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Autore: LaCla    21/04/2013    16 recensioni
Cosa accadrebbe se una manciata di schizzi e disegni di Oda, venisse investita da una serie di particolari radiazioni? Come reagirebbe il mondo reale, venendo a conoscienza del fatto, che i personaggi di uno dei manga più famosi del mondo, sono diventati reali, ed ora camminano tranquillamente tra di noi? Ma so prattutto, se Ace fosse stato catapultato nel nostro mondo, prima di Marineford? Se una ragazza potesse cambiarne il destino? e se invece non potesse realmente farlo?
Questa è la storia di una ragazza qualsiasi, che vivrà il suo sogno più bello, ma anche più doloroso!
FF che contine possibili spoiler, tanta fantasia (la richiede anche al lettore xD) e Ace! :) Buona lettura!!
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Of Love'
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21 Dicembre: solstizio d’inverno.
Inizio ufficiale della stagione fredda.
Data di panico collettivo pre-natalizio.
Momento durante il quale in un passato remoto, ormai dimenticato, intere popolazioni si fermavano e veneravano la rinascita del Dio Sole.
Il giorno più breve.
La notte più lunga.
Attimo in cui Sole e Terra sono più vicini.
Apice del loro rapporto di attrazione gravitazionale inarrestabile.
Ace, anche in quel momento, era il mio sole e mi scaldava come non mai. Eravamo felici, insieme, quasi spensierati. Già, il “quasi” purtroppo non poteva essere rimosso per nessuno dei due: a lui mancavano i fratelli e l’avventura, anche se non lo esprimeva mai, ed io ero perennemente consapevole di quanto fosse effimero il momento che stavo vivendo.
Il solstizio d’inverno era da sempre etichettato come “rinascita” e “nuovo inizio” ma io speravo solamente che non fosse l’inizio della fine.
Nel plumbeo dicembre inoltrato, i metereologi si affannavano ad allarmare la popolazione con l’allerta neve.
I bambini speravano in quei fiocchi bianchi per poter giocare in giardino.
I ragazzi pregavano per leggere sul sito scolastico la scritta “Chiusi per neve”.
Gli adulti confidavano nella buona organizzazione degli addetti alla pulizia delle strade e nell’evitare le lastre di ghiaccio.
I nonni rievocavano con nostalgia e rimprovero la nevicata dell’85, per nulla spaventati da altre precipitazioni.
Io invece sapevo che non avrebbe nevicato quell’anno, perché perfino nella glaciale isola di Drum vento e gelo non avevano potuto nulla contro il fuoco: la neve aveva smesso di cadere con l’arrivo di Ace.
Forse avrebbe ripreso a fioccare dopo la sua partenza, se questa fosse avvenuta entro la fine dell’inverno.
Non sapevo quando il telefono avrebbe squillato per lui: sussultavo ogni volta che quell’orrenda suoneria della Nokia riempiva la casa. Una volta era Marco. Un’altra Rufy. Un’altra ancora Garp che si assicurava che il nipote non finisse nei guai anche in questo universo.
La mia vita sarebbe tranquillamente paragonabile ad una fascia di bonaccia: senza vento, soleggiata, senza scossoni d’onda, senza nulla di pericoloso all’orizzonte.
Immobile inquietudine, nell’attesa che qualcosa di terribile appaia sulla linea del tramonto.
Sciocca inconsapevolezza, che il pericolo in realtà erano i mostri tremendi che abitavano quelle acque placide e senza increspature.
Sconcertante ostinazione nell’ignorare il pericolo evidente, pur di godere di quegli attimi di pura pace.
I pensieri mattutini erano sempre i più strani: ancora confusi nel sonno ma con una vena di realismo quasi fastidiosa. Unici momenti in cui potevo pensare alla partenza del pirata senza dover lottare con le lacrime.
Erano le otto e trenta ed era Sabato: avrei potuto dormire ad oltranza se non fosse stato per il frastuono, non abbastanza ovattato dai muri, che invadeva la casa.
Svegliarsi per colpa di strani rumori in casa, era una cosa snervante.
I miei occhi si aprirono svogliati, dopo l’ennesima bestemmia del moro, preceduta dall’ennesimo rumore molesto e di dubbia origine.
Sbuffando tentai di liberarmi dal groviglio di coperte che ero riuscita a creare, alzandomi e riavvolgendomi in un caldo plaid per trascinarmi verso la fonte di disturbo del mio sonno.
