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Autore: Elos    13/05/2013    6 recensioni
Il giorno in cui Severus Piton aveva visto il cadavere di Harry Potter trascinato davanti al trono dell'Oscuro Signore era stato anche il giorno in cui aveva creduto di diventare pazzo davvero. Anche la Cruciatus non aveva potuto molto, dopo, in confronto a quello. [...]
Harry Potter è morto (?), lunga vita a Voldemort.
I Mangiamorte hanno il controllo dell'Inghilterra, e tutto quel che resta dell'Ordine della Fenice si nasconde a Grimmauld Place portando avanti un'ostinata guerriglia. Qualcosa è andato storto, ma non tutti vogliono gettare la spugna.
Esercito di Potter, il reclutamento è ancora aperto.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Kingsley Shacklebolt, Neville Paciock
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Da VI libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Come (non) doveva andare'
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2. Zeitnot




Circa tremila anni prima, c'erano state sessanta pietre a chiudere il circolo dell'anello di Brodgar: di queste, solo ventisette erano ancora in piedi il giorno in cui Voldemort, dopo aver deciso che la struttura di Brodgar era esattamente quello di cui aveva bisogno, l'aveva sollevata, rimpicciolita, incartata come un pacco regalo, e se l'era portata via. Le trentatré pietre restanti, abbattute dalla pioggia, dal gelo, dal tempo che aveva fatto franare la terra e ridurre la roccia in granita di sasso, avevano dovuto essere ricostruite. Il circolo era stato rimesso in piedi attorno a Maeshowe, riposizionato, riallineato perché le pietre fossero orientate nel giusto modo rispetto al sole che sorgeva e a quello che calava nei giorni dell'Equinozio, così che la magia vi scorresse dentro dal suolo al cielo e dal cielo alla tomba nella maniera esatta.
Era stato un gruppo di maghi, tremila anni prima, a progettare il cerchio di Broadgar, quello di Avensbury, le tombe di Maeshowe e le pietre di Stenness, ma erano stati i Babbani, poi, a costruirli. C'era qualcosa di terribile, pensava Hermione, come una specie di ironia cosmica, sapere che Voldemort stava basando tutto il suo nuovo potere su qualcosa che i Babbani avevano messo in piedi.
Le pietre non avevano veramente importanza – o forse ne avevano in quella maniera tutta simbolica, più nella testa che nelle mani, in cui le cose avevano importanza nel mondo dei Maghi. Hermione aveva provato a parlarne con Piton, ma questi si era limitato a gettarle una lunga occhiata sbieca e a chiederle, con perfida gentilezza, se le avanzava tempo a sufficienza per porsi domande oziose, giacché veniva a disturbarlo con le stesse.
Questo lato di Piton ad Hermione non era mancato affatto. Davvero. Si scopriva certe volte – sentendosene in colpa, poi, ma non così tanto da smettere – a desiderare che l'avessero tenuto sotto forma di pianta: una silenziosa, quieta pianta in coma vegetativo che non sapeva cosa fosse il sarcasmo.
Hermione aveva cominciato a vivere sui libri. Tutte le mattine c'erano le Patil, con i loro appunti e idee ed esperimenti, con i suggerimenti che Lumacorno forniva loro, ed era facile far rimbalzare le ipotesi, così, esaminarle da tre punti di vista e lavorarci su assieme a qualcun altro che riusciva a starle dietro, a seguirla; perché la testa di Hermione era sempre andata più veloce di quella della maggior parte delle persone che aveva attorno, ma le Patil erano intelligenti, erano brillanti, avevano fantasia e inventiva e Lumacorno stava insegnando loro a pensare su binari alternativi. Si lavorava bene, con le Patil. Nel pomeriggio c'era Neville, qualche volta, che le portava tè e notizie, Remus che le portava tè e suggerimenti e insisteva perché si riposasse gli occhi per qualche minuto, Draco che le portava tè (raramente) e che si afflosciava nella poltrona accanto alla sua per comunicarle quanto si stesse annoiando, che noia che fosse non poter far niente, che noia, che barba, che noia, non hai ancora finito, Granger?
Granger sembrava non finire mai. Hermione ricordava vagamente che c'erano stati giorni così anche ad Hogwarts; ma non c'era stata tutta questa feroce urgenza, allora, venata di senso di colpa e angoscia e panico. Ogni giorno che passava era un giorno in più che Harry stava trascorrendo – se era ancora vivo, se respirava ancora – a Maeshowe. Ogni giorno che passava era un giorno in più in cui Hermione lo stava abbandonando.
