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Autore: Eloise_Hawkins    20/04/2013    11 recensioni
[Missing Moment da "Cenerentola e altre fiabe"]
E in quel momento aveva pensato che lei fosse quanto di più prezioso potesse avere. Poteva circondarsi di sete raffinate, argenteria di inestimabile valore, mobili antichi; poteva fregiarsi di un nome altisonante, del titolo che il suo sangue gli conferiva, e con quello poteva piegare alla sua volontà chiunque fosse abbastanza sciocco da farsi intimorire da quelle che – ora lo sapeva – erano solo illusioni. Ma lei – niente avrebbe potuto comprarla – nulla avrebbe potuto corromperla – e sarebbe stata sua, per sempre, il suo gioiello più pregiato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Cenerentola e altre fiabe'
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Per tutto il tempo

 

 

Capitolo unico

Il lago dei cigni – ovvero di fortuna, metamorfosi e irreparabilità

 

 

«Stanotte ho fatto un sogno stranissimo:

una ragazza viene trasformata in cigno.

Solo l’amore può spezzare l’incantesimo»

 

Era successo una mattina di Aprile. Un pallido sole filtrava da nuvole leggere, candide come il manto di neve che durante l’inverno aveva coperto la strada.

Jamie, trascinato dalla salda presa di una madre che ha troppa fretta, piagnucolava e si lamentava, pestando i piedi e urlando tutto il suo disappunto.

« Anche io voglio un elfo domestico. Lo voglio, mamma, lo voglio! » Non è mai stato tanto difficile, per lui, ottenere qualcosa: l’assenza dei suoi genitori è stata per cinque, lunghissimi anni, un peso con cui fare i conti, ma puntualmente riempito da giocattoli e ninnoli. Non una carezza, non una coccola, ma a lui non importava: cresceva bene, tra la ricchezza che solo un bambino può reputare appagante.

« Ti ho già detto che non lo avrai. E ora sta’ zitto, i Babbani hanno orecchie indiscrete » ribatté con tono caustico la madre, gettando un’occhiataccia a una donna di mezz’età, che alla parola “elfo domestico” aveva arricciato il naso, certa di aver sentito male.

Jamie scoccò a sua madre uno sguardo rancoroso, le labbra increspate in una smorfia che prometteva solo capricci e monellerie. Mentre incrociava una ragazza dai capelli crespi, a cui non rivolse che uno sguardo frettoloso, il bambino desiderò con tutte le sue forze che la sua richiesta venisse esaudita. E la speranza dei bambini, si sa, è una fiamma viva che non conosce fine. Quella di un piccolo mago, poi, è un incendio che divampa sin troppo facilmente.

Quella fu la prima magia del piccolo Jamie Wallace: involontaria e ardente, ma ignota a lui e a chiunque gli stava accanto. Ignota persino a Hermione, che senza rendersene conto si trovò a camminare su piedi piatti e ossuti, a nuotare in vestiti improvvisamente troppo grandi, a specchiarsi in occhi enormi che non le appartengono. Come non le appartiene quel naso lungo e appuntito, o le mani maldestre e nodose. Come non le appartiene quella pelle verdastra in cui si trova imprigionata senza un perché.

 

***

 

Quando Hermione Granger si guardò allo specchio, non riuscì a credere ai suoi occhi. L’urlo di panico che le sfuggì dalle labbra si spezzò nell’istante in cui la ragazza si rese conto che quella non era la sua voce. La sua razionalità le impedì di precipitare in un abisso di disperazione giusto il tempo necessario a fuggire agli occhi indiscreti dei Babbani e rifugiarsi in un angolo buio in attesa di un’idea migliore. La sua bacchetta era ancora nascosta tra le pieghe dei vestiti, ormai di tre misure più grandi, che pendevano dalle spalle ossute e lungo le gambe esili, ma lei non osò tirarla fuori, un po’ per paura che qualche mago razzista passasse di lì, un po’ perché non aveva idea delle conseguenze che poteva avere usare una magia che non le apparteneva, dentro un corpo che non era il suo.

Per prima cosa, Hermione cercò di capire come fosse possibile la sua trasformazione, improvvisa e priva di una logica apparente, in un elfo domestico. Era stato lo scherzo di un burlone, il dispetto di un amico o, peggio, l’attacco di un nemico? Rabbrividì appena a quell’idea, scacciandola subito. Era una falla che non poteva permettersi, un’umiliazione che avrebbe bruciato nell’orgoglio, più che nella razionale scoperta della presenza di un pericolo. Si era lasciata cogliere impreparata, come una sciocca. Cosa avrebbe detto Harry? Che l’amore l’aveva cambiata, che l’aveva resa meno prudente? E Ron? Che Malfoy l’aveva fatta diventare matta, che aveva influito negativamente su di lui? E Draco? Cosa avrebbe detto Draco?

Un improvviso conato di vomito risalì l’esofago della creaturina che era Hermione, bruciandole la gola e facendole arricciare il lungo naso per il fastidio. Il sapore acre che avvertì sulla lingua si accentuò al pensiero che non avrebbe nemmeno potuto raccontare a Draco una cosa del genere, perché lui, semplicemente, ne sarebbe stato disgustato.

