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Autore: ornylumi    08/05/2013    9 recensioni
Undici anni dopo la fine della guerra magica, una Hogwarts ricostruita e leggermente cambiata si prepara ad accogliere i nuovi studenti, senza sapere che un evento senza precedenti sta per segnare la sua storia. E' il primo anno per Teddy Lupin, cresciuto da sua nonna Andromeda e desideroso di scoprire il mondo magico, e per Catherine Scott, una ragazzina proveniente da un orfanotrofio Babbano. Ma lo è anche per Neville Paciock, che per la prima volta si avvicina all'insegnamento dell'Erbologia. La storia di un'amicizia che non avrebbe speranza e che diventa invece possibile, nella generazione di mezzo tra quella di Harry Potter e quella dei suoi figli.
Dal capitolo 8:
Quando il Cappello non aveva più considerazioni da fare, quando Cathy si era arresa alla sua incapacità di scegliere e la curiosità della sala si era trasformata in una noia mortale, lo Smistatore sembrò finalmente decidersi; alzando il tono di voce, in modo che tutti potessero sentirlo, dichiarò: “Non mi lasci altra scelta… Grifondoro e Serpeverde!”
*Attenzione: sono presenti spoiler nelle recensioni*
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Neville Paciock, Nuovo personaggio, Sorpresa, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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23


Quando Cathy riaprì finalmente gli occhi, tutto ciò che vide fu un immenso spazio bianco. Il suo primo pensiero fu di essere arrivata in Paradiso; il secondo, che se lo aspettava molto diverso e più luminoso; l’ultimo, che probabilmente non meritava nemmeno di finirci, non dopo ciò che aveva fatto a Eliza. Poi, i contorni si fecero più nitidi e si accorse di star guardando semplicemente le pareti dell’infermeria, su uno dei cui letti era distesa lei. Si alzò a sedere e si accorse di respirare senza fatica: l’asma era passata, qualcuno doveva averla trovata lì nell’erba e riportata al castello. Chiunque fosse stato, gli doveva la vita.

Dalle finestre penetravano i raggi di un sole pieno, il che significava che doveva essere più o meno mezzogiorno. La stanza era silenziosa, e difatti sembravano esserci soltanto due occupanti: Cathy e un ragazzo che lei non aveva mai visto, placidamente addormentato nella fila di fronte. La cosa le provocò un improvviso vuoto allo stomaco: Eliza non c’era, il che non era affatto un buon segno. Dato che si sentiva decisamente meglio, pensò di lasciare immediatamente quel letto e di andare a cercarla; non riuscì neanche a poggiare i piedi a terra, però, che una donna vestita di bianco le corse incontro agitata.

“Sta’ giù, benedetta ragazza! Ci manca solo che mi svieni una seconda volta!”

La costrinse a stendersi nuovamente e le rimboccò le coperte fino al collo, come se in quel modo potesse impedirle di alzarsi. Imbarazzata, Cathy balbettò: “Scusi, è che mi sentivo molto meglio…”

“Certo, dicono tutti così. Ma qui l’infermiera sono io e sta a me decidere di quanto riposo hai bisogno. Nel tuo caso, direi al minimo altre ventiquattr’ore”.

Fu il tono autoritario e senza ammissione di repliche, più che il suo aspetto, a far intuire a Cathy che si trattava di Madama Chips. La stessa donna che aveva curato Teddy e che adesso, a quanto sembrava, si era presa cura di lei.

“Ma dico io…” continuò l’infermiera, sconcertata, “Possibile che nessuno mi abbia detto del tuo problema? Avrei dovuto tenerti costantemente sotto controllo, l’intera scuola avrebbe dovuto fornire un’illuminazione adeguata in ogni angolo! Hai corso un rischio enorme!”

Era proprio per evitare tutta quell’attenzione su di sé che non ne aveva parlato con nessuno, ma preferì evitare di dirglielo. Aveva come l’impressione che la donna si sarebbe infuriata di più.

“Comunque, se proprio ti senti meglio… Potresti ricevere almeno una delle visite che mi sono state richieste”.

Cathy spalancò gli occhi per la sorpresa: “Visite? Ci sono delle visite per me?”

“Sicuro! Prima i tuoi compagni Grifondoro, poi quel ragazzo di Serpeverde e infine il professor Young che voleva sottoporti a un interrogatorio… Come se non fossi rimasta in stato di incoscienza fino a pochi minuti fa!”

L’idea che Young fosse dietro la porta in attesa di interrogarla era abbastanza angosciante, tuttavia Cathy riuscì a sorridere: Evan era venuto a cercarla, così come gli altri suoi amici. Se erano lì per lei, forse Eliza stava meglio del previsto.

“Sì, vorrei vederli. Be’, magari non Young… Non subito…”

“Non ne avevo intenzione”. Madama Chips le fece l’occhiolino, poi si allontanò in direzione della porta e aggiunse: “Ma solo pochi minuti, mi raccomando!”

Non appena l’infermiera li ebbe lasciati entrare, cinque ragazzi fecero il loro ingresso chiassoso nella stanza: Maggie in prima linea, che si precipitò in direzione di Cathy riempendola di domande, poi Susan, Jennifer, Samuel e infine Ted, che le rivolse un sorriso timido.

“Come stai? Ci hai fatto preoccupare, sai? Potevi dircelo che avevi paura del buio, non c’è niente di cui vergognarsi! Ti avrei prestato la mia lampada…”

“Infatti, anche a me non piace dormire al buio… Ho sempre paura che un Letalmanto mi aggredisca mentre dormo!” Susan aveva frenato la parlantina di Maggie con quell’osservazione, ma fu a sua volta interrotta da Jennifer, che la prese in giro: “Oh, come se non ti avessi detto mille volte che i Letalmanti si trovano solo nelle zone tropicali! Che pensi, che ci siano tali mostri nel castello?”

Prima che iniziasse una diatriba su quali animali potessero esserci a Hogwarts e quali no, Cathy pose finalmente la domanda che le stava più a cuore: “Dov’è Eliza?”

