CAPITOLO
TRE – CONFIDENZE
Ora,
tu, giovane amore mio, stammi bene accanto
perché questo è solo il punto di partenza
tutto il resto poi verrà da sé.
(Quanto
amore sei, E. Ramazzotti)
“Che
diamine stai facendo?” urlò Jack con gli occhi
fuori dalle orbite.
“Se
non posso convincerti con le buone, allora uso
le cattive”, rispose Ianto scrollando le spalle.
“Scendi
immediatamente da lì”, gli ordinò
l’altro,
puntandogli un dito contro e guardandolo minacciosamente.
Ianto
lo guardò dritto negli occhi, ma non si mosse.
Era in piedi, in bilico sopra la ringhiera della baia. Sotto di lui
c’erano il
vuoto e l’acqua e, se fosse caduto, oltre a un bel volo di
qualche metro, si
sarebbe trovato ad impattare con l’acqua e anche se fosse
sopravvissuto a ciò,
il che richiedeva una gran bella botta di culo, non sarebbe uscito del
tutto
illeso.
Insomma, faceva venire le vertigini soltanto a guardarlo stare
lì sopra e, come
facesse ad avere quel buon equilibrio, il Capitano non ne aveva idea.
“Ti
prego, scendi”, ripeté Jack, questa volta con
più calma. Iniziò ad avvicinarsi cautamente.
“Prima
dimmi che mi ami”.
“Cosa?”
“Dimmi
che mi ami”.
“Ma
che diavolo ti salta in mente?!”
“Quando
me lo hai detto l’altra volta stavo
rischiando la vita. Perciò devo rischiarla di nuovo per
fartelo ridire”.
Di
tutte le cose strane e assurde che gli erano
capitate questa… ok, forse non era la più strana
e assurda, ma comunque poteva
rientrare nella lista. Insomma, qualcuno che rischiava la vita per lui?
“Tu
sei fuori di testa, Ianto”.
“Sì,
lo sono ed è soltanto colpa tua”.
Jack
prese un grosso respiro e cercò di calmarsi.
D’altronde la calma era il suo forte, no? Calma e sangue
freddo. Non aveva
davanti un alieno, solo Ianto. Un attimo. E se Ianto fosse stato
impossessato
da un alieno?
Naaah, era troppo Ianto per essere un alieno.
“Dimmi
che mi ami e scenderò”, ripeté il
ragazzo
senza smettere di guardare Jack.
Il
Capitano abbassò lo sguardo.
“No”.
Ianto,
allora, lanciò uno sguardo al cielo e si
dondolò sul posto.
“D’accordo,
come vuoi”.
Jack
rialzò di nuovo gli occhi sull’altro
chiedendosi che diamine avesse in mente adesso, quando sentì
il suo cuore fare
una capriola all’indietro e premere per uscirgli dal petto
nel momento in cui
vide Ianto staccare un piede dalla ringhiera.
“Ianto!”
urlò, protendendosi in avanti e afferrando
il ragazzo per i fianchi. “D’accordo,
d’accordo! Ti amo! Però adesso scendi”.
Il
gallese sorrise tra sé e sé gongolando. Infine,
fece un salto giù dalla ringhiera con l’aiuto di
Jack che ancora temeva di
vederlo volare di sotto.
Non appena constatò che aveva i piedi ben saldi al terreno,
il Capitano si
voltò dall’altra parte, dandogli le spalle.
“Ma
che cosa ti era saltato in mente?” sbraitò,
girandosi
di scatto di nuovo verso Ianto e portandosi i capelli indietro.
“Suicidarti?”
Ianto
rabbrividì un po’. Non aveva mai visto Jack
così incazzato, che lui ricordasse. Forse aveva esagerato un
pochino. Ma almeno
aveva ottenuto ciò che voleva.
“Solo
a convincerti a dirmi che mi ami”, rispose
come se niente fosse.
“Diavolo,
ma perché non potevi lasciar perdere?
Perché ti ostini così tanto?”
“Perché
sì, perché ti amo anch’io”.
Jack
stava per aggiungere qualcos’altro ma ammutolì
di colpo.
Spostò lo sguardo verso la strada dove in lontananza
c’erano due ragazzi che
passeggiavano con un cane. Non sembrava che li avessero notati.
