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Autore: CowgirlSara    20/05/2013    15 recensioni
Perché quando porti il nome di una ninfa greca che non è mai tornata dall’Ade, pensi che tutti gli eroi si volteranno troppo presto, lasciandoti nel grigio di un’esistenza qualunque. Ma a volte gli eroi somigliano a quel pazzoide sociopatico del tuo boss. O si nascondono dietro ad un paio di gentili e fermi occhi blu che hanno attraversato il tempo senza smettere di combattere.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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inah
Questo è l’ultimo capitolo della storia.
Che dire, quando si arriva alla conclusione dell’ennesimo lavoro? Certamente c’è una grande soddisfazione nel vederlo finito e contentezza nel sapere che vi è piaciuto. Ripeto che questa storia mi ha dato un sacco di grattacapi e dubbi, sia perché era l’esordio nel fandom che per le mie perplessità sulla protagonista.
Voi l’avete apprezzata, quindi spero che alla fine sia stato un buon lavoro. Ringrazio tutti coloro che hanno soltanto letto e, con particolare calore, quelli che hanno anche commentato, facendomi sapere la loro opinione.

Le canzoni usate nel capitolo sono: “Undivided” dei Bon Jovi e “Tomorrow never knows” di Bruce Springsteen. Niente scopo di lucro, come sempre.

Spero che gradirete anche questo finale, aspetto i vostri commenti!
Buona lettura!
Sara


Capitolo 8

Where we once were divided
Now we stand united
We stand as one
Undivided

Non poterono dire che successe veramente qualcosa. I robot si fermarono, sì, come se non sapessero più cosa fare, smettendo di attaccare e di sparare, continuando però a muoversi e volare.
Qualcosa, ad ogni modo, doveva essere fatta e se c’era qualcuno che sapeva cogliere le occasioni quella era Natasha Romanoff. Incitò Barton, radunò un gruppo di uomini dello SHIELD e sfondò la base operativa nemica. Tempo un quarto d’ora e aveva il controllo dei loro strumenti.
Le persone che erano al comando dell’invasione, sarebbero state oggetto di un attento rapporto successivo e, certamente, di un approfondito interrogatorio stile Vedova.
Ora c’era altro a cui pensare. Prima di tutto ripristinare le comunicazioni col resto della squadra.

“Cap…”
Una voce era frusciata, improvvisa e gracchiante, dal dispositivo di comunicazione nel suo cappuccio. Steve, sorpreso, lo sollevò dalla spalla e lo portò all’orecchio.
“Vi ricevo.” Fece il capitano, sotto lo sguardo perplesso di Dixi.
“Capitano, sono Natasha, io e Barton siamo nella stanza dei bottoni.” Gli annunciò la spia.
Steve, incredulo, fissò negli occhi la ragazza, che lo osservava curiosa, spostando l’attenzione da lui al cielo sopra di loro, dove sperava di rivedere presto Tony.
“Spegnete tutto.” Ordinò infine Rogers con voce stanca.
Dixi annuì e gli sorrise. Lui la strinse a se passandole un braccio sopra le spalle, lei rispose avvolgendogli la vita.

Alla Casa Bianca, nel frattempo, il presidente, la first lady, i collaboratori e i ministri intrappolati, insieme a Pepper, uscivano finalmente alla luce di un soleggiato mattino.
Furono accolti da Nick Fury e Thor, che rivestì anche le veci di ambasciatore di Asgard stringendo la mano alla più alta carica della nazione.
La signorina Potts, naturalmente, chiese di Tony, ma nessuno ebbe veramente il coraggio di dirle che doveva essere ancora abbracciato ad un satellite nella stratosfera. Non sarebbe stato gentile.

