Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: iloveromanzirosa    06/05/2013    7 recensioni
“Lasciami andare!” Esclamo io con un filo di coraggio in più.
Mi molla i capelli, ma continua a tenermi stretti i polsi, non ho la forza nemmeno di allentarla, quella stretta, figurarsi scioglierla.
Mi giro per guardare l’uomo in faccia, ed è un errore.
Avrà si e no due, forse tre anni in più di me. E’ altissimo, sul metro e novanta, pallido, meno di me, ha gli zigomi pronunciati e la mascella squadrata. Dei tratti affilati, e la sua espressione gelida non fa che peggiorare le cose.
Ma questo lo noto in seguito.
La prima cosa che vedo sono l’ebano e la giada.
Dei suoi capelli e dei suoi occhi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Pov. Michele
 
Guardo la porta davanti a me.
Nessun rumore proviene da quel grosso pezzo di legno che mi divide dalla Rossa.
Appoggio l’orecchio sulla superficie piana e mi accorgo di un sommesso singhiozzare.
Aggrotto le sopracciglia.
Quali saranno i suoi pensieri? Le sue idee? Avrà mai modo di esprimerle?
Mi allontano di scatto dall’entrata.
È inutile pensarci: alla fine sarà quel che sarà.
Comincio, riluttante a lasciarla sola, ad allontanarmi percorrendo il corridoio lentamente, ma con passi regolari.
Devo correre in soccorso di Ross.
Arrivo davanti alla porta della camera di Andrea da dove sta di sicuro sfuriando una bella discussione sui diritti delle donne.
“Devi smetterla!” sta ormai urlando Ross.
“Non mi devi sempre trattare come fossi al tuo servizio! Anche io ho voce in capitolo. Vorrei tanto potertelo provare, ma se non me ne dai la possibilità...” la sua voce si incrina e poi si spegne del tutto, forse convinta dai veloci colpetti che sto dando con le nocche delle mani alla porta.
Andrea, felice di quell’interruzione, grida per bene il suo bell’ “avanti” ed io socchiudo piano la porta, come se mi potessero arrivare in faccia i fulmini tirati dagli occhi incazzati di Ross.
“Cosa vuoi?” mi chiede lui quasi sollevato.
“L’ho messa nel ripostiglio.” Lo avviso senza farci giri intorno.
“Okay. Avvisa anche gli altri.” Mi dice congedandomi con un’occhiata.
Io chiudo piano la porta e mi allontano, udendo i rumori riprendere subito.
Evviva.


Arrivo, dopo aver girovagato un po’ a vuoto, alla sala mensa.
Ormai è già piena del tutto e i piccoli tavoli traballanti sono ricolmi di cibo.
Lo stesso che la Rossa, poche ore prima, aveva tentato di rubare.
Mi siedo, come al solito, da solo; anche se gli sguardi lascivi di alcune donne e ragazze attorno a me mi invitano ad andare con loro.
Comincio a mangiare masticando piano il mio boccone.
Forse è meglio che porti del cibo anche alla ragazza? Andrea si arrabbierà se ne prendo un po’ per darlo a lei?
Ma no... Mi alzo di scatto, diretto al ripostiglio delle scorte.
Magari se le porto anche una coperta questa notte non morirà di freddo.
Prendo l’occorrente e, mentre percorro lo stretto corridoio dai muri scrostati, penso a quanto sarà difficile che lei esca viva da questa situazione.
Mi fermo davanti alla porta, da cui ora non proviene alcun suono.
Apro il catenaccio esterno e faccio girare la chiave: due giri, posti per sicurezza dal sottoscritto.
Spingo piano quel pezzo di legno levigato e guardo la figura rannicchiata della ragazza, ora quasi illuminata dalla penombra che ho creato aprendo la porta.
I capelli le ricadono confusi sulle spalle e sul pavimento.
Un mare rosso.
Un mare in cui navigherei solo per naufragare.
Quando lei si accorge del cambiamento di luce si volta di scatto, impedita dalle mani legate.
Ormai le lacrime sul suo viso sono solo un ricordo, ma la loro scia è ben visibile, nonostante la scarsa illuminazione.
Le trema il labbro inferiore, e se lo morde, come per non mostrarmi le sue debolezze.
Mi avvicino piano a lei, come se da un momento all’altro possa scattare in avanti e graffiarmi.
Le poso davanti la ciotola di minestra in scatola che ho trovato e le porgo un cucchiaio. Non sono riuscita a trovarne uno di plastica, vorrà dire che la terrò d’occhio.
Non si sa mai cosa si potrebbe fare con quell’arnese.
 