Tutti rimasero spaesati dopo quelle parole, come se da lei non se le aspettassero. Fu Maggie a rispondere per prima: “Hai già saputo? Ha avuto un incidente ieri sera, proprio come te. La tengono in una stanza separata e non ci permettono di vederla. Vogliono tenerla lontana dagli altri ospiti dell’infermeria, anche se non conosciamo il motivo…”

O meglio, pensò Cathy, vogliono tenerla lontana da me. La cosa non faceva una piega, anche se i ragazzi sembravano all’oscuro di tutto. Young, che aveva certamente individuato la colpevole, doveva aver tenuto per sé le sue considerazioni.

“È stato Evan Gregory a trovarla e portarla qui” aggiunse poi Susan, facendosi improvvisamente rossa in viso. “Eliza era stranamente fuori il dormitorio dei Serpeverde, forse stava aspettando te. Comunque, qualcuno o qualcosa l’ha colpita e lei ha riportato diverse ferite. Madama Chips ha detto che avrà bisogno di lunghe cure, ma si riprenderà. Evan l’ha soccorsa appena in tempo: qualche altro minuto e sarebbe stata spacciata”.

Una piacevolissima sensazione di sollievo le attraversò tutto il corpo: Eliza era salva, ed era stato proprio Evan a soccorrerla. Pensò che questo fosse stato un ottimo modo per riscattarsi, dopo l’errore che aveva commesso con Ted. La prossima volta che l’avesse incontrato, decise, sarebbe stata più disponibile con lui.

“E io?” chiese poi, ripensandoci solo in quel momento. “Chi mi ha portata qui?”

“È stato Hagrid, il guardiacaccia” spiegò Maggie, visibilmente entusiasta di dar voce a ciò che sapeva. “Il suo cane ti ha fiutata, per fortuna eri abbastanza vicina alla loro capanna. A proposito… Che ci facevi, lì?”

Non era preparata a quella domanda. Sentendosi seriamente in difficoltà e senza una scusa decente, si limitò a dire: “Non lo so, non ricordo molto di ieri sera. Ero arrabbiata e volevo starmene per conto mio. Non mi sarò accorta di starmi inoltrando nella foresta”.

Era una spiegazione penosa, ma nessuno se ne curò. Forse perché, a quanto sembrava, c’erano ancora altre cose che dovevano essere riferite.

“È arrivata una lettera per te” disse Ted, che fino a quel momento era rimasto in silenzio. “Madama Chips non vuole gufi in infermeria, così l’ha spedito al nostro dormitorio… Solo, ha fatto un po’ di confusione con la Casa in cui stai adesso”.

“Non importa, meglio così”. Allungò la mano verso quella del ragazzo e afferrò la pergamena arrotolata. Non ebbe neanche bisogno di arrivare alla firma per sapere di chi si trattava:


Si può sapere cosa diavolo ti è saltato in testa? La prossima volta che decidi di suicidarti abbi almeno il buonsenso di farmelo sapere! Una letterina d’addio non si nega a nessuno e soprattutto non a me. Detto ciò, pretendo spiegazioni immediate per il tuo comportamento. Niente lettere, vieni a casa mia. Trova una scusa qualsiasi e lascia il castello. E spera di avere un’ottima motivazione per ciò che hai fatto, perché di sicuro non mi troverai indulgente.

Il tuo tutore


Ma come diavolo faceva a sapere sempre tutto e subito? Cathy accartocciò la lettera e la gettò in un angolo, con l’umore nuovamente a terra. Era lui il principale responsabile di tutto ciò che era successo, aveva un bel coraggio a mostrarsi arrabbiato. Naturalmente, poi, il fatto che si fosse preoccupato per una sua eventuale perdita non era nemmeno stato accennato. Cominciava a sentirsi veramente stufa ed era decisa a non soddisfare la sua richiesta. Se voleva vederla, pensò, che venisse a Hogwarts.

“Brutte notizie?” chiese Ted timidamente.

Cathy scosse il capo, cercando di mostrarsi distaccata: “Niente di importante”.

Ma l’espressione più cupa nella stanza divenne improvvisamente quella di Maggie, come se la ragazza stesse per annunciare un evento funebre. Si sedette ai piedi del letto, con una gamba ripiegata sotto il corpo e l’altra penzoloni, e dichiarò: “C’è un’altra cosa che dobbiamo dirti… Forse la peggiore di tutte”.

Cathy annuì, in attesa che continuasse e preparandosi al peggio. Anche se in realtà, dopo ciò che aveva appena affrontato, niente le sembrava più così tragico.

“Il professor Young ce l’ha a morte con te. Continuava a sbraitare che non l’hai ascoltato, che hai fatto di testa tua e che qualcuno ti sta influenzando. Non so cosa volesse dire, ma faceva veramente paura. Qualcun altro, non so chi, gli ha riferito proprio ieri che sei entrata nel dormitorio dei Serpeverde senza permesso, quando stavi nella nostra Casa. Voleva già interrogarti per questo, ma con quello che è successo non ha fatto in tempo. E il peggio è che…” esitò, spalancando gli occhi azzurri e timorosi, “Ti crede coinvolta nell’incidente di Eliza!”

Quella che doveva essere la grande rivelazione non la toccò più di tanto, anche se fece del suo meglio per mostrarsi sorpresa. Ciò che invece la stupì fu la prima parte delle parole di Maggie, quella sul suo ingresso nel dormitorio. Aveva quasi dimenticato di esserci entrata quando non doveva, la sera in cui aveva litigato con Evan, ma era certa che non ci fosse nessuno a parte loro due. Che fosse stato lui a tradirla era totalmente da escludere, non avrebbe mai agito in quel modo se voleva far pace con lei e soprattutto non ne avrebbe parlato con Young, che gli stava decisamente antipatico. Ma, allora… Chi?

