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Autore: Elizabeth_Tempest    21/04/2013    7 recensioni
Nella Danimarca settecentesca, il destino di una testarda contessa e di un misterioso giovane venuto da lontano s'intrecceranno.
"Friederieke guardava fuori dalla finestra, annoiata, rigirandosi pigramente il lavoro tra le mani; il cucito non l’aveva mai entusiasmata, lo aveva sempre trovato noioso dato che non ne trovava una vera utilità pratica –del resto i suoi abiti arrivavano sempre da qualche sartoria della capitale, dove suo padre spendeva un vero e proprio patrimonio per farle avere sempre i modelli più in voga alla corte francese.
Si concentrò sul ricamo, tentando di ricordare cosa fosse di preciso… forse un usignolo? si chiese, lanciando un’occhiata perplessa ai fili azzurri.
Non le sovvenne nulla ed alzò lo sguardo, sperando di poter sbirciare il lavoro della signorina Bernstein che invece pareva tutta presa dalla sua opera e la teneva in modo tale che la fanciulla non potesse vedere cosa stesse ricamando." [dal primo capitolo]
La storia è ambientata prima degli eventi di The Lost Canvas, ed è collegato ad uno dei gaiden.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio, Pisces Albafica
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo XII

Quando aprì faticosamente gli occhi, si ritrovò a fissare il baldacchino del suo letto, foderato di pesante velluto blu notte ricamato d’argento. Si mise a sedere, confusa e si guardò attorno, aggiustando il cuscino.

Sì, quella era proprio la sua stanza, si disse: i mobili di pesante legno scuro, noce italiano, tutti finemente intagliati e lucidi, il caminetto nuovo, coperto di marmo, con putti e motivi floreali sapientemente scolpiti –idea della signorina Bernstein- , i tappeti folti come il vello di un agnello posati sul gelido pavimento di pietra, le strette finestre e le tende di velluto verde smeraldo era inconfondibili.

Scostò le lenzuola e mise i piedi nudi su uno dei tappeti, scostando una ciocca di capelli corvini da davanti agl’occhi e tirando in giù la raffinata e leggera camicia da notte di lino bianco in un gesto automatico a cui non fece minimamente caso.

Come ci era arrivata lì? Stava parlando col signor Van Dijk al villaggio e le campane avevano suonato a messa, quello era il suo ultimo ricordo. Sì, le campane… una sinistra sinfonia, note inquietanti che si inseguivano e la testa che girava e girava… Le vennero i brividi e pensò che fosse uno spiffero d’aria gelido.

Iedike si mise in piedi, la testa che pareva una trottola lanciata con troppa foga; si accorse solo allora di indossare la camicia da notte: chi l’aveva spogliata e messa a letto? Non riusciva proprio a ricordare.

Sentiva la testa pesante, la mente annebbiata e il filo dei suoi pensieri era ancora aggrovigliato come un gomitolo di lana dalla stanchezza e dal timore.

Si avvicinò alla finestra e guardò fuori: tutto era grigio e pioveva come doveva aver piovuto durante il Diluvio universale: acqua grigia picchiettava sul prato grigio, sugli alberi grigi, sulla terra grigia. Era circondata dal grigio: il cielo era grigio, le nuvole erano grigie.

Osservò la sua mano: anche la pelle aveva una vaga sfumatura grigiastra.

Piombò per terra come un burattino a cui avevano reciso i fili.

 

 

Seduto al tavolino della sua stanza, Albafica seguiva con la punta delle dita le venature del legno e i graffi che i precedenti avventori avevano lasciato su quella rozza superficie.

La sua cena era ormai fredda, ma non aveva potuto ingollare più di qualche boccone di quello stufato. Era ottimo, la carne di montone era eccezionalmente tenera, il sugo denso ed insaporito dal grasso e da manciate di erbette, cipolle, carote e orzo e accompagnato da del pane nero appena sfornato –Solveig lo trattava sempre come se fosse stato un principe o un re e non il mercante che affermava di essere-, ma semplicemente non aveva fame, lo stomaco ancora contratto da quando aveva visto l’orda di morti viventi.

La sua mente continuava a tornare a Frydenjord e alla sua gente. E a Iedike, al suo viso pallidissimo, gli occhi blu che diventavano vacui, le labbra viola e il tremito alle mani e alle gambe che le aveva quasi reso impossibile camminare.