Pov. Sir
 
Lui è davanti a me, mi porge un cucchiaio.
Ma è stupido? Cosa pensa che io riesca a fare con le mani legate?
Mi allungo il più possibile per afferrare lo strumento.
I miei polsi irritati protestano ed io trattengo un gemito.
Lo afferro saldamente e aspetto che il ragazzo se ne vada, ma non lo fa. Resta lì a fissarmi, come incantato.
No.
Non posso sopportare quest’umiliazione.
Lascio cadere a terra il cucchiaio e, non senza difficoltà, mi volto dall’altra parte, la fronte quasi a contatto con la parete. E aspetto che il rumore metallico cessi di danzare.
“Se stai buona ti libero, okay?” è la prima volta che mi parla direttamente, senza urlare né picchiarmi. Resto lì, rigida, senza sapere cosa fare, come muovermi. 
Lo sento alzarsi e mi aspetto nuovamente che lasci la stanza, ma invece si avvicina a me, quasi a toccarmi.
Mi afferra i polsi, io faccio per ritirarmi, e lui mi strattona. Mi sta avvertendo: lo so già che questa è una causa persa.
E lui ha ragione.
Con movimenti veloci sfila in fretta la corda dai miei polsi screpolati e me la toglie subito dalla portata per evitare che io la prenda.
Io lo guardo stupita.
I suoi occhi verdi hanno un che di familiare, come se quelle finestre fossero la mia casa, la mia salvezza. E in un certo senso è così.
Improvvisamente distoglie lo sguardo da me e si allontana brusco.
Mi indica con un cenno il barattolo con della minestra dentro e io, libera dagli impicci, mi ci fiondo sopra. È bello sentire così spesso il sapore del cibo, ed è palese che qui non manca.
Ingoio la minestra come avevo fatto poco prima con le scatolette rubate.
Quando finisco il ragazzo si china svelto per raccogliere la lattina e il cucchiaio.
E solo adesso mi accorgo della coperta che porta in mano. Da quanto tempo non dormo in una di esse? Troppo, veramente troppo.
Lui si volta, apre di nuovo la porta in cui stanno entrando le prime luci dell’alba e se la chiude alle spalle.
Non mi ha legata, ma la porta fa tre scatti metallici.
Mi asciugo la bocca ancora umida, non mi serve per ora la coperta, in fondo tra un po’ farà più caldo: è della notte che mi preoccupo.


