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Autore: Trick    23/11/2007    5 recensioni
AGGIORNATO IL SESSANTOTTESIMO CAPITOLO
Infiltrato nel clan di Fenrir Greyback, Remus Lupin finirà per scontrarsi con quella realtà dalla quale ha sempre tentato di sfuggire. Nel frattempo, a Londra, Tonks non può far altro che cercare di sopravvivere alla guerra che imperversa per la città. Una storia fra umani e licantropi, fra amicizie improbabili e segreti dimenticati, per decidere se sia più forte il richiamo del sangue o quello del cuore.
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTUNESIMO

Sulle ali della mitologia classica

°°°°°°°





«Sembravi molto sicuro di te mentre parlavi a Fen di quel villaggio».

«Little Hangleton» disse Lupin, senza distogliere gli occhi ambrati dai riflessi luccicanti che il sole dipingeva sullo specchio d’acqua dello Shannon. Il vento si alzò improvvisamente, portando con sè un leggero e pressoché impercepibile odore di umido. «Presto pioverà».

Le labbra di Rouge s’incresparono in un lieve sorriso divertito. «Inizi a ragionare con i sensi del lupo?»

«Già».

«È normale».

«Non per me» sentenziò bruscamente Lupin, «questa natura non mi ha dato nient’altro che complicazioni.»

«È ovvio» rispose con naturalezza la donna, «ti sei costretto a vivere in un mondo di cui non sarai mai capace di fare parte».





«Non c’è alcuna differenza, Remus, fra me e te».

«TI sbagli, Lily».

Ti sbagli.





«Sei cresciuto in quel villaggio, dunque?»

Lupin scosse la testa. «Dall’altra parte del River Wear, a poche miglia da Durham. Sulla costa orientale» spiegò. «Un luogo davvero incantevole».

Rouge storse il naso, nauseata. «Me lo immagino» borbottò, «umani da tutte le parti».

Lupin le rivolse un sorriso indulgente. Lei, per tutta risposta, si limitò a fissarlo con stizza, incrociando le braccia al petto.

«Credi che io parli solo per dare aria alla bocca, Lupin?» eruppe Rouge, le sopracciglie inarcate minacciosamente fra loro, «credi che non capisca cosa significa?»

«Perdonami» si scusò Lupin, «ma mi chiedevo che genere di umani potessi aver conosciuto per parlare così di loro».

Rouge trasalì. «Che t’importa?»

«Io ti ho detto dove sono cresciuto» ribatté, «ora tocca a te».

«Non mi hai raccontato abbastanza» disse la donna, piccata, «puoi scordartelo».

Lupin sospirò, abbassando il capo e prendendo a giocherellare distrattamente con un rametto umido. Alzò nuovamente gli occhi verso lo Shannon, apparentemente perso in pensieri inafferrabili.

«Avevo cinque anni» iniziò esitante, «quando Greyback mi ha morso». Si bloccò, guardando di sottecchi Rouge, evidentemente – e ingenuamente - sperando che quelle poche parole le sarebbero parse sufficienti.

«Aveva avuto una violenta discussione con mio padre, e il risultato... be’, è davanti ai tuoi occhi» concluse laconico, con un gesto quasi scocciato della mano.

Rouge sembrava perplessa, quasi scettica. Continuava a fissare pensierosa Lupin, le sopracciglie inarcate e le labbra leggermente schiuse. «Non ti ha portato via?» domandò, con un filo d’incredulità nella voce. «Perché?»

Lupin alzò le spalle, con un sorriso storto. «Il suo obiettivo non ero io, ma mio padre. Voleva colpirlo indirettamente».

«Lo avrebbe colpito anche portandoti qui».

«Naturale» ne convenne Lupin, annuendo brevemente, «ma, fidati, così è stato decisamente peggio».

«Per te, o per lui?»

Lupin la guardò gravemente. «Non so dirtelo, Rouge» sospirò, «sicuramente, qui a Jura avrei avuto meno problemi».