“E
questo adesso dovrebbe cambiare le cose?” chiese
il Capitano con più calma, riportando di nuovo lo sguardo su
Ianto.
“Be’,
sì… o almeno lo vorrei”, rispose il
ragazzo
con un’espressione affranta.
“E
che cosa vorresti che cambiasse? Quello che c’è
tra noi?”
“Sono
stufo di essere solo la tua macchina del
sesso!” fece allora l’altro, alzando di nuovo la
voce. Forse stava sbagliando tutto,
forse si era spinto troppo oltre.
Jack
spalancò i suoi occhi chiari. “Macchina del
sesso? Tu non sei la mia macchina del sesso, Ianto, non lo sei mai
stato”.
“Ah
no?”
“No”.
“E
allora che cosa sono per te?”
Quella
era la domanda fondamentale e richiedeva una
risposta semplice ma essenziale, Jack lo capì dallo sguardo
del gallese, così
rattristato, così pieno di una strana angoscia,
così doloroso alla vista. E
immediatamente sentì frantumarsi qualcosa nel proprio cuore.
Perché quella
domanda non voleva celare soltanto quelle sette parole, ma molto di
più. Decisamente
di più.
“Sei…
sei… sei la cosa più importante che
ho”,
rispose infine, abbassando lo sguardo. Ed era vero. Aveva conosciuto
tante
persone e alcune di queste per lui erano state molto importanti. Ma
Ianto lo
era adesso, lì e in quel momento. Non importavano il passato
o il futuro,
importava il presente, soprattutto per un Agente del Tempo. Ianto era
il
presente e doveva concentrarsi solo su quello.
Carpe
diem, no?
Si
avvicinò con passo felpato al compagno e appoggiò
le mani sulla ringhiera, restando a fissare il panorama di fronte a
sé. Il sole
ormai stava volgendo al tramonto, tingendo il cielo di tinte accese e
brillanti.
“Sai
perché non ti ho fatto venire con noi, oggi in
missione?” disse poi e continuò senza aspettare la
risposta dell’altro. “Perché
avevo paura. Ho paura che tu ti faccia del male, ho paura che rimani
ferito di
nuovo e che rischi di nuovo di morire. E non c’è
una terza possibilità, non c’è
mai e se dovesse succedere la prossima volta potresti non tornare
più indietro…
potresti non tornare più da me. E io non voglio che questo
accada perché non
sopporterei di vederti morire, non per colpa mia. Ed è anche
per questo che non
volevo dirti che ti amo, per questo ti ho evitato. Perché so
che anche tu mi
ami e io non voglio che tu mi ami. Non me lo merito, non merito di
stare con
una persona speciale come te.
Ho paura ad affezionarmi alla gente perché so che tutti
prima o poi moriranno,
mentre io resto sempre qui, da solo. E anche tu prima o poi morirai e
mi
lascerai da solo”.
Era
forse il discorso più sentimentale che avesse
fatto e per poco non gli venne da vomitare per tutta quella
sdolcinatezza. Però
era vero, terribilmente vero. Per la prima volta si metteva veramente a
nudo di
fronte a qualcuno.
Ianto
però non emise alcun suono. Era calato un
silenzio piuttosto pesante tra loro e il vento iniziava ad alzarsi.
Jack si voltò verso il ragazzo, per assicurarsi che stesse
bene, quando si
trovò di fronte a ciò che non si era affatto
aspettato. Delle gocce bagnate gli
stavano rigando il volto e i suoi occhi azzurri erano velati di lacrime.
“Ianto?”
lo chiamò sorpreso. “Che c’è
che non va?”
gli si mise di fronte prendendolo per i fianchi e guardandolo in volto.
“Mi…
mi dispiace”, biascicò l’altro, cercando
di
mantenere la voce il più ferma possibile.
“E
di cosa?”
“Io
non voglio lasciarti solo”.
Jack
sospirò. “Ma lo farai. Non puoi
impedirlo”,
appoggiò la fronte contro quella di Ianto.
“Ti
amo”.
“Lo
so”.
E
si baciarono. Jack si fiondò sulle labbra di Ianto
quasi come se fosse un bacio d’addio, con una fretta e una
passione che non
aveva mai usato. Ma Ianto ci stette, almeno finché
riuscì a restare al posso.