Tre paia d’occhi erano rivolti al cielo, sul tetto di quel grattacielo. C’erano Steve, Dixi e Bruce – che li aveva raggiunti vestito solo di un paio di pantaloni stracciati – col naso per aria.
“Perché non torna?” Domandò ansiosa la ragazza.
“Dovrebbe, il tempo è scaduto.” Mormorò Bruce, lei si girò di scatto verso di lui.
“Che vuol dire?!” Esclamò allarmata.
Steve fece una consapevole smorfia amara. “Immagino che la sua armatura non fosse in grado di resistere più di un tempo stabilito.”
“Sei intelligente, Capitano.” Commentò Banner.
“Ma… merda!” Imprecò Dixi, colpita subito da un’occhiata malevola di Steve. “Perché non me lo avete detto?!” Chiese poi concitata.
“Perché avresti avuto un’ulteriore preoccupazione.” Rispose calmo il capitano.
“Cazzo, ma è ancora lassù!” Continuò nervosa la ragazza. “Possibile che non vi stiate preoccupando?”
“Conosciamo Tony.” Soggiunse pacato Bruce.
“Eccolo.” Intervenne infatti Steve, indicando il cielo. “Spero che rallenti, stavolta non ci sei tu a prenderlo.” Aggiunse corrugando la fronte.
“Abbiamo pensato ad un altro metodo.” Affermò Banner. “Spero che funzioni…”
Osservarono la sagoma di Iron Man farsi sempre più vicina e distinguibile. Quando era ancora abbastanza lontana da non capirne il colore, dietro di essa si aprì un’inconfondibile forma tonda e la sua velocità rallentò.
“Ha un paracadute!” Esclamò Dixi.
“Ma non sarà mai sufficiente ad attutire la velocità presa ed il peso dell’armatura.” Commentò Steve allarmato.
“È un prototipo di paracadute orbitale della Stark, dovrebbe essere abbastanza resistente.” Spiegò Banner, seguendo a sua volta la caduta di Tony.
In quel momento, una musica violenta invase tutti i dispositivi di comunicazione della squadra, compresi anche quelli dei robot. Evidentemente Stark si approfittava del controllo dal satellite.  Steve si staccò il ricevitore dall’orecchio.
“Gente, questa sì che è classe!” Fu il primo messaggio dalla voce di Tony. “Venderò questi cosi alla Nasa, all’Aeronautica Militare, a…” La comunicazione s’interruppe frusciando. “Oh, merda…” Fu l’unico commento successivo, mentre da terra videro il paracadute lacerarsi di lato e far prendere ad Iron Man una piega non troppo felice.
“Merda davvero.” Rincarò Dixi, vedendolo cadere.

Dal giardino della Casa Bianca, tutta la squadra dello SHIELD, il presidente, la first lady e Pepper Potts, videro Iron Man precipitare verso di loro.
Il paracadute si sganciò, i motori dell’armatura funzionavano male. Lui si abbassò pericolosamente, facendo dei movimenti per rallentare, infine rotolò lungo il prato, abbattendo una fontana e tracciando un solco profondo nell’erba. Quindi, ruzzolando pesantemente, si fermò. Per lo stupore di tutti i presenti, era perfettamente seduto. Corsero verso di lui.
“E questo lo chiami atterraggio, Stark?” Fece Nick Fury, quando si fermò accanto a lui con le mani sui fianchi.
“No.” Replicò Tony. “Lo chiamo: probabile frattura delle vertebre lombari.”
Il direttore dello SHIELD si concesse una smorfia che poteva somigliare ad un sorriso beffardo, mentre Stark si liberava dell’armatura e si metteva in piedi con qualche difficoltà.
Quando rialzò gli occhi, dopo essersi sufficientemente massaggiato il fondoschiena, si trovò davanti il presidente, che gli sorrise allargando le braccia.
“Signor Stark, mi permetta, a nome di tutta la Nazione, di porgerle i ring…”
Tony, però, aveva già individuato una figuretta bionda e scarmigliata alle sue spalle, che non tratteneva le lacrime, perché le donne forti non hanno paura di piangere. Oh, e tu sei la più forte di tutte, Pep…
“Mi scusi, Signor Presidente.” Fece il milionario alzando una mano e bloccando il discorso di Obama. “Devo fare una cosa, prima.”
Aggirò il presidente, che rimase impalato con le mani aperte ed un sorriso che si stava trasformando in un’espressione perplessa, mentre si girava per vedere dove sarebbe andato Stark. La first lady, invece, comprese subito quello che stava per succedere e rassicurò il marito con una pacca sulla spalla.
Tony Stark, nel frattempo, aveva raggiunto una Pepper Potts che tentava di arginare le lacrime; le sorrise dolcemente, mentre lei tirava su col naso.
“Ti avevo detto di non fare stupidaggini pericol…”
La donna non poté mai finire la frase, perché lui la prese tra le braccia e le diede un appassionato bacio in casquet, sotto gli sguardi increduli dei presenti e quello soddisfatto di Michelle.

