà versavano, quelle precauzioni erano del tutto inutili.
-Evan...- riuscii soltanto a mormorare. Volevo sentire la sua voce, perché sapevo che ora non avrebbe più potuto fare nulla. Volevo sentirla almeno un'ultima volta. Anche la morte sarebbe stata accettabile se avessi immaginato Evan al posto di Antoin. Percepii la mano di quest'ultimo afferrarmi il volto, costringendomi a sollevare il mento. Il mio collo era scoperto, a portata delle sue labbra. Lo sentii avvicinarsi. Non riuscivo neanche a tremare, a scalciare. Potevo soltanto cercarlo nel buio della mia mente.
-Evan...-

I miei occhi sembrano essere stati ciechi così a lungo, quando percepiscono quel bagliore improvviso, lontano ma terribilmente luminoso. E' un attimo. Come il flash di una macchina fotografica. Poi sparisce, e al suo posto c'è come un ronzio. Poi una voce. Nulla, alla mia vista, ha corpo. Siamo voci che fluttuano nel buio.
-Evan...- dico ancora, ed il frusciare di vesti si avvicina, simile al gorgogliare di una fonte d'acqua. Non c'è paura. Non c'è nulla in me, se non una sensazione di pace straordinaria. Nel buio una sagoma prende forma, lentamente, aprendosi alla mia vista. Ha capelli così chiari che sembrano fili di luce pura, e ricadono attorno al suo volto a forma di cuore. L'incarnato è così pallido che non riesco a capire dove la sua fronte candida lasci il posto all'attaccatura della chioma. Poi i suoi occhi. Sono del blu profondo del mare.
-Astrid...- dico. Non l'ho mai vista, eppure so che è lei. Una parte di me, non so bene quale, lo ha sempre saputo. Forse è un ricordo lontano, che credevo di aver dimenticato.
Il suo sorriso è come un'onda che mi attraversa, portando via anche gli ultimi residui di terrore. Mi porto le mani al capo, coprendomi gli occhi. Non è il momento per sognare. Voglio svegliarmi, ma non riesco a lasciare questa realtà illusoria.
-Non cercare di andar via, Emily. Non prima di aver ascoltato ciò che ho da dire- la sua voce è delicata, melodiosa. Tutto, in lei, sembra estremamente perfetto, irreale.
-No...non ho tempo per questo...Evan...- le sue mani sono una carezza fresca sul mio volto. Le dita della donna scivolano tra i miei capelli, accarezzandomi le orecchie, ed io voglio soltanto che la smetta di tormentare la mia mente. Voglio che tutto questo finisca. Quando alzo lo sguardo sui suoi occhi, questi tremano nel sentire il nome di suo figlio. Poi sorride, con un trasporto ed una dolcezza che mi stringe il cuore, e quasi lo sento frantumarsi in mille pezzi.
-Evan sta morendo. Lo so. Quindi ascoltami. Ti prego-
-Mi hai abbandonata una volta. Cosa vuoi ora?- le mie parole sembrano ferirla, ma la presa sul mio viso non cede, ed ora mi sta stringendo al suo petto, che è immobile. Vorrei non farlo. Vorrei non sentirmi così bene, tra le braccia di una donna che è mia madre, ma che non ha mai fatto nulla per riavermi. Vorrei non aver mai saputo di lei. Vorrei non conoscere il suo nome.
-Voglio che tu ti svegli, Emily- ho bisogno di qualche secondo per riuscire a rispondere. La sua pelle profuma di spezie e pioggia.
-Non posso farlo, se continui a tenermi qui- stringo i denti, e senza controllo inizio a piangere di rabbia. Sono un vaso riempito fino all'orlo di frustrazione. Perché non posso fare assolutamente nulla. Lasciami andare. Lasciami morire.
-Non come un'umana, Emily. Devi svegliarti, per ciò che sei-
-Mi hanno sedata. Non posso- mi scosta da sé, gentilmente, e le sue mani mi stringono delicatamente le spalle. I suoi occhi sono rapide ombrose nei miei. Gentili, ma densi di una disperazione che mi fa male.
