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Autore: Mary P_Stark    05/05/2013    7 recensioni
I vizi e le virtù di Nickolas Van Berger, magnate di prim'ordine di Los Angeles, sono noti a tutti, specialmente tra le signore più altolocate della California. Suo malgrado, però, verrà a scontrarsi con l'unica donna che non subisce il suo fascino, scelta appositamente perché non lo porti in tentazione anche sul luogo di lavoro. Questa scomoda novità porterà Nickolas a porsi più di una domanda e a scoprire quanto, in realtà, le ritrosie di Hannah Fielding, sua scrupolosa segretaria, siano affascinanti. 1^ PARTE DELLA SERIE DI "HONEY'S WORLD".
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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N.d.A.: Innanzitutto, grazie per aver preso in considerazione l'idea di leggere la mia storia.
Qui troverete un piccolo spaccato d'infanzia della nostra protagonista, giusto per dare un'idea di come sono nati certi suoi atteggiamenti.
Buona lettura! :)



¤ Prologo ¤

 
 
 
 
“Di tutte le disgrazie che mi potevano capitare, proprio questa! Ma non potevi essere come me, dico io?”
Tutte le volte che rientrava da scuola con un livido o un'escoriazione, era sempre la stessa storia. Mai una volta che sua madre si mettesse dalla sua parte, che capisse le sue motivazioni.
No, non sarebbe mai successo evidentemente e, anche quella volta, sarebbe finita in castigo, lo sapeva.
“Mamma, se solo tentassi di capire che...” iniziò col dire Hannah, strusciando la punta di una scarpa da ginnastica sul linoleum scuro della cucina.
“Non ci provare nemmeno, Hannah Elinor Fielding! So già cosa mi dirai... che tutti ce l'hanno con te, che ti prendono in giro, che tu ti difendi e basta. Ma è mai possibile che, uscendo da scuola, ci sia sempre qualcuno che vuole picchiarti? Ormai sta diventando una presa in giro, e io non amo essere presa in giro.” Il brontolio di sua madre crebbe di ottave parola dopo parola finché Hannah, esasperata, non si tappò le orecchie con le mani.
“Cosa ci posso fare se mi chiamano ramo secco!?” esplose a quel punto Hannah, i lacrimoni che tremolavano minacciosamente nei seri occhi grigio argento.
“Ah, no, non tentare la carta delle lacrime con me, Hannah. Devi semplicemente imparare a passarci sopra. Purtroppo sei più alta di tanti tuoi compagni di classe, e questo può dare loro fastidio, ma dubito fortemente che ti trattino così male da scatenare una simile reazione da parte tua. Dovresti essere più comprensiva” replicò sua madre Glenn, fissandola con sufficienza.
Quello era il colmo! Lei doveva essere più comprensiva!
“Se papà fosse qui...” iniziò col dire la bambina, subito azzittita dall'occhiata inviperita di sua madre.
“Tuo padre non c'è e neppure tornerà, visto che se la sta godendo un mondo a fare i suoi schifosi rodei da qualche parte nel Texas... e si sta spupazzando quella biondo platino di Charline. Sempre che non abbia già cambiato un'altra volta!” L'acredine nella sua voce fece quasi scoppiare in lacrime Hannah. “Credi davvero che lui avrebbe fatto qualcosa? No, si sarebbe lagnato di non avere una figlia carina e beneducata, piuttosto. Ecco com'è tuo padre!”
“E' una bugia!” gridò con veemenza Hannah, strizzando gli occhi per impedire alle lacrime di scendere. “Tu sei cattiva!”
“Sarò anche cattiva come dici tu, ma di certo hai solo me” brontolò Glenn, afferrando una sigaretta dal pacchetto aperto che teneva sul davanzale. Con noncuranza, ne accese una e soffiò il fumo denso e bianco sul viso paonazzo di Hannah che, per evitare altri guai, scappò al piano superiore e si chiuse in camera sua.
Buttata malamente a terra la cartella, la ragazzina si gettò piangente sul letto, affondando nel copriletto fiorato e profumato di limone e lì, straziata dal dolore, si lasciò andare ad ogni genere di insulti sussurrati e di deboli recriminazioni finché il pianto non divenne singhiozzo, e il singhiozzo divenne sospiro.
A quel punto, stremata e con la faccia gonfia, si levò in piedi per guardarsi affranta nella specchiera da muro. Passandosi una mano sulla maglietta di Topolino che indossava quel giorno, esalò un sospiro accorato.
L'essere alta più di un metro e settanta a undici anni le aveva causato non pochi fastidi, quell'anno. Tutto era cambiato, per lei e, mentre le sue compagne iniziavano a diventare delle donne in miniatura, Hannah si era dovuta sorbire quasi un mese di febbri altissime e, come ulteriore scorno, uno sviluppo molto più veloce del normale della sua struttura ossea.
La chiamavano Sindrome da  Accrescimento Rapido. Lei la chiamava 'vita d'inferno'.
Quando era tornata a scuola, visibilmente più alta rispetto al mese prima, i compagni di classe l'avevano ricoperta di insulti più o meno velati e, dopo i primi giorni passati a subire, Hannah aveva cominciato a rispondere,… anche con le mani.
I bisticci giornalieri erano divenuti routine e, se in un primo momento il direttore aveva fatto finta di nulla, dopo un mese di incontri all'ultimo sangue nel giardino della scuola, Hannah e alcuni dei suoi aggressori erano stati portati in direzione per essere ripresi.
Parlare con il preside Whitcomb era solo servito a inasprire gli animi perché l'uomo, dopo l'iniziale desiderio di scoprire cosa stesse succedendo nella sua scuola, aveva scoperto il problema di Hannah e aveva cercato di risolverlo.
Ergo, i compagni di classe le avevano dato della raccomandata e tutto era peggiorato a dismisura.
Se fosse stato solo per quegli idioti, non sarebbe più andata a scuola, ma lei amava studiare e non avrebbe rinunciato allo studio neppure per il più bullo tra i bulli.
La faceva star male da morire, però, l'insofferenza della madre.
Se non poteva affidarsi a lei, con chi avrebbe potuto?

