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Autore: chi_lamed    17/05/2013    2 recensioni
"Davanti a lui la libertà di una strada vuota che si diramava in altre vie, altri percorsi di vita. E per quelle strade avrebbe dovuto risanare ciò che le cure magiche non avevano potuto: la sua anima ancora ferita in cerca di un posto nel mondo."
Tre quadri, tre racconti di un unico momento: quello dell'inizio di un nuovo cammino per Severus Piton.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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*** Un altro giro di giostra ***

                                                      
Quella fine di giugno Londra si stava crogiolando in un principio d’estate piacevolmente mite e stranamente serena. Qualche spirito particolarmente fantasioso e romantico avrebbe anche potuto azzardarsi a definire “magico” quel clima che si respirava per la capitale inglese, così diverso dal solito, non interrotto dai ben noti scrosci di pioggia accompagnati dal grigiore di un cielo plumbeo e monotono.
I più disincantati, invece, avrebbero alzato a malapena gli occhi dal quotidiano sportivo, commentando a mezza voce che le stagioni non erano più quelle di una volta e si sarebbero immersi nuovamente in articoli che elencavano punteggi e prestazioni calcistiche.
Coloro che conoscevano la verità – e pur essendo in minoranza non erano certamente pochi – non avrebbero invece esitato a dire che anche la natura si stava concedendo il proprio meritato momento di pace dopo una guerra buia e sanguinosa che aveva falciato parecchie, troppe, vite umane.
 
La sera era giunta, ammantata d’indaco, blu, violetto e tempestata di stelle. Se solo esse fossero state visibili… ma le luci artificiali della città avevano tolto ai Babbani la possibilità di godere pienamente del baluginio di miliardi di astri lontani.
Però essi c’erano, era sufficiente cercare qualche angolo discretamente buio e puntare lo sguardo all’insù per lasciarsi abbracciare dall’infinito.
Fu anche per questo che un uomo fermo ad un incrocio da oramai qualche minuto s’incamminò lentamente verso la strada che tra quelle possibili presentava meno illuminazione. Era rimasto dapprima come in attesa, sotto ad un lampione, forse indeciso sul percorso da intraprendere. Poi, dopo un lungo pensare, aveva attraversato con calma, presenza solitaria in una zona commerciale ormai deserta.
L’uomo non era un impiegato che aveva fatto tardi al lavoro, né un senzatetto, né tantomeno un turista in cerca di angoli di città inesplorati da immortalare per poi portarne a casa almeno il loro ricordo in un riquadrino di carta lucida.
A dire la verità non era nemmeno un semplice passante.
E a dire proprio tutta la verità, nemmeno l’uomo sapeva esattamente cosa egli fosse di preciso.
Sapeva solo di aver lasciato alle spalle – qualche centinaio di metri più lontano – un ospedale magico invisibile ai Babbani, segno di un tempo andato che egli stesso desiderava far rimanere tale, nonostante fosse pienamente consapevole che non lo avrebbe mai cancellato del tutto dalla propria vita e soprattutto dai propri ricordi.
Era un reduce di guerra.
Era un eroe scomodo.
In sé aveva un passato con il quale fare pace – o meglio, stipulare almeno un patto di non belligeranza – ed un futuro da costruire quasi da zero partendo dai cocci sparsi e variegati di un presente ancora incerto.
Camminò sempre dritto, senza esitazioni, senza fermarsi ad occhieggiare quel che le vetrine dei negozi chiusi proponevano con cartellini colorati ed ammiccanti. La mente era tutta impegnata in congetture, progetti e riflessioni. Immaginò tutte le tipologie possibili di finali, passò al setaccio ogni cosa nuova che avrebbe potuto fare ed ogni occupazione vecchia che già lo aveva impegnato. Il rumore cadenzato dei propri passi sul selciato sembrava scandire una meditazione dopo l’altra, un programma dopo l’altro: era un appello tanto multiforme quanto necessario, tramite il nuovo registro che la vita gli aveva donato grazie alle lacrime di una Fenice purpurea.
Cercava un punto di svolta, l’uomo, una risposta ad una lunga sequela di interrogativi. Nonostante l’espressione tranquilla che traspariva dal volto incorniciato da lunghi capelli corvini e dall’andatura elegante, nel suo cuore si celavano confusione ed incertezza. Man mano che procedeva esse diventavano un tutt’uno, mutandosi in un’inquietudine sottile tanto simile a brace nascosta sotto un mucchietto di cenere che non aspetta altro che di essere riportata in superficie per ardere ed alimentare una nuova fiamma.
Fu così che cambiò direzione, in senso letterale.
La strada maestra non aveva nulla da offrirgli, se non una ripetizione di vetrine spente e serrande abbassate. Quel che lo circondava non lo avrebbe aiutato a fare chiarezza dentro di sé, lo sentiva. Alla sua destra invece si apriva una viuzza in cui regnava un’oscurità più diffusa, intervallata solo da qualche sporadico lampione che spandeva tutt’attorno un alone di luce biancastra e quasi malaticcia. Nonostante le apparenze, si lasciò guidare da una sorta di sesto senso e decise che quello sarebbe stato il percorso giusto.
Non aveva grandi pretese, non per quella sera almeno. Non le aveva mai avute, se per pretese s’intendeva il desiderio di essere accettato e rispettato per quel che egli era. Poi però i suoi sogni di ragazzino s’erano inesorabilmente infranti, spezzati in schegge impazzite di incubi. Reali o onirici che fossero, essi erano stati entrambi terrificanti allo stesso modo ed ogni sprazzo di sereno non era stato che un breve attimo di respiro prima di immergersi nuovamente in un mare di ombre chiamate rimorsi.
Chiunque altro sarebbe impazzito, ma non lui, non lui che aveva sempre posseduto un senso del dovere tenace più di duro diamante.
Non chiedeva grandi cose dal futuro, l’uomo in cammino. Già il solo pronunciare quella coniugazione che s’affaccia sul domani gli appariva come gesto incredibile, specie se paragonato ad un’intera vita che di un errore passato aveva fatto il proprio fulcro, la leva in grado non tanto di sollevare il mondo, ma di redimere totalmente un animo. Il suo animo.
 