I suoi compagni continuavano a discutere di come Young potesse arrivare a tanto e di come Cathy avrebbe potuto difendersi, ma lei non li ascoltava. Improvvisamente, aveva guardato di nuovo i letti dell’infermeria per assicurarsi che fossero davvero vuoti, concludendo che nessuna ragazza fosse ospitata lì da tempo immemore. Le tornarono alla mente molte cose: l’ultima lezione della professoressa Holland, in cui si era parlato di incantesimi di Dissimulazione per rendersi invisibili; il vento improvviso che aveva sollevato il baldacchino del letto di sua madre; Harry, il suo gatto, che era spaventato da quel lato della stanza e aveva cercato di tenerla lontana. Allora capì: Abbie Macdonald non era mai stata in infermeria. Abbie Macdonald, in realtà, non aveva mai lasciato il dormitorio dei Serpeverde.

“Devo andare”. Lo disse prima di rendersene propriamente conto, si alzò e recuperò la divisa dalla sedia per poi vestirsi dietro un paravento. I suoi compagni, sbigottiti, stentarono a capire.

“Dove...?” osò domandare Maggie.

“Devo fare una cosa. Per favore, intrattenete Madama Chips mentre sono via. Tornerò presto”.

“Se proprio devi… Ma non metterti nei guai, hai già Young alle costole!”

Qualche istante dopo, Cathy usciva dalla stanza indisturbata e le ragazze chiamavano a gran voce l’infermiera, sostenendo che l’altro ragazzo degente fosse in preda a un collasso. Quando Madama Chips fu così indaffarata da non sentirli, si scambiarono dei sussurri.

“Tornerà, secondo te?” chiese Maggie a Ted.

Il ragazzo scosse la testa, rassegnato. “Non lo so, ma è quello che spero”.

In realtà, nessuno di loro avrebbe rivisto Cathy per molto tempo.

*

A quell’ora del giorno, Hogwarts era più che affollata, sebbene la maggior parte degli studenti e insegnanti fosse a pranzo in Sala Grande. Raggiungere i sotterranei senza farsi vedere fu veramente un’impresa: Cathy dovette nascondersi in più di un’occasione in un’aula vuota o dietro un’armatura, ogniqualvolta uno studente in ritardo o un fantasma di passaggio decideva di percorrere il suo stesso corridoio. Mancò poco che Pix la scoprisse, mentre lanciava palle da tennis contro la sfortunata gatta di Gazza; i suoi occhi maligni notarono uno strano movimento dietro la statua di un gargoyle e, per un momento, Cathy si sentì in trappola. L’avrebbe probabilmente vista, se la gatta non l’avesse distratto fuggendo giù per le scale e facendo rimbalzare una pallina. Quando il poltergeist decise di tornare alla sua preda precedente, la ragazza tirò un sospiro di sollievo.

Stava correndo un rischio enorme e non sapeva neppure perché lo stesse facendo. La verità era che, realizzando di colpo ciò che per tanto tempo le era sfuggito, le sembrava di avere una grande opportunità tra le mani e di non doverla sprecare. Forse, voleva solo ritardare il momento in cui avrebbe dovuto parlare con Young, o quello in cui Eliza sarebbe guarita e lei avrebbe dovuto guardarla di nuovo negli occhi. Le questioni da affrontare erano tante e Cathy aveva paura: di venire espulsa, di essere accusata dall’intera scuola, anche di poter ferire qualcun altro. Per il momento, era più facile occuparsi della misteriosa Abbie Macdonald.

Quando rientrò nella propria stanza trovò solo Harry ad aspettarla, il quale si precipitò a farle le fusa dopo la sua prolungata assenza. Cathy, però, adesso sapeva che non erano soli.

“Abbie, sei qui?” chiese alla stanza vuota, sentendosi un po’ sciocca. “Avanti, lo so che ci sei. Fatti vedere”.

Per qualche istante ci fu solo silenzio. Poi, a poco a poco, la figura di una ragazza iniziò a ricomporsi sul letto di Cathy, come se si stesse liberando di un manto invisibile: la testa dal caschetto castano, il corpo esile sotto la divisa di Hogwarts, le gambe accavallate che si muovevano ritmicamente per il nervosismo. Benché se lo aspettasse, Cathy restò comunque turbata da quell’improvvisa apparizione. Harry, al contrario, si precipitò verso Abbie e iniziò a fare le fusa anche a lei.

“Dissimulazione?” domandò, pensando di aver fatto centro.

“No, Mantello dell’Invisibilità” rispose la ragazza, indicando un fagotto grigio perla ripiegato nel suo grembo. “Non è dei migliori, appartiene alla mia famiglia da anni e col tempo si è opacizzato. Come mi hai scoperta?”

“Indizi” spiegò semplicemente Cathy, sentendosi incredibilmente simile a Evan nelle sue attività di detective. Si sedette sul secondo letto, quello che aveva occupato nei primi mesi, e tentò di placare l’emozione. “Comunque, direi che funziona bene. Tutti ti credevano in infermeria”.

Abbie alzò le spalle, come se fosse ben poco orgogliosa di quella sua capacità. Poi aggiunse: “Non è difficile nascondersi quando per gli altri sei già invisibile. Nessuno voleva vedermi e nessuno mi ha vista, tutto qua”.

Cathy non fu sicura di capire ciò che intendeva, ma non approfondì. La questione che le interessava, al momento, era un’altra.

“Sei stata tu a dire a Young che sono entrata qui senza permesso, vero?”

“Beh, sì”. Non tentò nemmeno di negare, anzi, affermò tutto con noncuranza. Cathy restò colpita da tanta onestà.

“Perché l’hai fatto?” la incalzò.

“All’inizio non volevo. Sai, tu mi eri simpatica… Cioè, simpatica è dire troppo, ma almeno non eri una serpe come le altre due. Poi, però, da un giorno all’altro ti sei presa il mio letto e mi hai costretta a spostarmi nel tuo. Questo non mi è piaciuto”.

