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Autore: Shichan    24/05/2013    1 recensioni
Se c’è una cosa che ho imparato – qualcosa che tutti sappiamo, ma ci serve inspiegabilmente una conferma per esserne certi – è che persino la persona più coraggiosa o la più arrogante e sicura di sé ha paura della morte.
[WakamatsuSakurai implicito][Hunger Games!Kuroko no Basket]
[Prima classificata al "Kuroko no Basket Contest – Kuroko on AU" indetto da Rota sul Forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shintarou Midorima, Takao Kazunari, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Izuki ed io ci siamo salutati la sera scorsa. Ci siamo augurati di sopravvivere, perché non potevamo dirci nient’altro in realtà: tra pochi minuti saremo nell’arena, ad aspettare che sessanta secondi passino per darci il via alla corsa alle armi della Cornucopia, che generalmente dimezza i tributi partecipanti.
Questo vuol dire che, per qualcuno, questi sono gli ultimi momenti da vivo.
Non puoi augurare a qualcuno “buona fortuna” o dirgli “spero che tu vinca”.
Significa che ti consideri già morto.

 

La voce che risuona nella stanza avvisa di prendere posto in quel tubo che ti porterà all’aperto, ovunque l’arena si trovi. Controllo velocemente quello che ho addosso, più per cercare di farmi un’idea su quale ambiente ci sarà fuori che per timore di aver dimenticato qualcosa – la stanza spoglia rende facile notare qualsiasi oggetto superfluo. Il fatto che la tuta che indossiamo non sia particolarmente aderente ma nemmeno troppo comoda non aiuta a capire cosa dobbiamo aspettarci; abbiamo una giacca, quindi potrebbe essere il tipo di ambiente in cui si abbassa in modo particolare la temperatura di notte.
Il tubo si chiude alle mie spalle e risulta quasi claustrofobico; Miyaji ci ha consigliato di contare qualcosa: «Se andate in iperventilazione» ha detto «tanto vale che vi suicidate prima che scadano i sessanta secondi.»
Mi chiedo se ci sia mai stato un tributo che abbia deciso di farlo davvero.
Quando siamo fuori l’aria che arriva addosso è appiccicosa di umidità, la temperatura è strana e la prima cosa che salta all’occhio è la Cornucopia – elemento familiare delle altre edizioni – ad una ventina di metri da noi; su pedane perfettamente identiche alla mia ci sono gli altri tributi. Alla mia sinistra c’è Wakamatsu, a destra uno dell’8.
La Cornucopia è come sempre il centro di tutto ciò che ci permetterà di sopravvivere: armi e zaini. Questi ultimi sono più vicini alle nostre postazioni quanto misero è il loro contenuto: di certo alcuni hanno solo cibo, o solo medicamenti molto essenziali. Forse un’arma piccola, un pugnale. Per quelle vere e proprie, il discorso è molto vario: sul terreno ci sono un paio di bastoni, una spada corta, quello che sembra un set di pugnali.
Wakamatsu sembra aver puntato un tridente che si trova a poco più di tre metri dalla Cornucopia, che di certo conterrà le armi più letali come spade lunghe, sciabole e lance. A metà strada, una balestra.
Prima di spostare lo sguardo più in là noto che Wakamatsu non sta guardando più il tridente, la Cornucopia o gli altri oggetti che potrebbe recuperare: sta guardando, a quattro pedane di distanza da lui, un Sakurai tremante – se non trema davvero penso sia solo perché è terrorizzato abbastanza da non riuscire a fare nemmeno quello… ed è così che dovremmo essere tutti. Terrorizzati tanto da non muoverci; ma la verità è che ognuno reagisce a modo proprio, imprevedibile, ed è questa una delle cose più terrificanti degli Hunger Games.
Devo ignorare gli altri tributi, ne prendo atto mentre siamo a qualcosa come trenta secondi dall’inizio; devo tirar su una strategia almeno in merito a cosa raccogliere e dove andare. Ad una distanza di una quindicina di metri oltre la Cornucopia ci sono abbastanza alberi da far pensare ad una foresta, anche se non sembra fitta quanto un bosco e non so riconoscere ad occhio e da lontano quali alberi siano. Ammesso di riuscire a prendere uno zaino e che esso contenga un contenitore per l’acqua è impossibile capire dove sia la fonte.
In poche parole, uno zaino vale l’altro; meglio preoccuparsi delle armi, perché se non siamo coperti dalla vegetazione non impiegheremo molto ad individuarci l’un l’altro.
Quasi subito capisco che io e Shun potremmo puntare la stessa cosa quando, nel mio campo visivo, rientra di nuovo il set di pugnali. Però poi noto che il suo sguardo è andato oltre – non ho tempo di capire dove, perché con la coda dell’occhio vedo Wakamatsu contrarre i muscoli e questo mi mette in allarme.
Mancheranno sì e no dieci secondi.
Va bene. Pugnali e zaino, ma più i primi.
Devo solo essere più veloce.