Il tempo passa inesorabile e impossibile da fermare.
Il caldo comincia a farsi insopportabile e così mi tolgo la felpa rimanendo solo con la mia maglietta sgualcita e consunta.
Il clima con l’inquinamento è stato alterato fino ai massimi livelli e ormai con questi sbalzi di temperatura non si sa più come vestirsi.
Deve essere mezzogiorno ormai, e fuori devono esserci come minimo trenta, trentacinque gradi centigradi.
Mi allungo stiracchiandomi per bene dalla mia posizione distesa e cerco di non pensare al pavimento rovente che mi sta cuocendo la schiena e la testa, che già sta scoppiando per motivi suoi.
Mi passo il dorso della mano sulla fronte madida di sudore e poi le dita tra i capelli, cercando di districare almeno un po’ di nodi.
Questo caldo mi rende nervosa, ma so che non posso nemmeno dimostrarlo data la posizione sociale in cui mi trovo.
Da fuori a volte provengono dei rumori, come di bambini che giocano.
Forse sono venuti a vedere la nuova preda della gang, oppure è abituale che loro giochino proprio davanti alla porta.
Alcune volte intervengono anche delle voci adulte che sedano i piccoli per un po’, ma poi ricominciano.
Tutto questo continua da più di quattro ore, ormai.
Respiro profondamente l’aria viziata della stanza, ma questo non contribuisce a schiarirmi le idee, anzi, mi rende ancora più impaziente di alzarmi, muovermi, provare a scappare...
Ma non posso.
Sarebbe tutto inutile.
Se Alessandro fosse ancora vivo a quest’ora saremmo al fresco da qualche parte.
Ma lui non c’è, e devo sbrigarmela da sola.
Mi alzo in piedi e, titubante, provo ad aprire la porta.
“Che stupida.
Michele non è così tonto da lasciarla aperta, in fondo ho sentito io stessa le tre mandate con cui l’ha chiusa.” Mi dico. Abbasso la maniglia lentamente, ma non accade nulla come da copione.
Sospiro sconsolata e torno a sedermi sul pavimento lurido.
Tanto vale conservare le forze per ciò che verrà.
 
Pov. Michele
 
Sto consumando il mio pranzo quando vedo Andrea che mi si siede davanti.
“Allora?” chiede. Io, a malavoglia, distolgo lo sguardo dal mio panino.
“Allora cosa?” domando a mia volta, anche se so già perfettamente l’argomento della nostra discussione.
“La ragazza. Non possiamo tenerla qui e lo sai benissimo.” Mi dice lui.
Io sospiro.
“Lo so.” Dico, cominciando a torturare con le dita la pagnotta che ho in mano.
“Beh... ho controllato.” Continua lui.
“I Grifoni non si vedono da nessuna parte.” Io sospiro di sollievo, almeno una cosa positiva c’è. “Quindi: o sono bravissimi a nascondersi oppure lei fa parte dell’Organizzazione.” Mi sta guardando attentamente negli occhi, come se stesse valutando la mia reazione.
Quel nome mi mette i brividi.
Grida, urla, disperazione.
“Non credo.” Ripeto semplicemente staccandomi da quei ricordi dolorosi.
“Se facesse parte dell’Organizzazione a quest’ora saremmo morti tutti” dico con qualche difficoltà.
Dolore, sangue, spari.
Lui sbuffa, per nulla colpito dalla mia affermazione.
“Potrebbe star mentendo. Hai mai pensato a questa possibilità? Che magari sotto a quel corpicino esile ci sia qualcos’altro che si nasconde?” Abbasso lo sguardo.
Occhi neri e capelli rossi.
No. Non ci avevo pensato.
Si alza, ma sento bene la frase che pronuncia prima di andarsene.
“L’unico modo per liberarci di lei sembra quello di ucciderla”.
Occhi neri e capelli rossi.
Ho un tuffo al cuore.