Accucciata in un angolo, nascosta alla vista di chiunque, Hermione non tentò nemmeno di controllarsi, di frenare la paura, la vergogna o la rabbia: semplicemente, si lasciò andare a quelle sensazioni strazianti che erano state – ma l’avrebbe capito solo in futuro – una delle prime incrinature tra lei e Draco. Non sapeva se fosse più il fastidio, la collera o il dolore; sapeva solo che non aveva voglia di reagire, e che doveva trovare al più presto una soluzione.

Forse la ragazza trasformata in elfo per un crudele gioco del destino sarebbe rimasta in quel cantuccio per giorni, magari per sempre, se il fato che l’aveva costretta a nascondersi non l’avesse anche attesa, per aiutarla o forse per umiliarla.

 

Draco Malfoy, che passava di lì per un beffardo scherzo del caso, intercettò con la coda dell’occhio un movimento sospetto. Si avvicinò con circospezione, incuriosito dalla forma di quell’essere che gli sembrava, in tutto e per tutto, un elfo domestico. Ma come poteva una creatura del genere trovarsi in un luogo frequentato da Babbani?

Quando il ragazzo si rese conto di non essersi sbagliato, un ghigno malvagio gli arcuò le labbra sottili.

« Razza di stupido esserino » lo richiamò, annullando le distanze che lo separavano dall’elfo. « Che cosa ci fai qui? I tuoi padroni non ti hanno insegnato l’educazione? » gli assestò un debole calcio, ben piazzato tra le scapole dell’essere che, preso alla sprovvista, lanciò uno squittio e rovinò a terra. « Probabilmente ti hanno licenziato, inutile creatura. Ma t’insegnerò io le buone maniere, non temere »

 

Hermione avvertì le dita sottili e conosciute di Draco sulla sua orrida pelle. Trasalì, incapace di comprendere come quelle sensazioni, calde e vivide, ma assolutamente inappropriate in un momento come quello che stava vivendo, potessero possedere il suo corpo nonostante la forma che quest’ultimo aveva assunto.

Il ragazzo la afferrò per il collo, quasi strozzandola con la sua presa salda, così diversa da quella a cui era abituata, priva di quella delicatezza e di quella reverenza che invece, di solito, lui le riservava. Quando percepì il fastidio e la sensazione di soffocamento che seguono una Smaterializzazione, capì che, forse, il destino non era stato poi così crudele, con lei.

O, forse, sì. Perché, di tutte le persone che poteva incontrare, era incappata proprio in Draco Malfoy? Il suo compagno, certo, ma anche un ragazzino viziato che non ha rispetto per creature come quella in cui lei si era accidentalmente trasformata, nonostante i tentativi di persuasione continuamente operati. L’umiliazione che le bruciò lo stomaco era forse più intensa della paura e del dolore dovuto al calcio e alle dita scortesi con cui lui la stava sorreggendo.

Le lacrime che le solcavano il viso si erano già asciugate quando lei e Draco atterrarono sul pavimento di una camera da letto riccamente arredata, adorna di stoffe preziosi e quadri pregiati. Quello era Malfoy Manor, senza ombra di dubbio.

Draco la scaraventò sul pavimento senza cortesia, prima che lei riuscisse a elaborare un piano, a concepire un’idea. Le sfuggì un lamento che lui frenò immediatamente con un rimprovero crudele, ma soddisfatto.

Tremando, Hermione si accucciò sul pavimento, indecisa sul da farsi. Rivelarsi avrebbe significato sconvolgere Draco, essere umiliata e sminuita, sopportare le sue risate e le sue offese e sopperire alla vergogna. D’altra parte, però, tacere poteva rivelarsi più doloroso del previsto. L’omertà non è, tuttavia, una caratteristica dei Grifondoro: non si sarebbe lasciata schiacciare, né vincere, da un ragazzino prepotente e borioso che approfittava della sua posizione di inferiorità per sentirsi più forte. Perciò, la ragazza si alzò in piedi, traballando, e puntò uno sguardo deciso e furioso al tempo stesso sul volto del giovane.

« Draco, come ti permetti di trattare così una povera creatura indifesa? » La sua voce era un pigolio acuto ma ugualmente autoritario, che strappò al ragazzo incredulità e rabbia.

« E tu, come ti permetti di rivolgerti in modo così impudente al tuo padrone? » replicò di rimando, una nota stridula ad accendergli il timbro.

Hermione sgranò gli occhi, incredula. Il cuore mancò un battito e lei, vinta da una sensazione che nulla aveva a che vedere con il tono prepotente con cui il ragazzo aveva parlato, avvertì le gambe tremare pericolosamente. Credeva che lui l’avrebbe riconosciuta immediatamente; credeva, nella sua candida ingenuità, di avergli insegnato ad andare oltre le apparenze. Ma non aveva considerato, ancora una volta, la sua arroganza, il suo senso di superiorità: Draco Malfoy non l’aveva guardata negli occhi nemmeno per un istante, troppo concentrato su se stesso per capire che quella che lui chiamava impudenza fosse in realtà magia. Presa in contropiede, la ragazza non riuscì a vedere la mano implacabile del giovane, che si chiudeva sulla sua gola con una ferocia compiaciuta e gratuita. Mentre si divincolava da quella presa meschina, scalciando e squittendo, la bacchetta scivolò dalla tasca in cui era nascosta e rotolò sul pavimento.