“Bene, e quindi ti sei vendicata”. Improvvisamente, Abbie le sembrò più simile a Vera di quanto lei stessa credesse. Possibile che le ragazze di quella Casa risolvessero i problemi sempre allo stesso modo? “Mi dispiace, ma non potevo sapere che dormissi lì. Te l’ho detto, credevo che fossi in infermeria”.

Abbie non rispose, ma si accovacciò vicino a Harry per accarezzarlo. Cathy rimase sorpresa di quanto i due andassero d’accordo e osservò la scena con le sopracciglia aggrottate.

“Il tuo gatto è molto intelligente” disse la ragazza, notando la sua espressione. “Ha capito che c’era qualcosa di strano in questa stanza, anche se non poteva vedermi. All’inizio era spaventato da me e io da lui, perché temevo che mi facesse scoprire. Poi, però, ho iniziato a togliermi il mantello quando eravamo soli e siamo diventati amici. Quando hai cercato di prenderti il mio letto voleva impedirtelo: sono sicura che l’ha fatto per me”.

Quella spiegazione era assurdamente realistica, ma la innervosì: Harry era il suo gatto, non le piaceva che si affezionasse così tanto a qualcun altro. Tanto per chiarire il concetto, si fece avanti e lo prese tra le braccia, allontanandolo da quelle di Abbie.

“Be’, insomma, perché ti nascondi?” le domandò, per distanziare l’ora in cui Young o Madama Chips sarebbero tornati ad acciuffarla.

“Non che debba dirtelo…” replicò Abbie, con la solita aria indifferente, “Ma se proprio ci tieni te lo spiego. Quando sono arrivata qui non credevo di finire a Serpeverde: tutta la mia famiglia è stata in Grifondoro e avevo dato per scontato che sarei finita lì anch’io. Invece, il Cappello Parlante ha detto che c’era molto di Serpeverde in me, che ero abbastanza determinata e ambiziosa per arrivare in alto, così mi sono fatta convincere. Ho accettato la sua scelta, ben sapendo che i miei ci sarebbero rimasti male. Non m’importava: per una volta, ho voluto fare di testa mia”.

“I problemi sono arrivati dopo, quando ho conosciuto i miei compagni di Casa. Quelle due, Pamela e Vera, hanno cominciato subito a prendermi in giro e a dirmi che non meritavo di essere qui. Secondo loro, ero una raccomandata che aveva sfruttato la notorietà di suo padre per decidere in che Casa stare, poiché il Cappello non mi avrebbe mai smistata qui di sua volontà. Non ero alla loro altezza, dicevano; la figlia di un mago mediocre e arricchito grazie al Ministero non era certo degna della nobile casata del serpente”.

“Quindi, tuo padre…” domandò Cathy, sperando di non apparire troppo indiscreta “È una persona famosa? Lavora al Ministero?”

“Sì” rispose subito Abbie. “Charles Macdonald, Indicibile dell’Ufficio Misteri e assistente del Ministro in persona. Se ha tutti questi ruoli è per un colpo di fortuna: ha salvato causalmente la figlia del Ministro da un brutto incidente ed è stato ricompensato. La gente, però, continua a parlarne male, dicendo che non meritava quel posto. Non riescono a dimenticare che prima faceva il falegname”.

“Falegname?” Ogni parola di Abbie era per lei una nuova scoperta. “Ne esistono anche nel mondo dei maghi?”

“Certo! Be’, non un falegname che intaglia mobili, ovviamente… Uno particolare, di quelli che forniscono il legno ai fabbricanti di bacchette. Mio padre ne è sempre stato orgoglioso, ma in molti lo considerano un lavoro umile perché non richiede grandi abilità. La parte più difficile è quella del fabbricante”.

“Capisco” ribatté Cathy, a cui in realtà qualche concetto era sfuggito. “Siamo alle solite, insomma: le persone vengono giudicate per il loro passato e non per gli atti eroici che hanno commesso. Mi dispiace”.

Abbie alzò le spalle una seconda volta, rassegnata. “Cose che capitano. La gente è invidiosa, ecco cos’è. Comunque, a un certo punto non ne potevo più delle frecciatine di Pamela e Vera e nemmeno di quelle di Zabini, che pure non si è risparmiato. Così ho deciso di sparire, nascondendomi sotto il Mantello tutto il giorno e dicendo agli altri di essere in infermeria. Ho seguito le lezioni mentre ero invisibile, con la complicità degli insegnanti, e mi sono fatta portare qui colazione e cena dagli elfi domestici. Nessuno mi ha mai scoperta, fino a oggi”.

Cathy era esterrefatta di come una ragazza della sua età avesse portato avanti un tale piano e ne parlasse con nonchalance, come se fosse una sciocchezza. Non riusciva a credere che i professori l’avessero appoggiata in un’idea del genere.

“Come mai te l’hanno lasciato fare?” le chiese, sempre più curiosa. “Immagino che questa cosa infranga un bel po’ di regole della scuola!”

“In effetti, sì. Gli insegnanti si lamentavano di non potermi interrogare davanti agli altri studenti e temevano che combinassi qualche guaio, approfittando della mia invisibilità. È stato mio padre a convincerli, dicendo che ero affetta da una grave depressione e che stare a contatto con gli altri poteva nuocere alla mia salute. Per una volta, la sua autorità mi è stata utile”.

Il racconto finì lì, con Abbie che si guardava attorno pensierosa e Cathy che cercava di assimilare quella novità. Per quanto la spiegazione stesse in piedi, continuava a sembrarle assurdo che una ragazza potesse fare tutto ciò che voleva mentre era nascosta sotto il Mantello. Catherine l’avrebbe definita violazione della privacy.

“Non ti senti sola, a vivere così?” La domanda le sorse spontanea qualche attimo dopo, mentre cercava di immaginare se stessa nei panni di Abbie. “Non parli mai con nessuno, sei amica solo del mio gatto… Non è triste?”

La ragazza alzò le spalle una terza volta, come se fosse la risposta a tutto. “Sempre meglio che avere amiche come quelle. A questa Casa, comunque, non ci rinuncio: quello che mi interessa è fare del mio meglio per arrivare in alto, come ha detto il Cappello. Il resto vada come vada”.