-Sei convinta di non poterlo fare. Come un figlio lotta nel ventre di sua madre per venire alla luce. Non c'è nulla che possa fermarlo. Nessuna droga può arginare la tua disperazione. Io ti ho cercata. Quando sei nata, sapevo che ti avrebbero portata via da me. Ho lasciato in te quanto potevo, affinché un giorno potessi vedermi come ora mi vedi. Affinché potessi sentirmi. Sono sempre stata qui, Emily. In silenzio. Ma ora è giunto il momento che tu ascolti la mia voce. Per te stessa, e per Evan- con la destra mi accarezza il volto, reclinandolo piano. Il suo respiro sa di miele, ed è sulle mie clavicole. Sale piano fino al collo.
-Svegliati, Emily. Svegliati e rinasci come mia figlia- poi, i suoi denti calano nella mia carne.

Venni alla luce in un grido terribile, rauco e straziante. Venni alla luce nel buio della notte. Le mani artigliate alla pelle scavavano a fondo con le unghie. Il caos scese sul campo con la potenza di un tuono. C'era sangue e rabbia, nei miei occhi, ed il mio cuore batteva come mai aveva fatto prima d'ora. Antoin ricadde a terra in un grido scuro, tenendosi il volto sanguinante. Le mie dita avevano scavato nelle sue orbite con una disperazione tale da deturpargli il resto del volto. Una fame nera si agitava nel mio ventre. Un mostro incontrollabile che era emerso da abissi sconosciuti, reclamando sacrifici. Due uomini mi furono addosso. Con un balzo agile saltai al collo del primo. Gli afferrai il capo tra i palmi, torcendolo di colpo. Il suo collo emise un rumore sinistro, afflosciandosi di colpo come una marionetta a cui fossero stati tagliati i fili. Volevo nutrirmi di morte, era tutto ciò che il mio cervello era in grado di pensare. La confusione sembrò cedere per un attimo in un silenzio di sconcerto. Poi, le voci eruppero come lava, inondando la vallata. C'erano grida di speranza, di guerra, di dolore. Respirare il fetore del sangue, dei corpi straziati e bruciati, era un richiamo delizioso per la bestia senza controllo. Sapevo di non poterla placare, ora che aveva preso possesso del mio corpo, ma ero così tremendamente incazzata da non volerci neanche provare. Non eravamo due entità distinte. Dove finiva la mia razionalità, iniziava la sua collera. Volevo vederla impazzire, uccidere, esplodere. Volevo che seminasse il caos più puro. Il secondo uomo di Antoin indietreggiò. Potevo sentire la sua paura, adesso. Ma non faceva altro che alimentare la mia fame. Lo afferrai per il collo con la mancina, e la destra affondò nel suo ventre con una forza tale da aprirsi un varco nella sua carne. Premetti ancora, e le mie dita lo trapassarono da parte a parte. Quando sfilai il braccio, era zuppo di sangue. Me lo portai alla bocca, leccandolo con avidità.
-Idioti! Uccidete quel mostro!- la voce di Antoin mi raggiunse, mentre i suoi uomini cercavano di organizzarsi per avvicinarsi a me. Che venissero pure. Quel mostro, non stava aspettando altro.
-Emily!- era Daniel quello che ora mi stava venendo incontro. Alle sue spalle, le file di Evan si erano ribellate, e la guerra era tornata al principio. Una parte di me fremette, vedendolo arrivare, ma non riuscii a fermarmi. Lo scaraventai lontano con una gomitata nell'addome, mandandolo a rotolare a terra. Subito, la bestia ruggì, eccitata dalla sua paura, dal suo sconcerto. Lo intrappolai sotto il mio peso, pronta a calare con le fauci sul suo volto. Qualcuno mi afferrò alla radice dei capelli, spostandomi con forza. Selìn mi affrontava. Non c'era paura nel suo cuore, non ne percepivo l'odore. Non temeva ciò che aveva davanti gli occhi, ma temeva di dovermi uccidere. Non volevo che tutto ciò accadesse, ma ormai non avevo più controllo. Di fronte ai miei occhi, agli occhi dell'animale che ero diventata, c'erano soltanto prede e vittime.
