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Autore: Lacus Clyne    20/04/2013    4 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uuuh, finalmente EFP è tornato al suo posto! >_< Ne approfitto per pubblicare un nuovo pezzo, con le rivelazioni al santuario dell'ambra! >_<<3 Prossimamente, ispirazione permettendo, cercherò di pubblicare anche alcuni disegni dei personaggi! >__< Buona lettura, miei silenziosi amici! <3

 

 

 

 

 

 

Il santuario dell’ambra si trovava all’esterno della residenza Trenchard. Impiegammo oltre due ore per raggiungerlo, o almeno così ci disse Shemar. Non potevamo usare i grifoni, per l’alto rischio di imbatterci nei messi della Croix du Lac. Sarebbe stato un problema, dal momento che se avessero saputo che mi trovavo nell’Underworld avrei automaticamente esposto colei che mi aveva preso sotto la sua tutela, e non potevo essere così sconsiderata da farmi scoprire. Certo, c’era anche la possibilità che il professor Warren avesse spifferato ogni cosa, visto che sembrava piuttosto in confidenza con le alte sfere dell’Impero, ma in quel momento non volevo prendere in considerazione quell’eventualità. Mentre viaggiavamo a bordo di una carrozza, guardavo Damien che osservava pensieroso il paesaggio eternamente notturno. Non era difficile immaginare cosa stesse pensando, ma non conoscevo nessun modo per essergli d’aiuto se non lo stare zitta. Durante il lungo tragitto sui sentieri sconcesi, Amber ci parlò della presenza di santuari dedicati agli amuleti leggendari presenti su tutto il territorio dell’Underworld. Il più importante si trovava ad Adamantio, ed era il luogo in cui risiedeva la Croix du Lac, nel cuore del palazzo imperiale. Tutti gli altri santuari vi facevano capo, e ognuno di essi godeva di prestigio tale da impedire qualunque affronto e attacco esterno, salvo quello degli imperiali, che avevano già in passato operato per rendere inoffensivi coloro che conoscevano la verità. Indugiai sulla collana che aveva al collo, la stessa che mi aveva mostrato la sera prima, il simbolo evidente della sua proprietà. Raccolsi poi il mio ciondolo, che da quando aveva reagito, brillava del colore che meglio conoscevo, l’ametista, come se si fosse risvegliato da un lungo sonno. Chissà se mia madre conosceva tutte queste storie…

- Siamo arrivati.

Ci informò Shemar, alla guida della carrozza, quando il viaggio fu terminato. Ci aiutò a scendere, e la prima cosa che vidi non appena ebbi messo piede a terra, fu la bellezza di quel santuario. Altissime torri svettavano nel cielo notturno, bianchissime, completamente in marmo. L’intera facciata era decorata con vetrate e finestre, ma quello che mi colpì più di ogni cosa fu il giglio ambrato in evidenza sul frontale, in alto, a simboleggiare la magnificenza e la potenza di quel sigillo sacro.

- E’ davvero molto tempo che non vengo qui… suppongo che Lady Octavia mi rimprovererà per questo.

Sospirò Amber, per poi sistemare un leggerissimo e decorato mantello color pesca sulle spalle. Così fece anche Shemar e così anche noi. Si trattava pur sempre di un luogo sacro, occorreva portare rispetto. Sybille aveva scelto personalmente per noi quei mantelli, erano di seta, molto semplici. Il mio era glicine, dello stesso colore del vestito che indossavo, quelli di Shemar e di Damien neri. Per una volta, guardandoli entrambi, mi sembrarono molto simili. Quando varcammo la soglia del santuario, un piacevole profumo incensato mi colpì le narici. L’interno rispecchiava l’esterno, cambiava soltanto la consistenza della pavimentazione, in granito e il gioco di luci donava all’ambiente una meravigliosa sequenza di luci colorate. Per il resto, silenzio e calma celestiale. Avanzammo seguendo Amber che camminava sicura lungo il colonnato centrale, fino a giungere a una nicchia con un altarino. Si inchinò, pregando silenziosamente e noi rimanemmo alle sue spalle.

