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Autore: DeaPotteriana    18/05/2013    4 recensioni
Questa fanfiction era già stata postata, ma ho deciso di riscriverla completamente, in quanto non mi sembrava...mia. Quindi questa è la Re-edizione de "L'Ultima Black".
E se Sirius Black avesse avuto una figlia?
Questa è una raccolta di avvenimenti della vita di Helena Kaitlyn Black, una vita difficile, passata nella rabbia, nel dolore e nella solitudine. Una vita passata senza genitori, con una famiglia dura e razzista e un padrino troppo buono per riuscire a gestire la figlioccia.
Questa storia narra di questo e di molto altro. Narra di un'amicizia eterna, una scuola che fa da casa e una Casa che non sembra adatta a Kait; parla di una guerra in arrivo, di lacrime trattenute a stento e di lutti strazianti. È solo una fanfiction, ma immaginate come sarebbe stata la vita della figlia di Sirius Black, se solo fosse esistita.
Non siete curiosi?
Vorrei dimostrare, in questa storia, che a volte il dolore toglie il fiato, che l'amore spesso non basta e che essere un eroe ha sempre il suo prezzo. Spero di riuscirci.
EDIT: STORIA INCOMPIUTA, NEGLI ULTIMI 2 CAPITOLI SPIEGO COME FINISCE.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, I fondatori, Il trio protagonista | Coppie: Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Isn't that what a great story does? Makes you feel?'
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Questo capitolo è dedicato a Shadowhunter, senza la quale non starei postando.
Grazie mille, Titana.




 

Doni, stanze segrete e rivelazioni

 