Era tutta una questione di allineamenti, scoprì Hermione all'altezza del decimo giorno. A quel punto, anche il tè aveva cominciato ad essere troppo poco per tenerla attiva le diciotto, venti ore che passava giornalmente sui libri. Aveva chiamato Neville Ron, quel mattino, e Neville l'aveva guardata con un'espressione tale da lasciarla senza fiato, gli occhi che le bruciavano e la gola riarsa.
Era tutta una questione di allineamenti: la tomba-fortezza di Maeshowe, dove solo il livello all'altezza del terreno era visibile agli occhi dei Babbani, era stata costruita per essere un rifugio antichissimo, un luogo di sepoltura ed un luogo di potere. I morti passavano per Maeshowe, e c'era potere, lì, c'era potere nei morti, nel passaggio. Hermione avrebbe voluto poter mettere le mani sull'arco di pietra nei sotterranei del Ministero della Magia – perché era certa che, se avesse potuto studiare quello, si sarebbe avvicinata a capire come funzionava precisamente Maeshowe – ma, malgrado gli Indicibili si fossero schierati in massa al fianco dell'Ordine, entrare al Ministero in quel momento era praticamente impensabile.
Maeshowe era stata allineata con il cerchio di Brodgar ancor prima che Voldemort li sovrapponesse fisicamente: le pietre dell'uno avevano chiamato la terra dell'altra, saltando per tutta una serie di antichissime strutture e linee che erano state tracciate nel mezzo. La Pietra dell'Osservatore. Le Pietre Erette di Stenness. La Pietra di Barnhouse, la pietra di Odino, tutti i cerchi che una volta erano stati lì ed ora non c'erano più, ma il potere restava, era rimasto, la magia era ancora lì. Tutto quel che Voldemort aveva fatto era stato avvicinare il cerchio e la tomba e far sì che il potere che questi prendevano dalla terra arrivasse fino a lui.
Doveva esserci un intermediario, pensò Hermione, confusamente. I pensieri si erano fatti molto confusi all'altezza dell'ottavo giorno, e andavano peggiorando di ora in ora. Avrebbe fatto meglio a dormire, si disse; qualche ora in un letto vero, con coperte e cuscini e tutto il resto, non su una poltrona, su una sedia, con la testa appoggiata al tavolo e ai libri.
Doveva esserci un intermediario. Un mezzo. Un oggetto, una pietra, un qualcosa, una qualunque cosa che stesse in mezzo tra Voldemort e Maeshowe e gli permettesse di assorbire tutto quel potere: era stato potente, prima, ma adesso era invincibile. Non si poteva fare niente, adesso, e le barriere di Maeshowe erano diventate così dense da essere impenetrabili. Bisognava trovare l'intermediario.
“E' ora che tu vada a letto, Hermione.”
“Arrivo subito,” bofonchiò lei, agitando una mano in un gesto vago verso la porta e sperando che qualcuno – chiunque fosse venuto ad interromperla – cogliesse l'invito e se ne andasse. Aveva cominciato a stilare un elenco di strutture simili a quella dell'anello di Brodgar: sapeva che, se avesse potuto testare la sua teoria su una di queste, forse avrebbe saputo come fare a indebolire la resistenza di Maeshowe. L'intermediario. Era tutta una questione di allineamenti, ma se avessero trovato l'intermediario... “Solo un minuto.”
“Hai detto solo un minuto anche un'ora fa.”
“Quel minuto è passato da un po'.”
“E ne sono passati altri cinquantanove, nel frattempo. Stanno tutti tenendo compagnia al primo minuto.”
Hermione fece appena in tempo ad alzare la testa, prima che i gemelli Weasley le afferrassero un braccio a testa e la sollevassero in piedi.
“Ehi!” sbottò lei, indignata.
“Potremmo portarti in braccio,” propose uno dei due – Fred, probabilmente.
“Ma lo faremo solo se prometterai di non maledirci via le braccia. Sarebbe sgradevole.”
“A proposito di braccia, ehi, sono le tue occhiaie, queste? Forte. Non ne avevo mai viste di così grosse, non credevo fosse umanamente possibile.”
“Occhiaie da record.”
“Da collezione.”
“Qualcuno colleziona occhiaie?”
“Io potrei collezionarle.”