-Emily, fermati!- era la sua voce. Era debole. Abbattuta. Tremante. Ma era la voce di Evan. Era ancora vivo. Mi voltai nella sua direzione, in un latrato spaventoso, digrignando i lunghi canini. In un attimo, stavo correndo contro di lui. A quel punto, non sembravo neanche più un essere umano. Correvo a quattro zampe, artigliando con le unghie ciuffi di erba, saltando cadaveri. Quando balzai per gettarmi su di lui, fu abbastanza pronto da scartare di lato, mandandomi con la faccia nella polvere. Mi risollevai agilmente, scuotendo i capelli biondi dall'erba. Aveva un occhio sanguinante, dove una lama doveva averlo colpito, ed i suoi movimenti erano più lenti, più stanchi. Mi sollevai sulle gambe, gettandomi su di lui.
Le nostre mani si unirono sopra le nostre teste, mentre ci spingevamo a vicenda, cercando di far retrocedere l'altro. Gli ringhiai sul viso, mordendo l'aria. Poi, senza darmi il tempo di capire, abbassò improvvisamente le braccia, trascinandomi verso il suo petto, come in un abbraccio. La ginocchiata che seguì mi spezzò il respiro, e lentamente caddi a terra, tenendomi il ventre, gorgogliando come una belva ferita.
-Tenetela!- a quell'ordine Selìn richiamò altri Morvant. Mi immobilizzarono contro il terreno. Più cercavo di liberarmi, più altre braccia si aggiungevano a tenermi gli arti. La destra di Evan si chiuse sul mio collo come una serra, e dalle mie fauci uscì soltanto un sospiro strozzato. Le sue labbra si dischiusero sul mio collo, in prossimità della giugulare. I suoi denti mi lacerarono la carne con precisione. Il sangue che ne uscì aveva un odore forte, selvaggio, ed era di un rosso così scuro da sembrare nero. Cercai di agitare il capo, ma qualcuno mi aveva immobilizzato con le mani ai lati del volto. Bevve dal mio corpo, e quando ebbe finito, le sue labbra scintillavano rosse di sangue. I suoi occhi scrutarono nel mio animo in tempesta.
-Da ora, io sono il tuo Creatore. Mi apparterrai per i secoli a venire. Soltanto il mio sangue potrà placare la tua rabbia. Soltanto la mia voce potrà lenire il tuo dolore. Soltanto i miei ordini potranno piegare la tua volontà- recitò quelle parole con voce grave, come un rito. Strattonai il braccio destro, e due vampiri vennero sbalzati via, ma prima che potessi riassumere il controllo, altri tre giunsero a bloccarmi nuovamente. Evan avvicinò il proprio polso alla bocca, incidendovi un taglio netto, scuro. Poi, me lo premette contro le labbra. Le serrai di colpo, gridando, agitandomi. Il mostro non voleva padroni. Non voleva essere legato ancora. Aveva assaggiato la libertà ed ora ne era ebbro.
-Ed ora, Emily, io ti ordino di bere il mio sangue- a quelle parole, non potei far altro che dischiudere la bocca. Non volevo, ma una forza insormontabile mi costringeva a farlo. La sua pelle scivolò nel mio palato, ed i miei canini si posarono tra le labbra della ferita. Iniziai a succhiare con avidità, affamata. Ad ogni sorso di quel dolce nettare, una parte di quella follia che mi aveva posseduta, sembrava scivolare via, trasportata da correnti troppo forti. Ben presto, non ci fu più bisogno di tenermi ferma. Avevo socchiuso gli occhi, e lasciavo che la mia bestia si nutrisse in silenzio, ritrovando la sua pace.

Era assurdo anche solo pensare a come le sorti di quella guerra si fossero ribaltate. Gran parte dell'esercito di Antoin si era dato alla fuga, terrorizzato dal mostro che la mia anima aveva partorito e dalla decisione con la quale gli sconfitti si erano sollevati di nuovo, imbracciando le armi.