“Helena.“
La giovane schiuse le palpebre, ma l’oscurità attorno a lei le fece dubitare di aver aperto realmente gli occhi; non vedeva un accidente. 
“Helena.” 
La voce era familiare e femminile. Se Kait avesse dovuto definirla, l’avrebbe classificata come severa e molto, molto tesa. La sua mente cercò di identificarla per alcuni istanti, istanti che la donna utilizzò per chiamarla di nuovo. La Black aggrottò le sopracciglia, ragionando. “Priscilla?” azzardò con voce debole. La donna, che riluceva nell’oscurità, entrò nel suo campo visivo. I lineamenti del volto erano particolarmente tesi e la bocca era una linea sottile. La Fondatrice, pallida come un fantasma, tratteneva a stento la rabbia. Non era certo una che urlava, Priscilla; aveva un autocontrollo impressionante. L’unico vero segno visibile che mostrava a Kait quanto la donna fosse infuriata erano le mani, che tremavano impercettibilmente. “Da uno a dieci,” cominciò appoggiandosi sui gomiti e soffiando con la bocca affinché un antipatico ciuffo si spostasse dal suo occhio destro, “quanto sei arr...”
Non finì mai la frase, però. “Helena!” la interruppe la Fondatrice. “Cosa fai qui?! Non ne hai alcun diritto, vattene subito!”
Kaitlyn si mise seduta. Con lentezza si alzò, osservando attentamente la donna che aveva di fronte. Assomigliava in modo spaventoso alla McGrannitt, ora che ci pensava. “Sono arrivata per caso,” sussurrò. Poi si incamminò dietro a Priscilla, che si era voltata stizzita ed era scattata in avanti. Attraversarono un lungo corridoio, talmente buio che Kait non riuscì a vedere nulla. Immaginò di avere gli occhi completamente neri, con visibile solo la pupilla da tanto era dilatata.
“Non distrarti,” le consigliò la Fondatrice fermandosi e aprendo una porta dipinta con i colori delle quattro Case. Entrarono in una grande stanza molto accogliente e dall’aria vissuta; aveva cinque pareti, ognuna con lo stemma di una Casa e, nel caso dell’ultimo muro, il simbolo di Hogwarts. A coprire il pavimento, un raffinato tappeto dall’aria antica, mentre dal soffitto pendeva un elaborato lampadario ricco di pietre preziose. La camera era molto spaziosa ed arredata con stile: su un lato, un grosso divano ed una chaise longue erano posizionate di fronte ad un imponente caminetto. Dall’altra parte della stanza, invece, dava mostra di sé una libreria larga due metri ed alta fino al soffitto, talmente piena di libri che Kait si chiese come potesse essere solida. Un lungo tavolo di mogano abilmente intagliato era appoggiato al muro verde e le cinque sedie presenti nella stanza erano state anch’esse spostate verso la parete, così che non intralciassero. Nella parte dedicata a Tosca c’era una bellissima arpa dorata e, lì accanto, una chitarra e un pianoforte. Kaitlyn fissava estasiata quell’angolo di Paradiso che non aveva mai avuto la fortuna di vedere prima, senza capire come se lo fosse potuto perdere. “Miseriaccia!” sussurrò con un filo di voce. Quasi non si accorse di aver imitato il modo di parlare di Ron. Avanzò fino ad una sedia, su cui si accomodò. “Allora, Priscilla. Parla, cos’è questo posto?” domandò con espressione malandrina. 
“Ehi, sei tornata prim-Helena!”
Kaitlyn si voltò verso Tosca, appena entrata nella stanza attraverso una parete. La Fondatrice la fissava con tanto d’occhi, senza poter credere alla sua presenza lì. Una manciata di silenziosi secondi dopo, fecero il loro ingresso anche Godric e Salazar. “Non posso fermarlo, lo sai bene, Ric. Le cose devono andare così,” stava dicendo quest’ultimo, che si bloccò non appena vide l’Unità. “E tu perché sei qui?”
I quattro guardarono la tredicenne, che con una smorfia raccontò cos’era successo. Priscilla, poi, spiegò il modo in cui l’aveva trovata - distesa e con l’aria confusa - e di come avesse deciso di portarla al loro nascondiglio. “Che posto è?” domandò Kait guardandosi attorno ancora una volta. “Quando la scuola è divenuta operativa e sempre più studenti sono venuti qui per studiare,” disse Godric, “abbiamo sentito il bisogno di un posto tutto nostro.”
Kaitlyn fischiò, lasciando vagare lo sguardo lungo le pareti. Notò che c’era una porta chiusa, accanto al caminetto, e chiese spiegazioni. “Il bagno,” sussurrò Salazar indicandolo con un cenno e sedendosi stancamente su una delle sedie libere. Si passò una mano tra i capelli, spossato. In questo periodo sembrava costantemente nervoso e stanco. Distrattamente, la tredicenne si chiese il motivo di tale affaticamento. Forse la Camera dei Segreti? “È ora che tu te ne vada,” disse l’uomo mentre lei ancora lo osservava, persa nei suoi pensieri. Impiegò qualche secondo a capire che stava parlando con lei, così Salazar fu costretto a ripetersi, nonostante avesse sempre odiato farlo. Kaitlyn, stranamente, non si sentì arrabbiata o messa da parte; provava uno strano senso di leggerezza, o forse era semplice confusione, non lo sapeva, ma era un qualcosa di forte, talmente forte da annientare ogni altro pensiero formulato dalla sua mente. Si alzò con lentezza dalla sedia e, muovendo un piede dopo l’altro, si diresse verso l’entrata della camera. Fu quando si voltò che notò per la prima volta - e forse sarebbe meglio se non l’avesse fatto - una piccola nicchia nel muro, da cui provenivano bagliori multicolori e il tipico rumore di acqua che scorre. “E quella cos’è?” domandò ritrovando la curiosità intrinseca nel suo abituale carattere. Si avvicinò di qualche passo, sorridendo come una bambina di fronte ai regali di Natale in anticipo. Notò che nella nicchia si erano formate due colonne di acqua limpida, che attraverso un complicato sistema - o una complicata magia, era tutto da vedere - formavano una fontana liquida sempre in movimento. “Fenomenale.”
“Bella, vero?” Tosca sorrise, avvicinandosi insieme agli altri tre Fondatori. “Il suo nome è Aquam vitae. È ciò che mantiene vivi noi e rende te così forte,” spiegò. “Che intendi dire?” domandò Kait. “Ah, non penserai mica di essere nata così, vero?”