 

Draco vide la piccola asta di legno prima ancora di sentire il ticchettio legnoso con cui essa cadde a terra. L’iniziale sgomento si tramutò dapprima in una crudele soddisfazione e poi, quando i suoi occhi si posarono sull’oggetto, in una paura rabbiosa e cieca. Il ragazzo non impiegò più di qualche secondo a riconoscere la bacchetta: era la stessa che gli aveva insegnato molti incantesimi, la stessa che aveva curato le sue ferite, risolto i suoi problemi, riparato ai suoi errori. Era la bacchetta di Hermione.

« Dove hai preso questa bacchetta? » domandò collerico, strattonando la creaturina che sorreggeva e ignorando i suoi esili lamenti. « Rispondi! » urlò ancora, non avendo ricevuto risposta.

 

Hermione serrò gli occhi, terrorizzata. Non sapeva come comportarsi: era una situazione nuova, che la terrorizzava. Si trovava in uno stato di netta inferiorità, priva di difese e di vie d’uscita, senza possibilità di contrattacco perché la sua unica arma d’offesa, ammesso che potesse usarla anche in quella forma, era tra le mani del suo aguzzino. Come se non bastasse, il suo aguzzino era anche l’uomo che amava, e, se da un lato questa situazione poteva sembrare favorevole, in realtà non lo era affatto. Draco, in quel momento, provava per lei una repulsione ben evidente nei gesti violenti e nella smorfia disgustata che gli contraeva il volto. Si stava comportando come un bambino, o peggio, con quella meschinità che lei credeva non gli appartenesse più: la stava trattando come l’ultimo dei vermi.

 

Non poteva sapere che quello di Draco era un bisogno intimo e antico, accresciuto dall’improvvisa paura che l’aveva colto quando aveva visto la bacchetta di Hermione, ma non lei.

Draco Malfoy era sempre stato abituato ad avere tutto: che fosse un desiderio materiale o il semplice potere di disporre di chiunque a suo piacimento, ogni suo desiderio era sempre stato un ordine. A casa sua, come nel dormitorio in cui aveva passato sette anni della sua giovane vita, era stato prima un principe e poi un re. Aveva sempre avuto il potere.

Poi era arrivata la guerra, e insieme a quella Hermione Granger. Con la prima Draco aveva imparato che lui era il re di uno stagno in cui vivevano pesci minuscoli, ma che lui, nel mare, non sarebbe sopravvissuto un secondo; la seconda le aveva insegnato che, in fondo, il suo era uno stagno molto bello.

La sua natura, tuttavia, poteva anche essere soffocata e levigata dalla presenza di Hermione, ma continuava a spingere di tanto in tanto contro il suo petto, cercando una via d’uscita da quella gabbia di amore e dolcezza che la stava domando. Era un bisogno, il suo, che non poteva di certo confessarle, ma di cui si rendeva conto, con dolorosa consapevolezza, in quel momento: non era abituato a sentirsi debole, a sentirsi inferiore, e la vicinanza con quella ragazza, più intelligente e talentuosa di lui sotto tutti i punti di vista, gli stava stretta. Così, quando aveva l’occasione, e soprattutto in quell’istante, sentiva prepotente dentro di lui la necessità di riaffermare la sua dignità e il suo orgoglio, nell’unico modo in cui era capace di farlo: tiranneggiando i più deboli.

Per questo motivo Draco tirò fuori la bacchetta e legò l’elfo domestico a una sedia, con corde tanto strette da costringerlo a lacrime di dolore.

« Dimmi dove l’hai presa! A chi l’hai rubata? Come ti sei permesso? » ringhiò il ragazzo, furioso. Il panico era scomparso, mitigato dalla consapevolezza che uno stupido elfo domestico non sarebbe mai riuscito a fregare Hermione: era troppo furba, troppo intelligente. Ora, solo la collera guidava le sue mosse. Era una sensazione totalizzante, e in un certo qual modo appagante, avere il potere di disporre della vita di qualcuno, possedere tra le mani la capacità di farsi rispettare e temere.

L’elfo singhiozzava, il viso affondato tra le mani lunghe e ossute. Draco non osò scuoterlo ancora, perché non voleva sporcarsi le mani con il sudiciume di un essere tanto inutile.

 

Hermione non sapeva se fosse più la rabbia o la paura, il dolore o il disgusto per quel comportamento tanto meschino.

« Draco » tentò di pigolare, tremante.

« Zitto! Non osare chiamarmi per nome! » gridò il giovane, senza nemmeno chiedersi come potesse un semplice, sconosciuto elfo domestico conoscere  il suo nome di battesimo.

Il lato Grifondoro di Hermione ruggì di rabbia e vergogna e si divincolò dalla presa della paura per sgusciare fuori, risalendo per vie trasverse fino agli occhi. Quando le iridi castane dell’elfo domestico si puntarono su Draco, lui non poté fare a meno di tacere, incredulo.

Sul volto del giovane comparve una smorfia di paura e perplessità al tempo stesso. Il braccio destro, che reggeva la bacchetta, precipitò lungo il fianco, inerte e privo di forze, e la sua bocca, prima contratta in una linea collerica, si distese in una comica “O”. Perché quello, si rese conto all’improvviso, non era lo sguardo di un elfo domestico – almeno, non di uno qualunque. Quello, lo seppe con una certezza dolorosa e disarmante, era lo sguardo di Hermione Granger: solo a lei poteva appartenere quella fierezza indomita, vivida nonostante la situazione, nonostante la sua forma; solo lei poteva mostrare quella bellicosità furente, quella capacità di essere più forte anche quand’era più debole.

