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Autore: Andy Black    03/05/2013    10 recensioni
Non è la solita storia... qui non si scherza più. Il destino del mondo, come noi lo conosciamo, è in pericolo.
Pregare per il proprio futuro diventa lecito, quando scopri che il tuo dio ha finito di avere pietà e compassione per te. Troppi errori.
Troppe ingiustizie.
Ma qualcuno cercherà di cambiare tutto, e di salvarci. Di salvarci tutti.
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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Impulsi - Pt. 2


Al suo risveglio il cielo si stava colorando d’arancio. Le nuvole erano sparite appena in tempo per permettere al tramonto di mostrarsi in tutta la sua malinconica luminosità. Rachel era nel letto e si godeva quel torpore post sonno. Quasi post coma. Guardava il soffitto, pronunciando le labbra. Quando dormiva molto pesantemente le si gonfiavano, ma non ne capiva il motivo. Stese le dita, toccando la folta coda di Zorua. A quel contatto, il Pokémon scosse il pelo.
Era stanchissimo. Aveva lottato fino allo stremo.
Rachel si alzò, sedendosi sul letto, la volpe si appallottolò, mettendosi più comoda. La ragazza sorrise. Lo guardò poi. Alcuni graffi non erano ancora guariti.
“Ryan...” rifletté.
Pensò bene di prendere in prestito gli strumenti di suo fratello, per rimettere completamente Zorua in sesto.
Decise di fare il grande passo, e si alzò.
Ryan le aveva detto che la borsa con i suoi rimedi era nel ripostiglio del sottoscala. Quindi vi si avviò portando Zorua in braccio, fallendo nel tentativo di non svegliarlo. Quello sbadigliò, irrigidendo i muscoli, in maniera illegalmente dolce. Rachel sorrise e lo depositò ai piedi della porta. Una volta aperta si rese conto che la missione sarebbe stata più difficile del previsto.
La valigetta si trovava esattamente sul ripiano più alto.
“Dannazione!” esclamò, quando si accorse che anche mettendosi in punta di piedi non riusciva per un soffio a toccare la valigetta.
Sbuffò contrariata, ripromettendosi di lamentarsene con Ryan in futuro, ma senza demordere. Cercò di spingersi ancora oltre, con l’unico risultato di riuscire a sfiorarla. Si ritrasse per qualche istante, valutando la strategia migliore, dopodiché si riavvicinò, afferrando con un braccio il ripiano e spiccando un balzo, riuscendo finalmente ad afferrarla. Non si rese conto però che il ripiano non era correttamente fissato, o forse semplicemente l’età ne aveva rovinato i sostegni. Improvvisamente la borsa con i rimedi e un altro contenitore dall’aria piuttosto pesante, assieme a pile di libri e scartoffie, le vennero catapultati addosso. Si parò istintivamente la testa con le braccia, cadendo di schiena e ascoltando il tonfo e il rumore assordante.
Restò immobile per qualche secondo, con il cuore che le batteva a mille, poi si abbandonò sul pavimento, sentendo i canini di Zorua che le mordevano l’estremità della manica per attirare la sua attenzione.
“Tutto a posto” si limitò a sussurrare. “È tutto a posto, ora calmati...”
Sospirò profondamente sedendosi sul pavimento ed incrociando le gambe.
“Perché sono così bassa?” si chiese, annoiandosi già solo ad immaginarsi nel mettere a posto tutta quella roba. Poi la sua attenzione fu catturata da qualcosa.
Il secondo contenitore si era aperto, riversando tutto ciò che aveva al suo interno sul pavimento. Iniziò a raccogliere tutto il contenuto analizzandolo attentamente. Erano cose vecchie e polverose. Sorrise, quando vide che erano di suo padre, professore universitario a Edesea, la città della regione famosa per il gran numero di università e musei.
“Documenti, documenti, foto... come era carino papà... e... e questa cos’è?”
Una lettera. Dietro riportava la firma del padre e la dicitura ‘Per Rachel’.
La osservò incuriosita per qualche secondo, prima di decidersi ad aprirla.
Zorua le saltò sulle gambe, come se volesse sbirciare quello che l’elegante grafia che John Livingstone molto tempo prima aveva inciso in modo indelebile sulla carta.
 
