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Autore: Josephine_    24/04/2013    4 recensioni
“Capisco.” Annuì Tremotino “Comunque… chiedimi cosa vuoi. Come regalo intendo. Posso avere tutto ciò che desideri, sempre che non vada contro il nostro contratto.” Puntualizzò poi.
Belle sapeva a cosa si riferiva: tornare a casa, rivedere il padre, il castello. Quello no, non lo poteva avere.
“E’ troppo facile così. Il regalo deve essere una sorpresa, non posso dirvelo io. E soprattutto non potete usare la magia, visto che io non posso usarla.”
Belle sembrava tornata di buon umore, e questo lo fece sorridere.
“Allora, abbiamo un accordo?” lo schernì lei scimmiottandolo e ottenendo come reazione la solita risata un po’ pazza.
“Io amo gli accordi.”
[fluffosa Rumbelle ambientata nel periodo Natalizio, hope u enjoy it :)]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Una serata diversa
 




Seduta sul suo letto –in realtà una misera brandina-, Belle guardava con fascino il vestito che aveva appeso davanti a lei, vicino all’unica finestra della sua camera –in realtà una cella umida e polverosa.
Era molto lungo, con un ricco strascico dietro e lo scollo a barchetta che le lasciava scoperte le spalle. Interamente dorato, luminoso, ricco di ricami di ogni genere, quasi sembrava un’apparizione eterea e surreale in un ambiente come quello, così buio e sporco.
 
Belle continuava a guardarlo, estasiata; ne studiava le pieghe cercando di ricordarsi come apparissero al tatto –lisce come seta o pesanti come velluto?-, rimirava la sottogonna chiedendosi se le sarebbe parsa comoda come un tempo, osservava lo scollo interrogandosi sulla sua eccessiva lunghezza.
 
Il sole era tramontato da poco e lei dovette accendere una candela per riuscire a cambiarsi. Esitò prima di togliersi il vestito da sguattera che indossava ogni giorno da un mese a quella parte, e rabbrividì quando la sua pelle calda entrò in contatto con l’aria fredda di Dicembre.
Indossò la gabbia –non la ricordava così scomoda e ingombrante-, poi la sottogonna –un velo di tulle quasi trasparente- e infine l’intero vestito, che le scivolò morbidamente lungo il corpo fino ai piedi. Il risultato fu dei migliori: sebbene Belle si sentisse un po’ rigida e a disagio, sembrava essere tornata la principessa di un tempo, la ragazza graziosa ed elegante che tutti, ad Avonlea, ammiravano.
Belle sorrise, guardando con soddisfazione l’immagine che lo specchio davanti a lei le restituiva.
Niente male, per una sguattera, si ritrovò a pensare con ironia.
 
Rimase ancora qualche minuto davanti allo specchio, interrogandosi su come avrebbe dovuto acconciarsi i capelli. Si era fatto tardi -Tremotino la stava sicuramente aspettando e l’avrebbe rimproverata per il ritardo se non si fosse sbrigata- ma qualcosa continuava a trattenerla in quella stanza; un senso di ansia misto a imbarazzo frenava la sua solita spontaneità e la spingeva a prendere tempo prima di recarsi a cena con l’Oscuro. Cos’era quella, paura di essere giudicata? O peggio, respinta? Belle si maledisse quando realizzò che si stava comportando come se quello fosse un appuntamento –non era niente del genere, era solo la cena per la Vigilia di Natale e sarebbe stata una serata ordinaria come le altre- e, legati i capelli in un morbido chignon, si decise a lasciare la stanza.
 
Il salone, distante appena qualche corridoio, le sembrò improvvisamente irraggiungibile, e fu solo dopo aver aperto il grande portone in legno rosso che Belle si rese conto di aver trattenuto il fiato praticamente per tutto il tragitto.
 
“Buonasera dearie, magnifico vestito.” La accolse lui piegando leggermente la testa in segno di saluto e facendole l’occhiolino, e Belle gli fu grata per non aver infierito sul suo ritardo.
 
