22.
Nella
vecchia Volfswagen Eri Kisaki si mosse nel sonno.
Il
dottor Hiroshi Agasa la fissò un attimo, i baffoni bianchi tremuli, impauriti,
un po’ dalla reazione che la donna avrebbe avuto al suo risveglio, un po’ per
quello che stava succedendo.
Ai
aveva deciso di tornare adulta e combattere a viso aperto contro quei demoni
che avevano distrutto la sua felicità.
L’ometto
non poteva fare a meno di essere preoccupato. Sorrise di se stesso. Avrebbe
dovuto sposarsi se voleva dei figli…ed ora una figlia gli era piovuta dal cielo
con tanti di quei guai da far impallidire un padre normale.
Il
dottore lasciò che per un attimo la sua attenzione cadesse su un paio di foto.
Non sapeva perché le aveva portate con se, tuttavia gli davano conforto.
E
non solo a lui.
Si
appoggiò stancamente sul volante della macchina che Shinichi, da bambino, amava
chiamare ‘caffettiera ‘ per il tremendo frastuono che la marmitta , quasi in
stato di decomposizione da anni ormai, produceva ad ogni minimo spostamento.
Non era mai stata una macchina per fare dei pedinamenti come quelli dei film, e
pur tuttavia aveva fatto il suo lavoro. Sempre. Quella macchina non lo aveva
mai abbandonato.
Pregò
che nemmeno Shinichi Kudo lo facesse.
E
pregò ancor più intensamente per una bimba dai capelli dorati che non sorrideva
mai in quelle foto.
Né
con gli altri suoi tre compagni di scuola.
Né
con quella ragazza alta dai capelli castani che le stringeva le spalle.
L’uomo
sorrise.
‘
Sono fiero di te, Ai Haibara ’
Akemi
Miyano, dalla foto, ricambiò il suo sorriso.
E
fu allora che udì quel rumore.
-
Credi davvero che sia una buona idea, tesoro?-
per la prima volta nella sua vita Yukiko Fujimine fissava il marito
preoccupata. Si era sempre fidata del suo giudizio, ma adesso ci andava di
mezzo il loro unico figlio e la situazione non pareva fosse delle migliori.
Benché la neve volteggiava in maniera delicata intorno a loro, comunque non
aveva cessato di infuriare da quando avevano parcheggiato l’auto a qualche
metro di distanza dalla villa che ora si trovava di fronte a loro.
La
villa di Shinji Imai.
Yusaku
Kudo fece un sorriso tirato, mentre una cristallina goccia di gelido sudore gli
solcava la guancia arsa dal gelo. Tutti ormai si trovavano lì. E lo spettacolo
sarebbe iniziato a breve.
Le
luci nella casa danzavano in maniera particolare contro il riverbero dei vetri
vecchi quanto il libro che da tanto tempo custodiva, guardiano di una
maledizione che cento anni dopo aveva colpito di nuovo la sua famiglia.
L’uomo
si voltò verso la moglie ad incontrare quelle iridi azzurre che aveva amato
dalla prima volta, dal giorno in cui alzando il volto quel sorriso gli aveva
catturato il cuore. Poi, per quanto fossero due personaggi piuttosto famosi, la
loro vita era scorsa, fino a quel punto senza intoppi…fino a quando Shinichi
era uscito dalla loro custodia…
-
Pensi anche tu che nostro figlio sia
effettivamente perseguitato dalla jella?- sorrise perplesso l’autore del
Barone della Notte a quegli occhi che
avevano un brillio preoccupato, veramente insolito sul bel volto di Yukiko.
La
donna gli rivolse solo uno sguardo interrogativo per poi rispondere al sorriso,
lasciando indietro quell’aria malinconica che non si addiceva ai suoi splendidi
capelli ramati.
-Ma
che dici, tesoro? È solo un ignobile ficcanaso! Se la saprà cavare! In fondo è
sempre nostro figlio, no? –
-
Appunto – rispose l’uomo, inquieto – proprio
perché è nostro figlio che mi preoccupo. In più non voglio sapere come farai a
calmare quella tigre scatenata di Eri non appena si risveglierà –
-
Sei stato tu a suggerirmi di addormentarla o
sbaglio? – la donna lo fissò di sottecchi, il nasino alla francese
delicatamente arricciato.
-
Incontrare il dottor Agasa è stata una
benedizione …-
-
Anche il fatto che conservasse un sostituto
dell’orologio di tuo figlio è stato un vero e puro miracolo…-
-
Adesso è mio figlio? –
-
Quando si caccia in guai di tipo ‘giallo ‘ è sempre
tuo figlio! – sbuffò la donna incrociando le braccia sul petto con un
invidiabile cipiglio – piuttosto – aggiunse poi perdendo quella sua particolare
connotazione artistica che suo marito conosceva ormai benissimo – credi che sia
prudente lasciare tutto nelle mani di Shinichi? –
-
Ma non eri tu quella sicura del fatto che se la
sarebbe cavata? – sussurrò Yusaku Kudo circondando delicatamente la vita della
moglie con un braccio e accostandole le labbra alla fronte.