Mia adorata bambina, se stai leggendo questa lettera vuol dire che la mia codardia ha avuto il sopravvento e che non sono riuscito ad essere sincero con te come realmente meriti...
 
 
Era ormai sera quando Ryan tornò a casa. Le luci della casa erano spente, eccetto quella del corridoio del primo piano. Il ragazzo aveva appena messo piede in casa quando Zorua gli corse incontro con aria agitata, addentando il lembo del suoi pantaloni.
Cercava di tirarlo verso le scale.
In un attimo al ragazzo si gelò il sangue nelle vene. Temeva che potesse essere successo qualcosa di grave, una caduta dalle scale o un malore. Si precipitò al piano di sopra sorpassando Zorua. Salì i gradini due a due, finché non trovò Rachel inginocchiata davanti al sottoscala.
Non sembrava ferita, ma c’era qualcosa in lei che lo inquietò. Era immobile e sembrava non aver sentito né i suoi passi né la sua voce, quando l’aveva chiamata. Fra le mai stringeva un pezzo di carta di cui il ragazzo ignorava l’identità.
Per un istante, un brevissimo istante, Ryan ne fu spaventato. Non riusciva a riconoscere sua sorella. Strinse i denti, e le si inginocchiò di fianco, toccandole leggermente una spalla e mormorando il suo nome.
“Rachel...”
Meccanicamente, la ragazza si voltò verso di lui, lo sguardo era ancora perso, e sbatté due volte le palpebre nel tentativo di metterlo a fuoco.
“Tu lo sapevi?” chiese debolmente.
Erano le uniche parole che riuscì a dire. Ryan si sentì percorrere da un brivido. Diede una fugace occhiata alla lettera che la ragazza stringeva tra le mani e capì. Capì, ma rimase in silenzio, un silenzio ben più esplicativo di qualunque parola.
Lo sguardo della ragazza si fece di nuovo vivo, intenso. E incredulo.
“Tu lo sapevi”
La sua voce sembrava un soffio. Per un attimo mille pensieri le attraversarono la mente. In un istante la sorpresa si trasformò in rabbia.
“Tu sapevi tutto!” in un attimo balzò in piedi. Il battito fuori controllo, respirava con enormi difficoltà. Sentiva di aver perso ogni controllo su sé stessa, sentiva di aver perso sé stessa.
“Era tutta una menzogna! Tutta la storia come fratello e sorella, tutto quanto!” si scagliò addosso a Ryan, che non ebbe nessun problema nell’immobilizzarla, incrociandole le braccia e stringendola al suo petto.
“Sapevi tutto! Mi hai tenuto tutto nascosto! Mi hai mentito! Da sempre!”
Il ragazzo non aveva idea di come arrestare la sua furia, non sapeva cosa dire per calmarla, per non risultare ancora più meschino di quanto non apparisse ai suoi occhi in quel momento. Non riusciva a trovare niente nel database delle scuse. Tutto ciò non poteva essere scusato.
“Rachel... cerca di capire” abbozzò “Era troppo presto, e poi... non c’era motivo di dire tutto... non c’era motivo di dover distruggere la nostra famiglia...”
Rachel trovò nuovo impeto dalla rabbia, sapeva che le era possibile sovrastare il fratello, ma non trovava altro modo di sfogare quella rabbia, e quindi tornò ad urlare.
“Ma sarebbe stata la verità! Non hai mai pensato che fosse giusto che io sapessi?!”
Ryan sospirò, abbassando la testa, incontrando lo sguardo di brace della ragazza. Poi la rialzò, non riusciva ad affrontare quel peso.
Rachel sbuffò, stanca, sfibrata dentro, e all’improvviso scoppiò a piangere.
Aveva perso la carica che la rabbia le aveva dato. Si staccò dal fratello correndo in camera e chiudendosi a chiave, ignorando le proteste del ragazzo.
Zorua non fece in tempo ad entrare, e rimase fuori.
Il pianto le stava attutendo i sensi, stordendola al punto da non riuscire più a distinguere la voce del fratello dal ronzio di pensieri che sentiva le si stava creando nella mente. Senza nemmeno rendersene conto, restando rannicchiata sul pavimento, con le spalle contro la porta, si addormentò.
 