Ludvig Frydendahl aveva sorriso loro, salutandoli con un cenno del tricorno, come se non avesse notato le condizioni della sorella minore ed era entrato in chiesa per assistere alla funzione assieme al popolino delle sue terre. Iedike era rimasta immobile a fissare il pesante portone di legno chiudersi e non aveva dato segno di volersi muovere finchè non l’aveva chiamata. A quel punto si era voltata, il viso grigiastro e le pupille dilatate come se fosse sotto l’influsso di una qualche erba strana o di una maledizione.

Sospirò, versandosi del vino del Reno, zuccherino e robusto: quello sguardo era così sperso, così… non sapeva come spiegare, era pieno di paura e di cose non dette e allo stesso tempo vuoto.

Facendosi non poca violenza, il giovane l’aveva aiutata a montare a cavallo –dopo essersi infilato degli spessi guanti di cuoio morbido- e poi aveva fatto lo stesso, montando sul suo stallone. Aveva condotto a casa la contessina stringendo le redini della cavalcatura della fanciulla con una mano, mentre ella si aggrappava debolmente alla cavezza dell’animale. Lo sguardo era tornato attento appena avevano varcato i cancelli del maniero dei Frydendahl.

“Monsieur…” aveva sussurrato, confusa. “Cos’è successo?”

Non le aveva risposto subito, ma alla fine le aveva raccontato tutto; non che Iedike avesse compreso, il suo sguardo stanco gli aveva fatto capire che la sua mente era sprofondata di nuovo nell’oblio. Per lo meno non era svenuta come aveva temuto ed era arrivata al castello sana e salva: l’aveva affidata alle sue serve ed era tornato ad Århus.

Non aveva potuto fare a meno di pensare ed inquietarsi per tutto il tempo, ripensando a quel macabro spettacolo: una folla di persone dagli occhi spenti e i volti grigiastri che camminava a perfetto sincrono, come se fossero un esercito. Nessuno parlava, perfino i neonati non emettevano un singolo suono e nemmeno i loro passi parevano fare rumore.

Le loro bestie –il suo mansueto stallone ed il castrone della contessina- si erano subito innervosite e un randagio pelle e ossa evidentemente affetto dalla rogna aveva preso ad uggiolare ed era corso a nascondersi con la coda tra le gambe. Perfino gli animali, dunque, avevano paura di ciò che stava succedendo.

Terminò il vino e posò il boccale, poi si sdraiò, ancora vestito, sul letto. Niente gli tornava, tutti parevano sospetti, tutti potevano essere colpevoli… no, non tutti.

Lei non poteva esserlo.

 

 

-Allora?- chiese, sorseggiando del vino. –Ottima vendemmia.- si complimentò, con un sorrisetto melenso sul viso. I suoi due sottoposti, in piedi davanti a lui e rigidi come due baccalà, si scambiarono una breve occhiata.

-La contessina ha risentito degli influssi della Stella.- sussurrò il suo discepolo prediletto.

Storse la bocca: pensava che non lo sapesse? La mocciosa l’aveva vista pure lui, pallida come una morta, le gambe che tremavano per l’ardente desiderio di seguire la sua gente che aveva provato. Per un secondo, un lunghissimo secondo, aveva potuto assaporare la vittoria sulla mente di Friederieke Frydendahl… sbagliava: la ragazzina aveva lottato con le unghie e coi denti per rimanere dov’era. Una lotta totalmente inconscia, ma all’ultimo sangue.

-Risentito, dici? Per un istante, forse, ma non è abbastanza.- sbottò, gettando il vino in faccia a quei due incompetenti.

Ora c’era anche quel ragazzo, che poteva benissimo essere una spia del Santuario… be’, poco male, si sarebbe divertito di più.

-Cosa mi dite del giovane straniero?- chiese, prendendo la sua Bibbia ed aprendola.

-La contessa pare andare molto d’accordo con lui.- rispose il secondo sottoposto con uno squittio spaventato. Gli irritò i nervi: quanto odiava quella voce fastidiosa e quel modo di fare da persona inutile.

-Non intendevo questo.- sbottò, poi tornò calmo –La ragazza sembra interessata a lui… e scommetto che pure il nostro signor Van Dijk ha un debole per la nostra piccola e dolce Iedike. Possiamo usare la cosa a nostro favore.- spiegò pazientemente. L’amore era una debolezza incantevole, uccideva più della spada o di una lingua biforcuta e si sapeva che gli esseri umani erano più inclini a commettere sciocchezze per una donna amata che per una bambina insipida e condannata alla verginità eterna.