«Lo credi davvero?» ribatté divertita la donna. «Credi davvero che a Jura avresti avuto vita facile? Ciò che hai visto finora non ti è bastato, Lupin?»

«Tu non sai com’è là fuori, Rouge. Non hai idea di cosa significhi per uno come noi, crescere fra i maghi».





«Lily, non è semplice. Tu non capisci cosa significa crescere... fra voi».

«Noi?»

«Voi».

«Noi, chi?»

«Voi... normali».

«Sai, Remus... se non dovessi tenere alto l’onore della mia spilla, probabilmente ti avrei preso a pugni già da diversi minuti».





«Sì, invece» mormorò lei, «lo so».

«Lo sai?» ripeté Lupin, visibilmente interessato. Lei lo guardò di traverso.

«Be’» continuò lui, con un sorriso pacato, «io la mia storia l’ho raccontata».

«Ne avevo otto di anni» iniziò Rouge, «credo» aggiunse dopo una breve e incerta pausa.

Lupin la studiò fissarsi le mani, intuendo la sua agitazione dal modo in cui la donna continuava a muovere freneticamente le dita fra loro. «Me ne sono andata io».

«Come?»
«Ho deciso io di andarmene» incalzò stancamente, come se non desiderasse altro che porre fine a quell’atroce conversazione, «dopo un po’ non ho più retto».

«È stato Greyback a...?»

«E come faccio a saperlo? So solo che un licantropo mi ha morso, fine della storia».

«Eri una bambina. Come sei riuscita a raggiungere questo posto dimenticato dal mondo?»

«Volando» sbottò Rouge, gesticolando violentemente. «Ma che diavolo di domande fai, Lupin?»

«Una domanda più che opportuna, considerando il mio punto di vista» disse Lupin, diffidente. «Mi stai dicendo che all’età di otto anni, dopo essere scappata di casa, hai raggiunto casualmente quest’isola?» concluse, camuffando la propria espressione dubbiosa con un sorrisetto.

Lei sembrava indispettita. «Senti, non mi va di parlarne» tagliò corto.





«Non mi va di parlarne, Lily».

«Non potrai evitare di farlo all’infinito».

«Chi può dirlo?»

«Non vuoi parlarne perché hai paura di vedere la compassione nei miei occhi, Remus? Perché, se così fosse, mi sentirei umiliata dal fatto che una delle persone più splendide e gentili che conosca abbia una simile opinione su di me».

«Lily, tu non c’entri. Sono io che non-»

«Che non riesci ad accettare l’idea che qualcuno s’interessi veramente a te. Cos’hai paura di perdere, Remus?»



«Allora non ne parleremo».



Non potrai evitare di farlo all’infinito.

°°°°°°°





«Il tramonto qui è sublime».

«Certo che lo è» disse Rouge. «Ti stai godendo i tuoi ultimi giorni di sole, Lupin?»

«Ho tutto sotto controllo» rispose tranquillamente Lupin, «ma avrò bisogno del tuo aiuto».

°°°°°°°







Lupin fu costretto ad aumentare la propria andatura per non perdere di vista la scia delle torcie di Greyback e Rouge; quest’accelerazione improvvisa, però, lo fece incespicare diverse volte sulle grosse e bitorzolute radici del bosco di Tupin. Nonostante la sua percezione visiva si fosse sviluppata notevolmente nel corso di quegli ultimi mesi, gli risultava ancora complicato mantenere il passo degli altri licantropi, abituati a muoversi nella mezzaluce allo stesso modo del giorno. Fu costretto a fermarsi per liberare l’orlo del mantello scuro da un ramoscello al quale si era impigliato, attirando su di sé l’attenzione del capobranco.

«Madre Selene, Bizét!» sbraitò, «sei il mannaro più inetto che abbia mai visto! Muoviti!»

«Arrivo» rispose rivolto alle ombre che lo circondavano, strappando con un gesto secco il mantello e riprendendo la corsa, «maledetto mantello».