*****

La sala del ricevimento era il posto più elegante dove Dixi fosse mai stata; anche se, a dire il vero, non aveva mai pensato che nella vita le capitasse di ricevere un encomio solenne alla Casa Bianca. Il presidente in persona le aveva anche promesso che il suo ultimo anno di libertà condizionata sarebbe diventato un ricordo. Questo capitava alle eroine che contribuivano a salvare il mondo.
Non che lei si sentisse un’eroina, però era bello essere lì, con un bel vestito elegante, al braccio del suo stupendo capitano, lodata dalla più altra carica della nazione.
“Euridice.” Si sentì chiamare, immaginando già chi si sarebbe trovata davanti.
“Thor!” Esclamò contenta, quando si trovò di fronte il guerriero.
Lui aveva i capelli tirati indietro ed indossava un elegante completo con giacca e cravatta. La ragazza lo osservò compiaciuta.
“Hm, come sei elegante!” Commentò poi.
“Eh, sì.” Annuì lui con un luminoso sorriso. “Qualcuno mi ha convinto che dovevo indossare abiti midgardiani, per questa cerimonia.”
“Saresti comunque bellissimo.” Gli disse lei con un sorriso.
“Grazie.” Fece lui con un inchino del capo. “Sei molto bella anche tu, questa sera.”
“Oh, grazie!” Esclamò Dixi, abbassando gli occhi e lisciando l’ampia gonna dell’abito blu navy.
“Volevo presentarti una persona.” Riprese Thor, lei alzò gli occhi. “Jane, vieni.” Chiamò lui.
Dixi vide avvicinarsi una ragazza dai capelli scuri, che indossava un bellissimo abito color crema. Aveva occhi scuri ed uno stupendo sorriso.
“Euridice…” Proclamò solenne Thor. “…ti presento Jane Foster, del Giovane Messico.”
“Che piacere conoscerti!” Fece subito Dixi. “Thor mi ha parlato un sacco di te!” L’altra ragazza le sorrise un po’ impacciata e poi rivolse un’occhiata confusa all’asgardiano.
“Jane, Euridice è la compagna del Capitano Rogers, ti ho parlato di lei…” Le spiegò imbarazzato l’uomo.
“Oh, sì!” Esclamò allora lei. “Dio, scusami! Sono una frana coi nomi!” Aggiunse rivolta a Dixi, poi si strinsero la mano.
“Il Capitano ti ha nuovamente abbandonata ad una festa, Euridice?” Le chiese quindi Thor.
“Oh, no, per fortuna!” Esalò divertita lei. “Deve essere in giro… Se vedi un gruppo di adolescenti sospiranti, probabilmente è lì vicino, a quanto pare le figlie del Presidente e le loro amiche sono grandi fan di Capitan America!”
Tutti e tre risero, mentre si avvicinavano al tavolo degli aperitivi.
“Temo che questa sera dovremo anche salutarci, Euridice.” Annunciò Thor, dopo che ebbero preso da bere.
“Torni su Asgard?” S’informò la ragazza.
“Sì.” Annuì lui. “Dopo i recenti sviluppi riguardanti l’attacco, è necessario che io parli con qualcuno…”
Dixi sapeva come era finita la faccenda dei robot. Nella sala comando, Natasha e Clint avevano trovato alcuni ragazzi, reclutati tra i più brillanti studenti di prestigiose università; ed altri erano nelle sale controllo vicine ai luoghi attaccati. Gente talmente piena di se e ambiziosa da non domandarsi il perché di quello che stavano facendo, ma pronti a gustare il sapore del potere. I robot non li avevano costruiti loro. E questo era il risvolto più preoccupante dell’intera storia. Qualcuno – una voce attraverso la rete – glieli aveva forniti. Un’attenta analisi di quelli rimasti, aveva provato che non erano manufatti umani, anche se la programmazione era opera degli studenti manovratori. Le risposte, quindi, andavano cercate altrove, probabilmente non sulla Terra.
La ragazza sorrise amichevole a Thor, forse quella sua indagine era necessaria.
“Qualcuno tipo… il fratellastro malvagio?” Domandò poi. L’asgardiano fece una smorfia.
“Non mi piace parlare di lui in questi termini, ma… sì.” Ammise infine, sotto uno sguardo tenero di Jane.
“Beh, allora, se parti…” Riprese Dixi. “…devo salutarti per bene! Posso abbracciarti?”
Le rispose solo un sorriso radioso di Thor e le sue braccia che si allargavano. Lei sorrise e poi si rivolse a Jane.
“Non sei gelosa, vero?” Le chiese con un sorriso.
“Figurati!” Fece lei con una stretta di spalle. “Il suo cuore è piuttosto affollato.”
Dixi le fece un altro sorriso complice, poi tornò a guardare Thor e lo abbracciò con forza, facendosi circondare dalle sue braccia calde.
“Fai buon viaggio e torna presto.” Gli disse la ragazza. “E grazie di tutto.”
“Dovere, Euridice.” Replicò dolcemente lui, carezzandole i capelli.
“Hey!” Chiamò una voce maschile, facendoli girare tutti.
Dixi era ancora affondata nel caloroso abbraccio di Thor, quando Steve si avvicinò con un sorriso.
“Quella è la mia ragazza abbracciata ad un dio norreno?” Interrogò il capitano quando gli fu accanto; loro risero.
“Thor, mi spiace ma ti devo privare della compagnia di Dix.” Annunciò compito Rogers. “Temo che l’attenda il nostro primo ballo ufficiale.” Aggiunse, guardando negli occhi la sua ragazza.
“Ohhh, Capitano!” Fece lei con tono ansioso.
“Ohhh, Euridice.” Replicò lui dolcemente, prendendole le mani.
“Vogliamo davvero fare questa pessima figura davanti al Presidente?” Domandò allora lei.
“Sì, credo proprio che vogliamo farla.” Rispose Steve.
“Ok, allora, se per te va bene…” Accettò infine la ragazza.
Steve la prese per le spalle e si voltarono entrambi a salutare Thor e Jane, prima di allontanarsi stretti uno all’altra come la coppia solida che ormai erano.
Thor, quindi, abbassò lo sguardo sulla figuretta sottile di Jane e le sorrise invitante.
“Vogliamo ballare anche noi?” Le chiese.
“Oh, Dio…” Esalò lei. “Ma… ma sei capace?” Domandò poi, timorosa.
Lui si strinse nelle poderose spalle. “Beh, non è la Quadriglia Asgardiana, ma…” Jane levò gli occhi al cielo. “…e il fatto che una volta abbia quasi rotto un piede a Loki, non significa che… Non era un bravo insegnante e poi sono passati secoli…”
“Oh, ok! Stiamo alla sorte.” Fece Jane, più a se stessa che all’uomo che aveva accanto. “E poi non posso sentire di te e lui che ballate la Quadriglia, quindi…” Aggiunse, prima di prenderlo a braccetto. “Balliamo, Principe di Asgard.” Ordinò, prima di trascinarlo sulla pista.