Poi cedette perché Jack era troppo forte e si
lasciò dominare dalla lingua del
Capitano, si lasciò stringere fra le sue braccia, si
lasciò prendere.
“Torniamo
a casa?” chiese Jack non appena si furono
staccati, entrambi col fiatone.
A
casa.
Era strano perché con quella parola si riferiva alla casa di
Ianto, dato che
lui non ce l’aveva. Ed era strano perché pareva
già considerarla casa sua.
Ed era proprio questo il bello. Si partiva dalle piccole cose, dalle
cose più
semplici e quotidiane per costruire una relazione.
E loro avevano iniziato già da tempo senza nemmeno essersene
resi conto.
Ianto
annuì piano, sorridendo.
“Ma
secondo voi ce la faranno quei due a chiarirsi?”
chiese Gwen sbucando di colpo tra Tosh e Owen che se ne stavano di
fronte al
computer.
“Di
chi stai parlando?” le chiese la giapponese,
spegnendo uno dei primi schermi.
“Ma
di Jack e Ianto, ovvio!”
“Aaah,
secondo me non concluderanno niente. Si troveranno
a scopare come conigli, come al solito”, commentò
il dottore prendendo la sua
giacca dall’attaccapanni.
“Potresti
almeno essere un po’ solidale. Secondo me
questa volta potrebbero farcela… a mettersi insieme,
intendo”, lo contraddisse
Gwen, appoggiandosi al tavolo.
“A
me non interessa. Che facciano quello che
vogliono”, fu il commentò indifferente di Tosh.
Aveva spento tutti i computer e
si era tolta gli occhiali da vista.
La sua giornata era conclusa e non vedeva l’ora di tornare a
casa.
“Ma
non sei curiosa nemmeno un po’?” le chiese Gwen
con un sorrisetto malizioso.
“Assolutamente
no! Io mi faccio solo gli affari
miei”, le rispose l’amica con tono da saccente.
Gwen
sbuffò.
“Ehi,
Tosh!” chiamò ad un tratto Owen che aveva
iniziato a dirigersi verso l’uscita. “Non ho voglia
di andare a casa. Ti va se
andiamo a mangiare da qualche parte?”
Toshiko
per poco non si mise a saltare dalla gioia,
gli occhi le brillavano e tutta la stanchezza, tutto d’un
tratto, sembrò
scemare via.
“Certo!”
esclamò avvicinandosi al ragazzo. Lui le
mise un braccio attorno alle spalle, ma prima di andare via si
girò di nuovo,
verso Gwen. “Tu vieni?”
“Oh
no, Rhys mi aspetta a casa”.
“Certo,
il buon vecchio Rhys. Salutalo da parte
mia”.
Finalmente,
non ne poteva più. Era stata una
giornata piuttosto stancante, doveva ammetterlo. E per fortuna che quel
giorno
non aveva dovuto correre troppo.
Lavorare per Torchwood era emozionante, ma a volte terribilmente
stancante.
Non
appena varcò la porta di casa, sentì un
buonissimo
profumo invaderle il naso e le fece immediatamente venire
l’acquolina in bocca.
Si
tolse le scarpe e, più silenziosa di un gatto,
entrò in cucina, trovandovi Rhys ai fornelli, con un
grembiule a scacchi che
canticchiava una canzoncina allegra, tutto intento a preparare
chissà quale
prelibatezza.
Sempre
senza fare rumore e di soppiatto, gli si
avvicinò da dietro le spalle e gli cinse i fianchi con le
braccia appoggiando
il viso sulla sua ampia schiena.
“Gwen!”
esclamò lui, voltandosi e abbracciandola.
“Non ti ho sentita entrare”.
“Lo
so”, rispose la ragazza, questa volta affondando
il viso nel suo petto.
“Ehi,
che c’è?” le chiese Rhys con tono dolce.
“Niente,
sono solo stanca”.
Lui
ridacchiò vedendola fare un ampio sbadiglio.
“Spero
tu abbia almeno la voglia di mangiare. Sto
cucinando da due ore”.
“Oh,
per quello sempre”.
“Bene,
perché io e te tra mezz’ora ci metteremo a
tavola, di fronte a un bel piatto di spaghetti italiani, e tu mi
racconterai di
qualche strana creatura aliena che avete sconfitto”.