Parlando al di sopra della sua testa, avevano cominciato a spingerla molto gentilmente verso la porta, indirizzandola lontana dalla poltrona, dai libri e dalla luce fumosa delle candele. Hermione sbatté le palpebre e sentì gli occhi lacrimarle: aveva passato così tanto tempo con la testa china nella penombra che la luce del corridoio, adesso, le fece male. Aveva fame ed era stanca e si sentiva stordita, leggera, come svuotata: solo la sua testa era piena, ricolma, libri e pergamene e incantesimi sovrapposti, l'immagine del cerchio e della tomba stampati irrimediabilmente sul fondo delle sue pupille e il pensiero di Harry come una costante di angoscia e panico che le ronzava dentro.
“Devo finire qui,” disse, e la sua voce suonò esausta alle sue stesse orecchie. “Non posso ancora andare a dormire.”
“Oh, puoi, invece, e lo farai. In effetti, siamo stati reclutati per assicurarci che tu lo faccia.”
“La mamma è venuta da noi con l'espressione di qualcuno che ha appena visto prendere a calci un cucciolo di Crop,” le spiegò il gemello che era probabilmente George.
“Ci ha detto che erano tre giorni che non ti vedeva uscire da qui.”
“Era Molto Preoccupata. Tu sai com'è. Cose orribili succedono quando Molly Weasley è Molto Preoccupata.”
“Ci ha detto che dobbiamo farti cenare e dormire. Possibilmente in quest'ordine.”
“Ma potresti anche dormire e cenare. E, non prenderla come un'offesa personale, ma tra il cenare e il dormire e il dormire e il cenare potresti anche infilarci, che so, un bagno. Una doccia.”
“Sì, perché odori di vecchia biblioteca, Hermione. Eau de biblioteque, per dirla con Fleur.”
“E ti possiamo assicurare che non è un buon odore.”
Il corridoio era pressoché deserto: ma Lavanda Brown, che incontrarono sulla via per le scale, inquadrò i gemelli, poi Hermione, ed assunse un'espressione sollevata. Hermione cominciò a chiedersi se non avesse effettivamente esagerato, se anche Lavanda Brown sembrava sollevata di vederla in giro. Socchiuse gli occhi, per un attimo, e il cerchio di Brodgar era lì, stampato come a fuoco dietro le sue palpebre.
Decisamente, aveva esagerato.
“Prima di procedere con il sequestro...” disse, ma lo disse senza troppa convinzione, “... avreste potuto chiedermelo.”
Abbiamo provato a chiedertelo. Un'ora fa.”
“E tu ci hai detto un minuto e arrivo.”
“E poi i minuti sono diventati sessanta.”
“Così, abbiamo deciso di affrontare l'ostacolo di petto.”
“Di sollevarlo di peso. Per così dire.”
Sollevarlo. Sollevarlo di peso. Le parole arrivarono alle sue orecchie e lei sorrise, automaticamente, e già mentre sorrideva il suo cervello stava facendo clic, tredici milioni di pensieri e parole che si mescolavano, l'immagine dietro alle sue pupille che si fondeva con quella sul retro delle palpebre e tutto ad un tratto Maeshowe e Brodgar, il cerchio e la tomba, le pietre, tutto divenne chiarissimo e lei seppe, con assoluta, improvvisa, abbagliante certezza, che cosa si poteva fare per spezzarlo.
Si bloccò di scatto, un piede già sulle scale, e i gemelli Weasley si bloccarono con lei.
“Hermione?” disse forse-Fred, sorpreso. E poi, dopo un attimo, più cauto: “Hermione...?”
“Devo parlare con Neville,” disse Hermione. Fissò le scale di fronte a sé senza vederle veramente. Quel che vedeva, adesso, era Maeshowe. Il cerchio di pietre. Si era concentrata sull'intermediario, ma tutto poteva essere un intermediario, ogni cosa, un sasso, una torcia, una stramaledettissima sedia, tutto, ogni cosa, non era importante, non era veramente importante, era la cosa sbagliata su cui concentrarsi. “Devo parlargli subito.”
Fece per girarsi e i gemelli la bloccarono; lei si liberò delle mani di entrambi con una scrollata e cominciò a scendere le scale nella direzione opposta a quella delle stanze da letto, verso la cucina, il soggiorno. Non era ancora sera: c'erano buone possibilità che Neville fosse ancora giù, con gli altri, che stesse parlando con qualcuno, o che ci fosse Shacklebolt. Anche Kingsley le andava bene.
Non c'era Kingsley; ma c'era Neville, in cucina, che stava preparandosi un panino. Alzò gli occhi, vedendola entrare, e sbatté le palpebre, sorpreso e preoccupato:
“Hermione?”
“Hai detto che avresti messo la cosa ai voti se avessimo saputo qualcosa di più,” esclamò lei senza preamboli, appoggiandosi al tavolo della cucina con entrambe le mani.
L'espressione di Neville si fece molto cauta:
“Sì. E' così.”
Hermione era stanca e si sentiva sporca, coperta di polvere, troppo leggera e insieme troppo pesante: ma nella testa il cerchio e la tomba ruotavano insieme, perfettamente incastrati, e attorno ad essi levitava la soluzione.
“Mettiamo la cosa ai voti,” disse Hermione. “Adesso so come aprire Maeshowe.”