Epilogo

You and me, we been standing here my dear
Waiting for our time to come
Where the green grass grows
Tomorrow never knows

Era una mattina d’estate piena di luce, il cielo era particolarmente limpido per una città inquinata come New York e sembrava che gli alberi del parco fossero pieni di vita, visto il cinguettio degli uccelli; dalla finestra aperta entrava profumo di sole e foglie.
Dixi entrò in cucina e sorrise, vedendo Steve seduto davanti alla finestra con in mano il suo blocco per gli schizzi. Disegnava spesso, da quando la situazione si era fatta più tranquilla.
La ragazza si versò una tazza di caffè e raggiunse il capitano vicino al tavolo. Lui le rivolse un sorriso e tornò a dare attenzione al blocco, tracciando abilmente segni di carboncino.
“Cosa disegni?” Domandò Dixi, appoggiandosi contro la sedia.
Lui sorrise senza alzare gli occhi. Lei, allora, osservò il foglio. Era un paesaggio del parco: alberi, una porzione del lago, panchine, una barca.
Dixi accarezzò i capelli dell’uomo. “Sei bravissimo.” Gli disse, prima di baciargli la sommità del capo.
“Grazie.” Fece lui. “Ho fatto anche questo.” Aggiunse, prima di voltare la pagina del blocco.
La ragazza rimase a bocca aperta. Era un suo ritratto. Lei che lavorava al pc, di profilo, coi capelli sciolti e Zephyr acciambellata accanto al lap top.
“Oh, Steve, è… splendido!” Esclamò colpita, lui alzò gli occhi e le sorrise. “Ti adoro!” Aggiunse entusiasta lei, prima di baciarlo.
Quando il bacio finì, il capitano posò il blocco sul tavolo, continuando a tenerle la mano.
“Vieni, siediti qui.” La invitò, indicando le proprie ginocchia. “Devo parlarti di una cosa.”
Incuriosita, Dixi lo assecondò, sedendogli in grembo. Gli passò un braccio intorno alle spalle e lui le sorrise di nuovo, dandole un altro breve bacio.
“Di che si tratta?” Gli chiese poi la ragazza.
“È qualche giorno che ci penso.” Esordì Steve. “E spero che non sia un problema per te.”
“Puoi parlarmi di tutto, lo sai.” Lo rassicurò lei.
Lui abbassò gli occhi su una macchia di sole ai loro piedi. Dixi gli accarezzò la nuca, cercando di trasmettergli la propria disponibilità ad ascoltare.
“Dix, quelle informazioni che avevi raccolto, su… Peggy…” Mormorò infine il capitano. “Mi chiedevo se… se tu volessi dirmi di che si tratta.”
La ragazza socchiuse le labbra, sorpresa. Erano passati mesi da quello stupido litigio, riguardante la sua violazione di file classificati per cercare informazioni sulla donna del passato di Steve. Dixi, onestamente, pensava che lui avesse letto tutto quel giorno che aveva scoperto la ricerca sul computer. Evidentemente non era così.
“Non le avevi lette?” Gli domandò infatti.
“No.” Lui contrasse la mascella. “Mi ero così arrabbiato nel vedere cosa avevi fatto, che le informazioni passarono in secondo piano.”
“Ci credi se ti dico che sono ancora mortificata?” Accennò lei, abbassando gli occhi.
“Non importa, ti ho perdonato.” Fece lui scuotendo il capo, poi la guardò negli occhi. “Ma col passare del tempo, mi sono accorto che, forse, voglio sapere.”
“Va bene.” Acconsentì Dixi, prima di carezzargli il viso e la nuca. Lui la baciò piano.