Cathy annuì, seppure con poca convinzione. Al posto di Abbie, non avrebbe mai permesso che delle ragazze della sua età condizionassero a tal punto la sua esistenza. “Secondo me dovresti provare a ribellarti” le suggerì, in maniera disinteressata. “Vera e Pamela sanno essere terribili quando vogliono, ma prima o poi si stancano. E Alex ha da ridire praticamente su tutti, si crede il migliore della scuola”.

Abbie alzò un sopracciglio, come se quel consiglio fosse del tutto inapplicabile. “Dovrei reagire come hai fatto tu, dici? Mi dispiace, ma non ho il tuo stesso ascendente su di loro. Qualche giorno fa ho provato a togliermi il Mantello a lezione di Erbologia ed è stato un disastro. Il professor Paciock è sempre molto gentile con me, al contrario degli altri, ha insistito così tanto nel dirmi che non dovevo vergognarmi di niente che ho voluto accontentarlo. Vera e Pamela hanno ricominciato subito a insultarmi, chiedendo se era stato il mio paparino a guarirmi, così mi sono distratta per rispondere e la mia povera Rosa Cangiante è quasi morta. No, penso proprio che non ci riproverò”.

La ragazza sembrava seriamente preoccupata solo della propria rosa, come se le offese ricevute non la ferissero minimamente. Per quanto strano, lo studio e la magia dovevano essere davvero il suo unico interesse.

“E comunque” continuò Abbie “non sei la persona adatta a darmi consigli. Io mi nascondo sotto un mantello e non ho amici, ma qui l’unica insoddisfatta della sua vita sei tu. Sbaglio o non sai nemmeno chi sono i tuoi genitori, perché il tuo tutore non vuole dirtelo?”

Cathy, quasi offesa, aprì la bocca per chiederle come facesse a saperlo, ma subito dopo la richiuse. Era abbastanza ovvio, visto che ne parlava con Evan quasi tutti i giorni. “Mi piacerebbe che non origliassi le mie conversazioni mentre sei invisibile, grazie!”

“È un po’ difficile, quando l’unico modo per non farlo è uscire dalla stanza. Una porta che si apre da sola non fa una bella impressione, neanche in una scuola di magia”.

Cathy era irritata, ma non poté non ammettere che Abbie aveva ragione. Ora che sapeva della sua presenza lì, comunque, sarebbe stato tutto diverso.

“Non capisco come lo sopporti, sai? Al tuo posto avrei usato la stessa influenza che hai su Vera anche su di lui, in modo da costringerlo a parlare. Non dovrebbe essere difficile”.

“Che cosa intendi con ‘influenza’?” Era la seconda volta che Abbie ne parlava, ma Cathy non era certa di aver colto il senso. Vide la ragazza abbassarsi verso di lei con il viso poggiato sulle nocche, come faceva Maggie quando stava per rivelare un’indiscrezione, e un attimo dopo la sentì sussurrare: “Lo sai di che parlo. La prima volta che è successo Vera era sconvolta, continuava a dire che tu sei il demonio e non avrebbe mai dovuto sfidarti. Non sai quanto ti ho ammirata, quel giorno… Avrei voluto essere in Sala Grande a godermi lo spettacolo!”

Con quella frase, ebbe la certezza di aver capito. Abbie sembrava entusiasta del fatto che Vera si fosse spaventata, ma Cathy continuava ad avvertire un nodo alla gola. La paura che aveva instillato nella Wilkinson somigliava troppo a quella di Eliza, e riportò la sua mente al drammatico avvenimento di qualche ora prima.

“Tu sai cosa ho fatto, per spaventarle tanto?” domandò, sperando vivamente che Abbie avesse la risposta. Purtroppo, la vide scuotere la testa.

“Mi dispiace. Entrambe sapevano di cosa stavano parlando, quindi non l’hanno detto. Perché non chiederlo al tuo tutore, comunque? Lui lo saprà”.

Certo che lo sapeva, pensò Cathy con rabbia. L’unica fonte di informazioni certe era anche l’unica inaccessibile. Ma non aveva voglia di spiegarlo a Abbie, sarebbe stato troppo lungo e complicato. Così, si limitò a dirle: “Grazie del consiglio. Ci penserò”.

La ragazza si alzò dal letto e spiegò il mantello, con il quale rese invisibile la parte inferiore del suo corpo. Ora che Cathy sapeva, si accorse di riuscire a intravedere comunque una sorta di ombra lì dove dovevano esserci le gambe di Abbie. “Be’, io adesso ho lezione di Incantesimi, quindi ti saluto. Spero che non dirai a nessuno quello che hai scoperto”.

Cathy non vedeva alcun motivo per rivelarlo. “No, tranquilla”.

“Ah… E scusa per la denuncia. Spero di non averti messa nei guai”.

“Non preoccuparti. In fondo hai ragione, ho ben altri problemi da risolvere”.

Abbie le sorrise per la prima volta, poi si sistemò il mantello sulla testa e le spalle fino a nascondersi completamente. La porta del dormitorio si aprì apparentemente da sola e si richiuse con un tonfo, ricordando a Cathy tutti i rumori misteriosi che aveva avvertito in quella stanza senza mai darvi peso. Non è difficile nascondersi quando per gli altri sei già invisibile. Sì, cominciava a capire cosa volesse dire.