- La luce che dirada l’oscurità… segui il sentiero che porta alla fonte dell’ambra... qui il giglio riposa…

Qui il giglio riposa… il giglio ambrato.

Ascoltai quelle parole bisbigliate col batticuore. Erano così simili alle parole della canzone… così vicine da sembrare quasi identiche se non fosse per il soggetto che cambiava. Avrei voluto chiederle il motivo, ma quel momento era troppo importante per parlare. Un altro tassello che prendeva forma nella mia mente.  

Nel silenzio rotto soltanto da quelle parole, un secondo rumore, passi. Ci voltammo, una figura esile con indosso un lungo abito color panna con strascico dorato stava venendo verso di noi. Amber si rialzò, oltrepassandoci per accoglierla.

- Lady Octavia, perdonate questa visita improvvisa.

Disse, sorridendo.

La donna ci raggiunse, fermandosi di fronte ad Amber. Era molto bella nonostante i lineamenti scavati che ne indicavano inequivocabilmente l’età. La pelle adamantina, gli occhi fulvi, i capelli ingrigiti raccolti in uno chignon dietro la nuca. Sulla veste, proprio in mezzo al petto, spiccava un giglio ricamato.

- Amber Trenchard?

Chiese, con voce stupita.

-  Sì, signora, sono proprio io.

- Amber… la piccola Amber…

Bisbigliò e dagli occhi fulvi presero a scorrere lacrime.

- Bambina adorata, ho tanto pregato per te!

Esclamò, abbracciandola.

Guardammo la scena con silenziosa commozione, Lady Octavia doveva conoscere Amber da quand’era piccola.

- Vi ho portato un’amica, signora.

Sorrise, senza sciogliere quell’abbraccio e guardando verso di me. L’anziana sollevò il viso, sgranando gli occhi.

- Santi numi…

Pronunciò incredula, tendendo verso di me le dita febbrili.

- Santi numi… l’ametista nelle mani di quella bambina…

Quelle parole mi agitarono, per qualche istante esitai ad avvicinarmi, percepivo una strana sensazione.

- I-Io sono Aurore… Aurore Kensington!

Mi affrettai a precisare, stringendo nella mano il mio ciondolo.

- Prego, cara?

Domandò, ancora più confusa.

- Sarà il caso che vi spieghi tutto con calma, Lady Octavia.

Propose Amber, poi ufficializzò le presentazioni secondo un copione che già conoscevo.

- Aurore, Damien, questa è Lady Octavia Zilliacus, la gran sacerdotessa del santuario dell’ambra di Shelton.

Damien fece un breve cenno col capo, io mi limitai ad annuire. Ero stranamente inquieta.

Poi, come se d’improvviso di fosse ripresa, l’anziana Lady mi raggiunse, sfiorandomi il viso con le mani fredde. Solo allora potei vedere chiaramente che i suoi occhi erano velati da una patina che nascondeva completamente la pupilla. Quegli occhi non potevano vedere.

- Bambina cara… perdona lo stupore di questa vecchia senza vista. E’ passato così tanto tempo da quando ho potuto vedere l’ametista coi miei occhi, non credevo che mi sarebbe stato ancora concesso.

Confusa, mi rivolsi ad Amber, che prontamente ci tese le mani.

- Andiamo, desidero proprio bere un buon the, Lady Octavia.

Suggerì, e la donna prese le sue mani, conducendoci all’esterno del santuario, in una dimora altrettanto sacra, la sua. Era finemente arredata, si respirava un profumo di violette del pensiero. Ci disse che erano i suoi fiori preferiti, ma da tempo non crescevano più.

- In quest’epoca è quasi vietato pensare.

Rise amaramente, facendoci accomodare sui divani.

- Allora, caro Shemar, sono questi i due giovani che hai condotto qui? Hai avuto difficoltà in quel mondo estraneo?