«È quello che dico sempre anch’io» concordò Rouge, scavalcando con un agile guizzo un tronco abbattuto, «odio questi stracci. Giù la testa!» gridò, lasciando la presa di un sottile ramoscello.

«Ah!» gemette Lupin.

«Questa volta eri stato avvisato, Damerino».

«Bastarda...» mugugnò Lupin, strofinandosi dolorante il naso, «l’hai fatto apposta».

«Non è vero».

«Piantatela» li richiamò imperioso Greyback, qualche metro più avanti. «Non vi sto portando a fare una scampagnata».

«Fate anche le scampagnate a Jura?» bisbigliò Lupin, fingendosi interessato.

«Fra meno di un’ora perderai la facoltà di respirare» ribattè in un sussurro Rouge, «e nonostante questo, riesci ancora a fare lo scemo. Ammirevole, davvero».

«Troppo buona».





«Ehi, Fen!» urlò Lupin, dopo venti tormentati minuti di marcia nel fitto del bosco. «Dobbiamo arrivarci a piedi a Little Hangleton?»

«Certo che no, razza d’idiota» sbottò di rimando l’altro, «voleremo».

«Voleremo?» ripeté disorientato. «Come?»

Rouge emise un suono divertito. «Soffri di vertigini, Damerino? Mi spiace, ma i Pegasi sono l’unico mezzo di trasporto che abbiamo».

«Pegasi?» chiese Lupin sbalordito. «Credevo fossero solo una leggend-»

S’interruppe bruscamente non appena la luce fiammeggiante della torcia che Rouge manteneva stretta nella sua mano illuminò una stretta radura circondata dai lunghi e snelli tronchi canuti delle betulle; le ombre sembravano danzare sulle cortecce candide, allungandosi nell’erba scura fino a raggiungere le punte degli stivali dei tre licantropi. Al centro di essi, quasi fossero immobili e plastiche riproduzioni michelangiolesche, cinque magnifici destrieri alati e dotati di maestosi palchi di corna li fissavano attentamente, pronti a coglierne ogni più minimo e sospetto movimento. Lupin sgranò gli occhi, stupefatto. I Pegasi, i leggendari cavalli alati della mitologia classica, non esistavano. Nessun zoologo magico aveva mai trovato prova della loro presenza, nessun libro di scienze naturali li trattava dal punto di visto storico. A differenza dell’enormi controversie che gli studiosi magici avevano sotto la maggior parte dei punti di vista, tutti – con l’unica eccezione, forse, di quel fanatico di Lovegood – erano d’accordo nell’affermare che i Pegasi non erano mai esistiti.

La domanda risulta dunque più che logica: se i Pegasi non esistevano, di conseguenza, quelle creature dal pelo lucente e dalla robusta muscolatura non erano Pegasi. Cos’erano, allora?

«Cosa... cosa sono quelli?»

«Ti ho detto che sono Pegasi» rispose annoiata Rouge, mentre afferrava anche la torcia di Greyback e illuminava le pesanti funi che costringevano i cavalli a non spiccare il volo, in modo che il proprio capo potesse scioglierle.

«Muoviti e sali: non ho tempo da perdere con queste stronzate, io» gli intimò bruscamente Greyback, liberando con maestria il primo dei nodi che immobilizzava uno splendido esemplare nero e montandovi sopra con un salto agile. Il cavallo scosse il capo nervosamente, probabilmente scocciato dall’interruzione delle sue attività notturne. «Sta calmo, Avoc» intimò rivolto all’animale.

«Immagino che tu non sia mai salito su uno di loro, Damerino» sentenziò Rouge con un sorriso arrogante, «se neppure credevi esistessero».

Lupin fissò il cavallo più vicino – una bella puledra dal pelo argentato – cercando di non mostrarsi intimorito. «A dir la verità» rispose, «gli esemplari alati mancano all’elenco».

«Poteva andare peggio» mormorò seccata la donna, «prova a montare su Cranky, è il più cretino» e indicò un cavallo dal pelo marroncino rimasto in disparte.