Draco indietreggiò, combattuto tra il disgusto e l’incredulità, il sentimento e la paura, la vergogna e l’orgoglio. Indietreggiò, passi piccoli e veloci, una fuga da una verità che non poteva e non voleva accettare, e si fermò solo quando incontro l’ostacolo del letto, dietro le sue cosce.

L’elfo – Hermione – lo guardava con il mento alto e lo sguardo penetrante e serio di una donna che non può essere vinta – e lui si sentì piccolo, minuscolo, imbarazzato, colpevole. Deglutì, incapace di articolare una sola parola, un solo pensiero. Anche lui, forse, più avanti, in futuro, avrebbe capito che quella era la prima incrinatura di un amore che fino a quel momento aveva visto solo luce, un ostacolo che lui non sarebbe mai riuscito a superare, perché dentro quella stanza, e più in generale tra le sue mani, avvertì una sensazione strana, inadatta, una sensazione piccola, che non aveva nulla della leggerezza di mesi prima, e tutto aveva del fastidio. Si stava facendo strada in lui lentamente, come un veleno nocivo che si irradia dalla periferia fino a raggiungere il cuore, centro nevralgico dei sentimenti e delle emozioni. Stava nascendo come un pensiero scomodo e inopportuno che lui soffocò insieme all’ansito di disgusto che minacciava di uscirgli dalle labbra; lo scacciò come una mosca, e dentro di lui, di quell’impressione, non rimase che l’impronta di un ricordo destinato a scomparire.

« Slegami, per favore » disse Hermione con pacatezza, ormai conscia della consapevolezza del ragazzo.

Draco rimase immobile, gli occhi spalancati fissi su di lei. Per qualche istante, sembrò non recepire le sue parole: si limitò a guardarla, quasi stesse cercando di guardare oltre l’involucro in cui era racchiusa quell’anima che tanto amava. Impiegò qualche minuto a riscuotersi dal torpore, ad avvicinarsi a lei e a slacciare le corde che la legavano. Lo fece senza bacchetta, con gesti lenti e misurati, sfiorandola con disgusto e toccandola con venerazione, accarezzando con una smorfia furente i lividi che lei aveva sul collo, sulle gambe, sulla schiena, e ricordandosi solo con un attimo di ritardo che quella non era la sua pelle e che quel corpo lo repelleva.

Il piccolo elfo saltò giù dalla sedia con un lieve squittio, poi alzò uno sguardo furente su Draco, che sussultò: nonostante le sue sembianze, Hermione era comunque capace di incutere timore, infondere sicurezza o emanare autorità.

« Io… ma come…? » tentò di dire il ragazzo, slittando sulle scuse, eludendo il suo comportamento, e dirottando il discorso su di lei.

« Non lo so. Ma dobbiamo trovare una soluzione » disse, pragmatica come sempre, zampettando fino alla bacchetta e cercando di ignorare lo sguardo allucinato del fu Serpeverde. « Dopo » marcò con enfasi questo avverbio, lanciando al giovane un’occhiata torva « potremo parlare ».

« Come pensi di…? » tentò Draco, prima di essere fermato da uno sguardo talmente minaccioso da frenare ogni tentativo di saperne di più.

« Allora, dov’è la Biblioteca? »

« Quale Biblioteca? »

« Lo so, che hai una Biblioteca… »

« Non ho nessuna Biblioteca »

« … Proibita »

« Ah, quella Biblioteca »

Hermione gli scoccò un’occhiata truce. Lui si lasciò sfuggire un ghigno di soddisfazione, prima di ricordarsi di essere talmente scioccato da non riuscire nemmeno a battibeccare con lei. Quel mezzo sorriso sembrò addolcire la ragazza, però, che abbassò gli occhi ed emise un lieve sospiro.

« Ti racconto una fiaba. Ti va? » Nonostante il timbro gracchiante, la sua voce conteneva una sfumatura di dolcezza che Draco non poté ignorare. Mentre posava i suoi occhi su di lei, avvertì un delizioso tepore ammorbidirgli le membra. L’impulso di prenderla per mano fu frenato dalla repulsione che, malgrado tutto, continuava a provare per l’elfo domestico in cui lei era stata trasformata. Annuì piano, ritrovando nel silenzio che seguì quel gesto un tempo lontano e bellissimo. Il respiro che Hermione prese prima di cominciare a raccontare sembrava il palpito di un amore destinato a non spegnersi mai.

« C’era una volta una ragazza, una principessa bellissima, ambita da tutti i principi del regno. Un giorno il crudele mago Rothbart, che la voleva in sposa, chiede la sua mano al re, ma Odette si rifiuta di legarsi a lui. Perciò, Rothbart la trasforma in un cigno, e la costringe a vivere rinchiusa dentro il suo castello, perché solamente quando la luce della luna piena tocca la superficie del lago su cui esso è stato costruito, Odette può riacquistare le sue sembianze umane » Una pausa, durante la quale Hermione si guardò le mani, ossute e verdastre, e mugolò. Sospirò, prima di riprendere « Un giorno, mentre Odette, in forma di cigno, volava tra i cieli della foresta, un cacciatore che passava di lì tento di ferirla a morte. Abbagliato dalla bellezza di quel volatile, lo seguì, e quando raggiunse il lago e vide la trasformazione della ragazza, le giurò amore eterno » Hermione sospirò, mentre il giovane, rapito, si fece più attento. « Odette gli spiegò che solo l’amore avrebbe spezzato l’incantesimo » A quel punto, gli occhi della ragazza si puntarono in quelli di Draco, limpidi e sorpresi: la consapevolezza li aveva accesi di una luce tenue, adombrata da una paura intima che non era certo di poter superare.