Rimasta sola in quella stanza, rifletté sulle ultime parole che lei e Abbie si erano scambiate. Sarebbe dovuta tornare immediatamente in infermeria, salvare gli amici dalla situazione in cui li aveva messi e affrontare le conseguenze della propria irresponsabilità. Tuttavia, parlare con Young le sarebbe stato davvero utile? Sapeva già perché era successo quel che era successo, si sentiva abbastanza in colpa senza che lui la sgridasse e sapeva anche cosa doveva fare perché quell’incidente non si ripetesse. Con un po’ di fortuna, sarebbe riuscita a parlare anche con Evan e chiedergli che cosa aveva scoperto, sperando che quella volta non si sbagliasse. Eppure, nemmeno questo le sembrava davvero utile. Proprio come aveva detto Abbie, una ragazza appena conosciuta che sapeva pochissimo di lei, la ragione di tutti i suoi problemi era l’ignorare le sue origini, il non sapere perché la gente aveva paura di lei e come riuscisse a causare quegli incidenti. Più ci pensava, più farsi interrogare da Young le appariva la cosa meno giusta da fare. Dopo ciò che era successo con Eliza, non aveva più niente da perdere. Così, quando lasciò il dormitorio qualche istante dopo, aveva deciso.

*

“Professor Paciock! Professor Paciock!”

Incontrare proprio lui, tra tutti gli insegnanti di Hogwarts in circolazione, le sembrò un vero colpo di fortuna. Proprio come Abbie aveva detto, era tra le persona più buone e disponibili con gli studenti. Sperò che questo bastasse a portare a termine il suo piano.

“Scott!” L’uomo si voltò verso di lei, colpito dal suo tono concitato. “Che ci fai qui, non eri in infermeria?”

“Sì, ma sono scappata”.

Paciock strabuzzò gli occhi, forse più sorpreso dalla sua onestà che dal fatto in sé. “Per Morgana!” esclamò, visibilmente preoccupato. “Non avresti dovuto, Madama Chips…”

“Non importa di Madama Chips” replicò subito Cathy, sperando che i sospetti di Young non fossero già arrivati alle orecchie del suo collega. “Ho saputo una cosa, una cosa terribile… Catherine, la mia tutrice dell’orfanotrofio, sta male! Devo andare subito da lei!”

Chiese mentalmente perdono a Catherine per quella bugia, ma era la scusa migliore che fosse riuscita a trovare. Tuttavia, Paciock non fu propenso ad aiutarla come lei aveva sperato: “Oh, capisco… Mi dispiace, ma nessuno studente può uscire dalla scuola da un giorno all’altro, sono le regole!”

Cathy non si lasciò scoraggiare. “Nemmeno se un suo familiare sta male? Per favore, non posso lasciarla da sola proprio adesso! Ci dev’essere qualche eccezione in questi casi, no?”

Fa’ che ci sia, pregò in cuor suo. Se avesse perso quell’occasione, sicuramente non ce ne sarebbero state altre.

Paciock ci pensò su, per qualche istante che a Cathy parve un’ora. Poi, finalmente le disse: “Sì, in effetti esistono casi del genere in cui uno studente può uscire. Ma la scuola non è stata ancora informata di questo problema, bisognerebbe parlarne con il Preside…”

“Non c’è tempo per parlare con lui!” Cathy continuò a mostrarsi molto preoccupata, sperando che bastasse. Era la sua ultima carta. “Per favore, Professore, mi aiuti lei… È sempre stato buono con me, non mi deluda proprio adesso. Conosce Catherine, è come una madre per me… Il Preside non capirebbe, penserebbe che è solo una ragazza dell’orfanotrofio come tutte le altre e che non vale la pena lasciare la scuola per lei. La prego, mi aiuti…”

Si aggrappò al suo mantello e lo guardò con occhi supplichevoli, mettendo a dura prova la tenacia dell’insegnante. Approfittare così della sua generosità le sembrava un gesto meschino, ma non c’erano alternative. Dovette reprimere un grido di trionfo, quando lo sentì capitolare: “D’accordo, hai vinto. Vieni con me”.

*

Lo seguì fuori dal castello e in direzione della Foresta Proibita, temendo che il professore volesse condurla proprio lì. Poi, per fortuna, fu smentita: lo vide costeggiare gli alberi e raggiungere il tronco di una grossa quercia, sulla quale era impressa una X non particolarmente evidente. Da lì cominciò a girare in tondo, guardando attentamente i sassi e le foglie della radura e fermandosi, di tanto in tanto, come se avesse trovato qualcosa; poi scuoteva la testa e riprendeva a camminare, borbottando qualcosa come: “Non riesco mai a trovarla, accidenti! Odio queste stupide leggi del Ministero!”

Cathy era nervosa. Più il tempo passava, più era alto il rischio che Young la trovasse e la riportasse immediatamente al castello, per poi attuare chissà quale terribile punizione. Stava peggiorando ulteriormente la sua condizione, ne era consapevole; tuttavia, non poteva più aspettare. Quella follia le sembrava l’unico gesto sensato, qualcosa che avrebbe dovuto fare già da molto tempo.

“Eccola, finalmente!” Il professor Paciock, sorridendo soddisfatto, le si avvicinò tenendo in mano una pietra perfettamente rotonda. Non era molto diversa dalle altre, se non per il suo colore azzurro pallido.

“Che cos’è?” chiese Cathy, curiosa.

“Una Passaporta. È con questa che torno a casa da mia moglie, basta toccarla e ti porta dove vuoi. È programmata per attivarsi ogni sera alle nove, al momento conduce dritta dritta al Paiolo Magico. Se per te va bene, posso modificarla in modo che ti porti all’orfanotrofio tra due minuti”.

“Sì, è perfetto!” Cathy era entusiasta e impaziente, tuttavia lo sguardo del professore diventò improvvisamente severo.

“Un’ora, siamo intesi? Solo un’ora. Se non torni entro questo termine sarò costretto ad avvisare il Preside… E sarò punito almeno quanto te”.

Cathy annuì, promettendogli qualcosa che non avrebbe mantenuto. Il suo senso di colpa s’ingigantì al pensiero che Paciock ci sarebbe andato di mezzo a causa sua, tuttavia non sarebbe mai riuscita a tornare in tempo. La sua vera meta era molto distante dall’orfanotrofio, ma non poteva rivelarglielo.

“Ha la mia parola” gli disse.