Pov. Sir
È la seconda volta che quella porta si apre. Ma quando si deciderà a star ferma?
Mi volto dal lato opposto alla posizione raggomitolata in cui ho preso rifugio, in modo da dare le spalle alla luce accecante e ai nuovi arrivati in questa stanza.
Il caldo mi ha dato alla testa: mi sembra che ogni pensiero sia stupido e insensato.
È da un’ora circa che il sole ha cominciato il suo viaggio verso il tramonto, e la temperatura si sta abbassando drasticamente fino ai livelli minimi. Ho rimesso la felpa, ma la coperta è ancora inutile: sono sicura che mi servirà in seguito.
I nuovi arrivati sono in tre, dalla voce li distinguo: Michele, Andrea e qualcun altro di cui non conosco il timbro.
“Non possiamo decidere di ucciderla senza prima averla interrogata” sostiene Michele.
“Lo sapete: io sono qui solo per interrogarla. Non mi va di aspettare, ho altro da fare, c’è Francesco che si è slogato un polso e glielo devo ancora steccare.” Dice la voce sconosciuta.
“Sta’ calmo Spencer, non morirà di certo, Frà ha passato pene peggiori” lo ammonisce Andrea con voce dura.
Povero quel ragazzino, penso, chissà cos’avrà combinato.
Una rissa? Una caduta? La mano del Diavolo? È un peccato che non lo scoprirò mai.
“Perché l’hai slegata?” chiede Andrea probabilmente a Michele. Mi sento un po’ osservata, non c’è che dire.
“Le ho dato del cibo, ho dovuto liberarla” si giustifica lui.
“Le hai dato da mangiare?! Lo sai che non abbiamo tutte le scorte del mondo, Michele, non puoi pretendere di acchiappare una ladra e darle lo stesso cibo che ha tentato di rubare!” Andrea è arrabbiato, ed è palese che si fa rispettare, a giudicare dal silenzio mortificato che segue alle sue parole di ghiaccio.
Un sospiro secco spezza la tensione creatasi, e qualcuno mi afferra per un braccio strattonandomi fino a farmi inginocchiare, e poi alzare.
È Andrea, lo capisco dalla rabbia e la mancata delicatezza dei suoi gesti. Non mi lamento al dolore che mi sta causando premendo la mano sul mio polso irritato, so che lo farei adirare ancora di più di quel che già è.
Ho paura di lui: è prestante, alto e pallido, e i suoi arti forti sono capaci di fare del male. Ma non faccio trasparire il mio timore, non voglio che questi Ribelli abbiano una crepa da sfruttare per demolirmi.
Mi spinge in avanti, buttandomi tra le braccia più gentili di Michele. Non posso dire di essere sollevata per questo, ma almeno non rischio di morire all’istante.
Il sudore che si è creato durante la giornata comincia a freddarsi, e i primi brividi della notte cominciano a farmi visita nonostante la felpa pesante e larga.
“Allora... da dove sei sbucata fuori?” chiede lo sconosciuto. È un uomo bassetto e con la calvizie incipiente, anche se a compensare la mancanza di capelli c’è una folta barba castana. Non ha né l’aria bonaria né malvagia, direi piuttosto che a pelle è piuttosto neutro.
Non riesco subito a rispondere, forse perché la mia voce è rimasta in fondo alla gola: sì, dev’essere successo proprio questo. Già da prima non parlavo con qualcuno da tempo immemore, e adesso le corde vocali non riescono a muoversi... è come se non l’avessero mai fatto.
Così mi appendo a quelle liane, mi ci dondolo come su un’altalena , e tiro fuori la voce.
“Avevo bisogno di mangiare” le mie parole sono roche, mi escono a fatica: mi schiarisco la gola dopo averle pronunciate, ma l’altalena si è già fermata.    
Ascolto impassibile la risata di Andrea, ho capito fin dall’inizio che non crede e non crederà a ogni minima sillaba che uscirà dalla mia bocca, non ci vuole un genio.
Intanto gli altri due spettatori mi fissano basiti come se avessi appena fatto uno di quei rutti di cui si è preda quando si ingoia l’acqua del mare.
“Di che gruppo fai parte, sgorbio?” chiede allora Andrea, fattosi di nuovo scuro in volto.
Questa volta non rimango più impassibile e abbasso lo sguardo spostandolo invece sulla punta consunta delle mie vecchie scarpe da tennis.
“Non ne ho mai avuto uno, io e mio fratello...” Lui mi blocca subito.
“Non mi interessa la storia dell’Orso, voglio sapere da dove vieni”. Io riprendo fiato e aspetto che il cuore risalga dal tuffo che ha fatto alla parola “fratello”.
“Io... io non avevo pensato alla protezione che avrei potuto avere con una gang, così sono rimasta da sola, e... non c’era altro modo... continuando di quel passo sarei di certo morta di fame”. Una volta che comincio a dondolarmi sull’altalena della mia voce non riesco più a fermarmi. E continuo ad ondeggiare al ritmo delle parole che passo fiera sulla lingua e sulle labbra per essere riuscita a ricordarle tutte.