« Sembra la storia della Bella e la Bestia. O del principe Ranocchio » commentò, nel tentativo di prendere tempo e mettere ordine tra i suoi pensieri. Hermione annuì.

« Sono fiabe molto simili. La morale è sempre la stessa » asserì con tono dolce.

« Cioè? » Draco, inconsapevolmente, si era avvicinato a lei tanto da piegarsi e risultare alla sua stessa altezza. Si specchiavano l’uno negli occhi dell’altra, in quel modo che era solo loro, una cosa da niente, ma enorme, immobili, ma era bellissimo perché era come viaggiare e scoprire, dentro lo sguardo di ognuno, nuovi mondi nuovi odori, colori mai uguali e musiche sempre diverse. Era più facile, per lui, amarla come aveva sempre fatto, con la semplicità di un bacio e la complessità di un Malfoy; era più facile se la guardava solo negli occhi.

« Le apparenze ingannano » Fu un lieve sussurro, bisbigliato come un segreto, tra un palpito del cuore e un altro, perché nonostante il tempo passato, Hermione non si era ancora abituata ad averlo accanto, a sentire il suo odore così vicino, prepotente, a sopportare i suoi occhi profondi e indagatori, quello sguardo che sapeva, che vedeva senza guardare.

La vedeva ora, lui: vedeva Hermione, vedeva una donna fragile e spaventata, vedeva la bambina che era stata in quel bagno, mesi prima, e vedeva la ragazza che era ora. Ciò che non vedeva, era l’elfo in cui si era trasformata. Avvicinare le labbra alle sue fu un gesto talmente giusto e semplice, che a Draco sembrò semplicemente di consegnarsi tra le braccia di un destino che lo aspettava lì da sempre. Ed era bellissimo come sempre: le labbra morbide di Hermione, le mani calde di Hermione, la lingua gentile di Hermione, il corpo tenero di Hermione. E quando aprì gli occhi, Hermione.

 

***

 

Quando era arrivato il momento, avevano fatto l’amore. Era successo a due anni esatti dal loro primo incontro, ma loro non ci avevano fatto caso. L’avevano scoperto poi, dopo molti mesi, e ne avevano riso insieme.

Era successo il giorno in cui Hermione era stata trasformata in elfo domestico dalla magia accidentale di un bambino, e in donna dall’amore di Draco.

Lui l’aveva trattata con la supponenza di un Malfoy e la reverenza di un amante. Era stato delicato e insicuro, impacciato e orgoglioso, e in ogni suo gesto c’era la traccia della vergogna che i suoi lividi suscitavano. Aveva accarezzato la sua pelle e baciato ogni ferita, ogni centimetro di pelle, posandosi sul cuore quando l’emozione si era fatta troppo intensa e il piacere era esploso come un vulcano di lava, dandogli alla testa.

Hermione, per la prima volta, non era stata soffocata dalle sue insicurezze e si era lasciata andare con la naturalezza di una ragazzina innamorata che scopre all’improvviso di essere donna. Ogni gesto era stato spontaneo e bellissimo, ogni sospiro delicato. Fare l’amore con lui era stato leggero; era stato come raccontare una favola di cui non sapeva il finale: il piacere della sorpresa si era rivelato tanto intenso da lasciarla stordita.

Era stato un desiderio sincero e meditato a unirli, limpido quando gli occhi di lei e delicato come le mani di lui, pregno di una passione che di violento non aveva nulla. Era stato un entusiasmo soffice, il loro, un trasporto che aveva il sapore della primavera: si erano lanciati in un’avventura misteriosa, con la volontà di scoprire, e scoprirsi, ognuno sulla pelle dell’altro, sfidando tempeste che solo i boccioli conosco, per arrivare al sole a cui ogni fiore agogna.

Dopo, Hermione aveva pianto tanto, nascosta tra i morbidi ed eleganti cuscini della stanza da letto di Draco. L’emozione era deflagrata dentro di lei in ondate violente, e lei non era riuscita a trattenerla. Mentre il ragazzo, il viso nascosto tra i suoi capelli, le labbra poggiate sulla nuca, le accarezzava il corpo e si stringeva a lei con forza senza misura, Hermione aveva lasciato scivolare ogni emozione dal suo corpo, abbandonando per sempre la bambina che era stata: della sua infanzia, non era rimasta che una macchia rossa sul lino pregiato di un baldacchino troppo costoso.

Draco l’aveva guardata, confuso e intimorito, ma lei gli aveva sorriso e allora tutto era tornato al suo posto. Quando si era addormentata, lui non aveva potuto fare a meno di continuare a fissarla.

Hermione era stata l’unica cosa che non aveva potuto comprare, e la sola che l’aveva reso pienamente felice. Felice. Era una parola dal sapore nuovo, e meraviglioso; aveva sempre solo sfiorato quella sensazione, tanto da non riconoscerla, sulle prime, quando l’aveva avvolto. Ma lei, ancora una volta l’aveva preso per mano, e guidato verso quella nuova emozione, così totalizzante che lui, poi, non aveva avuto tempo per nient’altro.