Chiese, rivolgendosi a Shemar che sedeva accanto ad Amber.

- A dire il vero è stato più difficile abituare gli occhi alla troppa luce.

Sorrise imbarazzato, la donna annuì. In effetti era una cosa a cui non avevo pensato, ma anche per noi era stato difficile abituare gli occhi alla condizione opposta. Però potevo solo immaginare che per Shemar era stato come spalancare gli occhi da una lunga cecità. Al contrario, Lady Octavia sembrava perfettamente a suo agio nonostante questa.

- Sai bambina… ho perso presto la vista, quand’ero soltanto una ragazza. Accadde molti anni fa ormai, ma non temo il buio, perché il ricordo della luce è sempre dentro di me.

Disse poi, volgendosi verso di me.

- Sono belle parole…

Commentai, ma mi sentivo davvero a disagio in quel momento. Fuori luogo, forse. Lo percepì e mi rassicurò.

- Originariamente, io vivevo a Challant, in una zona periferica, proprio vicino al secondo grande canale.

- Davvero? Lei viene da Challant? Ma… il suo cognome…

Annuì, poi sorrise al ricordo dei suoi anni giovanili.

- A quel tempo l’Underworld era meraviglioso, un Impero prospero e lussureggiante. Troppo presto perché lo spettro del tradimento e della morte lo corrompesse. Allora, nonostante una malattia mi avesse portato via la vista, incontrai colui che cambiò la mia vita, mio marito, Lord Alistair Zilliacus, di Shelton e così mi trasferii qui. Ci amammo molto, ma non avemmo figli. Ho vissuto una vita meravigliosa, nonostante ciò che non ho mai potuto avere. Alla sua morte, avvenuta troppo precocemente, ne ereditai il nome e i possedimenti, ma non desideravo onorificenze e beni materiali, che al contrario utilizzai per dare lustro maggiore a questo meraviglioso santuario, portato avanti dalla famiglia Zilliacus da generazioni. Sai, piccola cara, ho visto molte coppie passare da qui chiedendo una preghiera per poter mettere al mondo dei figli o per essere felici. Ho visto nascere amori, ho visto nascere bambini meravigliosi e ho aiutato qualcuno di essi a crescere. Purtroppo, ho visto anche gente morire, tanta, ingiustamente.

Mi colpiva la facilità con cui usava la parola “vedere”, quando le era impossibile, almeno fisicamente. Ma gli occhi del cuore erano più forti di quelli della mente, e nessuna barriera era d’ostacolo a chi era capace di vedere col cuore. Mi commosse vederla accarezzare la mano di Amber, così giovane al contrario della sua, così rugosa e compresi a chi si riferiva, per poi avere conferma da parte della ragazza.

- Mia madre era una sua allieva, sai, Aurore?

- L’avevo immaginato.

Sorrisi, poi tornai a guardare l’anziana.

- E non soltanto lei. Vere Vanbrugh e Fenella Ashworth. Erano grandi amiche quelle due.

- Quale delle due è tua madre, Amber?

- Fenella. Mia madre era Fenella Ashworth. Mentre Lady Vere Vanbrugh…

Esordì, guardando Shemar, che abbassò lo sguardo.

- T-Tua madre? U-Una Vanbrugh?

Domandai incredula, mentre Damien cercava di mettere ordine in qualcosa che doveva sicuramente apparirgli piuttosto confuso. Del resto lo potevo capire, Amber mi aveva parlato delle famiglie, ma non credevo che fossero anche imparentate tra loro.

Improvvisamente Lady Octavia sobbalzò, facendoci spaventare.

- Che succede, signora?

Chiese Amber, con la preoccupazione dipinta sul suo bel viso di porcellana.

- Ho scordato il nostro the.

Si scusò, e noi tutti ci tranquillizzammo. L’età in fondo era avanzata anche per quella donna, sebbene non potessi stabilire con esattezza quanti anni potesse avere.