La Black, alle parole di Priscilla, corrugò le sopracciglia. Che cosa intendeva?
“Guarda qui,” disse Salazar indicando una delle due colonne d’acqua, che era decisamente più debole dell’altra. “Vedi che è diversa? Questa colonna definisce la nostra energia, mentre questa,” e mostrò la seconda, “è la tua. In origine erano uguali, ma poi abbiamo dovuto prendere una decisione.”
“Che tipo di decisione?”
“Noi salviamo dalla morte, Helena. Il fatto è che lei si prende la rivincita. Non la si può ingannare,” prese la parola Godric. “I ragazzi continuavano a morire giovani, alcuni non raggiungevano nemmeno la maggiore età!”
Sembrava parecchio scosso; probabilmente questi pensieri, questi ricordi, l’avevano tormentato per anni, e forse continuavano a farlo. “E così abbiamo deciso di donare ad ogni Unità una parte della nostra energia. Gli diamo dei doni, più di quanti immagini. E abbiamo fatto lo stesso con te,” spiegò. Godric la fissava come se lei avesse dovuto già capirlo da tempo. Chiudendo gli occhi, Kait cercò di ragionare. “Nessuno capiva come potessi allenarmi per una giornata intera senza essere abituata allo sforzo fisico e senza mai essere troppo stanca,” sussurrò. Priscilla, con un sorriso, annuì. “Non dimenticare, poi,” puntualizzò, “che solo perché tuo padre è un Animagus, non vuol dire che anche tu dovessi riuscire a trasformarti. Non è un fattore ereditario.”
“Quindi io sono un’Animagus grazie a voi.”
“Precisamente,” rispose Salazar. “E perché pensi di essere una Metaphormagus?”
“Voi.”
“E il tuo livello magico, così alto?”
“Voi.”
“E le visioni sul futuro?”
“Voi. Sempre voi, siete... siete ovunque. Niente, nella mia vita, è merito mio, in pratica,” disse mordendosi il labbro inferiore e sentendo subito la voglia di piangere e di essere abbracciata. Trovò conforto tra le braccia di Tosca, che la strinse forte a sé e la cullò contro il suo petto. “Noi ti abbiamo donato tutte queste capacità, piccola mia, ma sei stata tu a decidere come utilizzarle e come vivere la tua vita. Diciamo che noi... noi ti abbiamo soltanto dato una piccola spintarella,” mormorò la Fondatrice contro i suoi capelli. Kaitlyn annuì e si staccò dall’abbraccio, riportando nuovamente l’attenzione alla fontanella. Notò un dettaglio che prima non aveva colto, così si avvicinò di qualche passo ed allungò la mano. “Non toccare!” la fermò Priscilla, pallida in volto. Quasi in trance, la Black abbassò la mano, le dita che quasi scottavano dalla voglia di prendere quelle sfere di luce. C’erano, infatti, delle piccole sfere di luce di diversa grandezza, che vagavano senza peso nel piccolo spazio della nicchia, chiuse tra il muro e la fontana.
“Cosa sono?” domandò affascinata. “Energia. Tutto ciò che rimane degli Unità del passato,” spiegò Salazar sospirando e rassegnandosi all’idea di doverle spiegare. “Ogni volta che l’Unità muore,” raccontò, “l’Energia che gli abbiamo donato torna a noi, insieme ad una piccola parte della sua. È una delle poche cose che ci mantiene in questo stato di quasi-vita. Non saremmo qui, senza.”
“E perché sono così poche?” chiese Kait, notando la quantità - non di certo grande - di sfere di Energia. Insomma, i Fondatori erano in circolazione da tempo, no? Ormai avrebbero dovuto averne collezionate parecchie.
“Un tempo portavamo qui tutti i nostri “Protetti”, tutti gli Unità. Arrivò un ragazzo... lo avevamo salvato dopo che era stato ucciso da sua madre in persona, che lo annegò,” disse Godric. “Si chiamava Drake. Un Corvonero.”
Immediatamente Kaitlyn si voltò verso Priscilla che, appoggiata alla parete, fissava il vuoto con sguardo spento e molto, molto stanco. “Credevo che l’ultima Unità si chiamasse Milena,” sussurrò la Black. Tosca scosse la testa. “Lei è l’ultima di cui è stato scritto. Noi non... Non volevamo che la storia fosse divulgata.”
“Drake venne qui,” incitò Kait, “e poi?”
“Lui voleva essere grande, Helena. Potente. Desiderava essere l’Unità delle Case più forte mai vista prima,” continuò la Fondatrice. “Un giorno venne qui senza che noi fossimo presenti e cominciò a... a prendere...”
“Si appropriò di più di metà delle sfere di Energia, prima che ci accorgessimo del suo gesto,” la voce di Priscilla era debole, triste. Distrutta. Essere stata tradita in quel modo - da qualcuno della sua Casa, poi - l’aveva probabilmente corrosa dall’interno. “Lo fermammo,” disse Salazar e le sue parole sembrarono talmente definitive, che Kait dubitò che Drake fosse sopravvissuto all’ira e al rancore dei Fondatori. 
Come aveva potuto tradirli così? Chi avrebbe fatto una cosa del genere?
“Da allora ci siamo presi una pausa. Abbiamo aspettato anni, nascosti nel buio, senza abbastanza Energia per renderci visibili,” mormorò Godric, scuro in volto. Improvvisamente sorrise e alzò il viso, incontrando gli occhi di Kaitlyn. “E poi sei arrivata tu.”
“E poi sono arrivata io,” ripeté, scossa. “Quindi,” continuò, “voi spendete un sacco di Energia per me, per rendermi forte?”
“Esattamente. Abbiamo calcolato tutto perfettamente. Essere un’Animagus ti aiuterà il prossimo anno ed essere una Metaphormagus ti aiuterà dalla fine del quarto anno in poi, sopratutto dopo il sesto. Le visioni ti salveranno spesso da una brutta morte,” Kait trasalì, “e gli allenamenti pure.”
“Quindi... non potrei vivere senza questi doni?”
“No, beh, non ho detto questo. Ormai il tuo corpo è abituato allo sforzo fisico, quindi anche senza di noi potresti allenarti. E sono sicuro che troveresti rimedi anche per il resto... sai, la Polisucco non è come essere un Metaphormagus, ma è meglio di niente,” rispose Godric senza capire dove la ragazzina volesse andare a parare, “e trasformarsi in Animagus può semplificarti la vita, ma ce la faresti anche senza. Le visioni...”
“Quelle non mi interessano. La mia domanda è: sopravviverei senza il vostro dono?”
“Sì, Helena, sì. Sei abbastanza forte da farcela anche senza i nostri doni.”
“Bene, allora,” Kait sorrise, improvvisamente leggera, “toglietemeli.”