“Buonasera” ricambiò Belle sorridendo ed esibendosi in un inchino profondo e aggraziato. Quando rialzò gli occhi sull’Oscuro, lo vide intento ad osservarla in maniera quasi spudorata e arrossì di colpo.
 
Tremotino ghignò, poi fece un movimento rapido con la mano e lo chignon di Belle scomparve, facendo sì che i capelli le scivolassero morbidamente attorno al viso –una cascata di boccoli castani da cui il Signore Oscuro rimase momentaneamente ipnotizzato.
 
“Mi piacciono di più così” le disse Tremotino con nonchalance per rispondere al suo sguardo interrogativo. Belle arrossì di nuovo.
 
“Anche a me.” Ammise.
 
Tremotino si avvicinò e le tese la mano, e lei l’accettò senza esitazione. Come sempre la pelle dell’Oscuro era spessa e ruvida al tatto, ma Belle non vi prestò attenzione; era, piuttosto, concentrata sulla sua presa, che mai avrebbe immaginato così delicata e priva di qualsiasi violenza.
 
Mentre si dirigevano verso l’enorme tavolo sul quale erano già state sistemate le molte portate, Belle spiò di sottecchi Tremotino e fu con sorpresa che notò che indossava degli abiti che non gli aveva mai visto prima: una calzamaglia nera lucida che metteva in risalto il corpo snello, una camicia color cremisi dalle maniche larghe, un gillet d’oro e una giacca di media lunghezza di velluto blu che gli conferiva un’aria sobria e nobile allo stesso tempo.
 
“Ti piace, dearie?” le chiese lui intercettando il suo sguardo.
 
“Sì, vi sta bene.” Sussurrò Belle, decisamente colta alla sprovvista “Dove l’avete trovata?” chiese poi per mandare avanti la conversazione.
 
“Oh, bhè, l’ho presa oggi pomeriggio da un uomo di una contea qua vicino. All’inizio non voleva darmela, ma quando ho cominciato a uccidere i suoi figli ci ha ripensato…”
 
Belle rimase un attimo interdetta, indecisa se prendere tali parole sul serio o no, ma poi la risata un po’ isterica di Tremotino e la leggera pressione che esercitò sulla sua mano –ancora sospesa a mezz’aria sopra la sua- la tranquillizzarono.
 
I due, arrivati al tavolo, si sedettero uno di fronte all’altro e ad un cenno dell’Oscuro cominciarono ad assaggiare le varie pietanze. Belle aveva dato il massimo per quella cena, arrivando addirittura a cucinare cose che mai avrebbe pensato di poter preparare: carni e verdure di ogni tipo, minestre, legumi e salse riempivano lo spazio che la separava da Tremotino in un tripudio di colori, profumi e consistenze che avrebbe solleticato qualsiasi palato.
 
“Complimenti, è tutto molto buono.” Le disse infatti lui dopo un po’, facendole nuovamente l’occhiolino “si vede che sei portata per il lavoro di domestica.”
 
Belle ignorò la frecciatina e sorrise, entusiasta, riempiendosi il calice di vino. Mentre sorseggiava dalla coppa –interamente laccata d’oro e con pietre preziose incastonate ai lati- gettò uno sguardo al suo interlocutore e si concesse qualche secondo per osservarlo; puntò nuovamente gli occhi sulla giacca, che gli calzava a misura, poi sulle mani, che saettavano da un piatto all’altro con una velocità ed una grazia inaspettate, e infine sul volto, una maschera di impassibilità incrinata soltanto da quella linea fine e dura che erano le sue labbra.
L’Oscuro staccò con decisione e delicatezza una coscia di pollo e Belle immaginò quello stesso tocco –così dannatamente perfetto- sulla sua pelle calda. Sussultò appena si rese conto di aver pensato una cosa del genere e per poco non le andò di traverso il vino.
 
“Tutto a posto, dearie?” la incalzò Tremotino, il solito ghigno stampato in faccia.
 
“Certo” mentì Belle “stavo solo pensando.”
 