Gwen
sorrise e diede un casto bacio sulle labbra del
suo ragazzo. Ecco perché amava Rhys ed ecco
perché le piaceva sempre tornare a
casa da lui dopo una dura giornata di lavoro. Era qualcosa di
così confortevole
e sicuro, un nido dove tutte quelle cose strane, alieni, mostri,
fantasmi e
creature di ogni tipo non potevano entrare.
Casa sua e Rhys erano il suo porto sicuro.
“Certo!
Prima però vado a cambiarmi”, e così
dicendo, corse su per le scale già un po’ meno
stanca.
Tosh
si asciugò le lacrime agli angoli degli occhi,
l’ultimo riflesso delle risate ancora impresso sul volto.
Lei e Owen erano seduti in un tavolino leggermente appartato di un
piccolo
locale e il dottore le aveva appena raccontato un aneddoto che
l’aveva fatta morire
dalle risate. O forse non era tanto quello, forse era stato il modo in
cui l’aveva
raccontato o il fatto che si trovava lì da sola con lui che
la faceva sentire
così allegra.
“Questa
cosa l’avevo raccontata anche ad altri ma
nessuno aveva mai riso così tanto come te”, fu il
commento del ragazzo, quando
l’amica riuscì a calmarsi.
Tosh
inarcò le sopracciglia e si morse il labbro
inferiore. “Ah sì?”
Temette di essere arrossita.
“Sì.
E sai cosa? Dovresti ridere così più
spesso”.
La
ragazza sorrise dolcemente e abbassò lo sguardo,
leggermente imbarazzata.
“Be’,
allora… allora cercherò di… farlo
più spesso”.
Owen
annuì e mise in bocca anche l’ultimo pezzo di
crosta che era rimasto del suo hamburger.
Toshiko
rialzò lo sguardo e lo portò sulla vetrata
di fronte a lei, cercando di evitare gli occhi dell’amico.
“Oh,
quelle decorazioni sono bellissime!” esclamò,
notando dei disegni rappresentati sui vetri, per cambiare argomento.
Il
dottore si girò nella direzione indicata
dall’amica
e osservò anche lui quelle decorazioni piuttosto particolari.
“Sì.
Sapevo che ti sarebbe piaciuto questo posto”.
“Ah
sì?”
“Be’,
a me piace molto. È carino per passare una
tranquilla serata con gli amici”.
Toshiko
sorrise tra sé e sé. Sembrava essere la sua
giornata fortunata quella, sperava che non finisse mai.
Toshiko,
non farti illusioni. Owen ha detto che siete solo amici,
si disse mentalmente.
Ad
un tratto, però, vide una ragazza passare vicino
al loro tavolo. Era alta, decisamente più alta di lei con
quei tacchi, e
portava dei jeans attillatissimi che addosso a lei sembravano
disegnati, i
capelli scuri raccolti in una coda alta che ondeggiava a ogni suo
passo,
insieme al suo didietro.
Anche Owen la seguì con lo sguardo, girò pure la
testa per vederla sedersi ad
un altro tavolo dove altre ragazze, probabilmente le amiche, la
accolsero
ridacchiando.
Toshiko
era sicura che si sarebbe alzato per
raggiungerle e flirtare con loro. E invece, il ragazzo, si
girò di nuovo
riportando l’attenzione su di lei.
E lei trangugiò l’ultimo sorso di birra, quando
sentì partire dallo stereo una
canzone un po’ lenta e romantica e non riuscì a
trattenersi dall’esclamare: “Oh,
mio Dio! Adoro questa canzone!”
“Davvero?”
fece Owen.
“Sì,
è stupenda!”
“Be’,
allora… ti va di ballare un po’?”, le
chiese
lui, porgendole la mano.
La
ragazza osservò prima la sua mano, poi lui, poi
di nuovo la sua mano, sbigottita.
“Che
cosa?”
“Ti
ho chiesto se vuoi ballare. Se non vuoi pazienza”.
“Oh
no!” rispose con un po’ troppa fretta.
“Voglio
dire… sì, certo che voglio ballare”.