“Peggy Carter ha lavorato per i servizi segreti dell’esercito fino alla fine della guerra.” Raccontò la ragazza. “È stata congedata con onore nel maggio del ’46, coi gradi di Maggiore e diversi riconoscimenti al valore, successivamente ha avuto un incarico nell’ufficio Relazioni con l’Estero del Pentagono, per poi passare al Ministero della Difesa, dove ha lavorato fino alla pensione, nel 1980.” Continuò, lui la seguiva con attenzione. “Si è sposata nel 1951.”
“Un militare?” Domandò Steve.
“No… un professore di filosofia.” Rispose divertita, lui sorrise sorpreso. “Robert Bannister, insegnava alla Penn State, ad ogni modo non è durata molto, hanno divorziato nel ’55.”
“Ha avuto dei figli?” S’informò il capitano.
“Sì, uno.” Rispose Dixi. “Il professor Stephen Bannister.”
Steve la guardò stupito. “Lo ha chiamato Stephen…”
“Già.” Annuì lei con dolcezza. “Sai che lo conosco di vista? Insegna Storia Militare ad Harvard.”
“Il mondo è proprio piccolo.” Commentò lui.
“Non mi chiedi altro di lei?” Fece Dixi, stringendosi di più al suo uomo.
“Voglio sapere, ma… ho anche timore.” Confessò Steve, prima di abbracciarla meglio alla vita.
“Non c’è niente da temere.” Affermò sicura lei. “È ancora viva, abita a Westchester, non lontano da New York.” Gli rivelò infine.
“È ancora viva?” Esclamò incredulo Steve.
“Sì.” Annuì Dixi. “E se vuoi andare a trovarla, ti accompagno volentieri.”