- Lorraine! Puoi portarci del the, per favore?

Chiese e una ragazza smilza, dai lunghi capelli castani, si fece avanti. Doveva essere un’apprendista, a occhio e croce aveva circa diciassette anni.

- Subito, signora.

Rispose pacatamente, poi s’inchinò a salutarci e si allontanò. La servitù nell’Underworld era certamente silenziosa, ma non si poteva dire che fosse ribelle. Pensai a tutte le volte che mi ero opposta alle richieste della mamma in nome del troppo studio, mi sentii davvero in colpa. Una volta tornati a casa, tutto sarebbe cambiato, me lo ripromisi. Poi, ripresi la parola.

- Voi avete detto di aver visto l’ametista molti anni fa, non è così?

- Certo, nel santuario di Challant. Era meravigliosa, a quel tempo ne rimasi incantata. Ero molto giovane, ma è la sola che ho potuto vedere con i miei propri occhi, e la sola che riconoscerei tra tutte, senza esitazione. La sua scomparsa fu una delle cause che portarono Challant alla rovina…

Sussultai, Challant… era in rovina? Il luogo da cui l’ametista proveniva… era in rovina?

- Signora, potreste parlarci del Despota?

Domandò Damien, cambiando completamente discorso. Ma del resto, era ciò che gli premeva maggiormente sapere. Lady Octavia si voltò verso di lui, sembrava volerlo scrutare a fondo, ma Damien rimase imperturbabile.

- Cosa desideri sapere, giovane Warrenheim?

Chiese e mi stupì del fatto che conoscesse il suo nome, dato che non gliel’aveva detto. Damien sollevò il sopracciglio, rimanendo a braccia conserte, sebbene potessi giurare che fosse piuttosto seccato del sentirsi chiamare nuovamente a quel modo.

- Qualunque cosa riguardi questa figura.

Rispose, monocorde.

- Un tempo, il Despota era la personalità più potente dell’Underworld. Colui che possedeva il potere, ma soprattutto, colui a cui era permesso l’accesso al Sancta Sanctorum. Soltanto a lui era concesso di accedervi e venerare personalmente la Croix du Lac. Entrambi governavano sul nostro mondo, ma ciononostante, egli doveva in ogni caso prostrarsi alla Croix du Lac.

- Cos’è la Croix du Lac?

Domandò, incalzando. Era determinato a conoscere quante più informazioni possibili, ma non credevo che la risposta che avrebbe avuto sarebbe stata differente da quella che avevo avuto io. Lady Octavia sorrise, poi gli tese la mano.

- Dammi la mano, ragazzo.

Damien la guardò perplesso, proprio come io avevo guardato lui nella sala da bagno della residenza Trenchard, poi dopo aver valutato attentamente il rischio, sciolse la posa composta e le tese la mano. Non appena la raccolse, il contrasto tra la pelle più scura di Damien e quella bianchissima dell’anziana fu evidente quasi a sottolineare una natura diversa, ma fu poca cosa rispetto alla reazione di Damien, che si tirò immediatamente indietro come se avesse preso una scossa elettrica.

- Che è successo?!

Domandò irrigidendosi.

- Desideravo poter appurare se fosse possibile fidarmi oppure no.

Rispose tranquillamente Lady Octavia.

- Non temete, signora. Questo ragazzo non ha niente a che vedere con la famiglia Warrenheim.

La rassicurò Amber, mentre Damien sfregava nervosamente il dorso della mano.

- Tutto bene?

Sussurrai ricevendo un’occhiata per risposta.

Lady Octavia ridacchiò, poi posò le mani in grembo tornando seria.

- Sei molto diverso, ragazzo e porti un grande dolore nel cuore. Possa esso trovare sollievo, un giorno.

Damien sbottò, scostando il viso con un gesto di stizza.

- Sarei andato da un prete se avessi avuto bisogno di conforto. Per favore, potete rispondere alla mia domanda?