Andrea mi guarda freddo, e poi dice: “ E cosa ti saresti aspettata, che io ti avessi permesso di rubare tutto il cibo a nostro discapito?” ed ha ragione.
Oh, beh... a volte mi sembra di essere un fiore, una rosa appassita di cui sono ormai rimaste solo le spine.
Spencer si gratta la pelata e si accarezza la barba: forse lui mi crede, penso, forse non sono poi così falsa ai loro occhi.
Michele, dietro di me, è impassibile.
“No”rispondo alzando timida lo sguardo dalle scarpe. È stato l’istinto che mi ha portata qui, ecco quello che voglio dirgli. È stata la mia collana a portarmi qui, ecco quello che non dovrei dire. Non è la prima volta che vengo qui, ecco ciò che dico pentendomene subito.
Andrea si fa rosso in viso e una vena in rilievo gli sovrasta la fronte.
“Che cosa?” quasi urla. Io cerco di indietreggiare, ma il corpo saldo di Michele me lo impedisce. È preoccupato, scommetto che ha paura di essere smascherato.
“La... la finestra della stanza delle scorte era aperta, mancava il vetro, e così... ci sono entrata” ovviamente taccio per il suo bene, gli devo un favore dopotutto. Balbetto una risposta inventata su due piedi.
“Era vuota , e così ne ho approfittato per... sfamarmi” adesso però mi sento la farfalla dall’ala spezzata che scivola tra le spine della rosa, tentando maldestramente di schivarle.
Abbasso di nuovo lo sguardo, battendo velocemente gli occhi alla paura di ricevere un altro schiaffo da parte di Andrea, e incasso la testa sulle spalle, come se questo potesse in qualche modo nascondermi da lui e da tutti.
Non è così.
Lui mi si avvicina piano, finché non mi si ritrova a un palmo di distanza, tanto che posso sentire il suo respiro veloce sulla guancia.
“Uccidetela” mormora. Un sussurro che sa di morte e paura. Cerco disperatamente di arretrare mentre Andrea esce dalla stanza sbattendo forte la porta, tanto che essa rimbalza sui cardini e quasi si rompe con un forte fracasso. Lo sapevo: non sarei dovuta entrare in questo edificio, e nemmeno decidere di sottrarre ai suoi abitanti il cibo che avrebbe contribuito a sfamarli per un giorno in più.
“Io non mi sporcherò le mani di sangue un’altra volta per lui... sbrigatela tu, io devo steccare il polso di Francesco” dice Spencer. E, dopo avermi lanciato un’occhiata indecifrabile, se ne va anche lui, chiudendosi l’uscio alle spalle.
E rimaniamo soli.
Il mio cuore batte all’impazzata, ho paura di un altro essere umano come non mi era mai successo in tutta la vita.
Cerco di ribellarmi alle braccia forti di Michele, e ci riesco. Mi fiondo verso la porta ma lui riesce a riacchiapparmi prima che io possa anche solo toccarne la maniglia.
Mi lamento singhiozzando: non è il momento adatto per avere una crisi di nervi.
Mi stringe al suo petto, ma non è un abbraccio, è un modo per impedirmi di muovermi. Mi chiude nella forte stretta dei suoi arti e io smetto di dimenarmi.
“Per favore, non uccidermi... ti scongiuro” lo prego. Sbatto gli occhi velocemente per far asciugare le lacrime, e tento di mostrarmi forte nonostante ciò che gli ho appena detto.
Non mi guarda negli occhi, evita il mio sguardo e allenta la presa, solo per poi bloccarmi le braccia dietro la schiena e girarmi verso l’uscita.
Tento di voltarmi riprendendo a dimenarmi, ma non ci riesco, convinta anche dal forte strattone che mi arriva alle braccia da un Michele spazientito.
Sbuffa rude e comincia a trascinarmi fuori dalla stanza. Dapprima zoppico tentando di restare ancorata al pavimento con i piedi, ma le suole delle mia scarpe sono lisce e scivolose, e di conseguenza Michele finisce a trascinarmi fuori dalla porta, come se fossi una bambolina inerme e di pezza.
È tardi, e i corridoi sono deserti. Nemmeno una luce illumina il corridoio.
Michele procede a tentoni ma spedito, come una persona che conosce la propria casa tanto da orientarcisi anche al buio.
Usciamo da una porta al lato dell’edificio. C’è un piccolo corridoio di sassi che porta all’inizio di un bosco, lo stesso in cui ho seppellito mio fratello e lo stesso in cui probabilmente verrò seppellita io.
Percorriamo la stradina lentamente, forse a causa del fatto che praticamente sono addossata a lui per appesantirlo e rallentarlo.
Il cuore ha raggiunto la sua massima velocità tanto che sembra un piccolo uccello impazzito, e mi chiedo stupidamente cosa ci faccia un colibrì nel mio petto.
Poi Michele mi spinge verso il bosco ed io aspetto solo che lui estragga la pistola.
 