 

“Qualche miglioramento?” domandò Hermione, un sincero interesse ad illuminarle lo sguardo. “No,” sussurrò Harry in risposta. “Non è stato scritto con l’inchiostro simpatico e il Rivelatore non ha “rivelato” assolutamente niente,” mormorò continuando a sfogliare le pagine del diario di T.O. Riddle, trovato giorni prima. “Quindi che facciamo?” chiese ancora la riccia, afferrando delicatamente l’oggetto e squadrandolo con aria critica, quasi fosse convinta che, sotto il suo sguardo inquisitore, il diario avrebbe smesso di essere così misterioso e l’avrebbe messa al corrente dei suo segreti. Harry sbuffò, appoggiandosi meglio alla sedia su cui era seduto e allungando una mano sul tavolo, verso l’amica, per farsi tornare il quadernetto. Hermione glielo diede e si morse un labbro, guardandosi intorno con aria preoccupata. La Sala Comune dei Grifondoro era piena di gente, e da fuori sarebbe sembrato tutto a posto. 
Non era così, o almeno non per Harry.
Sentiva che stava per accadere qualcosa - cosa, però, ancora non lo sapeva.
Ron scese lentamente le scale che lo avrebbero portato alla Sala Comune; Hermione lo aveva mandato a prendere i libri e le pergamene per poter fare i compiti per il giorno dopo, e lui aveva eseguito a testa bassa. Nessuno, in quei giorni, aveva troppa voglia di litigare. Stringendo la presa sul pesante carico che teneva tra le braccia, il dodicenne si diresse verso i suoi migliori amici. Si sedette in mezzo ai due, sbuffando.  
Hermione prese il libro di Incantesi e lo sfogliò fino a trovare la pagina giusta, poi si lanciò in una spiegazione dettagliata sull’esercizio che avrebbero dovuto svolgere per il giorno dopo. Ron la ascoltò con attenzione, cercando di capire.
Harry, invece, non ci provò nemmeno.
Rimase a fissare l’entrata della Sala Comune, che però rimase chiusa per tutta la sera.
“Kait,” pensò disperato, “dove sei?”

 

 




 

Eccomi qui, dopo un'assenza decisamente troppo lunga. 
Ho cominciato a dubitare di me stessa e soprattutto della storia. Ho pensato di cancellarla e non riscriverla mai più, ma poi ho capito che amo questa fanfiction, la amo con tutto il mio cuore, fa parte di me! Eppure l'ispirazione e la voglia di scrivere non tornavano; perché? Mi ci è voluto un po', per capire che il problema non è mai stata la storia, ma il secondo anno. 
Ho già diverse parti scritte del terzo e, quando non riesco ad andare avanti, mi ritrovo a scrivere del quinto. È quindi il secondo anno, a darmi questi problemi.
Ho deciso, dunque, che tra un capitolo, massimo due, esso finirà. Poi ci sarà l'estate e via subito con il Prigioniero di Azkaban!
Spero che qualcuno ancora mi segua, nonostante l'enorme quantità di tempo che ho impiegato per scrivere e postare - non temete, il prossimo capitolo è già in lavorazione.

Un abbraccio forte,
S



 

 

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