Ryan continuò a chiamare Rachel per qualche minuto, prima di rinunciare. Gallade al suo fianco lo guardò preoccupato, ma il ragazzo si limitò a sorpassarlo mentre tornava al piano di sotto. Era tardi, non si sentivano più rumori provenire dalla città. Sospirò pesantemente, era stata una giornata pesante anche per lui, ma non poteva ancora fermarsi. Al piano di sotto iniziò a risistemare gli oggetti caduti dall’armadio. La lettera era rimasta per terra. Soffocò l’impulso di strapparla. Era tardi ormai, avrebbe dovuto farlo molto tempo prima. La riguardò per l’ennesima volta, la conosceva, la ricordava. Ricordava di aver scoperto suo padre a scriverla, cinque anni prima e di aver provato a farlo desistere. Si rese conto di avere un mal di testa fortissimo. Finì di risistemare in fretta e se ne andò in camera, portando la lettera con sé.
Si buttò sul letto, scivolando in un nero mare senza sogni.
 
Fu Zorua a svegliarla, alcune ore dopo, battendo con la zampa sulla porta.
Rachel riconobbe l’autore di quel piccolo rumore, e si spostò quando bastava per aprire la porta. Zorua si fiondò dentro, e dopo che Rachel chiuse di nuovo la porta a chiave, le si fiondò addosso, leccandole il viso, che sembrava stesse cadendo a pezzi per via del trucco sciolto. La ragazza lo abbracciò stretto mormorando qualcosa che neppure lei ritenne comprensibile. Si guardò attorno, uno strano malessere le bloccava lo stomaco. Improvvisamente le sembrò che quella stanza la soffocasse. Doveva andarsene. Prese una borsa e cominciò a buttarci dentro tutto quello che aveva nelle vicinanze e che pensò potesse esserle utile. Indugiò qualche secondo sulle Poké Ball che Ryan le aveva lasciato, ma poi decise di prendere anche quelle.
“Non si sa mai” bisbigliò.
Stava per avviarsi alla porta quando si bloccò. Non ce l’avrebbe fatta ad uscire senza che nessuno la sentisse. Anche ipotizzando che Gallade stesse dormendo, camminare per la casa avrebbe procurato comunque troppo rumore. L’altra alternativa era la finestra. Era al secondo piano della casa, un’altezza eccessiva per lanciarsi nel vuoto e anche ammettendo che sarebbe caduta sulla siepe in giardino e che questa avrebbe attutito il rumore, oltre che la caduta stessa non era comunque sufficiente. Ci pensò per un attimo. Prese in braccio Zorua, facendo in modo che si potessero guardare negli occhi.
“Ho bisogno del tuo aiuto, sai?”
Pochi minuti dopo era sul cornicione della finestra, zaino in spalla. Faceva freddo, ma l’adrenalina intorpidì la sua capacità di percezione, guardò di nuovo Zorua, che stringeva fra le braccia e si scambiarono un cenno d’assenso, dopodiché si getto nel vuoto. Lasciò che fosse il suo Pokémon a decidere il momento e a poco da terra quello utilizzò l’attacco Protezione.
Erano ancora interi.