- - -



“E' una questione di allineamenti,” stava spiegando tre ore più tardi. Parlava mangiando: Neville l'aveva convinta a sdraiarsi e a dormire mentre aspettavano Shacklebolt, ed era sorprendente quali e quanti benefici una stanza priva di libri ed un vero letto potessero apportare. Non c'era stato il tempo di fare la doccia, come i gemelli Weasley avevano sperato, ed Hermione si sentiva ancora l'odore della polvere e delle pergamene vecchie addosso; ma non aveva più l'impressione che la sua testa fosse sul punto di implodere ed aprirsi.
“Da una parte abbiamo Maeshowe.” Sollevò il bicchiere che aveva di fronte. “Dall'altra abbiamo Brodgar.” Tamburellò con l'estremità della forchetta sul tovagliolo. “Entrambi erano stati costruiti sopra a due centri di potere – come Hogwarts – ma non per la stessa ragione. Nel cerchio di Brodgar gli incantesimi funzionavano meglio, erano più potenti, le pozioni preparate erano più efficaci; allo stesso modo, ad Hogwarts Salazar Serpeverde è riuscito a far crescere un Basilisco; era facile incantare gli spazi, ad Hogwarts, perché tutta la scuola era – è – sopra un nodo di potere. Il potere nel cerchio di Brodgar e ad Hogwarts è stato pensato per andare dalla terra verso l'esterno. I maghi hanno usato Brodgar per secoli come una riserva di magia – ma tutti i maghi potevano usarla, era libera, aperta. Era una scatola senza lucchetto.”
Hermione si cacciò in bocca una forchettata di uova e le mandò giù quasi senza masticare.
“Maeshowe, invece...” riprese, agitando la forchetta e puntandola contro Neville: “... era una tomba. Solo una tomba. Credo non sia mai stata pensata per essere altro: una tomba di maghi, un simbolo potente che gli altri maghi potevano riconoscere e che anche i Babbani rispettavano. Ma non c'era potere da sottrarre a Maeshowe. Tutto il potere scorreva dalla terra nella tomba e lì si fermava. A Voldemort non sarebbe servita a niente, così com'era, sarebbe stata inutile. Se Brodgar era una scatola senza lucchetto, Maeshowe era il lucchetto. E così Voldemort ha preso Brodgar e l'ha portata sopra Maeshowe.”
Alzò il bicchiere vuoto, rovesciandolo, e lo posò sul tovagliolo, spingendo poi entrambi in mezzo al tavolo perché fossero bene in vista.
“Erano collegate anche prima: scorrevano sulla stessa linea di potere. Adesso, però, sono incastrate l'una sull'altra, allineate. E' a questo che serviva il rito che le Patil hanno trovato: ad allinearle. Se metti insieme una scatola ed un lucchetto, quello che ottieni è una cassaforte: Voldemort si è costruito la sua cassaforte, e l'ha costruita montando Brodgar sopra Maeshowe.”
Posò la forchetta sul bordo del piatto vuoto, il tintinnio del metallo contro la ceramica stranamente forte nella cucina improvvisamente silenziosa, ma non ebbe il tempo di spingerlo lontano da sé prima che Neville ci scodellasse dentro una mestolata di zuppa di cipolle. Lo stomaco di Hermione emise, malgrado le uova che aveva appena trangugiato, un sordo brontolio; e il ricordo di tutte le volte in cui Ron ed Harry le avevano tolto i libri dalle mani, ad Hogwarts, e le avevano riempito il piatto, mescolò fame e nausea.
“Sembra ragionevole,” disse Remus dopo un lungo momento in cui nessuno aveva detto niente. Lo disse in un tono di voce estremamente quieto; così quieto, pensò Hermione, da far pensare che avesse paura di credere che la cosa non fosse solo ragionevole, che potesse effettivamente funzionare.
Kingsley sembrò interpretare il tono di Remus precisamente come l'aveva interpretato Hermione, perché fece un passo avanti e posò ambo le mani sul tavolo, sporgendosi verso di lei:
“Hai detto che era una questione di allineamenti. E' questo che pensi di fare? Disallinearle?”
“Potremmo mettere un filtro tra l'anello di pietre e Maeshowe.” iniziò Remus. “Una barriera...”
Ma Hermione stava scuotendo la testa, e Remus si interruppe.
“Sarebbe troppo complicato,” spiegò lei. “Il rito delle Patil è un rito lungo e complesso. A Voldemort saranno occorsi mesi interi per metterlo in piedi, e a noi occorrerebbero settimane, molto più probabilmente mesi, per disfarlo... e non li abbiamo. Non c'è solo Harry da tenere in considerazione – c'è anche il fatto che non possiamo andare a Maeshowe e lavorare sulla barriera. Non ne avremmo il tempo. Ci sono i Mangiamorte. C'è Voldemort. La fortezza è sorvegliata. Non possiamo semplicemente starcene là fuori, con le bacchette in mano, e sperare che ci lascino in pace mentre gli smontiamo le difese.”
L'espressione di Remus si fece buia.
“E allora...”
Hermione strinse il bicchiere e lo alzò, lentamente, staccandolo dal tovagliolo. Guardando Remus in viso, sorrise.
“E allora facciamo quel ha fatto Voldemort. Se non si può aggirare l'ostacolo, lo solleviamo.”