Chiese nuovamente, con un tono più arrogante. Evidentemente la donna aveva toccato un tasto dolente per lui, anche se risponderle in quel modo era stato un po’ troppo, tanto che vidi sia Amber che Shemar stupirsi.

- Nessuno ne conosce la vera natura, ragazzo.

Un buco nell’acqua, come pensavo. Strinsi i pugni, chiedendomi in che modo mai avremmo potuto scoprire cosa diavolo fosse. Al silenzio che venne a crearsi, subentrò il rumore dei passi. Lorraine tornò in sala, reggendo un vassoio con delle tazze fumanti.

- Grazie, cara.

Disse Lady Octavia, non appena l’ebbe posato sul tavolo.

- Signora, se non avete bisogno di me, potrei andare?

Chiese educatamente.

- Certamente.

Sorrise, per poi congedarla.

Davanti a quel the profumatissimo, l’anziana ci raccontò che da molti anni i santuari erano rimasti quasi vuoti ed era una rarità trovare giovani apprendisti, Lorraine era un’orfana di un villaggio vicino che aveva deciso di consacrare la sua vita al santuario. Quei luoghi tuttavia, originariamente nati per dare speranza, dopo la ribellione erano diventati luoghi testimoni di grande dolore, a causa della repressione attuata persino sui propri ministri.

- Voi siete stata graziata, però.

Osservai, sorseggiando il delizioso the, dal sapore dolcemente speziato.

- Soltanto perché non ero un bersaglio. Una cieca che non aveva potuto vedere… che non poteva conoscere la verità…

- Che successe, Lady Octavia?

Domandai.

Strinse il manico della tazza con più energia, senza bere, poi sollevò il viso verso di me.

- Bambina, puoi cantare la tua canzone per me?

- Quale canzone?

Chiesi stupita di quella richiesta, poi compresi. Una vecchia cieca in grado di vedere oltre… nemmeno le guardie della Croix du Lac non avevano intuito di cosa fosse capace davvero. La guardai, poi posai la mia tazza di the, quasi vuota, e cantai quei versi che conoscevo, che erano impressi nella mia mente… nel mio cuore.

- La pierre qui brille dans le noir… suivez la route qui mène au lac des diamants… ici la Croix reste…

Ici la Croix reste… la Croix du Lac.

Cercai di intonarli al meglio, anche se non riuscivo a ricordare benissimo la melodia e temetti che la mia performance canora non fosse tanto piaciuta ai miei ascoltatori, soprattutto ad Amber che mi guardava sbalordita.

- La pietra che brilla nell’oscurità… segui la strada che porta al lago di diamanti… qui la Croix riposa…

Qui la Croix riposa… la Croix du Lac.

Riprese la sacerdotessa. Quelle parole, pronunciate dalla sua voce roca, assumevano una sfumatura solenne e magica.

- Che significa questo, Lady Octavia? Soltanto ad Adamantio è permesso intonare quel canto, non è così?

Domandò Amber, incredula e io riflettei su quelle parole. Ogni territorio aveva un suo sigillo distintivo e se il canto di Amber parlava del giglio ambrato, era perché si riferiva a Shelton, la sua terra d’origine. Allora perché io che portavo l’ametista conoscevo quel canto? Era la canzone che la mamma cantava quand’ero piccola, non tornava. Mi rivolsi verso l’anziana, attendendo una riposta anch’io.

- Bambina cara, come conosci questo canto?

Mi chiese.

- M-Mia madre, signora… mia madre me lo cantava quand’ero piccola… non tutto, soltanto qualche verso… questi per l’esattezza… ma quando ho sentito Amber intonare quella preghiera, così simile eppure diversa, non ho più capito nulla…

- Tua madre? Qual è il suo nome?

- Celia… Celia Kensington, signora.