E in quel momento aveva pensato che lei fosse quanto di più prezioso potesse avere. Poteva circondarsi di sete raffinate, argenteria di inestimabile valore, mobili antichi; poteva fregiarsi di un nome altisonante, del titolo che il suo sangue gli conferiva, e con quello poteva piegare alla sua volontà chiunque fosse abbastanza sciocco da farsi intimorire da quelle che – ora lo sapeva – erano solo illusioni. Ma lei – niente avrebbe potuto comprarla – nulla avrebbe potuto corromperla – e sarebbe stata sua, per sempre, il suo gioiello più pregiato.

Ed era sorprendente come diventasse ogni giorno più bella; era incredibile scoprire ogni secondo qualcosa di nuovo, in lei. Era inebriante, sorprendente; era meravigliosa.

« Sei bellissima » Draco aveva gli occhi chiusi, e le labbra tra i capelli di Hermione. La sua voce fu un sussurro fievole, impercettibile.

« Come? » aveva bisbigliato lei, cercando di incrociare il suo sguardo – come se potesse leggere le sue parole dentro i suoi occhi.

« Niente » Fortuna che era buio, e che nell’ombra il suo rossore era invisibile, nonostante la sua carnagione pallida. Fortuna che aveva solo sussurrato, e che lei non aveva sentito quella follia sfuggirgli dalle labbra. Fortuna che gli stava esplodendo il cuore, e che i suoi battiti erano tanto dolorosi da costringerlo a concentrarsi per non urlarle contro tutti quei sentimenti. Fortuna che non era niente, quella cosa tra di loro.

 

« Che cosa hai detto prima? »

« Niente »

« Hai detto qualcosa, l’ho sentito »

Forse aveva sentito il suo cuore palpitare – sarebbe stato impossibile non farlo, era un tamburo di guerra.

« Non avrei mai immaginato la mia prima volta con una Mudblood »

Hermione aveva deglutito, e stretto le labbra. Non aveva risposto. Si era sfilata da sotto il suo braccio, era scivolata giù dal letto e aveva avvolto il grande lenzuolo bianco attorno al corpo esile, trascinandolo dietro di sé come il velo di una sposa – ma di una sposa non aveva l’espressione, perché Draco, persino con quel buio, era riuscito a vedere una lacrima impigliata tra le sue ciglia. Lui non sapeva ancora che quella sarebbe la prima di tante lacrime versate per lui – e non lo sapeva nemmeno lei, e anche se l’avessero saputo, avrebbero continuato comunque.

La consapevolezza di averla ferita lo aveva raggiunto in ritardo, sotto forma di un dolore all’altezza dello stomaco – ma più che dolore, era paura. Però, solo quando la sinuosa curva della sua schiena era sparita oltre la porta del bagno, Draco era riuscito a dire: « Sei bellissima, Hermione ».

 

***

«Ma il principe sposa la ragazza sbagliata.

E lei si uccide»

 

La notizia le arrivò una mattina di Aprile. Il sole si affacciava da dietro dense nubi cineree – un colore che aveva imparato ad amare, e odiare, e amare – apparentemente gravide di acqua; ma l’unica pioggia che sembrava dover bagnare la terra era quella che scivolava dai suoi occhi – un temporale ben peggiore di qualsiasi tempesta avrebbe potuto imperversare su Londra.

La notizia le arrivò, inaspettata, tra le zampe di un allocco marrone chiaro, le cui piume brillavano debolmente sotto i raggi timidi di un astro che si nascondeva dietro il grigio del cielo – e anche lei avrebbe voluto farlo, e invece non l’avrebbe potuto fare, mai più.

Quando Hermione Granger dispiegò la Gazzetta del Profeta e lesse i titoli in prima pagina aveva ancora gli occhi gonfi di sonno – e di lacrime, perché quelle non mancavano mai. Stava sorseggiando il suo caffèlatte mattutino, ma quel giorno quel liquido tiepido le sembrò più amaro di qualsiasi medicina avesse mai ingerito. La mano che reggeva la tazza tremò tanto violentemente che qualche goccia saltò oltre il bordo e macchiò di marrone chiaro il titolo che le aveva provocato dentro una sensazione strana, indefinibile – dolorosa. La sua attenzione si concentrò su quella piccola chiazza, che improvvisamente le sembrò irreparabile. Il giornale sarebbe rimasto per sempre sporco – come la sua anima, macchiata di una colpa che non avrebbe più potuto lavare via.

Irreparabile.

Come il suo errore, come la sua vita. Come il suo cuore.

Con le mani tremanti e un sapore acido in bocca, Hermione accarezzò quelle cinque lettere, inchiostro nero su carta bianca, stampate lì sul giornale così come erano state impresse a fuoco dentro il suo petto: persino attraverso la foto in bianco e nero riusciva a vedere il particolare colore dei suoi occhi, che risaltava sul bel vestito costoso, che oscurava persino la bellezza della sposa – quel viso vagamente familiare e indubbiamente aristocratico.

I giornali non parlavano d’altro: ogni pagina era dedicata a quell’evento dell'alta società, che aveva risvegliato l’interesse pubblico e sollevato molte approvazioni nel mondo dei Purosangue. D’altronde, i Malfoy erano da sempre al centro dell’attenzione e, nonostante la Guerra avesse intaccato la loro reputazione, il loro servilismo e la capacità di corteggiare potere e ricchezza ovunque essi si trovassero, avevano fatto sì che il loro nome fosse riscattato. Per cui nessuna sorpresa che la Gazzetta dedicasse quattro pagine intere al matrimonio del loro primo ed unico figlio.