«Grazie della fiducia, Rouge».

«Di niente».

«Avete finito di fare filotto, o preferite che vi porti anche una bottiglia di vino e un divanetto?»

Rouge alzò un braccio in un rapido segno di scusa per nulla mortificato; Lupin, invece, le lanciò un’ultima occhiata prima di dirigersi verso il cavallo a lui assegnato. Non appena fu abbastanza vicino, la bestia iniziò a muovere violentemente le gambe, innervosito, a quando pare, da quella nuova presenza. Sentì Rouge ridacchiare alle sue spalle.

Lupin era cresciuto nella contea di Durham – la piccola Scozia inglese, come qualcuno ancora la definiva – e finalmente, dopo tanti anni, ringraziò suo padre di averlo trascinato lontano dai suoi ipnotici libri – di cui, già allora, sembrava fare un oso veramente smodato – e di averlo costretto a salire su Salish, il vecchio ronzino che continuavano a tenere nella stalla nonostante avessero smesso da anni di raggiungere il mercato del paese con il carretto.



«Talloni in basso e punte in alto, Remus. E non stare così ingobbito, santo Merlino, tira su quella schiena».

«Posso scendere, adesso, papà?»

«Tieni le mani sulle redini, figliolo, con cosa credi si diriga il cavallo? Ecco, così va già meglio. E lascia morbido il morso, la bocca di Salish è delicata.»

«Papà, mi metti giù?»

«Santo Merlino, sei peggio di tua madre».

«Papà, ma nessuno cavalca più, ormai».

«Non dire assurdità, Remus. Un giorno ti tornerà utile, e allora mi ringrazierai».



Lupin allungò una mano verso il dorso del cavallo, accarezzandone con dolcezza la folta criniera; lungo il dorso dell’animale spiccavano profondi segni rossi. Si morse le labbra, ma non si azzardò a dire nulla.

«Non te la passi bene nemmeno tu, vedo» sussurrò dolcemente all’orecchio del Pegaso. La bestia, quasi avesse avvertito quello strano cambiamento del proprio cavaliere, fermò le gambe e gli rivolse uno sguardo intenso, quasi incuriosito. Abbassò le ali placidamente, permettendo a Lupin di montargli in groppa.

«Muoviti, ragazzo!» gridò Greyback, calciando con forza i fianchi del proprio Pegaso, che con un nitrito nervoso spiccò il volo facendo mostra della sua imponente apertura alare. «Va’ davanti a farci strada, che stai aspettando?»

Lupin annuì debolmente, e colpendo leggermente il dorso del cavallo con il palmo della mano, si librò in aria. Era da quando aveva fatto parte della scorta per portare Harry a Grimmauld Place che non godeva del piacere del vento che s’infrangeva contro il proprio viso, scompigliandogli i capelli; volare sul dorso di un Pegaso, tuttavia, era forse fra le sensazioni più esaltanti che avesse mai provato. Non era mai stato abbastanza dotato per entrare a far parte della squadra di Quidditch di Grifondoro, e quelle poche nozioni di volo che aveva imparato, le doveva unicamente a James Potter. Ad ogni modo, poter attraversare il cielo e sentire contemporaneamente il respiro del cavallo sotto di sé e le ritmate contrazioni dei suoi muscoli non era neppure lontanamente paragonare al volo delle scope. A differenza della sua malmessa e vacillante Stellafreccia, poteva permettersi il lusso di scrutare al di sotto dei proprio piedi e di liberare lo sguardo oltre ai profili lontani e indistinti delle montagne, finalmente tranquillo che nessun difetto di fabbricazione lo avrebbe fatto precipitare per la più stupida distrazione. Decisamente molto rilassante.

«Sei sicuro di conoscere la strada, Damerino?» strillò Rouge, affiancandosi a lui. «Non vorrei mai che ci facessi finire dall’altro capo del mondo!»