E
senza attendere altro, Owen le prese la mano che
lei gli porse e la condusse sulla pista da ballo dove già
altre coppiette si
stavano godendo la canzone stretti l’uno tra le braccia
dell’altro.
Ianto
mugolò a bassa voce, stringendo le mani sul
lenzuolo.
Era steso sul letto con Jack che gli stava sopra a cavalcioni e gli
lasciava una
lunga scia di baci su tutto il petto, insieme a qualche morso attorno
ai
capezzoli.
Erano entrambi senza camicia, ma molto probabilmente presto si
sarebbero
ritrovati completamente nudi.
Il
ragazzo affondò le mani tra i capelli del Capitano
quando questi prese a mordicchiarli il lobo dell’orecchio
destro. I loro bacini
erano finiti a cozzare l’uno contro l’altro e tutti
e due sentivano l’eccitazione
crescere sempre di più.
Ma sembrava che quella sera se la stessero prendendo con comoda, senza
fretta,
pure Jack ci stava mettendo tutta la calma possibile, senza saltare
alcun
preliminare. Forse perché non c’era nessuna
catastrofe o fine del mondo da
affrontare, nessun alieno minaccioso alla porta. O forse il motivo era
un
altro, che non c’entrava niente col loro lavoro, ma solo coi
loro sentimenti.
Ianto
chiuse gli occhi, lasciandosi andare tra le
calde braccia del suo amante. Ad un tratto, però,
sentì che aveva smesso di
baciarlo e che si era scostato un po’.
Riaprì gli occhi trovandosi il suo volto sopra al proprio,
gli occhi chiari che
lo guardavano intensamente, come a volerlo sondare.
“Ianto?”
lo chiamò a bassa voce.
“Sì?”
“Posso
chiederti una cosa?”
“Sì”.
Tutto, purché si rimettesse a fare quello che
stava facendo.
“Perché
ci tenevi così tanto che ti dicessi che ti
amo?”
“Perché
è vero”.
“No,
non è solo per questo”.
“Perché…”,
il ragazzo voltò lo sguardo dall’altra
parte, in direzione della porta, per evitare di guardare
l’altro negli occhi. Quello
che stava per dirgli era troppo imbarazzante… e troppo
profondo.
“Ehi”,
lo chiamò di nuovo Jack, allora, molto
dolcemente, facendogli voltare la testa verso di sé.
“Puoi dirmelo”.
“E’
solo che…”, iniziò Ianto.
“Solo
che?”
“Non
ce la facevo più… a guardarti e…
insomma, non
lo so, Jack, è solo che ho… ho bisogno di
qualcuno. Non riesco a stare da solo,
non riesco a reprimere i miei sentimenti. E di notte… di
notte mi piace avere
qualcuno che dorma al mio fianco”.
Jack
gli sorrise teneramente e gli diede un bacio
sulle labbra, allungando le proprie mani su quelle di Ianto allungate
sopra la
sua testa e intrecciando le loro dita.
E
quella notte, per la prima volta, fecero veramente
l’amore.
Toshiko
fece una giravolta su se stessa e poi tornò
di nuovo tra le braccia di Owen, ritrovandosi a poggiargli una mano sul
petto e
l’altra intrecciata con la mano del ragazzo.
Stavano ancora ballando quella canzone, in silenzio ed evitando di
guardarsi
troppo negli occhi. Cercavano di mantenere comunque le distanze, per
non farlo
diventare troppo intimo. O almeno questa era l’impressione
che aveva la
ragazza, ma non aveva idea se Owen se ne fosse accorto o meno o se lo
facesse
apposta.
Comunque
sia, non importava. Le bastava essere lì
con lui.
“Rhys?”
“Sì?”
“Ti
ho mai detto che ti amo?”
Rhys
sorrise sentendosi sciogliere e portò una mano
della sua ragazza sul proprio petto, all’altezza del cuore.
“Dopo tutto questo
tempo mi fai ancora battere il cuore così”.
Anche
Gwen lasciò che
le sue labbra si aprissero in un sorriso e, ridacchiando allegra, si
abbassò
verso Rhys, sotto di lei sul divano, e lo baciò
appassionatamente, lasciando
che i capelli le scivolassero giù, come per nascondere
quello che stavano
facendo perché era qualcosa che apparteneva soltanto a loro.