Hermione riuscì a leggere solo qualche riga: giusto il tempo di arrivare al nome che le interessava – perché quel nome doveva essere il suo, e leggerle provocava in lei un doloroso senso di nostalgia e un acceso moto di rabbia. Quando Molly Weasley entrò in cucina, della Gazzetta del Profeta non erano rimasti che brandelli svolazzanti. E insieme a quelli, finirono a terra anche frammenti del cuore di Hermione.

 

Non l’aveva più rivisto. Benché il desiderio di incrociare di nuovo i suoi occhi fosse bruciante, non aveva mai osato farlo: sapeva che avrebbe ceduto, e non poteva permettersi errori – non di nuovo. Lei non era stata in grado di restare al momento giusto, e non aveva intenzione di inventare un momento giusto per tornare: non si scippano sorrisi in ritardo, e lei lo sapeva, perché quando aveva chiuso quella porta aveva fatto, senza sprecare inutili parole, una promessa: quella che, siccome aveva scelto di andarsene, non sarebbe tornata. E aveva intenzione di rimanere coerente alla sua scelta. Anche perché, per lei era molto più facile non ricadere nell’amore, quando i suoi occhi, il suo odore, la sua voce, le sue labbra erano lontani: una tentazione a distanza non ha lo stesso effetto di una vicina.

I primi mesi erano stati difficili, perché quella notizia costituiva la definitiva e irreparabile fine di una storia d’amore in cui lei aveva creduto fino in fondo – ma forse non abbastanza. I sorrisi erano stati pochi, le parole ancora meno: Hermione si era rinchiusa in se stessa, circondandosi di lavoro e amici per riempire quel vuoto che si era creato al centro del suo petto. Quando aveva capito che era un buco troppo profondo per poter essere colmato, aveva cominciato a costruire un muro attorno al suo cuore – non armatura ma pozzo. Con perizia aveva ricucito ogni ferita e nascosto ogni cicatrice sotto strati di parole e bugie, e alla fine era stata così brava da riuscire persino a imbrogliare se stessa con un amore che per quanto intenso non avrebbe mai potuto essere altrettanto potente: perché lei amava Ron di debolezza, ma aveva amato Draco di forza, e conosceva la differenza, sottile ma inevitabile, tra quei due tipi di sentimento. Se il primo era dolce e disperato, il secondo era leggero, e violento di una violenza da spezzare le ossa; dal primo Hermione aveva avuto felicità, del secondo erano rimaste solo cicatrici infamanti, che dolevano anche a distanza di anni.

Col tempo, però, quella ragazza diventata donna a forza di dolori, era riuscita a raggiungere un equilibrio che, seppur instabile, trovava nel suo dondolio vacillante un baricentro efficace.

La serenità era giunta insieme all’inverno, ed era scesa su di lei con delicatezza, senza far rumore, come la prima neve della stagione. Hermione la guardava dalla finestra della cucina, con un sorriso leggero sulle labbra, ma dentro gli occhi aveva un dubbio che poteva ingannare molti, ma non chi quegli occhi li aveva visti per ventidue anni.

« Si può amare da morire, ma morire d’amore no » Sua madre aveva quel modo di parlare, e forse era per questo che lei aveva sviluppato un’intelligenza e un’astuzia fuori dal comune: erano necessari per interpretarla.

« Sono più che viva » replicò lei con serenità, dissimulando la lieve impazienza nel suo tono.

« Si può morire in tanti modi, Hermione. Uno di questi è nascondere il proprio cuore dietro un muro di bugie » disse la madre, con dolcezza, la tristezza ad annacquarle la voce.

C’è poco da fare, le madri hanno un’empatia rara, e se la ragazza non fosse stata sicura di aver ereditato il gene della magia da una sua lontana trisavola, avrebbe accusato la madre di aver usato la Legilimanzia su di lei. Invece tutto ciò che poté fare fu guardarla, con gli occhi spalancati dalla sorpresa e il cuore aperto ai ricordi.

 

***

 

«Scoprirai guardandomi negli occhi che in quel riflesso ci sei sempre tu»

 

La mattina del primo settembre era dorata e croccante come una mela. Il sole scintillava fiero e orgoglioso nel cielo limpido di Londra, accarezzando con raggi tiepidi i vagoni scarlatti dell’Espresso per Hogwarts. Il denso fumo scuro che fuoriusciva a intervalli regolari dalla cima del treno aveva avvolto la folla che si accalcava sui binari in attesa che questo partisse. Sagome indistinte sciamavano nella nebbiolina: il fitto vapore rendeva difficile distinguere i volti. Un brusio incessante riempiva l’aria, colma di squittii sospetti, stridii e versi di ogni tipo.

Le famiglie Potter e Weasley attendevano la partenza del treno con ansia: le madri facevano le ultime raccomandazioni, i figli litigavano tra loro, i padri erano impegnati in chiacchiere di notevole importanza.

« Se non finisci a Grifondoro ti diserediamo » disse Ron con tono serio « ma non voglio metterti pressione ».

« Ron! » Hermione ringhiò tra i denti quelle parole, rivolgendo poi un sorriso rassicurante a sua figlia. « Non dice davvero » la confortò, mentre Ron, intercettato lo sguardo di Harry, accennava di nascosto a un punto a una cinquantina di metri di distanza. Il vapore si diradò per un attimo e tre persone si stagliarono nitide contro la nebbiolina fluttuante.

« Guarda chi c’è ».