§§§

Odiava la sala mensa.
La detestava con tutta se stessa.
Era come la pubblica gogna, come un palcoscenico su cui ti trovavi contro la tua volontà, e dove tutti ti osservavano come una cavia da laboratorio.
Se avesse potuto, l'avrebbe evitata come la peste, quella tortura quotidiana, ma sua madre si rifiutava di prepararle il cestino per il pranzo e, le poche volte che ci aveva provato lei, Glenn si era infuriata urlandole di non mettere mano alla roba che c'era in cucina.
Anche quel giorno, come sempre, sedeva da sola al tavolo d'angolo che guardava il giardino sul retro della scuola.
Il sole picchiava sui vetri trasparenti, scaldandole il viso e illuminandole i corti capelli biondi tagliati alla paggetto. Mamma si rifiutava di farglieli crescere perché non se ne voleva occupare. A lei sarebbe piaciuto farsi le trecce, ma Glenn era stata categorica. Aveva sempre dubitato che la figlia fosse in grado di prendersene cura così, per tagliare la testa al toro, aveva deciso che i suoi capelli sarebbero rimasti corti.
Hannah se ne tastò una ciocca con aria meditabonda. Forse, una piccola trecciolina sarebbe riuscita a farla lo stesso, se ci si metteva d'impegno.
“Sono belli” esordì una voce all'improvviso, facendola sobbalzare sulla sedia.
Levando i chiari occhi color ghiaccio, Hannah rimase a fissare a bocca aperta il capitano della squadra di pallavolo della scuola come se, dinanzi a lei, si fosse appena presentato il Padreterno e, sbattendo le palpebre con aria sciocca, esalò: “G-grazie.”
La ragazzina, di due anni più grande di lei, si accomodò al tavolo con il suo vassoio, subito accompagnata da altre due coetanee che, in pratica, occuparono tutti i posti rimasti disponibili.
Hannah era nella confusione più totale.
Sarebbe esplosa la scuola? O avevano in serbo per lei uno scherzo colossale?
Aprendo il brick del latte con un movimento elegante delle mani, il capitano della squadra, Sylvia J. Barrett, le sorrise brevemente prima di chiederle: “Sei Hannah Fielding, vero?”
“S-sì, sono io” biascicò lei, ingollando a fatica l'acqua che aveva sorseggiato per darsi coraggio.
Come facevano a conoscerla?
Il sorriso di Sylvia si accentuò mentre la ragazza seduta accanto a Hannah interveniva per aggiungere: “Il preside Whitcomb ci ha detto che forse avresti potuto essere interessata a entrare nella squadra di pallavolo. Ti andrebbe?”
“Come? Io?” sbottò incredula Hannah, fissandola con aria stranita.
La ragazza che aveva appena parlato – Sarah Johnson, come avrebbe presto scoperto – annuì con vigore, asserendo: “Ci mancano le ragazze che sono andate al liceo, e stiamo cercando nuove leve da immettere in squadra. Visto che sei così alta e in forma, pensavamo potesse interessarti. Potresti diventare una schiacciatrice bravissima. Fammi vedere le mani.”
Senza darle neppure il tempo di dire sì o no, Sarah gliele afferrò con gentilezza prima di poggiarle palmo contro palmo alle proprie e annuire con sicurezza.
Solo in quell'istante, Hannah si rese conto che le loro mani erano somiglianti.
Tutte e tre le ragazze allora le sorrisero e Sylvia, con sguardo comprensivo, le confidò: “Ci sono passata anch'io, credimi. Perciò, se ti va di venire a vedere cosa facciamo, noi abbiamo allenamento il pomeriggio dalle cinque e mezza, dietro il padiglione 6 della scuola, tutti i lunedì, mercoledì e venerdì.”
“Eccome se ci verrò” esalò scioccata Hannah, annuendo con fervore.
La ragazza che ancora non aveva parlato le allungò una mano dicendole: “Io sono Berenike Preston, tanto piacere. Sono l'alzatrice.”
“P-piacere, Berenike” mormorò Hannah, emozionata.
Sylvia lanciò uno sguardo di sufficienza alla mensa, a coloro che le stavano guardando con l'aria di non avere idea di cosa stesse succedendo e, con fare da cospiratrice, predisse a Hannah: “Tra un paio di mesi, ti imploreranno di sederti al loro tavolo, credimi.”
“E se fossi una schiappa, a giocare? Mi ucciderebbero del tutto” brontolò Hannah, fissando di straforo la folla di curiosi che stava scrutando il tavolo dove loro stavano confabulando.
Scrollando una mano con fare indifferente, lei replicò: “Ti ho vista più di una volta, mentre ti difendevi dagli idioti che ti davano fastidio. Hai un buon gioco di gambe, e hai mani forti.”
Hannah ridacchiò a quel commento, e così pure le altre. Ricordava ancora bene lo schiaffo proverbiale che aveva stampato in faccia a Benjamin Wright.
“Andrai benissimo, vedrai, e finirai per diventare il loro idolo, esattamente com'è capitato a noi” le promise con sicurezza Berenike, strizzandole l'occhio.
Hannah le fissò speranzosa, afferrò l'ancora di salvezza che quelle tre ragazze le avevano lanciato e, con forza, tirò.

  
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