- - -



Prima di mettere la cosa ai voti, vi fu la necessità di riferire all'Ordine tutto quel che Piton aveva detto – e tutto quel che Hermione aveva scoperto. Se ne occupò Neville.

Come Hermione aveva predetto, agli altri non piacque affatto sapere che avevano mentito.

- - -



I giorni che seguirono passarono in una bruma di caos e agitazione e cose da fare, perché di cose da fare ce n'erano tante, troppe, e troppe poche persone erano le persone che potevano farle. Il gruppo di Luna venne richiamato da Edimburgo; arrivarono in otto, la mattina presto, con un sole pallidissimo a fare capolino da sopra i tetti di Londra in una delle scarse giornate di bel tempo che l'Inghilterra fredda e grigia di Voldemort e dei Dissennatori aveva visto ultimamente. Alicia Spinnet non aveva voluto essere lasciata indietro, anche se il suo braccio sinistro non era più tornato a posto dopo l'ultimo scontro a Newcastle. Alicia era stata fortunata: Susan Bones era rimasta sul terreno in quello stesso scontro, ed i pezzi rimasti di Ebenezer Gauntlet erano stati sufficientemente piccoli da poter entrare tutti in una scatola. Ritornarono quelli che l'Ordine aveva spedito a Hogsmeade, Seamus Finnigan che era andato in Irlanda assieme alla famiglia di sua madre nella speranza di trovare alleati per la resistenza di Grimmauld Place, Charlie Weasley che era rimasto fino a quel momento in Romania, dove aveva amici che potevano proteggerlo e nasconderlo e dove poteva continuare a fare da collegamento, libero, al sicuro, con il mondo al di fuori dei confini della Gran Bretagna.
Grimmauld Place sembrava affollata e caotica, così, piena come un uovo, piena da scoppiare, ma Hermione non poteva fare a meno di contarli, di contarsi, e di pensare pochi, pochi, pochi.
Era complicato nutrire anche quei pochi, ospitarli, metterli a dormire, evitare che le camere cominciassero a sembrare claustrofobiche e soffocanti, ma c'era bisogno di tutti, adesso, disse Neville, perché Harry Potter era vivo, forse, e Maeshowe poteva essere aperta, forse, e c'era una speranza per tutti loro, forse.
Votarono, e nessuno si sorprese di scoprire che c'erano decine di voti a favore della possibilità di dare battaglia, e solo una manciata di voti contrari.
Erano stati senza speranza, pensò Hermione. Senza speranza, avevano cominciato a credere che sarebbero morti tutti, che non sarebbe rimasto più nessuno, senza speranza, nessuna Profezia a salvarli, niente a cui aggrapparsi; e adesso la speranza era stata buttata loro davanti e ci si stavano accanendo attorno, sopra, così, rifiutandosi di abbandonarla.
Era come una sorsata d'acqua calda, di latte, soffice e bianca e densa, riempiva dal fondo e sembrava risalire fino alla punta delle dita, fino al cuore. Hermione contava quelli di Grimmauld Place e ascoltava Neville parlare e si sentiva piena, fremente; le ribolliva la testa, ma senza dolore, solo in una maniera un po' spaventata, un po' frenetica.
Era eccitazione. Si era dimenticata che sapore avesse, quanto facesse bene.