Hermione non ebbe bisogno di voltarsi per capire a cosa suo marito si stesse riferendo. La sua presenza era diventata tangibile e fastidiosa ancora prima di poterla intuire, per il semplice fatto che lei sapeva che, quella mattina, era fin troppo probabile incontrarlo. Forse era questo il motivo per cui aveva perso tanto tempo davanti lo specchio. Forse era questo il motivo per cui non aveva chiuso occhio tutta la notte, accampando scuse su scuse e ripetendo più e più volte, a Ron e Rose, che era assolutamente necessario controllare per la tredicesima volta il baule di sua figlia per assicurarsi che tutto fosse al posto giusto, nonostante gli strepiti di protesta della diretta interessata. Forse, era questo anche il motivo per cui Hermione impiegò diversi minuti per voltarsi.

Aveva aspettato quel momento per anni, e nonostante si sentisse elettrizzata all’idea di poterlo di nuovo vedere, di poter ancora una volta incrociare i suoi occhi, si sentiva anche turbata, più spaventata che emozionata.

Draco era proprio come lo ricordava: nonostante stesse cominciando a stempiarsi, i suoi capelli erano folti e lucenti sotto il sole autunnale e lei era certa che, se avesse potuto toccarli, li avrebbe trovati morbidi al tatto, setosi com’erano sempre stati. Quando anche lui, sentendosi osservato, alzò lo sguardo, Hermione incrociò i suoi occhi per la prima volta dopo anni.

Il grigio delle sue iridi era più scuro di quanto ricordasse, ma ugualmente brillante al di sotto della patina di freddezza che le ricopriva. Sembrava che dietro quello sguardo si addensassero nubi di un temporale figlio di chissà che cielo, fantasmi di un passato che tornava a bussare prepotentemente chiedendo un tributo mai pagato.

Il corpo di Hermione si irrigidì istantaneamente, e la sua mano, ancora poggiata sulla spalla della figlia, divenne un artiglio tanto rigido che Rose fu costretta a lanciarle un’occhiata torva, prima di scrollarsi di dosso quella presa fin troppo salda per essere normale.

Ma sua madre era troppo occupata ad affogare dentro lo sguardo di Draco per badare a particolari futili come sua figlia che litigava con Hugo, o Ron che fissava il bambino che Malfoy stava accompagnando con sguardo divertito. Sarebbe rimasta lì per ore, forse anche giorni – magari anche di più – a fissare quegli occhi, che continuavano a brillare, vividi  e visibili persino attraverso le ondate di vapore che li celavano di tanto in tanto, anche dopo molti minuti che lui aveva distolto lo sguardo. Sarebbe rimasta lì a lungo, forse per sempre, se le battute fuori luogo di Ron o l’entusiasmo di James non le avessero assestato una brusca scossa, facendola tornare alla realtà. Il racconto del maggiore dei figli di Harry le diede il tempo di ricomporsi, nonché la scusa di estraniarsi dalla conversazione per qualche minuto. Non diede peso né all’occhiata inquieta di Ginny, né a quella premurosa di Ron, convincendosi che erano frutto della sua immaginazione  almeno quanto lo sguardo di nascosto che Draco le aveva lanciato, dopo che tutti i suoi amici avevano smesso di fissarlo.

Hermione diede a Rose le ultime raccomandazioni, prima di abbracciarla e salutarla con una punta di commozione forse troppo forzata: aveva la testa leggera e confusa, e nel suo cuore non c’era spazio per nient’altro che i ricordi, dolorosi e dolcissimi.

Quando l’ultima traccia di vapore svanì nell’aria, il treno svoltò. Hermione aveva lo sguardo fisso sull’espresso scarlatto, ma la mente perduta in un punto molto più distante di quella curva a pochi metri da loro. Non si accorse che Harry e Ron l’avevano preceduta verso l’uscita e che Ginny, dopo averle lanciato uno sguardo fin troppo consapevole, li aveva seguiti senza più fare domande.

Attese qualche minuto prima di voltare le spalle ai binari e incamminarsi verso la barriera che l’avrebbe condotta fuori, all’aria aperta. Sentiva il bisogno di respirare aria pulita, aria buona, ma avvertiva anche l’impellente necessità di rallentare per dare il tempo a Draco di raggiungerla e a se stessa di raccogliere i pensieri.

Il suo odore prepotente le penetrò le narici proprio quando stava per attraversare la barriera che divideva i binari nove e dieci.

« Carina tua figlia… »

« Non male tuo figlio »

« … ma quei capelli rovinano tutto »

Quella notte, Hermione cercò di immaginare come sarebbe stata Rose, se avesse avuto dei boccoli biondi al posto di quella massa rossiccia che le incorniciava il volto. Quando, la mattina dopo, si guardo allo specchio, scoprì dentro i suoi occhi un riflesso antico, lo stesso che aveva letto, dentro il suo sguardo, un pomeriggio di tanti anni prima, lo stesso che aveva consacrato il suo definitivo passaggio all’età adulta. Era un riflesso sfumato di grigio, rimasto immutato per tutto il tempo della sua crescita, della sua vita. Era il riflesso di Draco.

 

 

 

Nota dell’autrice:

Il titolo della storia è tratto dall’omonima canzone di Raf, dalla quale ho tratto anche la strofa che si trova all’inizio del paragrafo finale.

Le altre due citazioni sono tratte dal film “Il cigno nero”.

 

 

   
 
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