Sorridendo di nuovo, il professore agitò la bacchetta e mormorò Portus, mentre la pietra nella sua mano si accendeva di una luce azzurra e intensa. La porse a Cathy e lei l’afferrò, sentendosi allo stesso tempo grata e meschina. I restanti due minuti trascorsero tra ringraziamenti e raccomandazioni, fino a che Paciock contò gli ultimi secondi che la separavano dalla partenza. Al suo tre, Cathy avvertì uno strappo all’altezza dell’ombelico e gli alberi della foresta sparirono, lasciando intorno a lei solo un turbinio di colori. Si sentì percuotere da raffiche di vento, ma non mollò la presa sulla pietra; alla fine, i suoi piedi tornarono a toccare terra con una tale violenza da farle perdere l’equilibrio. Era sul marciapiede di fronte all’orfanotrofio e, quando si rialzò, poté rivedere il familiare cancello e l’edificio bianco, stagliato su un cielo grigio di pioggia. Si concesse solo pochi istanti per osservare la sua vecchia casa, chiedendosi se Catherine era là dentro, se aveva già saputo dell’incidente e se stava cercando di contattarla proprio in quel momento. Prima che l’ennesimo senso di colpa le facesse cambiare idea, si costrinse a fare dietrofront, voltando le spalle al cancello. Aveva la strana sensazione che ogni cosa, dopo quel giorno, sarebbe cambiata.

Il resto fu facile, una serie di gesti meccanici che Cathy aveva compiuto mille volte. Recuperò i pochi soldi Babbani che aveva sempre con sé – mai restare senza un penny, le aveva insegnato Catherine – e s’incamminò verso la metropolitana più vicina, pronta a percorrere lo stesso tragitto che aveva fatto con la sua educatrice. In un tempo che le sembrò più breve del solito, era di nuovo davanti a quella villa e al suo misterioso occupante. I ruscelli, il giardino, il batacchio a forma di serpente; nel momento in cui bussò, fu colta dal dubbio di star facendo qualcosa di totalmente inutile. Anche quella volta, in fondo, c’era la possibilità di non cavare un ragno dal buco.

*

Nello stesso momento, a diversi chilometri di distanza, casa Potter era luminosa e accogliente. Harry si era messo in testa di preparare la cena al posto di sua moglie, e chissà per quale strampalato motivo aveva deciso di non usare la magia. A nulla erano valsi i tentativi di Ginny di fargli cambiare idea: l’uomo sembrava intenzionato a mostrare le sue doti in cucina, per la quale – sosteneva – non c’era alcuna necessità di sventolare bacchette. Ginny sospettava che la colpa fosse di Hermione, la quale, pur essendo eccezionale in tutti gli incantesimi, preferiva lasciare intatte le tradizioni di famiglia quando si trattava di pelare patate e tagliuzzare carote. Che fosse per quel motivo o per un imperscrutabile segno del destino, Harry aveva vinto la sua battaglia: se ne stava lì, accanto al ripiano della cucina, impugnando un coltello che sapeva a malapena maneggiare.

Ma, si sa, quando si è alla prima esperienza in qualcosa la possibilità di sbagliare è dietro l’angolo, e il caso di Harry non fu un’eccezione: l’uomo affondò la lama nel proprio pollice invece che nella carota, lasciando uscire un grido che fece accorrere immediatamente sua moglie. Quando Ginny lo raggiunse, il sangue sgorgava copiosamente dalla ferita; lo prese in giro, mentre cercava tra gli scaffali un unguento con cui medicarlo: “Il famoso Harry Potter, ex Prescelto che sconfisse il più pericoloso Mago Oscuro di tutti i tempi, non è in grado di tagliare una carota con il coltello!”

Ma Harry non rise, né dava segno di averla sentita. Si avvicinò al rubinetto, lasciando scorrere l’acqua fredda sulla ferita, e fissò il proprio dito con espressione indecifrabile. Ginny, impensierita dal suo silenzio, si avvicinò con un barattolo di Dittamo e lo guardò negli occhi, restandone sconcertata.

“Harry! Che ti prende, ti senti bene? Sei pallido…” Prese il suo volto tra le mani per far sì che la guardasse, ma Harry era come assente. Continuava a fissare l’acqua che scorreva, mescolata al proprio sangue.

“Harry… È solo un taglio…”

La donna era preoccupata. Suo marito finalmente la guardò, ma era ancora immerso in chissà quali pensieri. Sembrava sconvolto.

“Il mio sangue…” mormorò, come se fosse la prima volta che lo vedeva.

“Certo che è il tuo sangue. E con questo?”

“Ginny… Il mio sangue!” ripeté, come se il significato fosse scontato. “Adesso capisco… Quella ragazzina, Catherine Scott… Capisco perché mi era familiare! Quello che ha detto il Cappello Parlante, sul suo sangue Grifondoro, era vero… Lei aveva ragione, capisci? È mio quel sangue!”

Sul volto di Ginny passarono molte emozioni: timore, sconcerto, poi rabbia. Le sue mani presero a tremare e fu costretta ad appoggiare il barattolo sul ripiano per non farlo cadere. “Harry… Tu… Tu mi avevi giurato!” gridò, incapace di contenere la sua indignazione.

“No, Ginny!” si affrettò a rispondere lui, posando le mani sulle sue spalle. “Non ti ho mai mentito, lei non è mia figlia”.

“E allora di chi?” Adesso, i suoi occhi fiammeggianti erano anche velati di lacrime. “Non prendermi in giro, Potter! Tu non hai parenti, tu non…”

“Non è un mio parente. È qualcuno che utilizzò il mio sangue, quindici anni fa, per rinascere da un calderone”.

Per un momento, la donna non capì. Continuò a mostrarsi imbronciata, fino a quando la consapevolezza non si fece strada in lei e trasformò nuovamente le sue emozioni. Rabbia, sconcerto, paura; si portò una mano alla bocca per non urlare. Un grido muto riempì la cucina, mentre realizzava che i fantasmi del passato stavano tornando prepotentemente nel suo presente.