Portò la mano al mento, pensierosa. Cercai di intuire qualcosa, ma era era difficile riuscire, sembrava troppo assorta. Così, mi rinchiusi anch’io nei miei pensieri, riflettendo su quante cose mi erano state taciute, cercando di capire il motivo di tutto questo. Era indubbio che la mamma volesse proteggermi, ma era altrettanto oscuro il perché. Non possedevo nessun valore, se non quello che una figlia possa possedere per i propri genitori, non avevo capacità particolari, escludendo i miei incubi che più che capacità mi sembravano una maledizione, perciò, per quale motivo dovevano avere qualche interesse per me in questo mondo? Era molto più plausibile che stessero cercando proprio mia madre, probabilmente convinti che fosse ancora in possesso dell’ametista, altrimenti, per quale ragione il professor Warren non mi aveva catturata quando ne aveva avuto l’occasione? E poi il piccolo Jamie, altra vittima di quella follia… guardavo Damien, teso dopo le strane parole rivoltegli dalla donna che continuava a rimuginare. Non era difficile immaginare che stesse pensando al motivo per cui si era rivolta a lui in quel modo. Poi, Lady Octavia si mosse impercettibilmente, come risvegliatasi.

- Sembra che sia impossibile leggere nei tuoi ricordi più profondi, piccola. E’ come se fossero protetti da qualcosa.

Sobbalzai, nel sentire quelle parole pronunciate con incredibile tranquillità.

- L-Leggere?

- Lady Octavia ha sviluppato un senso particolare in concomitanza con la perdita della vista. Può vedere quello che c’è dentro al cuore di una persona.

Spiegò Amber, ma ero troppo concentrata su quel “ricordi”. I miei ricordi erano soltanto miei, preziosi e intimi, ma non erano così misteriosi al punto da leggervi dentro.

- Perdonate la mia maleducazione…

Esordii, rigirando nervosamente i pollici.

- Non sono venuta qui per farmi scrutare nell’animo… ma soltanto per scoprire qualcosa in più su mia madre. E’ stata portata via dalle guardie della Croix du Lac dopo avermi donato questo ciondolo e il mio desiderio più grande è quello di ritrovarla e riportarla a casa sana e salva. Vedete, io ho sempre convissuto con i miei incubi… ma non ho mai saputo niente di questo mondo fino a che Shemar Lambert si è presentato al mio cospetto chiedendomi di impedire che i seguaci della Croix du Lac mi trovassero… ma io non so niente di niente riguardo a tutto questo… e sono confusa, perché mi sono ritrovata catapultata in un mondo di cui ignoravo l’esistenza e per di più privata delle persone per me più importanti.  

Amber posò la mano sulla mia, dandomi coraggio. Ne avevo molto bisogno in quel momento. La guardai, mi ricordava Violet, la dolce amica che avevo abbandonato in preda al dubbio più assoluto.

- Scusami…

Mormorai, incapace per un attimo di realizzare a chi volessi dirlo davvero.

- Ascolta, piccola Aurore… tutto ciò che posso dirti in questo momento è di non lasciare che la paura ti impedisca di aprire il tuo cuore.

- Lo faccio già, signora…

Dissi a bassa voce, poi cominciai a parlare, lasciando scorrere tra le parole le immagini e le sensazioni dei miei incubi peggiori.

- Sin da piccola ho sofferto di incubi. Uno in particolare, quello ricorrente… mi ha sempre terrorizzata. Mi trovo al buio, senza riuscire a definire né il luogo né il tempo. La sola cosa che riesco a sentire sono i passi, sempre più incalzanti di più persone spaventate. Riesco a sentirne quasi il terrore, a percepirlo come se lo stessi provando in prima persona. Non ho mai tanta paura e tanta ansia quanta ne ho in questo caso e poi, improvvisamente sento dolore, un dolore lancinante, dovuto a una caduta in mezzo a dei rovi… quando cerco di rialzarmi mi lacerano e il sangue mi scorre addosso… e poi ciò che mi terrorizza più di ogni cosa, all’improvviso, una mano oscura che si protende verso di me e mi… mi…

Senza rendermene conto cominciai ad agitarmi, come se stessi rivivendo quell’incubo ancora una volta. Sola, senza Evan, senza la mamma, in un mondo estraneo… sola… sola… fino a spalancare gli occhi e vedere davanti a me i miei ascoltatori sbigottiti.