“E a cosa? Ad uno dei vostri libri?” E fece un gesto annoiato della mano.
“Probabile” Belle sorrise e lo guardò con aria complice, uno sguardo che Tremotino si affrettò a ricambiare.
 
“Ah, dearie, non capirò mai cosa ci troviate di così bello nei libri.” Sospirò lui.
 
“Ma anche voi leggete.” Si affrettò a dire Belle.
 
“Io non leggo” Tremotino sembrava stizzito “Io studio, sazio la mia sete di conoscenza. E’ diverso dal crogiolarsi nelle vostre storielle smielate e così tristemente prevedibili.”
 
“Bhè, ad Agrabah un uomo diceva che un libro è un giardino che puoi custodire in tascaˡ.”
 
“E voi siete stata ad Agrabah?” le chiese l’Oscuro alzando un sopracciglio in segno di scetticismo.
 
“Certo che no. L’ho letto in un libro.” E Belle gli fece l’occhiolino e Tremotino rise di nuovo, questa volta in maniera un po’ meno pazza e un po’ più normale.
 
“Io” continuò poi la ragazza “penso semplicemente che non esista vascello che possa portarci lontano quanto un libro.² Voi viaggiate tanto, ad esempio, e non avete bisogno di leggere per sentirvi protagonisti della vostra vita; anche a me piacerebbe viaggiare, ma non potendolo fare fisicamente mi accontento di farlo mentalmente. E’ ugualmente un modo molto intimo e speciale di vivere avventure, solo senza pericoli di morte imminente, catture, minacce di orchi, giganti e così via.”
 
Belle rise di quella sua risata sincera ma un po’ imbarazzata, come se temesse –o sapesse- di essersi aperta troppo, di aver oltrepassato un confine invisibile, e volesse tornare indietro senza farsi notare. La testa gettata leggermente all’indietro, i capelli scomposti a solleticarle il labbro superiore, muoveva gli occhi alla ricerca di un segnale nel suo aguzzino che le facesse capire se il suo commento era stato troppo intimo, ma Tremotino –incantato dalla schiettezza delle sue parole e completamente catturato dalla gioia che quei grandi occhi blu emanavano- rimase interdetto per qualche attimo. Solo alla fine si decise a sorriderle cordialmente, chiudendo il discorso con un “sì, è molto più sicuro leggere che viaggiare.”
 
I due stettero in silenzio per qualche minuto –si udiva soltanto il rumore delle posate che sbattevano e del vino che di volta in volta riempiva i loro calici- poi l’Oscuro parlò di nuovo.
 
“Quindi stavate pensando ad un vostro libro?”
 
“N-non me lo ricordo. Era un pensiero qualunque.” Si affrettò a dire Belle, rossa in viso, presa alla sprovvista da una domanda che aveva considerato già archiviata.
 
“Ah! Ho capito!” esclamò Tremotino con la voce più acuta del solito “Stavate pensando al mio regalo!”
 
Belle rise, sollevata, per poi confessare “Mi dispiace deludervi ma no, non stavo pensando a quello. Stavo pensando al mio, di regalo!”
 
“Ah, dearie, per quello dovrete aspettare domattina” le disse lui, stavolta la voce bassa come se le avesse appena svelato un segreto molto importante.
 
Belle non esitò e prese la palla al balzo “Allora anche voi, signore, dovrete aspettare.”
Di nuovo vi fu un momento di silenzio, un silenzio profondo ma privo di qualsiasi imbarazzo o vergogna, un silenzio rotto soltanto dall’alchimia tra i loro sguardi –da un lato un paio di occhi blu profondi e indagatori, dall’altro un paio di occhi neri misteriosi e imperscrutabili- che si infrangevano l’uno sul volto dell’altro.
 
Tremotino scostò impercettibilmente la sedia dal tavolo e si alzò, seguito a ruota da Belle che ancora non aveva smesso di fissarlo.
 
“Adesso che la cena è finita puoi anche ritirarti nelle tue stanze. Io filerò un po’.” Disse lui.
 
“Veramente manca ancora l’albero.” Lo provocò Belle.
 