-E come?

Si versò dell’altro vino, infastidito. –Ebbene, se il ragazzo è solo un mercante, ben per lui, se è un Saint… credetemi, rimpiangerà il giorno in cui lo tirarono fuori dal grembo di sua madre. La contessa è ancora vergine e non è in programma di maritarla a qualcuno, no? È una fanciulla graziosa e di carattere e prova interesse per questo misterioso straniero. Io dico di lasciare che si amino: se quel ragazzo è pericoloso, useremo la povera bambina contro di lui, come ostaggio o, chissà, come nostra fida alleata. Basta saper toccare i tasti giusti. E se invece fosse solo un mercante… be’, il nostro conte presto avrà bisogno di denaro, tanto è stato incapace di gestire la tenuta. Non credo che storcerebbe così tanto in naso davanti a dell’oro. Gli uomini sono tutti uguali, sangue blu o meno.- concluse, con un ghigno soddisfatto.

-Ma è un mercante…- sussurrò quella piattola del suo ultimo adepto.

-E con ciò? Anzi, è meglio per noi: fingetevi amici di questo amore che ancora deve sbocciare, aiutate i due amanti a stare assieme, guadagnatevi la loro fiducia.- ordinò e sperò che la spia fosse così sciocca da caderci. Per quanto riguardava Iedike, non aveva dubbi, la sua mente candida non avrebbe mai capito chi erano le pedine della Stella.

 

 

Era rimasta a letto per quasi un intero giorno e, quando si era svegliata, si era scoperta ancora stanca e affamata. Aveva ordinato ad Edda di portarle qualcosa da mangiare –il sole era ormai alto nel cielo, doveva essere mezzogiorno - mentre Ina l’aiutava a vestirsi.

Scelse un abito verde smeraldo, dalla linea semplice e comoda, con pochi fronzoli oltre agl’orli di pizzo bianco. I capelli scuri vennero acconciati in una semplice treccia e fermati con un nastro in tinta con l’abito, poi si recò nel suo salottino.

-Ina, andate dalla signorina Bernstein e ditele che ha un giorno libero. Sto poco bene e non voglio vedere nessuno, a meno che non sia mio padre.- ordinò, sedendosi mollemente sulla poltrona. La servetta uscì facendo un profondo inchino e la ragazza rimase sola.

Volse lo sguardo alla finestra, guardando fuori: un timido e pallido sole splendeva sulle sue terre, ma nulla pareva dare anche solo una parvenza di vita e di normalità a Frydenjord.

Edda entrò qualche tempo dopo, portando con sé il suo pranzo: una semplice zuppa d’orzo, aringhe affumicate e pancetta e pane appena sfornato. In silenzio posò tutto sul tavolino accanto alla sua poltrona, assieme ad una brocca di vino.

-Contessa, vostro padre desidera avere novelle sulla vostra salute.- disse la cameriera in un timido sussurro. Sapeva che quando la sua signora stava riflettendo era meglio non disturbarla.

Iedike giocherellò con una ciocca di capelli, senza degnare Edda di uno sguardo. –Ditegli che sto bene e che non deve preoccuparsi. Ho solo un lieve mal di testa che mi causa dei capogiri, ma un po’ di tranquillità mi gioverà. Potete andare, ora.

Edda s’inchinò e fece per uscire, quando la fanciulla la fermò. –Aspettate… chi mi ha riportata qui?

-Come?- chiese la cameriera.

-Non ricordo come sono arrivata qua.- ammise Iedike.

-Capisco… ecco, sembravate inferma e di sicuro avevate un po’ di febbre, scottavate… è stato il signor Van Dijk a riportarvi qua al maniero, contessa.- le venne risposto.

La giovane nobildonna annuì. Albafica Van Dijk… la sua unica speranza.

-Edda, fate preparare una carrozza e andate a prendere il signor Van Dijk. Voglio che lo portiate qua, avete capito?- le ordinò –E ora andate. Fate in fretta.

Quando la cameriera uscì, Iedike si versò un calice di vino. Era ora che le danze iniziassero… e pregò Iddio che tutto andasse bene.

 

 

 

 

Un parto. Di nuovo. Ma be', eccoci. Oggi non vi seccherò, voglio solo avvisarvi che, se andate sulla mia pagina d'autore, troverete tutte le date degli aggiornamenti.

   
 
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