- S-Scusate, credo di essermi lasciata prendere dalla foga…

- Va tutto bene, Aurore…

Mi rassicurò Amber, che non aveva mai smesso di stringermi la mano. Non me n’ero accorta, ma stavo piangendo.

- Sembra che sia molto nitido… nonostante la totale assenza di luce.

Intervenne Lady Octavia.

- In realtà è più un insieme di sensazioni…

Spiegai, ripensando allo strano seguito.

- E poi, in un altro, più recente, ho visto una strada costellata di diamanti, lontano dai rovi e alla fine del sentiero, una fontana…

- Una fontana?

Domandò Amber, perplessa, io annuii.

- Una fontana bellissima, molto grande… e cinque statue raffiguranti delle donne che versano acqua, continuamente. Ora che ci penso su ognuna spiccava una pietra. Ma quello che mi ha colpito maggiormente, è stato un riflesso… per un attimo ho avuto la sensazione di vedere la Croix du Lac, ma adesso non sono più così certa che fosse proprio quella.

Mormorai suscitando ancora più confusione in Amber e in Shemar, mentre Damien si limitò ad osservarmi.

- Che vuol dire? Com’è possibile qualcosa del genere?

Chiese Shemar.

- Sembra proprio che tu sia in connessione con la Croix du Lac. Aurore, sei per caso una discendente dei Delacroix?

Domandò l’anziana, costringendo i nostri compagni dell’Underworld a voltarsi sgomenti verso di lei.

- Chi sono i Delacroix?

Chiesi.

- Non si parla più di loro da anni ormai…

Commentò Amber, guardando Shemar che annuì silenziosamente.

- La prima famiglia. La più antica di tutto l’Underworld, nonché i primi custodi della Croix du Lac.

Riprese l’anziana.

- Effettivamente… Croix e Delacroix somigliano molto…

Intervenne Damien.

- E’ vero…

Riconobbi, guardandolo.

- Fu quella meravigliosa famiglia a dare origine a tutto. In questo mondo, un tempo, non vi erano governi oligarchici, ma soltanto una famiglia che governava su tutto, da Adamantio. Fu l’epoca d’oro del nostro mondo, ogni cosa era in sintonia, ogni creatura vivente, tutto era in armonia.

- E poi cos’accadde?

Chiese Damien, interessato da quel discorso. Era la prima volta che lo vedevo così preso da qualcosa, solitamente era sempre molto scettico.

- Poi vennero le altre famiglie e dettero vita ai singoli governi, basati su sistemi di alleanze fondati sui matrimoni tra i membri delle varie casate. Nel corso del tempo, divennero sempre più potenti, ma i Delacroix, che detenevano ancora il potere, non accettarono la brama di potere sempre crescente di alcuni esponenti. Allora, le famiglie si coalizzarono, dando vita per la prima volta all’elezione del Despota, che avrebbe contrastato l’Imperatore dei Delacroix.

- Dunque originariamente esisteva un Imperatore?

Domandai.

- Sì, è così. Vi fu una grande guerra, secoli fa, da cui i Delacroix uscirono sconfitti e furono costretti ad abbandonare Adamantio per sempre, mentre il primo Despota sedette sul trono di Adamantio, dando vita al sistema attuale.

- Perché furono cacciati?

Chiesi, stupita. Anche se erano sconfitti, non avevano fatto niente di male.

- Ovviamente perché lo sconfitto deve sottostare al vincitore, no?

Mi fece notare Damien con aria di sufficienza. Lo guardai di sbieco.

- Non è esattamente così, Warrenheim.

Rispose Lady Octavia.