La luminosità che tanto amavo di quella casa, mi risultava fastidiosa ed eccessiva in quel momento, ed unita alla terribile puzza di bruciato che proveniva, ahimè, dalla cucina, presagiva una mia imminente incazzatura.
Appena le mie sinapsi presero a funzionare, i collegamenti furono istantanei.
Rumore. Ace.
Puzzo di strino. Ace.
Cucina. Ace non dovrebbe essere lì.
Beh, in sostanza il mio problema quel mattino, tanto per cambiare, era Ace.
«Prima che io varchi la soglia, dimmi esattamente da uno a dieci, quanto devo arrabbiarmi?» Chiesi, massaggiandomi le tempie, prima di entrare nel salotto.
Un coraggioso angolo di muro mi nascondeva il nucleo del disturbo onirico dalla vista, tuttavia la mia immaginazione era dannatamente realistica ma altrettanto catastrofista.
«Oh, sei sveglia! Hem… Dipende dai punti di vista…» Rispose il pirata, tra lo stupito e il preoccupato.
Quando ti dicono che dipende dal punto di vista, conoscendo perfettamente il tuo e glissando la domanda, mediamente la furia omicida sale a livelli stellari.
Sospirai prima di fare gli ultimi passi verso quella che un tempo, nemmeno troppo lontano, era un’innocente cucina.
Non mi presi nemmeno la briga di stare a guardare i dettagli, mi girai ed andai a spalancare tutte le finestre possibili ed immaginabili, ignorando il gelo e restando in religioso silenzio.
«Sely…» Biascicò il moro, sempre più turbato dalla mia calma apparente.
Come un automa mi diressi nuovamente verso il piano cottura, sorvolando sul grembiule, raffigurante il David di Michelangelo, che Ace stava orgogliosamente indossando ed accendendo la cappa di aspirazione.
Mi guardai attorno, in cerca di parole per descrivere il macello di uova, pancetta, cioccolata e altri ingredienti non ben identificabili, senza successo.
Disastro? Devastazione? Porcile? Letamaio? Porcaio? Mattanza?
Eufemismi.
Presi il braccio del moro e lo trascinai gentilmente davanti allo sgabello dell’isola della cucina.
Io mi sedetti sull’altro, di fronte a lui, e sorrisi.
Il sangue del pirata si congelò istantaneamente, potei quasi vederlo mentre si cristallizzava nelle vene. Buffo, per un ragazzo fatto di fuoco, no?
«Ora, prima che l’altra parte di me prenda il sopravvento, aggiungendo a questo… Agglomerato informe di roba, brandelli della tua carne, dimmi cosa stavi facendo e perché. Sii convincente.» Asserii, incrociando le braccia al petto e stringendomi di più nella coperta: dalle finestre entrava un vento polare ma almeno la puzza di bruciato stava passando.
Ace fece per grattarsi la nuca, rinunciando a quel gesto nervoso dopo aver notato le incrostazioni (di non so cosa) che gli ornavano le mani e parte dei polsi.
«Beh ecco… Stavo cucinando la colazione ma la situazione mi è sfuggita di mano… Il libro di ricette parla in modo stranissimo ed io penso di non essere capace di cucinare… Eheh…» Ridacchiò, fingendo malamente scioltezza e sicurezza.
Feci scorrere nuovamente lo sguardo su quello che ricopriva il marmo, individuando cucchiai, forchette, spremiagrumi, pelapatate e lo shaker. Cosa cazzo pensava di fare con uno shaker? Il pelapatate, a cosa era servito? Ma soprattutto, cos’era quella sostanza giallina che ricopriva quasi totalmente il piano?
«Ace, quella cos’è?» Domandai, ancora incerta sul voler sapere o meno l’origine di quella roba.
«Ah, è la farina per fare i pancake! Volevo farti la colazione americana, visto che dici sempre che andare in America ti piacerebbe!» Disse, sincero ed ingenuo come al solito.
Il nervosismo iniziale per la spiacevole sveglia si era praticamente dissolto, lasciando spazio ad un senso di ribrezzo verso le condizioni della cucina e di dolcezza per il moro. Si era impegnato nel fare qualcosa che non era minimamente in grado di gestire, solo per me: incazzarsi sarebbe stato da stronzi e pur definendomi una grandissima carogna in molte situazioni, riuscivo a non esserlo nei casi più importanti.
Ridacchiai alzandomi dallo sgabello ed andando a chiudere le finestre, mentre dicevo ad Ace di lavarsi le mani ed iniziare a ripulire quello schifo; gli avrei dato una mano a preparare quella santa colazione, sperando che in dispensa fosse rimasto qualcosa.