Ogni Mangiamorte catturato vivo, disse Neville, andava portato da Piton e dalle Patil. Lumacorno andava messo sotto protezione. La ricerca degli Horcrux doveva riprendere: Piton pensava ce ne potesse essere uno alla Gringott, perché Bellatrix – che era stata una Mangiamorte ancora viva e in salute, quando lui aveva chiuso gli occhi per l'ultima volta a Maeshowe, e non la chiazza di sangue e poco altro che Hermione e Draco si erano lasciati alle spalle ad Hogwarts – era stata troppo orgogliosa della cosa preziosa che il suo Oscuro Signore le aveva lasciato in custodia per avere l'intelligenza di non vantarsene mai. Una cosa preziosa forse non era un Horcrux, ma quella era una traccia, una possibilità. Valeva la pena di esplorarla.
Il diario di Riddle era stato distrutto da Harry. L'anello, da Silente. Il medaglione era stato bruciato con l'Ardemonio, quando l'Ordine aveva occupato Grimmauld Place, da Kingsley Shacklebolt ed Hestia Jones.
Ce n'erano altri tre – quattro, si corresse Hermione, quattro. C'erano altri quattro Horcrux. Quello della Gringott, forse. Uno sotto Maeshowe, se c'era ancora, se era ancora vivo, se respirava ancora. E gli altri...
Bill e Charlie Weasley vennero incaricati della spedizione alla Gringott. Un piccolo gruppetto guidato da Hestia Jones venne spedito a caccia di Rabastan Lestrange. Arthur Weasley lasciò Grimmauld Place di buon mattino insieme a Kingsley Shacklebolt, e Neville prese Hermione da parte.
“Scegli la tua squadra,” le disse. “Non meno di cinque e non più di dieci. Possiamo fare a meno di dieci persone.”
Hermione aveva sentito il cuore balzarle in gola:
“Volete mandare me a Maeshowe?”
Neville le lanciò un'occhiata eloquente, un sopracciglio inarcato:
“Mi stai dicendo che, se avessimo deciso di mandare qualcun altro, tu non avresti cercato di andare lo stesso?”
Hermione pensò ad Harry e non gli rispose.
“Sarà un massacro,” disse Neville. Aveva detto la stessa cosa quella mattina; l'aveva detto con estrema gentilezza, e con la medesima gentilezza aveva detto anche che nessuno era obbligato a partecipare alla battaglia. Nessuno doveva sentirsi obbligato a venire. Era certo che non tutti quelli che avrebbero preso parte allo scontro sarebbero sopravvissuti: tutto quel che potevano fare era minimizzare le perdite e dare tempo alla squadra di Maeshowe di entrare e di... e di fare quel che doveva. “Ma, se funzionerà, ne sarà valsa la pena.”
E se non avesse funzionato, pensò Hermione, non sarebbe più importato.
Sarebbero stati tutti morti, probabilmente, e ai morti non importava.

Quattro giorni dopo quella conversazione, William Rosier, Mangiamorte, venne catturato dalle parti di Nocturne Alley dai gemelli Weasley: aveva cercato di entrare da Magie Sinister – che adesso era un negozio ampio e ben illuminato, con grandi vetrine e un'insegna in lucide lettere d'oro scuro – ma era stato intercettato da una Passaporta-trappola quand'era ancora in mezzo alla via.
Sequestrato, drogato, portato a Grimmauld Place, Lavanda Brown e Madama Chips gli inserirono una Passaporta sotto pelle in mezzo alla schiena, proprio accanto alla colonna vertebrale, e i gemelli Weasley lo lasciarono cadere, un Oblivion più tardi, esattamente dove l'avevano trovato. L'intera operazione non aveva richiesto più di venti minuti, dall'inizio alla fine, per essere portata a termine.
Neville si guardò attorno:
“E' ora.”
L'atrio e le scale di Grimmauld Place erano così affollati che la gente aveva dovuto farsi spazio nelle stanze circostanti: premevano sulle porte, affacciandosi, sporgevano dalla ringhiera del piano superiore. Hermione pensò ai Tre Giorni di Hogwarts. Si erano radunati a Grimmauld Place anche allora, prima di partire. Erano stati molti di più: mancavano dei visi, oggi, nella folla – Ninfadora era stata accanto a Remus, tre anni prima, la McGranitt in prima fila accanto al professor Vitious, alla Vector, alla Sprite, la testa di Hagrid più alta di qualunque altra testa sui gradini delle scale, e Ron ed Harry... Ron ed Harry, il ricordo faceva male, era lacerante, strappava e doleva ovunque, ad ogni respiro le sembrava di sentire qualcosa di rotto muoversi nei suoi polmoni, contro il suo cuore, farle bruciare la gola. Ron ed Harry erano stati al fianco di Hermione, tre anni prima.
Mancavano dei visi, oggi, nella folla, ma c'erano altri visi che allora non c'erano stati, Alicia e Charlie che non avevano partecipato alla battaglia di Hogwarts, Fleur, il maggiore dei fratelli Canon. C'era Draco, anche, a due passi da Hermione: tre anni prima, lui era stato dall'altra parte della barricata.
Quando Neville diede il segnale e cominciarono le prime Smaterializzazioni, Hermione chiuse gli occhi per un attimo.

Prima che il segnale per l'ultimo gruppo venisse dato, salì le scale – quasi vuote, ora che la maggior parte dell'Esercito e dell'Ordine se n'erano andati – ed entrò in camera di Ginny. Si sedette sul bordo del letto, piano, per non disturbare le coperte, e le strinse la mano: la mano-ragno, rovinata ed accartocciata, quella che era andata distrutta a Maeshowe, non la sua mano sana, bianca e magra e integra.
“Andiamo a prendere Harry,” le disse.
Il viso di Ginny non cambiò. Dormiva, dormiva. Non si svegliava. Hermione aveva pensato di somministrarle la stessa mistura che avevano dato a Piton – ma le condizioni di Ginny erano diverse. Era troppo debole, Ginny. Ferita troppo a fondo. Piton aveva cercato rifugio nella pazzia, nel coma; Piton aveva avuto una mente capace di sfuggire alla tortura quando c'era ancora qualcosa da salvare. Ginny era stata indifesa, esposta, scoperta. Ginny era stata una vittima perfetta.
Se tutto fosse andato storto, quel giorno, durante lo scontro, forse qualcuno sarebbe riuscito a tornare a Grimmauld Place. Forse ci sarebbe stato ancora qualcuno a prendersi cura di Ginny. Forse no.
Dal sonno alla morte, pensò Hermione.
Lasciandole andare la mano, si Smaterializzò a Diagon Alley.