-
Si, ma rimane pur sempre un bambino…- mugolò la
donna accoccolandosi meglio fra le spalle ampie del marito.
-
Per noi sarà sempre un bambino, ma ora ha
quasi diciannove anni…-
-
Io avevo diciannove anni quando ci siamo
sposati…-
-
Già – rispose solo lo scrittore Yusaku Kudo
mentre stringeva il corpo insolitamente tremante della moglie fra le braccia.
E
poi…
Nel silenzio della neve che scendeva.
Piano.
Sul luogo dove tutto era accaduto.
E dove tutto, di nuovo…
accade.
Hiroshi
Agasa alzò il volto sconvolto.
Lo
sentì.
Yusaku
Kudo fissò uno sguardo serio oltre il vetro ambrato di una finestra.
Chiaro e distinto.
La
donna dai capelli dorati lasciò che la sigaretta le cadesse dalle dita affusolate.
Risonante.
Lo
sparò ferì i timpani dei quattro ragazzi fuori dalla porta di servizio.
E
per un attimo i loro cuori furono gelati da un sentimento che solo poche,
rarissime volte il giovane detective del Kansai aveva provato in vita sua.
Contro la paura lottava, sempre, ma in quella situazione erano tutti al limite,
e per la prima volta in tutta la sua vita Heiji Hattori si ritrovò a pensare
come sarebbe stata la sua vita senza quel nugolo di avventure dal tono noir che
la caratterizzavano ogni giorno. Per sua volontà.
E
quando incontrava Kudo.
Sul
serio il suo amico aveva qualcosa che non andava da questo punto di vista.
Il
detective dalla pelle scura rivolse uno sguardo allarmato a Kudo.
Quello
sparo, dal suono e dal calibro sembrava provenire da un’arma di ordinanza…
-…polizia?-
sussurrò Shinichi Kudo mentre lanciava uno sguardo interrogativo ad Haibara.
Vederla nei suoi panni da adulta era così…insolito. Ormai era abituato
alla calma apparizione di quella bambina adulta, ed ora quel suo temperamento
gli risultava quanto mai anomalo sul vero aspetto della scienziata.
-
Ran…- la voce di Kazuha lo riportò sulla terra.
Heiji
Hattori spalancò le palpebre fino a farsi male, ma prima che potesse solo
articolare un suono qualcosa di gracchiante rimbombò dentro il suo colletto.
-….MA
QUANTE VOLTE DOVRO’ CHIAMARTI PRIMA DI RICEVERE UN PO’ D’ATTENZIONE?!-
La voce roca dell’ultimo mago del secolo
irruppe nel piccolo spazio dove si trovavano i ragazzi riempiendolo fino a far
crepitare la neve sugli alberi.
Heiji
Hattori scosse la testa e abbassò il volume del badge prima che un’altra
scarica sonora di quella risonanza gli riservasse la preziosa esperienza di
girare con un apparecchio acustico per sempre.
-
Che c’è?- sbuffò prima irritato il ragazzo
armeggiando con il suo abito ottocentesco.
-
C’è che le danze sono iniziate senza gli invitati…-
-
Il piano è andato a farsi benedire?- sogghignò lentamente Shinichi Kudo
avvicinandosi al collo del suo collega del Kansai.
-
E tu che diavolo ci fa qui? – chiese incredula la voce del voce
dell’illusionista Kaito Kuroba, gracchiante oltre il microfono
dell’apparecchio.
-
Sono stato svegliato dal bacio della strega – sbuffò Kudo rivolgendo uno
sguardo gelido ad Haibara che sorrise scrollando le spalle e alzando le mani –
e sono venuto a rimettere a posto le cose -
Inutile
riportare lo sconvolgimento leggibile sul volto di Heiji Hattori e Kazuha
Toyama, rimasti per un attimo boccheggianti, semi-congelati dal freddo in una
pozione ebete.
-
Alza le chiappe, allora signor cavaliere, la principessa ha messo su uno
spettacolo davvero insolito per i suoi modi…-
Il mago che nascondeva la sua vera identità
sotto baffi d’argento non aveva ancora finito di parlare.
La
porta di fronte Heiji Hattori si muoveva al vento leggero e del nevischio
bagnava le mattonelle dell’ingresso.
-
Vogliamo entrare, signori – disse Shiho Miyano togliendo la sicura alla sua
pistola.
Shinichi
Kudo era già scomparso nel buio.
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-
Cazzo!- esclamò il mago del cielo d’argento perdendo il suo proverbiale self-control.