Oltre il senso da dare a quella nuova vita, oltre la meta che prima o poi avrebbe dovuto essere scelta, l’uomo in cammino cercava qualcos’altro: se stesso.
Cercava il proprio volto dietro la maschera.
 
Storse un po’ il naso nel tornare al presente, nel mettere da parte le proprie riflessioni per osservare attentamente il luogo in cui si trovava.
La luce bianca di alcuni lampioni in ferro battuto era davvero orribile e dava alla zona un aspetto vagamente tetro e poco raccomandabile. Per quegli aggeggi Babbani non c’era alcuna speranza di competere con i caldi riverberi fiammeggianti di torce che, ad ogni anfratto di un antico castello, regalavano giochi di ombre danzanti unici ed inimitabili.
 
Hogwarts.
 
Qualcosa lo punse all’altezza del petto.
Chiamarla nostalgia era forse troppo, ma quello era il sentimento che in quel momento si avvicinava maggiormente al vero.
Hogwarts era una delle possibilità del lungo elenco che in quei metri percorsi era stato interrogato più volte da cima a fondo e viceversa.
Rallentò il passo, cercando di ignorare il cuore che aveva preso ad accelerare il proprio battito.
Hogwarts era una possibilità – certo –  ma non una qualunque, fu costretto ad ammettere.
Era la più allettante e forse anche la più ovvia, se pensava ad un’anziana strega che per giorni aveva insistito perché vi facesse ritorno.
Ma era anche la possibilità più difficile da scegliere e soprattutto la più dolorosa. Là il passato sarebbe tornato come ondate di marea che non conosce calma. Sarebbe stata una lotta continua per andare nell’unica direzione che si era prefissato: avanti. Sarebbe stata una lotta contro una corrente impetuosa che non avrebbe fatto altro che cercare di trascinarlo a fondo, indietro nel tempo e verso pensieri più amari del fiele.
 
L’uomo scosse la testa, accorgendosi di essersi fermato in mezzo al marciapiede.
Altro che avanti!
 