- - -



Hermione era cresciuta tra i Babbani. Aveva letto libri Babbani, romanzi Babbani (e i Maghi sembravano mancare di romanzi, curiosamente, come se la loro narrativa fosse principalmente limitata a racconti brevi come aneddoti, a favole, a ballate), aveva guardato documentari ed era andata al cinema. Ai tempi di Hogwarts, così, aveva pensato alla guerra come vi pensavano i Babbani, come a qualcosa dove vi fosse molto rumore, scoppi, esplosioni, boati, il fischio delle pallottole e quello delle granate, e molto sangue. Dopo che la guerra era cominciata, dopo Hogwarts, dopo l'inizio della resistenza e degli assalti notturni e delle imboscate, Hermione aveva scoperto che nelle guerre dei maghi il rumore non era poi così tanto – e neanche il sangue. L'Avada Kedavra non lasciava segni. Certe maledizioni straziavano i corpi dall'interno, che così restavano interi, apparentemente, devastati solo dentro, nascostamente, dove non si vedeva; ed altre maledizioni non lasciavano neanche i corpi. Non c'era niente da seppellire, dopo.
Alla mancanza di sangue, Hermione aveva fatto l'abitudine. Alla mancanza di rumore... no.
Il silenzio era terribile. I corpi implodevano e non c'era suono, si aprivano e non c'era suono, cadevano e non c'era suono. Il rumore di uno sparo sarebbe stato un sollievo, ma nelle guerre dei Maghi la gente moriva senza avere le orecchie piene di niente: moriva senza rumore, cadeva senza rumore. Senza eco.
Lo scontro di Hogsmeade esplose nel silenzio e nella violenza, come uno scoppio pazzo di luci che sfrecciavano da una parte all'altra, incantesimi strillati, mormorati, pensati, maledizioni che bruciavano e spezzavano e l'odore terribile della carne bruciata, del fumo, l'odore putrido dei Dissennatori e il freddo intenso che questi si portavano dietro, come una scia, come uno strascico, così profondo e tagliente da risultare come un dolore tutto suo.
Hermione vide Dean Thomas buttarsi davanti a Luna e cadere quando un'esplosione di luce azzurra lo investì, Luna alzarsi sopra al suo corpo riverso mentre un Patronus brillante come una stella caduta le emergeva dalla punta della bacchetta, il Patronus in forma di lepre sfrecciare sul campo di battaglia e tenere alla larga i Dissennatori, farsi strada tra le ombre nere e i Mangiamorte e lasciarsi dietro una ventata d'aria tiepida, leggera, che rendeva più facile respirare.
Hermione non era certa di essere ancora in grado di usare il suo Patronus, ma quello di Luna non aveva mai messo di splendere. Mai.
Sentì qualcuno urlare alla sua destra ed Hestia Jones la spinse da una parte; Hermione alzò la bacchetta e la lasciò cadere in un gesto secco, e il Mangiamorte che aveva di fronte crollò a terra in uno spruzzo di sangue. Hestia Jones strillò e si premette una mano al petto, ferita – ed Hermione vide qualcosa di piccolo cadere sulla ghiaia, un pezzo di carne, di braccio, dita? Alzò uno scudo di fronte ad Hestia un attimo prima che un Mangiamorte l'abbattesse, e un'Avada Kedavra partita da qualcuno dell'Ordine investì il gruppo che Hermione aveva davanti in una vampa verde.
Sul piazzale di fronte ai Tre Manici di Scopa, Cho Chang e Kingsley Shacklebolt, schiena contro schiena, si stavano aprendo un varco a colpi di bacchetta. Cho aveva i capelli sciolti, scarmigliati, la camicia sporca di sangue e una faccia tanto vuota e bianca da parere intagliata nel marmo. In lontananza, un paio di case stavano bruciando: Hermione sentiva il legno sfrigolare e spezzarsi anche da lì, le fiamme crepitare. Il fuoco disegnava una folle danza di ombre sul selciato.
Sentì qualcuno afferrarle una spalla e si girò con la bacchetta già sollevata e una maledizione già sulle labbra: ma era Draco, solo Draco, e lei spostò la bacchetta di scatto per non puntargliela contro. Draco la tirò via, e lei lo seguì, tagliando la testa con una maledizione al primo Mangiamorte che cercò di pararsi loro di fronte ed usando l'Avada Kedavra sul secondo. Draco lanciò un incantesimo che li coprì alla vista della strada principale e, muovendosi in fretta e con cautela, si infilarono in un vicolo laterale.