Ma che diavolo stava succedendo?
Per
la prima volta nella sua vita non sapeva assolutamente che pesci pigliare. Non
c’era assolutamente niente da fare se non quello che aveva già fatto e anche il
suo piano sembrava dovesse andare a farsi benedire. Digrignò i denti così forte
da sentire le gengive dolergli più di
quanto non gli era mai accaduto nella sua vita. Fra tutte le cose a cui pensava
quella era la meno probabile…
Come
aveva potuto la dolce Ran Mouri cacciare la pistola e trasformarsi in colei che
aveva dato inizio alle danze senza rispettare i suoi piani? C’erano quasi!
C’erano quasi! Il manoscritto era a portata di mano, quel manoscritto di “ The
Raven” firmato dalla penna dello stesso Imai, il fulcro al quale portavano gli
enigmi dei libri, la chiave che poteva svelare un mistero che si dipanava lungo
cento anni, se non addirittura millenni, un segreto che inghiottiva le più
antiche famiglie della gilda, il mistero che aveva causato la morte di suo
padre.
Ed
ora, ora stava andando tutto all’aria.
Se
solo Mouri non avesse avuto quello sguardo le sarebbe saltato al collo
dimenticandosi che era una ragazza.
Ma
quegli occhi non appartenevano alla fidanzatina di Shinichi Kudo.
Quello
sguardo era di qualcun altro.
Ed
era meglio che il principe fosse venuto presto a svegliare la sua
bell’addormentata.
Ora
c’era un’unica cosa da fare.
Fece
svolazzare qualche gonnella per coprire il suo cambio d’abiti. Quella sera era
stato Jun Miyashiro, il fattorino, era stato un facoltoso appartenete ad una
multinazionale tedesca, era stato l’ultimo mago del secolo.
Ma
ora, pure negli abiti di 1412, il ladro fantasma, era semplicemente Kaito Kuroba.
Perché
aveva aspettato quel momento da quindici anni.
Da
quando aveva promesso sulla tomba di suo padre che avrebbe conservato quel
libro come fosse stata parte della sua anima.
Ma
poi quel libro bianco era scomparso.
E
il piccolo Kaito Kuroba con esso.
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Non
era possibile.
Quello
che stava succedendo non era proprio possibile. Non era concepibile
semplicemente perché non era stato contemplato nei suoi piani.
Eppure,
ora ,per la prima volta nella sua vita il killer che amava farsi chiamare Gin
stringeva i denti come un comune mortale.
Perché
quello che gli scendeva dietro la schiena era qualcosa che non aveva mai
conosciuto in nessun momento della sua vita. Neanche da bambino. Neanche al
buio.
Nemmeno
di fronte a lui.
Spezzò
il filtro della Philip Morris fra i denti, di quella sigaretta il cui sapore
era diventato terribilmente acre.
Così
era questa, era questa la paura?
E
quello che lo faceva maggiormente incazzare era il fatto che tremasse come una
foglia di fronte ad una ragazzina.
Il
problema era che qualcosa dentro di lui gli diceva che quella non era la
principessina che stava ricattando.
C’era
qualcos’altro, qualcosa che non riusciva ad identificare, qualcosa che
assomigliava terribilmente alla sua voglia di uccidere.
E
la canna lucente di quella rivoltella d’ordinanza, vecchia ma perfettamente
lucidata, tenuta come una sorta di reliquia antidemone, un talismano contro il
male gli sussurrava con una violenza da spaccargli il cervello.
Che
fosse davvero la giustizia divina venuta a punirlo?
Il
Killer rise di se stesso e sputò quella sigaretta che aveva tinto del sangue
delle sue labbra.
Sentire,
percepire, assaporare l’odore del sangue lo riportava sempre alla vita.
Perché
lui si nutriva di quel sangue.
Non
avvertiva più alcun suono, né urla di gente spaventata, né strattoni, né
suppellettili che di frantumavano in proiettili intorno a lui.
Non
c’era nessun altro oltre a loro.
A
lui.
E
a quell’Angelo Vendicatore.
-
Vediamo che sai fare – disse solo mentre anche lui alzava la canna della sua
Desert Eagle.
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Quando
la donna che aveva la maledizione di chiamarsi Vermouth notò il movimento
improvviso dell’Angelo capì che avrebbe utilizzato la pistola che lei aveva
fatto finta di non vedere. Ci aveva riflettuto, quanto ci aveva riflettuto…
Era
tutto fuori dalla logica eppure non poteva…
Per
quanto il fatto che quella ragazza ammazzasse Gin le tornava di vantaggio…
Ma
perché non riusciva a sopportare l’idea che si sporcasse le mani? Perché non
era riuscita a fermarsi, perché non aveva ritirato la mano quando quel colpo
era partito alla volta del Killer dai capelli lunghi come serpi, perché voleva
salvarla?
