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Autore: Najade    29/04/2013    1 recensioni
« Mandarmi a lavorare da zio J. ? E' questa la soluzione? » Davvero non riusciva a credere che avrebbe dovuto rinunciare alla sua estate per aiutare il fratello di sua madre nella gestione di un parco acquatico, da sola, per giunta; non che avesse qualcosa contro Joel, né tanto meno contro il suo compagno, anzi gli stavano piuttosto simpatici, ma l'idea di lavorare in sé per sé, ecco non era proprio il massimo.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Ed ecco qua il primo capitolo, l'avventura di Robin finalmente ha inizio, per quanto ancora si trovi in viaggio. Spero vi piaccia, in caso recensite <3
« Perché tutte le fortune capitano a te? »
« Regan, non ti ci mettere pure tu, per favore. » 
L'amica torno a guardarlo senza capire, abbandonando a malincuore tutte le fantasie che aveva avuto su una romantica isoletta dei Caraibi completa di sabbia, sole, sdraio, cocktail e visioni paradisiache; qualcosa nel suo tono le aveva fatto capire che non condividevano propriamente la solita idea a riguardo.
« Quale è il problema, scusa? » La castana lasciò ciondolare le gambe dal letto dell'amico, afferrando un cuscino e stendendosi su un fianco; erano inseparabili sin dall'infanzia e l'intimità che si era andata a creare riempiva la stanza, abbattendo pudore e imbarazzo. Non che effettivamente ci dovesse essere motivo di disagio, ma questo il lettore ancora non può saperlo, no? 
Ma proseguiamo, eravamo rimasti a Robin che ticchettava nervosamente sul ripiano della scrivania, rintocchi metallici e una mano a coprire il sole che entrava dalla finestra aperta insieme al canto degli uccellini.
Era una camera qualunque, dopotutto, con un comodo letto ad una piazza e mezzo posto di fronte alla porta, la parete immacolata intervallata da mensole ricolme di libri e custodie di video-games; l'armadio a muro si trovava subito alla destra dell'entrata, seguito immediatamente dalla scrivania.
« Dovrò passarci tutta l'estate, Reggie. Tutta. » Insomma sembrava un gran spreco di tempo, quello, aveva sempre pensato al periodo estivo come ad una pausa per evadere dalle oppressioni scolastiche, una possibilità per passare le giornate fuori a divertirsi con gli amici, mare, sole, avventure. « Non ci vedremo per mesi. » Raccolse le gambe sulla sedia girevole per poi avvicinarle al petto e abbracciarsele, la bocca in una smorfia infantile.
La castana esplose in una risata fragorosa, dimenandosi tra le coperte e rischiando di cadere giù per le convulsioni, cosa ci fosse di tanto divertente proprio non si riusciva a capire; pareva una reazione decisamente eccessiva anche per la scenetta comica che si era appena consumata, reazione che riuscì quasi a offendere il ragazzo accucciato sulla sedia. « Appena torni fra noi, fammi un fischio, eh. »
« Pff... Ahahaha! » La fanciulla si alzò e con un balzo si fiondò su Robin, rifilandogli un pizzicotto sulla guancia e ammiccando. « Aw, piccolo e timido Robin! Sei quasi tenero... » 
Il ringhio in risposta non lasciava presagire nulla di buono, ma la ragazza dagli occhi nocciola non si lasciò intimorire: conosceva quella peste, tanto fumo e poco arrosto. « Scherzi a parte, ti fa bene uscire un po' da queste quattro mura, nuovi orizzonti, gente da conoscere. E' un'occasione per aprire la propria mente. » A suo merito andava detto che l'esuberante Regan Cook amava viaggiare, conoscere persone e.... insomma, amava tutto, in pratica.
E non aveva tutti i torti, per quanto Londra fosse una città veramente immensa e che offriva miriadi e miriadi di opportunità, il giovane Wood non aveva mai avuto l'occasione di esplorare i dintorni, confrontarsi con altre mentalità, da questo punto di vista si poteva dire che fosse ancora un bambino.
« Chissà quanti ragazzi carini ci saranno... » La morettina stava ancora fantasticando ad occhi aperti, tentando di convincere l'altro, illustrando un elenco infinito di "pro" ed evitando accuratamente ogni "contro" che potesse incupire maggiormente il ragazzo.
Era la paura a tenerlo bloccato lì, timore di non essere all'altezza, di scoprirsi, di abbandonare quella campana di vetro in cui aveva sempre vissuto, ma non lo avrebbe mai ammesso; forse neanche se ne rendeva conto, consciamente, semplicemente rimandava il momento, tuttavia consapevole che prima o poi sarebbe arrivato. 
Responsabilità.
Era quella la parola chiave? Ciò da cui rifuggiva? I suoi gli avevano dato la possibilità di andare veramente a quel concerto, ci teneva a vedere la sua band preferita in quell'unica rimanente data londinese e adesso che ne aveva l'occasione si ritirava?