Alle sue spalle, Hermione sentì qualcuno – qualcuno che forse era Neville, la voce era sua, la voce di Neville – urlare. Non si girò a guardare: sapeva che, se avesse guardato, non sarebbe più riuscita ad andare avanti.
Draco si sfilò da sotto la camicia la Giratempo ed Hermione fece lo stesso. Le strinsero in mano e le girarono nello stesso momento.
C'era stato poco rumore, sul campo di battaglia: ma il silenzio della Hogsmeade nella quale arrivarono, procedendo a ritroso nel tempo, era quasi innaturale. L'aria era fredda, ma non c'erano Dissennatori nelle vicinanze. Tutto era calmo e quieto, e la ghiaia scricchiolò debolmente sotto i loro piedi, mentre si accostavano all'angolo tra il vicolo e la via principale di Hogsmeade; il profilo dei Tre Manici di Scopa, più a nord, era una sagoma nera che emergeva da un mare di nebbia pallida. Niente era a fuoco. Nessuno urlava. Nessuno stava morendo – ancora.
Hermione respirò profondamente.
“E' fatta,” bisbigliò. Si sentiva stanca. Si sentiva svuotata. L'adrenalina che le pulsava nelle vene non era abbastanza da coprire il ricordo della voce di Neville, del corpo di Dean a terra, del sangue di Hestia.
Staranno bene, pensò. Si aggrappò a quel pensiero con ferocia. Staranno tutti bene.
Un po' alla volta, arrivarono anche gli altri: i gemelli Weasley, graffiati e contusi, ma senza gravi ferite; Opal Taylor, che era stata al suo terzo anno ad Hogwarts prima che la guerra cominciasse e che era nell'Esercito di Potter, adesso, solo perché aveva perso di senso cercare di tener lontani e al sicuro i più giovani tra i Mezzosangue; le gemelle Patil, illese, che arrivarono camminando lentamente lungo la strada principale, e Molly Weasley, che si Materializzò proprio accanto a loro. Aveva rifiutato di lasciare andare George e Fred senza di lei: Hermione aveva pensato a Ron, aveva pensato a Ginny. A Percy, che non era morto a Maeshowe – ma si poteva dire lo stesso che fosse stata Maeshowe ad ucciderlo. Hermione aveva pensato a tutto questo, e poi aveva detto a Molly che poteva venire, sicuro, se voleva. Poteva venire con loro. Stavolta non l'avrebbero lasciata indietro.
Remus tardava ad arrivare, e Draco già stava cominciando a muoversi su e giù per la strada, nervosamente, tracciando circoli sul selciato di Hogsmeade, l'espressione agitata e due dita sul bordo della Giratempo. Se Remus fosse morto durante lo scontro. Se Remus fosse morto un'ora dopo, prima, prima di poter usare la Giratempo...
Quando Remus apparve, finalmente, aveva una profonda ferita su un braccio ed un lungo graffio sulla schiena; era spossato e pallido, e trascinava un po' una gamba. Draco sembrò sgonfiarsi come un palloncino bucato, la linea tesa di schiena e spalle allentata e sul viso un sollievo tale, aperto, doloroso, da suscitare in Hermione una compassione che quasi faceva male al cuore.
Remus le posò una mano sulla spalla ed Hermione gli toccò le dita, gentilmente.
“Tutti pronti?” chiese. Calì si avvicinò ad Opal Taylor tanto da appoggiare la spalla a quella dell'altra. Molly fece un passo avanti e i gemelli Weasley serrarono le dita attorno alle bacchette. Draco lasciò ricadere la Giratempo al sicuro dietro la camicia.
Hermione prese un respiro profondo.
“Si va.”





Note: duedicoppe ha betato questa storia tra le dieci e cinquanta e le undici e cinquanta di stasera. Non ci sono parole abbastanza gentili per ringraziarla.

Lo Zeitnot è un termine degli scacchi che indica una situazione dove uno dei giocatori si trovi con pochissimo tempo a disposizione per completare le proprie mosse; è un termine che ha senso solo nelle partite ufficiali, che hanno un limite di tempo stabilito sin dal principio.
Ne approfitto per pubblicizzare dragons and cupcakes, il blog aperto insieme a LaureDeTroyes (perché la nostra grafomania è viva e vegeta e gode di ottima salute, grazie), dove al momento ho pubblicato soprattutto icons del film "The Avengers". Giuro. x°D Avevo troppo Cicerone da fare e troppo poco tempo per scrivere. Le icone sono state la mia salvezza.

Un grazie, grande, colossale, a tutti voi che avete continuato a seguire questa serie. Grazie. Non potete capire quanto mi abbia resa felice sapere che c'era ancora qualcuno che aspettava di leggere l'aggiornamento.
  
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