Restò col fiato grosso per alcuni secondi, volle accertarsi di essere viva davvero, e quando ne fu sicura iniziò a correre. Era quasi l’alba eppure non se ne accorse. Superò l’entrata al bosco che tanto la terrorizzava in un soffio, correndo quanto più le sue gambe potessero, lo zaino pesava ma non gliene importava, aveva un boccetta vuota e una vecchia borraccia rinvenute nel suo armadio, sarebbe passata vicino il ruscello, le avrebbe riempite e sarebbe corsa verso Timea, nel tentativo di far perdere le sue tracce.
Dopo una lunga corsa arrivò al ruscello. Se suo fratello si era svegliato e aveva capito che non era a casa l’avrebbe cercata alla radura, dalla parte opposta a quella in cui si trovava. Restò per un attimo a riprendere fiato, aveva i polmoni che le bruciavano ed ogni respiro era doloroso. Si permise solo in quel momento di controllare se tutto ciò che aveva era ancora a posto e non era stato danneggiato dalla caduta. Con sua gioia era tutto in ordine, i vestiti di ricambio più spiegazzati, ma non aveva importanza. Aveva preso tutti i suoi risparmi ed era sicura di poterci arrivare abbastanza lontano. Intanto mentre pensava ad una possibile tabella di marcia, faceva scorta d’acqua. Era di nuovo pronta a rimettersi in cammino, quando qualcosa le sbarrò la strada.
Aveva la criniera carica d’elettricità. Ad un primo sguardo risultava grazioso, ma qualcosa le fece capire che probabilmente in quella zona non erano spesso ammessi visitatori.
Rachel si ritrasse istintivamente osservando le sinistre scintille del Blitzle che aveva davanti conficcarsi a terra e gli zoccoli del Pokémon raschiare nervosi il terreno, senza distoglierle lo sguardo di dosso. Era in pericolo.
Improvvisamente il Pokémon iniziò a brillare, caricando il proprio corpo di energia elettrica.
Sottocarica.
Quella parola le attraversò la mente, Il Pokémon si stava preparando a rinforzarsi per sferrare un attacco. Deglutì rumorosamente. Indietreggiando ulteriormente e ritrovandosi a pochi centimetri dall’acqua del ruscello.
Zorua s’intromise, ringhiando al Pokémon che aveva davanti. Si pose davanti a Rachel, come per proteggerla. La ragazza cercò di recuperare un po’ di buonsenso. Doveva attaccare prima che lo facesse il suo avversario. Ma era già troppo tardi. Il Pokémon Caricavolt era scattato. La ragazza non riuscì a trattenere un urlo, la confusione, l’emozione, la rabbia, tutto si era messo ad impedirle di ordinare qualcosa a Zorua, qualcosa che servisse per difendere entrambi. Blitzle aveva attaccato, e come con il Lanciafiamme di Solrock, solo all’ultimo lei trovò la forza di reagire. Si avventò su Zorua, afferrandolo e saltando lateralmente, evitando per un soffio l’attacco Scintilla del nemico. Di nuovo l’adrenalina che fluiva nel corpo, vide il Pokémon caricare il prossimo attacco, e dentro di sé non poté fare a meno di ripensare alla lettera che aveva scatenato tutto questo.
 