“L’albero?”
 
“L’albero di Natale! L’abete! Non è Natale se non addobbiamo l’albero.” Lo rimproverò lei.
 
Tremotino sbuffò sonoramente.
 
“Ti sembro forse Babbo Natale?” le chiese con più sarcasmo del dovuto.
 
“Bhè, avete voluto festeggiare la Vigilia ma se non addobbiamo l’albero non ha senso.”
 
L’Oscuro sbuffò di nuovo, poi mosse velocemente la mano verso la grande vetrata in fondo alla stanza e dal nulla si materializzò un abete alto almeno tre metri completamente rivestito di addobbi di ogni genere. Belle soffocò a stento un gridolino di sorpresa e Tremotino sorrise nel pensare come quell’affascinante ragazza ricoperta di seta dorata potesse essere così intrigante e allo stesso tempo così semplice e infantile.
 
“Puoi mettere il puntale” le disse riscuotendosi dai suoi pensieri.
 
“Oh, grazie!” esclamò lei prendendogli la mano e lasciandolo momentaneamente fermo e irrigidito nella sua posizione.
 
“Magari così smetterai di lamentarti, dearie” la apostrofò lui appena ebbe ritrovato la voce.
 
Belle aveva preso una scala e stava salendo sull’albero con il puntale –un angelo interamente laccato d’oro- in mano, attenta a non inciampare sul suo stesso vestito.
Tremotino la guardava dal basso, attento ad ogni suo singolo movimento, e si ritrovò a desiderare che lei improvvisamente cadesse. Lui era sotto di lei e l’avrebbe presa al volo come facevano gli eroi dei libri che leggeva. Avrebbe sentito su di lui il calore della sua pelle, avrebbe osservato il suo volto da vicino, avrebbe studiato attentamente la fossetta che gli increspava il viso quando era persa nelle sue riflessioni, avrebbe visto le sue labbra dischiudersi come un bocciolo di rosa per ringraziarlo, e le sue parole lo avrebbero investito come il vento caldo del sud.
 
Scosse la testa, amareggiato dalle sue stesse fantasie, e riportò lo sguardo sull’albero, adesso completo di puntale dorato. Belle stava discendendo la scala stando sempre bene attenta a non perdere l’equilibrio o a pestare il vestito, ma fu quando arrivò a poco più di cinquanta centimetri da terra che mancò un gradino e rischiò di cadere all’indietro.
 
Fu la presa ben salda di due mani sulla sua vita a permetterle di riprendere l’equilibrio.
Tornata a terra, le mani di Tremotino erano ancora lì, poggiate con delicatezza e decisione dove il suo abito cominciava ad allargarsi in una gonna luccicante e voluminosa.
 
Belle non si voltò, non si mosse neanche; voleva che Tremotino continuasse a tenerla in quel modo, come fosse stata una bambola di porcellana e lui avesse avuto paura di romperla semplicemente lasciandola.
 
Alla fine fu lui a staccarsi da lei, e Belle si decise a guardarlo nel viso.
 
“Grazie.” Gli disse semplicemente, sorridendogli.
 
Tremotino scosse le spalle e disse semplicemente “Tranquilla, dearie.” Per poi aggiungere, in tono decisamente canzonatorio “Ricapiterà, conoscendo la vostra poca affinità con le cose che richiedono un minimo di atletismo”
 
Belle rise, prese un libro dallo scaffale sopra il camino e si mise a leggere sul divano lì davanti. Il fuoco le illuminava il profilo, riscaldandole la pelle e facendo apparire il suo vestito ancora più luminoso. Tremotino rimase dietro di lei per qualche istante prima di voltarsi e dirigersi verso il filatoio che aveva sistemato in un angolo.
 
“Spero non abbiate più intenzione di disturbarmi adesso” le disse con finto rimprovero, ma Belle non gli rispose; era già stata assorbita da quelle pagine pregne di amori e di avventure, di pensieri e sentimenti di ogni genere. L’Oscuro avrebbe voluto riprenderla, magari arrabbiarsi, ma non lo fece. La guardò per qualche altro secondo, poi si sedette e cominciò a filare la paglia in oro, come faceva tutte le sere da che riusciva a ricordare.
 