«Stiamo sorvolando l’isola di Gigha» urlò di rimando, ignaro se la donna avesse avuto modo di sentire la sua voce al di sopra del fragore del vento nelle orecchie, «a questa velocità, fra pochi minuti, dovremmo raggiungere il canale di Clyde!»



E difatti, eccolo: appena rilucente sotto la luce della luna, lo specchio d’acqua rifletteva il bagliore lontano delle stelle nel cielo; Rouge, quasi non avesse atteso che questo, si gettò in picchiata verso il basso, imponendo al suo Pegaso di risollevarsi un attimo prima di infrangere l’acqua. Lupin avvertì il suono distante della sua risata.

«Quanto manca, Damerino?» latrò Greyback alle sue spalle.

«Non credevo che degli animali potessero volare a una velocità del genere!»

«Sono bestie di Jura, idiota, è ovvio!»

«Non manca molto, comunque! Siamo già nell’Ayrshire!»

«Sarà meglio per te!»



Meno di dieci minuti dopo, contro qualunque previsione Lupin avesse potuto fare, avevano superato i monti della Scozia centrale e puntavano dritti verso la contea di Durham. Nonostante faticasse a vedere aldilà del proprio naso, sapeva che sotto ai propri piedi, la brughiera si stava lentamente inverdendo e il terreno andava via via pianeggiandosi. I sensi sempre più sviluppati di Lupin non poterono non cogliere quel tanto conosciuto odorino di muschio, quel sapore agrodolce che aveva cullato la sua infanzia.

Durham, verdeggiante pianura fra le montagne, attendeva ansiosa il suo ritorno.

°°°°°°







Rientra a casa, Remus, prigioniero di Jura,

insieme a colui che ha segnato la sua Sventura.

Nulla di ciò che ricorda è cambiato,

ancora regna il silenzio incontrastato.

Non cemento a infangare lo sguardo,

ahimé, Remus, imparasti a volare in ritardo.





«Benvenuti a Little Hangleton».

«Sei sicuro che il posto sia questo?»

«Sì, Rouge» mormorò stancamente.

La donna annodò saldamente la corda del Pegaso al tronco più vicino, e dopo aver dato al cavallo una sbrigativa pacca riconoscente, voltò il capo verso Lupin, scoccandogli un’occhiata eloquente. Lui sapeva cosa fare: ci aveva pensato per giorni, ed era giunto alla conclusione che la propria dignità – al momento – non valeva quanto la sua vita.

Diede le spalle a Greyback, e accertandosi di non essere visto, s’infilò due dita in gola.

°°°°°°°









Perdonate il ritardo, i miei professori hanno ritenuto che le due settimane appena trascorse fossero le più indicate per essere trasformate in una via Crucis di compiti, relazioni, consegne, interrogazioni e verifiche. Ho dovuto perfino dimostrare la mia bravura nella nobile arte del Pilates alla mia prof di ginnastica, il che si è rivelato veramente umiliante. Comunque sia, l’importante è che abbia aggiornato prima dei quattro mesi, no?

Se c’è qualche esperto di cavalleria, cavalcatura, ippica, o in qualunque modo sia definito, chiedo immediatamente perdono per i possibilissimi strafalcioni che potrei aver scritto. Non ho mai neppure visto un cavallo dal vero (se non contiamo una traumatizzante visita al circo all’età di cinque anni), perciò mi sono dovuta arrangiare, chiedo venia.

Purtroppo devo deatomizzarmi immediatamente (ho scoperto che l’orologio non si ferma mentre scrivo) , e visto e considerato che se non posto ora, potreste essere costretti ad aspettare altri cinque giorni, mi ritrovo costretta a rimandare i singoli commenti alle vostre bellissime recensioni al prossimo capitolo.

Un grazie gigantesco a tutti quanti, comunque sia, a chi legge e a chi recensisce, perché ad ogni capitolo mi fare aumentare la voglia di scrivere. Vi adoro.

Un bracio a tutti,

Trick



*pluff!*

   
 
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