Mia adorata bambina, se stai leggendo questa lettera vuol dire che la mia codardia ha avuto il sopravvento e che non sono riuscito ad essere sincero con te come realmente meriti.
È passato tanto tempo da quando ti vidi per la prima volta.
Quella sera io e Ryan aspettavamo la fine del turno di tua madre. Eravamo da soli in casa, e quel monello, che all’epoca aveva appena otto anni, non riusciva a star fermo. Gli avevo appena promesso che per il suo decimo compleanno gli avrei dato il permesso di tenere un Pokémon ed era fuori di sé dalla gioia. Continuava a dire che doveva assolutamente andare al centro medico per informarsi, per sapere come avrebbe dovuto trattarlo e che avrebbe avuto bisogno di molto tempo per prepararsi. Ridevamo su queste sciocchezze quando Martha tornò, spalancando la porta. Era pallida, i suoi begli occhi cremisi erano appannati dall’inquietudine. Forse fu per quello che ci misi qualche istante a realizzare che teneva due esserini tra le braccia. Una bambina, ed un cucciolo di Zorua. Quella fu la prima volta che ti vidi e posso assicurarti che non sarò mai in grado di dimenticarmene finché avrò vita.
Non ci spiegò mai dove ti avesse trovata, avevi all’incirca due anni, quindi esclusi che fossi stata abbandonata dopo un parto. Ero agitato, lo ammetto, Martha aveva decretato che restassi con noi, e per quanto pieno di sconcerto non sarei mai stato in grado di negarglielo. Avevi lo sguardo triste di chi era reso conto di essere solo. Uno sguardo che mi uccise dentro e che mi strinse le viscere. Ryan ti guardava incuriosito, fu lui che dopo un attimo di sbigottimento si limitò a chiedere:
“Come si chiama?”.
Ti indicava come se fossi qualcosa mai visto e avevo nello sguardo quella genuina curiosità che solo i bambini possono avere.
Martha disse semplicemente “Rachel”.
Ti adottammo quella sera stessa.
Fu un procedimento lungo, ma non ti avremmo mai lasciata. Non lo faremo mai, bambina, ricordalo sempre.
 
Chiuse gli occhi istintivamente, ed una lacrima non riuscì a restare aggrappata alle sue lunghe ciglia. Tutto ciò era troppo, non ce la poteva fare a sopportare quel peso dentro. Si abbandonò a sé stessa, stringendo il piccolo Pokémon a sé.
Fu quando poté sentire l’elettricità caricare l’aria che qualcosa spezzò quell’incantesimo di dolore e terrore.
“Palmoforza, Lucario!”
Una voce che dentro di sé conosceva già troppo bene riempì l’aria, spazzando via la carica elettrica che la circondava. Fra lei e il Blitzle ora si frapponeva un Lucario e alle spalle della ragazza apparve il tipo dal bizzarro ciondolo. Il tipo che due giorni prima l’aveva sconfitta e che adesso si frapponeva fra lei e il suo avversario.
Fu stupito quanto lei di trovare un volto conosciuto in quella boscaglia, dove i primi raggi del sole bianco invernale si insinuavano nei rami e illuminavano l’acqua, facendola splendere di un bianco accecante.
Rachel si sorprese a piangere.
Quello le si chinò affianco, cingendole le spalle con un braccio.
“Va tutto bene, tranquilla” le sorrideva con la stessa espressione di quando l’aveva sfidata e di quando le aveva regalato quella Baccafrago. L’aiutò a rimettersi in piedi, sollevandola quasi di forza, mentre il Pokémon nemico continuava ad osservarli dubbioso, senza togliergli gli occhi di dosso.
“Lucario, fatti da parte, è l’avversario di questa signorina ed è un’allenatrice abbastanza capace da sconfiggerlo da sola” fece quello.
Rachel sobbalzò, ma non protestò, si asciugò a forza le lacrime col braccio e lasciò che Zorua si rimettesse in posizione d’attacco, mentre sia il ragazzo che il suo Lucario si facevano da parte. Blitzle iniziò a caricarsi di nuovo, più lo faceva, più la sua difesa aumentava, ma improvvisamente Rachel capì che quello non era affatto un problema.
“Zorua, Punizione!”
Il Pokémon partì, veloce, all’attacco. Fu un colpo decisamente potente che lo spinse con forza, tanto da farlo cadere nell’acqua del torrente.
“Prima che si rialzi, vai con Finta!”
Zorua caricò di nuovo l’avversario, raggiungendolo e sparendo un istante prima di colpirlo, il Pokémon che si stava rialzando rimase disorientato e non poté evitare il colpo sul fianco che gli sferrò la piccola volpe e che lo fece di nuovo cadere in acqua, stremato.
Senza nemmeno pensarci Rachel tirò fuori la sua Poké Ball. Se doveva catturare un Pokémon, aveva deciso che sarebbe stato quello.
La Ball intrappolò il Pokémon, troppo stremato per opporle una resistenza degna di questo nome e finalmente tutto finì.

 
   
 
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