Gettava la spugna ancor prima di provarci? Da quando era diventato tanto codardo? Da quando si abbandonava passivamente, remissivo e senza energie? No, non poteva essersi rammollito.
Strinse l'orlo della t-shirt che indossava, una delle sue preferite, con il logo che ritraeva i Vendicatori della Marvel al completo, una presa spasmodica, rabbiosa, indignata quasi; avrebbe affrontato la cosa di petto, come faceva sempre, come gli era stato insegnato.
« Partirò fra un paio di settimane, subito dopo gli esami. » Lei annuì, intuendo quello che doveva essere accaduto all'interno della sua testa, giudicò chiuso l'argomento e si mise a sedere sul letto un po' più composta.
« Già. Dammi un po' una mano con francese, sono nella merda. »
 
Esattamente quindici giorni dopo, alle nove del mattino, Robin si trovava seduto su una scomoda poltroncina di plastica sorprendentemente gialla - l'improponibile colore cozzava tra l'altro con il resto dell' "arredamento" della nave che l'avrebbe portata a destinazione: un atollo nell'Oceano Atlantico, meta di famiglie in cerca di svago per i propri pargoli, coppiette in cerca di intimità, turisti in cerca di bei paesaggi. Insomma, un'isoletta un po' per tutti.
L'imbarcazione era salpata da una quarantina di minuti, quasi un'ora passata osservando il moto ondoso di quella distesa infinita, ne era rimasto rapito: le scaglie luccicanti di tonalità sempre diverse di blu, i giochi di luce che originavano riflessi sempre più fantasiosi, il rumore rilassante delle onde, l'odore di sale.
Tutto lo inebriava, pareva non avere abbastanza sensi per captare tutto ciò che lo circondava, se il resto dei passeggeri sonnecchiava, faceva parole crociate, chiacchierava o correva su e giù, lui semplicemente rimaneva immobile in assoluta contemplazione; la brezza gli scompigliava i corti capelli, frustandogli la nuca e lasciandogli piacevoli brividi lungo la pelle nuda delle braccia, un sorriso debole aleggiava sulle labbra piene.
Tra le mani stringeva ancora il braccialetto di cuoio intrecciato che Regan gli aveva affidato prima di partire, al molo insieme ai suoi genitori per i saluti finali; "mandami tante cartoline" gli aveva detto con l'aria sognante che non lasciava dubbi su quanto fosse invidiosa di quell'opportunità. Anthony gli aveva dato una pacca sulla spalla, impacciato, ma in quella stretta, Robbie, aveva avvertito tutto il calore possibile; sua madre non aveva resistito e lo aveva avvolto in un abbraccio stritolante quanto imbarazzante, prima che riuscisse a sottrarsi dalla sua presa, poi come in un sogno si era portato l'enorme valigia al petto e si era incamminato sulla passerella.
Pareva un sogno fatto ad occhi aperti, temeva che sbattendo un po' troppo forte gli occhi o compiendo un movimento eccessivamente brusco, quei colori sarebbero svaniti come trame che andavano lentamente a sfilacciarsi, scaglia dopo scaglia l'oceano sarebbe andato distrutto portando Robin con sé, trascinandolo nell'abisso, ghermendogli i polmoni e rubandogli l'ultimo soffio di vita, poi, si sarebbe svegliato nella sua vita di sempre, nel suo letto di sempre, nei panni di sempre.
Stese una mano, attonito, aprendo e chiudendo il palmo ripetutamente, lentamente, quasi dovesse saggiarne la mobilità; prese ad osservarla, come se in essa avrebbe avesse potuto rivelargli la verità: erano lisce, candide, solcate da vene pallide e filamentose, le dita lunghe e snelle, le unghie un po' mangiucchiate. 
Sfiorò il bordo della sedia leggermente scheggiato, strinse dapprima flebilmente poi con sempre maggiore convinzione, un primo timido approccio col timore di veder davvero svanire tutto solo con un semplice contatto; ma tutto gli era parso dannatamente reale che trovò il coraggio di premere con forza e di riflesso, avvertendo la confortante solidità della plastica, uno stupido sorriso gli si stava dipingendo in volto.
Proprio lui che non voleva partire, adesso fremeva dalla voglia di prendere il largo e viaggiare, librarsi in aria, fondersi con ciò che lo circondava, divenirne parte.
« Scusa, posso sedermi? » Ed ecco l'appiglio che lo sottraeva dalle sue fantasie, lo ridestava senza troppi problemi da quella meraviglia in cui si stava perdendo, lo trascinava con insistenza contro corrente; a malincuore Robin si volto, lo sguardo ancora trasognante dietro la zazzera d'ebano un po' troppo lunga, non riuscì a nascondere un guizzo di fastidio negli occhi carbone prima di fare un cenno noncurante col mento senza prestare troppa attenzione al suo interlocutore. « Prego. »
Avvertì la presenza estranea prendere posto accanto a lui con un verso soffocato, ma non se ne curò tornando ad immergersi nelle sue fantasie.
  
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