*

L’uomo buono lasciò attendere Cathy sulla soglia più del necessario, ingigantendo il suo già enorme fastidio nei suoi confronti. Quando finalmente aprì il portone, non si mostrò sorpreso; le fece un mezzo sorriso, uguale e quelli che le rivolgeva sempre, e l’apostrofò: “Già qui? Hai fatto presto, le tue doti mi stupiscono ogni giorno di più”.

Cathy non si lasciò abbindolare: “Risparmia il fiato per dirmi tutto quello che sai!”

L’uomo restò colpito da tanta fermezza, ma recuperò in breve tempo la sua tranquillità. Si spostò dall’uscio per farle spazio, facendole cenno di entrare. Cathy percorse l’ingresso a grandi falcate, come un soldato in missione.

“Forse mi sono perso qualcosa” iniziò lui “ma, che io ricordi, eri tu a dovermi delle spiegazioni. Sbaglio?”

In un gesto improvvisato e privo di senso, Cathy impugnò la bacchetta e la tirò fuori dalla tasca, puntandola contro il suo tutore. Colpito da tanta irruenza, l’uomo indietreggiò; poi, forse constatando che Cathy aveva poche possibilità di fargli del male, tornò sereno. La mano della ragazza tremava come una foglia al vento, ma lei si costrinse a restare calma.

“Vuoi combattere contro di me, Catherine? Sei proprio certa di saperlo fare?”

“Voglio solo la verità!” gridò, senza ormai più contenere le sue emozioni. “Lo vuoi sapere perché ho cercato di uccidermi, eh? Perché mi sentivo in colpa! Per dare ascolto a te e non trattenere i miei poteri ho quasi ucciso la mia amica Eliza!”

“La Williams? La tua amica Mezzosangue?”

“La mia amica e basta!” Cathy non abbassò la mira né lo sguardo, decisa ad andare fino in fondo. “Non mi importa cosa pensi di quelli come lei, Eliza mi ha sempre voluto bene e io le ho fatto del male! È tutta colpa tua!”

“Veramente, non direi”. L’uomo era ancora tranquillo, ma aveva smesso di sorridere. “Io ho solo cercato di insegnarti a usare i tuoi poteri, non ho mai detto che non dovevi controllarli. Se mi avessi ascoltato fino in fondo e ti fossi esercitata di più, forse a quella ragazza non sarebbe successo niente”.

Cathy ignorò la parte della sua coscienza che gli dava ragione, concentrandosi solo sul male che lui le aveva fatto. “Questo non cambia le cose! Il problema è che tu non mi hai mai detto la verità, mi hai costretta a fare quello che volevi senza spiegarmi perché ne ero in grado! Come mai Vera e tutti gli altri hanno paura di me, quando mi arrabbio? Tu lo sai, non è vero?”

“Certo che lo so” rispose lui, senza scomporsi. Naturalmente non aggiunse altro.

“E allora spiegamelo! Dimmelo adesso, altrimenti non ti starò mai più a sentire! Potrai dimenticarti di me, è chiaro?”

“Se credi di ottenere qualcosa con le minacce, ti sbagli di grosso. Non funzionano con me, ho altri mezzi per esercitare potere. Credo di avertelo dimostrato… Il Direttore del tuo orfanotrofio stravede per me, chi credi che ascolterebbe? E abbassa quella bacchetta, per favore… Non vorrei fare la fine di Eliza Williams”.

Cathy, sentendosi morire dentro, abbassò la bacchetta e seppe di aver perso. Se neanche le minacce funzionavano, non c’era alcun modo di ottenere la verità. Aveva fatto un viaggio a vuoto.

“Si può sapere cosa vuoi da me? E, soprattutto, chi diavolo sei?”

L’uomo la guardò di nuovo sorridendo, rilassato dall’assenza di bacchette e effetti metereologici inaspettati. Poi aggiunse: “Ecco, così va meglio. Avrei evitato il ‘diavolo’, ma va meglio”.

Cathy lo fissò senza capire. L’uomo continuava a sfidare il suo sguardo, tanto sicuro di sé da risultare irritante. Infine, parlò.

“Mi chiamo Rodolphus Lestrange. Ero il marito di tua madre”.


Note

Ehm... Ehm. Non so cosa dire, ecco. Nella mia mente vedo già cosa potreste star pensando: dopo tutti 'sti misteri sull'identità della ragazzina, te ne esci con un cliché usato e stra-abusato nel fandom? Ecco, sì. A mia discolpa posso solo dire che, quando ho avuto l'idea, non sapevo ancora che fosse un cliché. La paura di deludervi è tanta, soprattutto dopo l'insperato successo di visite e recensioni che ha avuto l'ultimo capitolo pubblicato... Mi avete resa molto felice, non era mai capitato che gli accessi superassero le centinaia prima di aver pubblicato il successivo, vi ringrazio di cuore. Per questo, spero tanto che questa rivelazione non vi abbia deluso troppo e che abbiate ancora voglia di seguire la storia. Se così non fosse, comunque, capirò^^

Per chi resterà, sappiate che le cose - ovviamente - non finiscono qui. Ci saranno altre sorprese, ma continueranno nel prossimo capitolo che questo è già un bel mattone! Molti particolari di questa storia sono anche legati alla mia long precedente, "Storia di una Mangiamorte", ma chiarirò nelle note tutti i collegamenti necessari per chi non l'avesse letta. Nel frattempo, spero anche che i pretesti che ho usato per far arrivare Cathy dal tutore non siano troppo assurdi, e che la storia di Abbie Macdonald vi sia sembrata credibile. Inutile dire che sono molto curiosa di sapere se ci avevate preso su Rod e sul sangue Grifondoro... Per eventuali pomodori, sono qui!

Infine, una nota di tipo tecnico: i Letalmanti (Lethifold in inglese) sono citati in "Animali Fantastici: dove trovarli", si tratta di creature molto pericolose che, come un velo nero, soffocano la vittima mentre dorme. Mi hanno affascinato quando l'ho letto, così li ho citati anche qui :) Non credo ci sia altro da aggiungere... Per dubbi di qualunque tipo, chiedete pure! A presto.

   
 
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