Ignorai il fatto che avesse tentato di fare delle ciambelle con la farina per la polenta.
Sorvolai sull’idiozia di utilizzare uno scolapasta per separare chiare e tuorli.
Rifiutai di considerare plausibile l’ipotesi che avesse tentato di cuocere i muffins nella pentola a pressione.
Ero dannatamente brava ad ignorare l’evidenza.
Un ora e venticinque minuti dopo stavo addentando il mio pancake alla Nutella, seduta con il pirata in un luogo che aveva ripreso le sembianze di una cucina.
Scrostare tutto quel pattume era stato impegnativo ma condito di tante risate, dovute all’illustrazione più che convinta del moro su come aveva tentato di fare le cose.
Spiegargli gli arcani significati di “chiare montate a neve” e “rosolare”, mi aveva divertita in modo particolare.
Sì, aveva tentato di montare le chiare con lo shaker e, parlandomi della rosolatura, aveva detto, testualmente: “Io ho pensato che volesse dire far diventare rosa, ma il bacon è già rosa! Mi ha confuso quel libro, poteva dire di farlo dorare!”.
Avevo riso come un’idiota a quell’affermazione e  ripensandoci era inevitabile sorridere; oppure era solo colpa della Nutella.
Quella crema tentatrice era in grado di causare ilarità istantanea a chi ne faceva uso, resto tutt’oggi convinta che sia una droga: legale, ma droga.
Persa tra i miei pensieri non mi accorsi delle labbra di Ace che, imbrattate di marmellata, si erano avvicinate pericolosamente alle mie. Dopo un leggero sussulto di sorpresa lo baciai, unendo la crema di nocciola alla confettura di albicocche: il sapore era uno schifo, ma l’emozione che aveva catalizzato ne offuscava totalmente l’importanza.
«Marmellata e Nutella non è un’abbinata vincente!» Sorrise a fior di labbra il pirata, tornando poi a sedere al suo posto.
Durante quello spostamento non potei non notare nuovamente il grembiule: ornamento capace di spegnere istantaneamente qualsiasi tipo di attrattiva pseudo erotica.
«Ti prego, togli quel coso… È raccapricciante!» Ghignai, pulendomi gli ultimi residui di cioccolato dalla bocca ed osservando il viso imbronciato del bel pirata.
«Non è vero, mi sta bene invece, sembro uno chef!» Borbottò, alzandosi per mostrarmi meglio l’effetto che, secondo lui, faceva.
Mi fu impossibile tenere a freno occhi, lingua ed encefalo.
Mi fu impossibile non notare l’irrisorio “utensile” da riproduzione del povero David.
Mi fu impossibile evitare di partorire una battuta dalla malizia incontenibile.
«Mah, io non mi vanterei di avere in dotazione da Madre natura, un cosino così… Ridotto sul piano volumetrico.» Esclamai, enfatizzando il finale della frase con un eloquente gesto della mano.
Solo due cose non andavano mai criticate ad un uomo: il mezzo di trasporto ed i gioielli di famiglia.
Mai commentare negativamente automobile, motocicletta, caravan, bicicletta o triciclo che fosse e mai ironizzare sulle dimensioni del pene: pare siano particolarmente suscettibili su questi argomenti.
Sul viso del pirata passarono un quantitativo invidiabile di emozioni, dall’offesa all’orgoglio, dal dubbio alla vendetta: e quest’ultima mi spaventava non poco.
Non feci in tempo a tentare la fuga in camera, il corpo di Ace mi stava già schiacciando contro il marmo della cucina, mentre la sua bocca si trovava maledettamente vicina al mio orecchio.
«Fossi in te, non scherzerei su certe cose…» Sussurrò rovente, prima di iniziare a baciarmi il collo con esasperante lentezza.
In pochi secondi era riuscito a portare l’eccitazione ad un livello quasi insopportabile, facendo quasi bollire il mio sangue e cuocendomi definitivamente il cervello.
Seppi solo cercare le sue labbra, stringere le braccia attorno al suo collo e lasciarmi trascinare in un vortice di fuoco dalla sua lingua.
Non ricordo come e tantomeno quando, ma i piatti dietro di me erano spariti, spinti da un lato, assieme a tutto quello che avevamo usato per la colazione.
La coperta era già caduta da un pezzo dalle mie spalle e le dita del moro stavano iniziando a farsi strada sulla mia schiena, sotto la tela sottile del pigiama.