Pov. Michele
 
Prendo il calcio della mia nove millimetri silenziata, devo ucciderla, è questo che mi hanno detto.
Non è la prima volta che lo faccio, non dovrebbero esserci tutti questi problemi, eppure...
Lei è in piedi davanti a me, circa tre metri ci dividono.
Non si muove. È bloccata sul posto come un animale braccato e mi guarda fisso con quei suoi occhioni scuri.
Quando le punto contro la pistola sussulta, e il suo sguardo si sposta da me ad essa, ma poi ritorna subito alla sua posizione iniziale.
Dio quant’è bella, penso.
Ha i capelli scompigliati che le ricadono sulla fronte, sulle guance, sulle labbra...
La felpa troppo grande le ricade sulle braccia, supera quelle piccole manine bianche nascondendole e facendola sembrare una bambina che prova i vestiti del padre.
Vedendomi esitare prova a fare un passo indietro: non è così ingenua.
“Ferma dove sei” le intimo saldando la presa sulla pistola.
Lei si blocca all’istante e la vedo farsi rossa in viso, le lacrime che premono per uscire.
Non mi rivolge la parola, ma del resto non l’ha mai fatto veramente.
Sto per premere il grilletto quando qualcosa nel suo sguardo mi fa esitare nuovamente. Non so bene cosa sia, forse il suo cipiglio concentrato che si rilassa a una nuova consapevolezza, o forse il suo chiudere gli occhi attendendo la morte.
Abbasso lentamente la pistola, e con lei anche tutti i muri che mi proteggono. L’arma cade sulle foglie con un tonfo.
Mi sento debole e spossato, come se avessi appena corso una maratona, ho le ginocchia molli e gli occhi stanchi.
“Vattene” le dico sottovoce.
Mi guarda sorpresa, indietreggia lentamente, come se si aspettasse di vedermi scattare verso l’arma. Sembra un piccolo cucciolo spaurito: è confusa, non sa che fare.
Arriva fino quasi a nascondersi dietro un albero.
“Vattene!” questa volta quasi urlo.
Non so cosa cavolo mi stia prendendo, non riesco a capirlo, scuoto la testa e mi premo le dita contro gli occhi, cercando di ricostruire i muri che prima mi rivestivano.
Non voglio più vederla! Quella ragazza è capace di suscitarmi pensieri strani su barriere e crepe... non mi sembra più di essere lo stesso.
“No” è a malapena un sussurro, ma lo sento ugualmente nel silenzio della notte.
È stata la Rossa a parlare.
“Che cosa?” chiedo come un cretino. Sono spaesato, non capisco cosa stia accadendo. La vedo farsi coraggio e avvicinarsi come se fossi una bestia: lentamente e con timore.
“Voglio che tu mi restituisca la collana” dice secca. È la prima volta che la vedo così determinata, con uno sguardo deciso. Faccio mente locale e la guardo incuriosito e un po’ altezzoso.
Dapprima non capisco di cosa stia parlando, ma poi ricordo: quando avevo vuotato lo zaino che aveva usato per tentare di rubare alcune delle scorte, ho trovato alcuni effetti personali che avrebbero potuto risultarmi utili, e tra di loro c’era una collanina d’oro bianco.