La tentazione c’era, vivida e pulsante più che mai.
Farsi del bene e del male allo stesso tempo, lui solo poteva pensare ad una soluzione del genere.
Chiuse gli occhi e finì per mordersi anche la lingua, le mani gli si strinsero in una morsa così serrata da conficcarsi le unghie nei palmi.
No, non era quello il momento di decidere, non ancora.
Quella era l’unica certezza che gli fosse rimasta.
 
L’aiuto gli venne alcuni passi più avanti, sotto forma di un rettangolo di calda luce gialla sul selciato, unico punto illuminato lontano dagli aloni biancastri dei lampioni. Una sommessa musica di sottofondo si spandeva nelle immediate vicinanze, interrompendo il silenzio circostante inframmezzato solo da alcuni latrati lontani e da qualche automobile nella strada principale.
La curiosità ebbe facile vittoria quella sera d’estate.
La porta in legno chiaro era chiusa certamente a chiave, ma questo non impediva al fiume di note veloci e ritmate di uscire ugualmente e vagare nell’aria.
Oltre l’ampia vetrata, incorniciata da tendine blu elettrico tempestate di rose rosse, si stendeva una singolare foresta di sedie foderate, rovesciate su piccoli tavoli rotondi coperti da tovaglie dal medesimo motivo floreale. L’uomo trovò tutto un po’ troppo eccentrico, compresa la miriade di quadri dalle varie dimensioni appesi alle pareti color panna.
Ma non fu quello a catturare la sua attenzione.
 
Una piccola radio sul bancone in legno scuro, un volteggio assieme al nulla lasciato a metà e che sfocia in un momento di giocosa improvvisazione. Una scopa poggiata velocemente ad uno dei tavoli ed in procinto di scivolare a terra, abbandonata di punto in bianco per dare vita ad un giro di valzer veloce da condividere a tutti i costi. Mani rugose intrecciate l’una all’altra, passi danzanti conditi di prudenza ed attenzione reciproca.
 
L’uomo sulla strada provò un vago senso di colpa, arrivando quasi a vergognarsi come se avesse commesso un furto e fosse stato colto sul fatto. Aveva appena assistito al fugace momento di tranquilla complicità tra due anziani gestori di una sala da tè. Erano sprazzi di felicità che non gli appartenevano e men che meno avrebbero dovuto essere condivisibili con lui, neanche per errore. Fece per allontanarsi, desiderando tornare ad essere inghiottito dall’oscurità che sentiva più affine a quel che egli era.
Ma non ne ebbe il tempo.
Prima che potesse riprendere il cammino venne raggiunto da due vaghi sorrisi incorniciati da qualche ruga e da bianchi capelli, accompagnati da un’alzata di spalle che aveva il sapore di tranquilla condivisione e noncuranza dell’opinione altrui. Solo la donna arrossì un po’, per poi tornare subito a farsi condurre dal suo cavaliere per un nuovo giro di valzer, come se l’interruzione non fosse mai avvenuta.
 
Cosa avevano visto in lui, perfetto sconosciuto, per sorridergli in quel modo?
Con quella domanda nella mente – ma soprattutto nel cuore – l’uomo si rimise a vagare senza una meta.
Un lieve cigolio si sovrappose ben presto alle note che, passo dopo passo, diventavano sempre più flebili. Era la brezza estiva, che giocava a far dondolare l’insegna dalla fumante teiera blu e portava lontano quella musica ritmata e leggiadra.
 
Due sorrisi. Due.
Non erano i sorrisi di circostanza di quel burocrati del Ministero che talvolta erano venuti a trovarlo in ospedale per mettere a rapporto la sua posizione. Non erano i sorrisi tirati di un Kingsley Primo Ministro quasi imbarazzato e desideroso di chiedergli scusa. E non assomigliavano nemmeno a quelli teneramente commossi di Minerva o della signora Weasley.
 
Erano stati solamente due sorrisi gratuiti e donati senza conoscere il destinatario, senza chiedere nulla in cambio.
Erano stati un regalo.
A lui, uomo in nero in cammino.
 