 
Fu dopo qualche ora che Belle cominciò ad accusare i segni della stanchezza; la mano ancora appoggiata sulla pagina che stava leggendo, il vestito sollevato sopra le caviglie, si sdraiò sul divano e aprì la bocca in uno sbadiglio.
 
Dietro di lei, Tremotino filava ancora. Quando voltò leggermente la testa per riuscire a vederlo, Belle notò che era incredibilmente concentrato sulla ruota che girava e che un sorriso amaro gli increspava il volto. Avrebbe voluto chiedergli come mai lo affascinasse così tanto quell’immagine –o quel gesto, o quel rumore- ma aveva terribilmente paura di spezzare l’atmosfera intima e tranquilla che si era venuta a creare nel salone e ne temeva le conseguenze.
 
Lo guardò un’ultima volta –quella bestia, quel mostro, quell’uomo così solo, così amareggiato, così distante eppure così vicino, così affascinante e misterioso, così eternamente infelice, forse pazzo, forse triste, forse pieno di rancore, forse d’amore, sicuramente solo- e fu in quel momento che il silenzio perfetto di quel momento venne a mancare; la ruota cigolò per un istante, ma questo bastò perché Tremotino si riscuotesse dai propri pensieri imprecando qualcosa a mezza voce. L’Oscuro si guardò attentamente intorno – e Belle trattenne il fiato sperando di non essere vista-,  poi si passò una mano tra i capelli mossi e tornò a concentrarsi sul proprio lavoro. Fece girare la ruota e aspettò che questa smettesse di cigolare, poi prese altra paglia e ricominciò a filare –atto dopo atto, gesto dopo gesto, movimento dopo movimento. Belle tirò un sospiro di sollievo, felice di non essere stata sorpresa a guardarlo, ma la sua piccola gioia fu stroncata sul nascere:
 
“dovresti andare a letto, dearie.” Le disse infatti lui senza tuttavia distogliere lo sguardo dal filatoio. “Domani sarà una giornata importante per entrambi: io riceverò il mio regalo e voi comincerete a pulire tutte le vetrate del Castello.” Ghignò poi.
Belle avrebbe voluto rimanere lì ad osservarlo lavorare per tutta la notte, ma a malincuore fu costretta ad alzarsi e a dirigersi verso il grande portone di legno rosso. Prima di uscire sussurrò un concitato “buonanotte” e gettò uno sguardo alle proprie spalle, dove un uomo solo e amareggiato stava cercando disperatamente di ricreare l’incanto che un banale cigolio aveva spezzato, un incanto che ormai era passato, cancellato, mai più.³

Ma adesso Belle sapeva finalmente cosa regalargli per Natale.












1. Si tratta realmente di un proverbio arabo.
2. Emily Dickinson, una poesia che al momento non ricordo.
3. Tucholsky, Augen in der GroBstadt







  
Writer's corner
Ciao a tutti e ben tornati :) Alla fine mi sono decisa ad aggiornare, anche se la puntata 2x19 mi aveva tolto un po' di "ispirazione" (si è visto, per caso? non vorrei aver fatto una caduta rispetto ai capitoli precedenti!) Comunque, il prossimo sarà l'epilogo, cioè il capitolo finale :) penso che sarà più corto ma non ci conterei troppo, ci devo ancora lavorare parecchio. Nel caso non si fosse capito, questo episodio è situato a Natale, quindi mooolto prima della scena in cui Belle cade giù dalla scala mentre cerca di aprire le tende (per questo nella descrizione non l'ho citato nè altro). Mi raccomando, non siate avidi di opinioni e recensite numerosi, sia che la storia vi piaccia sia che vi faccia un po' schifo (ma in questo ultimo caso cercate di essere clementi). Un bacione a tutti e a presto,
Gelb.

ps: come al solito non ho riletto, troooppa fatica (mannaggiammèx2) 

 
  
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