Come può avere il coraggio di chiedermi una cosa simile?  Non è per nulla nella posizione di farlo.
Se ha rischiato e sfida tutt’ora la morte allora vuol dire che è proprio importante.
Quasi mi metto a ridere per l’assurdità di questa situazione.
Si è avvicinata un po’, abbandonando lentamente il rifugio sicuro che quel tronco le dava, ed ora si trova circa a quattro metri da me. E si avvicina, si avvicina, si avvicina... fino a quando i nostri corpi non distano che qualche palmo.
Mi arriva all’incirca appena sotto all’attaccatura del collo, è piuttosto bassina nonostante dimostri sedici diciassette anni, ed è per questo che deve per forza alzare lo sguardo per incrociare il mio.
Il cipiglio è tornato, e così sembra proprio una piccola bambolina capricciosa, ma quando la guardo negli occhi mi accorgo che il suo atteggiamento è cresciuto e adulto.
“Non me ne vado senza” dice in un bisbiglio.
Ed è qui che mi arrabbio sul serio: come osa comportarsi così dopo che le ho risparmiato la vita? Non riesce a capire quant’è fortunata?
Il piccolo omino muratore che è in me ricostruisce i muri in tempo record, e le mie braccia, come dotate di volontà propria si muovono di scatto.
Il manrovescio le colpisce dritta la guancia sinistra, e quando mi accorgo di quello che ho appena fatto è troppo tardi.
Il ceffone è stato così forte che questo la porta a circa un metro da me. Inizialmente barcolla all’indietro, ma poi perde l’equilibrio e cade sul sedere con un tonfo.
È la prima volta che vedo vere lacrime sul suo viso, e il pensiero di essere stato io a causarle mi fa stare male.
Tenta di alzarsi, poggiando delicatamente la mano sulla gota ferita e arrossata, ma non ci riesce perdendo l’equilibrio e ricadendo sulle foglie.
Alza lo sguardo lentamente, incredula di ciò che è accaduto.
Nero e Verde si scontrano inseguendosi, sfamandosi, scoprendosi. 
Oddio, che cosa ho fatto...? 
I suoi occhi lucidi si liberano dalla mia stretta, si chiudono e si saldano lasciando cadere gocce salate.
Si rimette in piedi velocemente, traballando instabile.
Cerco di avvicinarmi, ma impaurita lei lancia una specie di strillo soffocato e indietreggia velocemente.
L’ultima cosa di lei che vedo è il bagliore rosso dei suoi capelli.
Perché lei mi fa quest’effetto? 
 
 
 
 
 
Ciao a tutte! :3 sì, lo so, avevo detto due settimane, ma non ho saputo resistere e mi sono rintanata a scrivere tutta domenica XD
Vi è piaciuto questo capitolo? Fatemelo sapere con una piccola recensione :D
Devo ringraziare tutti coloro che hanno messo la mia storia tre le seguite, chi l’ha messa tra le ricordate, chi tra le preferite e a chi mi ha recensito.
Un grazie speciale ad Ashwini che ha saputo darmi la motivazione per continuare a scrivere. Mi raccomando, passate a leggere la sua storia http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1768868&i=1
Ciao, alla prossima, e mi raccomando recensite in tante! :D

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: iloveromanzirosa