Vagò ancora ed ancora, girovagando per altre vie secondarie, in cerca di un deserto esteriore che facesse chiarezza, che dipanasse il lungo gomitolo di sensazioni e progetti che si portava dentro.
Aveva sete di capire, anelava ad una risposta come un naufrago in mare aperto desidera con tutto se stesso una goccia d’acqua dolce sulle labbra screpolate e riarse.
 
Era notte ormai fonda, quando sbocciò il primo germoglio della comprensione. Timido, palpitante, piccolo e quasi insignificante. Ma portatore di una promessa futura. Si affacciò lento sotto la luce delle stelle, dopo che l’uomo si era specchiato quasi per caso nei vetri scuri di un’elegante automobile parcheggiata sul ciglio della strada.
Così ovvio da non credere.
Così semplice da dover sbattere le palpebre più e più volte per rendersi conto della verità più disarmante che vi fosse.
 
Cos’aveva visto quella coppia per sorridergli in quel modo?
Semplice: un uomo.
Punto.
Senza un nome, senza un passato per cui rabbrividire o un presente per cui incuriosirsi con leggerezza o morbosità giornalistica.
 
Il suo se stesso riflesso – e pensare che erano passate solo poche ore da quando lo aveva intravisto l’ultima volta attraverso una vetrina – non recava nulla che potesse far capire ad altri chi egli fosse. Non aveva cucita addosso la parola “ex-Mangiamorte”, nemmeno sull’avambraccio a dire il vero, perché quell’orrido marchio era diventato sempre più sbiadito dal giorno della morte dell’Oscuro. E nemmeno portava sulla fronte la scritta “assassino di Albus Silente”. La ferita, ancora dolorante, era tutta nascosta nel cuore e là sarebbe per sempre rimasta fino al suo ultimo respiro.
E no, incredibile a dirsi, non c’era nulla che potesse far capire ad occhi esteriori quanto il suo carattere fosse difficile, scontroso, schivo, amante della solitudine e dello studio. Praticamente impossibile da sopportare a volte anche per se stesso.
 
Davanti al suo riflesso l’uomo sorrise, sentendo il proprio animo diventare una valle quieta in cui per la prima volta s’affacciava il sereno.
 
La maschera si era definitivamente infranta, dissolta con due sorrisi donati tra spensierati giri di valzer.
Il volto da cercare era stato sempre lì, visibile a tutti; il vero se stesso non aveva dovuto raggiungerlo andando troppo lontano.
Erano stati gli occhi degli altri ad aprire i suoi, a rivelargli che egli poteva essere semplicemente un uomo qualunque, senza altre aggiunte, senza altri pesi inutili.
 
Era tutto così semplice, l’uomo fu quasi stizzito per non esserci arrivato prima da solo.
Quasi.
Non aveva camminato inutilmente, questo lo sapeva benissimo. Ogni passo nel mondo di fuori era stato un passo in quel che egli si portava dentro. Il vero viaggio non lo aveva fatto attraversando alcune strade deserte di Londra, poiché non v’era nulla nel mondo esterno che già non fosse dentro di lui.
Non c’era nulla da cercare, non più. Tutto quel che gli sarebbe servito per il proprio futuro lo aveva sempre portato con sé.
 
Fu un nuovo inizio, quello sì, a tutti gli effetti.
Fu il primo vero passo di una pacata accettazione, lo sciogliere di un fiocco che racchiude nel suo velluto un pacco regalo che finalmente si desidera aprire per scoprirne il prezioso contenuto.
 
Fu la fine di un viaggio e l’inizio di un altro.
 
Fu la comprensione, mai così vivida e piacevole, che la vita gli aveva veramente concesso un altro giro di giostra.


***

Angolino autrice: il titolo del capitolo che costituisce anche la frase di chiusura è tratto dal titolo di un (meraviglioso) libro di Tiziano Terzani. Consiglio a chiunque di leggerlo.
Per quanto riguarda questa storia, sono ben accette recensioni, critiche negative e/o costruttive soprattutto per quanto riguarda stile e metodo narrativo.
Chiara
  
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