- Furono messi nella condizione di non nuocere, privati della Croix di Lac che proteggevano. Lontani da Adamantio, non avrebbero più potuto venerarla e così sarebbero stati estromessi da ogni possibile scenario politico in quanto ne avrebbero perso per sempre il favore.

- Ed è stato così…

Continuò Amber.

- Ricordo alcuni discorsi di mio padre su quella famiglia, anche se in modo molto confuso dato che ero molto piccola a quel tempo… questo però risale a circa cinquecento anni fa… col tempo, i Delacroix si sono ridotti a pochi sopravvissuti, fino a diciotto anni fa, quando furono completamente annientati, non è vero?

Lady Octavia annuì, poi si voltò verso di me.

- Ma se tu sei collegata ai Delacroix allora sei una speranza per questo mondo senza luce…

- Non è possibile, il mio nome è Aurore Kensington, io non vengo da questo mondo, signora…

Ribadii.

Sorrise gentile davanti alla mia perplessità.

- Nemmeno il giovane Warrenheim credeva nelle sue origini, e invece suo padre è uno dei più importanti membri del Consiglio di governo di Adamantio.

- Nonché traditore e assassino.

Intervenne Shemar, con voce rabbiosa che ci fece trasalire.

- Che vuoi dire?

- Chi credi che sia stato a ordinare la morte dei nostri genitori? La madre e il padre di Amber, mia madre… e chissà quanti altri nobili hanno perso la vita a causa dei suoi folli ordini!

Disse, irato.

- Shemar…

Sussurrò dolcemente Amber, stringendogli la mano che tremava.

Guardai Damien, i suoi occhi verdi erano improvvisamente spenti.

- Damien?

Chiesi preoccupata.

- Come ti ho già detto, Shemar… io non ho legami con quel bastardo. Anzi, non appena avrò la possibilità di incontrarlo faccia a faccia, ti giuro che lo ucciderò con queste stesse mani.

Parlò, la voce fredda su quel volto inespressivo, quasi cadaverico, che ci costrinse al silenzio.

Quanto odio doveva nutrire dentro di sé quel ragazzo… chissà cosa aveva fatto quell’uomo di così terribile da costringerlo a odiare il suo stesso padre al punto tale da desiderarne la morte. Poi pensai a me, a questa nuova rivelazione, al fatto che potessi essere in qualche modo legata ai Delacroix.

- Lady Octavia, posso chiedervi un’ultima cosa?

Domandai, alzandomi.

Quasi come se avesse letto nel mio cuore ciò che desideravo chiederle, si alzò e mi strinse le mani. Fu una sensazione unica, mai provata prima, incredibilmente rilassante. Mi sentii tranquilla, per la prima volta da quando ero arrivata in quel mondo.

- Pregherò per lui. Sono certa che troverà la pace che merita. E mi auguro che anche tu possa trovare ciò che cerchi. Ti chiedo soltanto di prestare molta attenzione. Se sei davvero legata ai Delacroix, ti aspettano prove difficili, bambina. L’ametista ti proteggerà, ma tu fa’ in modo che non ti accada niente.

Disse, io acconsentii, stringendole le mani a mia volta.

- Grazie di tutto.

Sorrisi, mentre anche gli altri si alzarono.

- Che la luce della speranza vi accompagni, bambini cari.

Disse l’anziana.

Amber le strinse le mani, inchinandosi.

- E che voi possiate darci ancora buoni consigli, signora.

Non rispose a quella richiesta, ma si limitò a stringere a sua volta le mani di Amber.

Dopodichè, andammo via, con una rinnovata serenità nel cuore e una traccia da cui cominciare. Facemmo ritorno alla tenuta Trenchard nel pomeriggio, ma al nostro arrivo, ci attese una inaspettata quanto sgradita sorpresa. Avevamo superato da tempo i cancelli, eravamo ormai nei pressi del grande spiazzo d’ingresso, quando Shemar fermò la carrozza di colpo.

  
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