Non si fermò a litigare con il gancetto del reggiseno, preferì farci passare sotto un dito e fondere il tessuto.
Era il quinto che faceva quella fine.
Avevo smesso di arrabbiarmi dopo il terzo.
Gli morsi le labbra, unica rimostranza che attuai verso quella violenza verso il mio vestiario, ma invece di pentimento provocai solamente un aumento della frenesia.
Strattonai verso il basso il tessuto della maglietta, mentre tentavo al contempo di slacciargli quel grembiule. Ci riuscii e lanciai sul pavimento quell’orribile pezzo di stoffa, presto raggiunto da altri vestiti.
Le mani di Ace erano ovunque, facendomi sussultare e gemere sulle sue labbra cariche di maliziose promesse.
Adorava torturarmi in quel modo, martoriandomi di attenzioni, divertendosi guardando le mie espressioni ed ascoltando i miei respiri.
Non so dire quanto andò avanti, so solo di aver rischiato la follia.
Ricordo le labbra di Ace scendere sul mio addome.
Ricordo di essere rabbrividita quando la mia schiena aveva toccato il marmo gelido.
Ricordo che della scomodità della cucina come luogo per fare l’amore, me ne era importato davvero poco.
Ricordo di aver graffiato e gridato.
Ricordo di aver strappato dei gemiti al pirata.
Ricordo… In verità ricordo veramente molto poco di ciò che era successo in quel frangente.
Le emozioni forti causano spesso vuoti di memoria, caleidoscopici fotogrammi di vita sparsi a random nel nostro cervello, uniti solamente dal sentimento che in quel momento li ha frammentati.
Forse abbracciai Ace mentre era ancora dentro di me.
Forse mi sollevò e portò in camera da letto.
Forse mi ero addormentata poco dopo, ancora avvinghiata all’uomo che ormai era padrone del mio cuore e del mio corpo.
Forse ricevetti delle carezze tra i capelli ed un bacio sulla fronte.
Forse sentii un “ti amo” sussurrato, talmente piano che non avrei potuto percepirlo se non a quella minima distanza.
Beh, forse ero caduta tra le dolci braccia del sogno e di non sapevo distinguere cosa veramente era stato reale e cosa, invece, solamente un sogno.
Era il solstizio d’inverno. Faceva freddo fuori dai vetri appannati.
Eppure non nevicava. Non ancora.
Magari avrebbe nevicato lo stesso, nonostante la presenza di Ace. Dopotutto la stagione fredda era appena iniziata, c’era ancora tempo per la neve.
Speravo. Mi convincevo. Sognavo.
Era il solstizio d’inverno. Faceva caldo tra quelle coperte.
Eppure non mi importava di nient’altro.










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Eccomi qua! Dai, stavolta l'attesa non è stata plurimestrale almeno, no? xD
Ok ok, sto zitta che è meglio, ho colto il messaggio!
Mi spiace davvero farvi aspettare tanto... Colgo il vostro disappunto dal boicottaggio, ma davvero non lo faccio per creare suspence, giuro T_T
L'ispirazione sembra tornata, timida e labile ma c'è!
Quindi in teoria ora gli aggiornamenti saranno leggermente più costanti (le ultime parole famose T_T)!
A testimonianza del ritorno della suddetta, mi faccio un po' di autosponsorizzazione con la mia prima OS su Rufy, Freedom's Punch, e la mia prima OS nel fandom di Naruto, Laughing in the purple , con Suigetsu come protagonista (Sono in vena di prime volte insomma! xD)!

Cooomunque, la mia casa ideale? due parole: Enorme e accogliente! xD
Ora, la domanda:

Con cosa fate colazione? (rimaniamo in tema xD)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, stando ai calcoli (sicuramente errati) che ho fatto, mancano circa 3/4 capitoli all'inizio della fine....
Inizierò a riavvolgere la trama della storia ed a tirare tutti i fili necessari per giungere alla parola "FINE" per questa storia! (Chiamatemi Sasori d'ora in poi xD)
Mi spiacerà finire questa storia...
Ormai è passato un anno dal primo capitolo, è la mia Long più long xD Non pensavo sarebbe diventata un progetto tanto impegnativo, lo ammetto! (la fine era prevista per settembre, pensate un po'!)
Eppure sono contenta! =D Cambiano tante cose in un anno vero? Non ce ne si rende quasi conto ma è tanto tempo...
Bene, chiudiamo la vena nostalgica! xD
Un baciotto enorme!
A presto!


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