Con il loro Re cieco e spaventato, i suoi uomini erano caduti nel panico, e chi non era riuscito a scappare, si era schierato con Evan, pregando il perdono. Quando tutto era finito, il campo era una distesa di corpi e fumo. Uno spettacolo inguardabile, che aveva sancito il sacrificio di quella guerra fratricida.
Mi strinsi le braccia attorno al corpo. Faceva freddo, quella notte. C'era silenzio, ma per una volta non lo trovai rilassante. La piazza era immobile. Centinaia di figli della notte assistevano con l'immobilità delle statue, mentre Evan si portava in mezzo alla folla. Era passata appena una settimana, da quel giorno. Alzai lo sguardo nella sua direzione. I capelli biondi erano puliti, lisci, e ricadevano ad incorniciare il suo volto. Dove una lama aveva scavato via l'orbita, facendogli perdere l'occhio sinistro, una benda scura nascondeva il vuoto lasciato al suo posto. Era di tessuto nero, ed una rosa blu notte era stata ricamata al centro di essa. Alle sue spalle, si ergeva un'enorme pira dalla quale spuntava il lungo palo al quale era stato legato Antoin. Quando lo avevano portato lassù, aveva cercato di ribellarsi, ma a nulla era valso. Ora, della sua regalità, sembrava essergli rimasto soltanto lo sguardo denso di folle orgoglio. Nulla di più.
Non ci fu bisogno di alcun discorso. Semplicemente, il nuovo Re si avvicinò alla pira. Lo sguardo salì a suo padre, ma in esso non scorsi un minimo di pietà. C'era rabbia, in lui. Una follia cieca che a stento riusciva a contenere. Ma nessuna pietà, neanche una briciola. Allora, seppi che quella guerra lo aveva cambiato più di quanto i suoi sorrisi volessero dare a vedere.
Quando accese la pira, questa iniziò ad avvampare velocemente, e ben presto la voce di Antoin invase la piazza, innalzandosi disperata al cielo.
Le fiamme lo avvolsero velocemente, ma la morte non gli concesse il piacere della rapidità. Continuò a gridare a lungo, e quando la sua voce si fece rauca, debole, il popolo iniziò a diradarsi, tornando alle proprie abitazioni. Quando anche l'ultimo se ne fu andato, era passata un'ora. Le guardie scelte di Evan si erano allontanate, rimanendo vigili.
Lo raggiunsi con passo calmo. L'aria era satura di fumo. Evan era rimasto immobile per tutto il tempo, senza distogliere lo sguardo dalla pira neanche per un momento. Senza neanche battere le palpebre, temevo. Le sue spalle si stagliavano contro il rosso danzante del fuoco che continuava a bruciare la legna, ed il silenzio era tornato, accompagnato dal solo scoppiettare delle fiamme. Stava in posizione eretta, autorevole. Ma i miei occhi non si accontentavano di vedere ciò che a tutti voleva mostrare. Era stanco. Una stanchezza terribile dell'animo. Potevo sentirlo. Perché ora eravamo legati. Per l'eternità. Nel tempo che impiegai a raggiungerlo, cercai parole da pronunciare, ma non ne trovai. Evan aveva perso sua madre per colpa di quello che era suo padre. E aveva quasi perso la sua stessa vita per conto di chi anni prima gliel'aveva donata. Ed ora, gli stava restituendo il favore, donando il corpo alle fiamme. No, non c'erano parole che potessi pronunciare. Così, lentamente, in silenzio, feci scivolare le mie mani sotto le sue braccia, da dietro, abbracciandolo delicatamente. Le sue mani si strinsero sulle mie, ed io abbandonai il capo contro la sua schiena.
-Andiamo a casa- disse semplicemente, voltandosi. Mi prese il viso tra le mani, accostando la fronte alla mia. L'unico occhio che gli era rimasto, era lucido. Forse per il fumo sprigionato dalla pira, forse per il dolore.





   
 
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