La casa era una vecchia costruzione di mattoni scuri, con un portico dipinto di bianco ed un giardino curato e pieno di fiori.
Avevano telefonato il giorno prima, pensando che annunciare la visita era più educato. Gli aveva risposto la nipote di Peggy, una ragazza gentile di nome Amanda.
Steve fermò la moto davanti alla casa. Dixi scese e si sfilò il casco, poi guardò lui, che era rimasto seduto in sella, col casco in mano e l’espressione indecisa.
“Possiamo sempre tornare a New York.” Suggerì timidamente la ragazza.
“No.” Negò lui, alzando gli occhi nei suoi. “Devo farlo.”
Il capitano scese dalla moto ed aiutò Dixi a legare i caschi, poi si diressero alla porta, attraversando un vialetto pulito, fatto di pietre grigie.
Suonarono il campanello e, pochi istanti dopo, gli aprì una sorridente ragazza bionda, molto bella e dall’aria cordiale. Li squadrò un momento.
“Il Capitano Rogers?” Domandò poi, fissando Steve.
“Sì, piacere.” Fece lui, porgendole la mano.
“Amanda Bannister, la nipote di Peggy, piacere.” Rispose lei stringendogliela.
“Questa è Euridice Spitz.” Presentò l’uomo, indicando la sua compagna; anche le due donne si strinsero la mano.
“Accomodatevi.” Li invitò Amanda. “Sa, Capitano, lei è un po’ diverso dalla foto…”
Steve guardò Dixi con espressione confusa, lei sorrise perplessa, stringendosi nelle spalle.
“Quale foto?” Domandò allora il capitano.
“Quella.” Indicò Amanda, mentre li precedeva nel vestibolo.
Alla loro destra, sotto uno specchio ovale, c’era una consolle antica, di legno scuro, sopra la quale c’erano diverse fotografie incorniciate. Steve riconobbe subito Peggy in un’immagine dove indossava un vestito a fiori, sullo sfondo di un paesaggio marino che ricordava l’Italia. Poi c’era Amanda, vestita da sposa, accanto ad un bel ragazzo con la divisa dei Marines. E Peggy più anziana, accanto ad un giovane con toga e tocco.
E, infine, un po’ dietro alle altre, c’era la foto di Steve.
Una foto in bianco e nero. Lui con uno sguardo malinconico ma determinato, che fissava qualcosa oltre la vista del fotografo. I capelli biondi spettinati, una t-shirt bianca, le piastrine sul petto. Il viso scavato, le spalle troppo magre e strette. Era Steve, ma prima di Capitan America.
“Ecco perché le sembravi diverso.” Commentò dolcemente Dixi.
Steve si limitò ad annuire, troppo emozionato dai ricordi e dalla dolce nostalgia che quell’immagine gli rievocava. Sentì il tremito della commozione invadergli la gola.
“Credo sia l’unica foto che abbia di lei.” Disse Amanda con tenerezza. Lui annuì.
“Lei dov’è?” Chiese quindi, con gli occhi ancora sulle foto, poi si voltò verso la ragazza.
“In veranda.” Rispose lei.

La luce proveniente dal giardino sbiancava le vetrate, illuminando tutta la stanza con toni caldi. C’erano pochi mobili e molte piante, un profumo accogliente.
C’era una vecchia signora elegante seduta su una poltrona vicino ad un tavolino rotondo. Il servizio da the era disposto su un vassoio accanto ad un vaso di camelie rosse.
Steve si avvicinò piano, lei guardava fuori. Le due ragazze rimasero sulla porta.
Riconobbe subito, sul suo volto, i tratti della Peggy che aveva amato, anche se il viso era un reticolo di rughe ed i suoi occhi avevano perso la brillantezza della gioventù. Lui sapeva di avere gli occhi lucidi.
La donna si voltò e, dimostrandogli di averlo perfettamente riconosciuto, gli sorrise. Steve la raggiunse si inginocchiò accanto alla poltrona. Dixi, commossa, si asciugò le palpebre.
Steve e Peggy si guardarono negli occhi. Il tempo passato era nell’espressione di entrambi, anche se i segni erano solo in quella di lei. Lui sorrideva con amarezza, la donna con calore.
“Finalmente, Steve.” Mormorò Peggy, senza togliere gli occhi dai suoi.
“Scusami per il ritardo, Peggy.” Replicò dolcemente il capitano, poi socchiuse le palpebre e un paio di lacrime scesero veloci sulle sue guance.
Peggy, sempre sorridendo con consapevolezza, alzò una mano rugosa ed esile; gli accarezzò i capelli, poi scese sul viso e glielo asciugò. Steve le prese la mano e ne baciò con tenerezza il dorso.
Ci sarebbero state milioni di parole da dire, confessioni non fatte, balli rimandati ed il tempo sembrava così poco – il loro tempo non era mai stato – il futuro di entrambi era altrove, ma almeno stavolta, si sarebbero salutati nel modo più giusto.

Perché questa volta, se l’eroe si fosse voltato indietro, non ci sarebbero stati rimpianti ad aspettarlo.

Where the time goes
Tomorrow never knows

FINE



Un ringraziamento particolare, permettetemelo, lo voglio dedicare a Callie_Stephanides che non solo con le sue critiche mi ha spinto a confrontarmi coi miei dubbi, ma che ha fatto questo meraviglioso video (spero di riuscire a postarlo bene, altrimenti andate a vederlo nei commenti al Capitolo 7): I need a hero - Video


Carissima, sappi che sto tramando per ripagarti adeguatamente!

Grazie a tutti, a presto!
Sentirete ancora parlare di me! (Minaccia accompagnata da risata satanica XD)


   
 
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