MILLY’S
SPACE
Non
credevo che sarei riuscita ad aggiornare così
presto…
ma le recensioni molto belle che ho ricevuto mi hanno stimolata a
scrivere
questo capitolo abbastanza in fretta.
Spero che non sia venuto male anche se temo di aver fatto i personaggi
un po’ OOC,
specialmente Jack.
Il fatto è che Jack io in realtà lo vedo pieno di
sentimenti, anche se non li
mostra apertamente
proprio
per mantenere quella
corazza impenetrabile che lo caratterizza. Ma credo che sia
tutt’altro che insensibile
e immune all’amore e sono convinta che lui sia veramente
innamorato di Ianto.
Jack mi affascina soprattutto per questo, perché
è un personaggio che va
interpretato. In lui è incentrata un’ampia gamma
di sentimenti ed emozioni, è
un animo che va sondato, insomma, con un bel po’ di
esperienza psicologica,
anche.
Ma ok, non siamo qui per parlare della mia passione per Jack Harkness e
la
psicologia, bensì di questa storia.
Allora,
è un capitolo un po’ di transizione
perché ho
pensato che fosse giusto far fare una pausa ai nostri eroi e farli
godere qualche
attimo di calma. Ne succederanno delle belle, col proseguo, pertanto
facciamoli
divertire finché possono : )
Ianto
ha escogitato un buon sistema per convincere il
nostro Jack a dichiararsi, anche se forse un pochino esagerato (la
melodrammaticità dell’autrice, che ci potete fare?
^^), ma il desiderio di
Ianto di avere una persona accanto non è solo un capriccio
dell’autrice (o
meglio, sì visto che sono io che scrivo la storia e tutto
quello che c’è
scritto nella serie non succede), ma c’è una
motivazione di fondo che scoprirete
più avanti e che secondo me c’è anche
nel telefilm.
E,
ultima nota, la canzona sulla quale ballano Tosh e
Owen è I can’t fight
this feeling di Reo Speedwagon
(l’ha trovate qui
à
http://www.youtube.com/watch?v=zpOULjyy-n8).
In
realtà non sono una grande fan di questa coppia, ma mi
è sembrato giusto
dedicarle comunque un po’ di spazio. E ne troverete un
po’ anche più avanti,
forse già dal prossimo capitolo.
Bene,
penso di aver detto tutto. Anzi, no. Ho un’ultima
cosa, o meglio, una domanda: qualcuno di voi sa per caso il nome della
sorella
di Ianto? Non ricordo se lo abbiano detto nel telefilm, comunque sia in
ogni
caso non lo so.
Adesso
sì che è tutto ^^
Grazie
della cortese attenzione e non scordatevi le
recensioni.
Baci,
Millyray.
GLINDA:
hola, cara : ) grazie mille per la recensione, mi fanno sempre un sacco
di
piacere. Sì, Jack è un personaggio piuttosto
particolare, ma è anche per questo
che lo amiamo, no? Grazie ancora, spero di risentirti. : )
SWEETLADIE98:
sono molto contenta di essere riuscita a mantenere i personaggi
così come sono
perché è una cosa piuttosto difficile e capita a
molti autori di stravolgerli. Qui,
però, come ho già detto sopra, credo di essere
andata un po’ fuori, ma va be’
^^ licenza d’autore… sono anche contenta di essere
stata esauriente con le
descrizioni. Secondo me è importante che siano brevi ed
efficaci e non una
lunga sfilza di azioni e aggettivi che dopo un po’ iniziano
ad annoiare.
Bene, ti ringrazio ancora per il link che mi hai passato, mi sono
già vista
tutti gli episodi della 3 stagione. Inutile dire che aspettavo con
ansia la
scena della morte di Ianto su cui poi ho pianto come una fontana.
Dimmi che ne pensi di questo capitolo, se ti va : ) Baci.
P.S. il nick è millyray, ma puoi chiamarmi solo milly o ray,
come preferisci :
)
P.P.S. il tuo avatar è stupendo : )
BIMBA3:
sì, Jack lo amiamo sia con i suoi difetti che coi suoi pregi
: ) a Ianto non è
successo niente, sta’ tranquilla ^^ è solo Jack
che ha avuto un leggero
infarto. Grazie mille della recensione, spero di risentirti.
Bacioni,
M.