Quando
il bruciore del colpo di pistola trafisse i centri nervosi del suo braccio
sentì defluire tutte le sue energie e prima di cadere a terra lanciò uno
sguardo alla ragazza dal viso di corvo.
Che
fine aveva fatto il suo angelo?
Dov’era?
Di
chi erano quegli occhi di ghiaccio?
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La
folla scemava come un alveare rumoroso intorno a lui e gli impediva di muoversi
disinvoltamente lì dove il suo cuore lo portava. Non aveva importanza quello
che avevano programmato, non aveva importanza quello che era stato, non aveva
importanza più nulla. Qualcosa più forte dei suoi stessi sentimenti lo spingeva
avanti, senza curarsi di ferire, graffiare, scrollarsi di dosso qualsiasi
ostacolo potesse impedirgli di avanzare tra quel muro di folla che lo
attanagliava, gli squassava l’anima, mentre quello che voleva era raggiungerla.
Raggiungere la persona che per prima avrebbe dovuto proteggere e che in realtà
aveva sempre relegato in secondo piano.
Perché
era sempre stato un idiota, un codardo, uno stupido, eccentrico studentello che
non sapeva assolutamente nulla della vita, non sapeva un cazzo di quello che
andava fatto per chi si amava, per chi si desiderava così tanto da fare male,
per chi si voleva affianco per la vita e che si poteva guardare solo attraverso
degli occhi poco innocenti di un bambino che era un uomo…
Corse
così veloce che i polmoni presero a
dolergli e i colpi di tosse divennero delle lance infuocate che gli perforavano
la gola.
Ma
non era proprio l’ora di fermarsi.
Adesso
per la prima volta stava lottando per una vita.
E
non avrebbe permesso che questa gli venisse strappata.
Strinse
i denti e caricò la pistola mentre con uno strattone faceva cadere una serie di
persone al suo fianco.
E
non chiese nemmeno scusa.
Shinichi
Kudo non aveva bisogno di essere educato.
Aveva
solo bisogno di essere un uomo.
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Non
riusciva a capire.
Non
riusciva a vedere bene quello che stava succedendo eppure…
Eppure….
C’era
tanta, tanta gente di fronte a lei, donne meravigliose i cui abiti sgargianti
vorticavano in un caleidoscopio di colori che le ferivano le iridi chiare,
uomini dal portamento elegante che rivolgevano il loro volto sconvolto verso di
lei, vestiti in un modo che le ricordava disperatamente qualcuno…qualcuno…
Chi
dovevano ricordarle?
Il
suo sguardo vagò poco più in là, oltre i vetri della finestra, oltre il pallido
biancore della neve che vorticava come quella sera, quella sera che bussava
così imperiosamente al suo cervello tanto da stordirla, tanto da farle male,
tanto da ridurla in fin di vita.
Perché
lei era in fin di vita.
Perché
si dibatteva.
Chi
era? Chi c’era dentro di lei?
Perché
il suo braccio era steso?
E
ai suoi piedi una macchia d’oro brillava più intensa di quanto i suoi occhi
mascherati dal volto di corvo potessero sopportare.
Era
tornata.
Sussurrò
una voce alla sua mente.
I
corvi che l’avevano presa ora avevano permesso che tornasse.
Ran
Mouri avrebbe voluto muoversi.
Quando
aveva deciso di cacciare la pistola e di sparare aveva avvertito uno strano
fremito.
Mentre
il suo mondo andava in frantumi, riuscì solo a vedere da lontano l’immagine di
un pallido Shinichi che la guardava.
Mentre
una lacrima solcava il suo volto.
Era
rinata.
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Note
dell’Autrice: E così è arrivato anche il 22esimo capitolo…non avrei mai creduto
di scrivere tanto. E sono andata avanti grazie soprattutto all’aiuto di tutte
le persone che amano questa storia! Non so nemmeno quante volte ve l’ho detto
ormai! XD scusate la ripetizione, ma è davvero così! Vi sono molto, molto grata
per questo!
Grazie a ginni85!
Sentire che i miei personaggi risultano vivi mi fa molto felice ( a dire il
vero ogni volta cerco di calarmi nei panni e nel carattere di ognuno, anche se
ormai quell’età l’ho passata da un po’ :P ), ad Akemichan,a Filly, ad Ayumi,
Kazuha-chan e tutti gli altri che mi seguono!!! Spero di riuscire ad aggiornare
al più presto ^_____^ .E comunque
scusate il terribile inguacchio con il codice html...purtroppo sembra che in qualche modo si sia messo contro di me e abbia intenzione di non farmi penetrare i suoi misteri -_____- pazientate per la resa grafica...cercherò di aggiustarla al più presto