 

 

Quando finalmente posso permettermi il lusso di fermarmi siamo in gioco da almeno un’ora e ho trovato un albero dalla chioma un poco più folta degli altri.
Il primo pensiero è che se quest’arena è davvero una zona paludosa questi Hunger Games non dureranno granché, perché non sono un esperto ma so che ci sono animali letali nei punti peggiori. Alberi compresi. E se non possiamo usare questi ultimi come riparo beh, ci ammazzeremo l’un l’altro in un attimo; forse a durare di più saranno quelli che avranno avuto la fortuna di trovare un punto strategico – se ce ne sono – e quelli che sono andati particolarmente bene nella parte di mimetizzazione dell’addestramento.
Il tempo per fare il punto della situazione, ad ogni modo, lo ho.
Il poco che ho visto del caos alla Cornucopia mi fa supporre che sia stato un massacro. Se non siamo già dimezzati manca poco per esserlo – ho perso il conto dei colpi e non ne saprò di più fino a sera.
Riportare alla mente ciò a cui ho assistito mi fa salire un conato che devo calmare ispirando forte dal naso e chiudendo per qualche istante gli occhi, a discapito di quanto sia la cosa meno sicura da fare al momento. Se c’è uno che sono sicuro di non ritrovare vivo al conteggio di stasera, quello è Haizaki del 12. Lui e Murasakibara si sono ritrovati vicini nel momento in cui stavano prendendo uno l’arma e l’altro lo zaino; non so nemmeno perché Atsushi abbia puntato uno così difficile da tirar fuori – ci scommetto che c’è dentro qualcosa di grosso, perché altrimenti non avrebbe avuto senso incastrarlo sotto dei ciocchi di legno che non sono nemmeno tipici di questo ambiente, per quel che ho visto correndo finora.
Fatto sta che Haizaki aveva messo le mani su una spada corta e aveva puntato direttamente il tributo del suo distretto… che non è così insensato, forse, se riesci ad avere tanto distacco.
Murasakibara ha preso uno dei ciocchi e gli ci ha fracassato il cranio. Letteralmente.
La cosa più spaventosa è stata la naturalezza con cui l’ha fatto, la fluidità del movimento con cui ha preso il ciocco, l’ha fatto passare sopra la propria testa e l’ha schiantato con una violenza inaudita contro Haizaki. Così, senza ulteriori reazioni.
Scuoto il capo. Se non voglio fare la stessa fine sarà meglio che io non mi fermi nello stesso posto troppo a lungo.
Apro il piccolo zaino che sono riuscito a recuperare: dentro non c’è molto, ma forse una delle cose più utili, ossia l’occorrente per raccogliere e rendere l’acqua potabile. C’è anche un giacchetto, impermeabile ma leggero. Non c’è cibo, ma poteva andarmi molto peggio.
Ho recuperato i pugnali perché nessun altro li ha puntati: non so quanto sia un bene.
Le priorità sono capire dove riposare la notte senza espormi troppo e che tipo di cibo posso trovare in questo posto. Escludendo gli alberi come riparo, non so quanto rimanga: potrei avere la fortuna di trovare qualcosa, ma non posso sperare nella buona sorte; alla Mietitura non mi ha esattamente sorriso.
Il cibo forse sarà relativamente più facile: tra le piante potrebbero essercene di commestibili ed è probabile che ci sia qualche animale. Se riuscissi a trovare la fonte d’acqua, come prima cosa potrei vedere se ci sono dei pesci… anche se devo prepararmi all’eventualità che lì vicino, nel caso, ci saranno o Wakamatsu o Sakurai. Non penso che due del 4 si lascerebbero sfuggire un’opportunità simile.
È evidente che non ho scelta: devo cercare l’acqua come prima cosa.

 

Trovare Wakamatsu nei pressi era una cosa che avevo messo in conto.
Vederlo lì insieme a Sakurai in quella che è chiaramente un’alleanza, no. L’alligatore che per poco non ha tranciato di netto la gamba di Sakurai avrei preferito non trovarlo affatto.
È ormai chiaro che la zona in cui si trova quest’arena è per lo più paludosa: ne è testimone l’acqua che a vederla non penseresti mai possa ospitare una qualche forma di vita – e che penso sia impossibile usare per bere senza l’occorrente per purificarla –, la conformazione del terreno, il tipo di arbusti che ho incontrato finora. Non me ne intendo, ma mamma è stata nel Distretto 7 da giovane, e ha imparato diverse cose sugli alberi e le piante: certo non ha le conoscenze di qualcuno che vive lì tutta la sua vita, ma ricorda bene almeno le fasce ambientali in cui è più facile trovare alcune specie. L’ha insegnato a me appena sono diventato un possibile tributo, e mia sorella penso abbia già appreso qualcosa ascoltandoci: di sicuro insegnerà anche a lei.
A confermare il tutto, comunque, c’è quell’alligatore che ora se ne sta lì immobile e morto, ma che ha ferito superficialmente Sakurai se ho visto bene – ma non mi avvicino ancora: se sono alleati davvero come sembrano, sarebbe veramente da suicidio farmi avanti. Per quello che voglio capire, mi basta la distanza a cui sono.
«M-Mi dispiace, Kosuke.» pronuncia in un balbettio che sembra proprio caratterizzare il suo modo di porsi «L-Lasciami qui, e—»
«Se devi dire idiozie stai zitto e fammi vedere.» taglia corto Wakamatsu, esaminando velocemente ma con attenzione la gamba dell’altro. Di sicuro ha fretta di andarsene di lì, non solo perché nulla impedisce ad un altro esemplare di attaccarli una seconda volta, ma anche perché non è un punto molto riparato quello. Logico che non abbia intenzione di fermarsi a lungo, specie considerando che ad aver attirato l’alligatore di poco prima credo siano stati i movimenti che hanno dovuto fare inevitabilmente nell’acqua per tirarne fuori qualcosa – che penso potrebbe essere pesce. Sarebbe prevedibile.
Capisco che non è consigliabile imitarli: Wakamatsu per pescare ha il tridente e soprattutto ha la tecnica. Io potrei arrischiarmi ad usare i pugnali – e sarebbe davvero stupido tentare di pescare in quel modo, una mossa disperata che impiegherei troppo ad aggirare – ma il rischio che io finisca in pasto all’alligatore è più alto di quello corso da Sakurai.
Sarà già un’impresa raccogliere l’acqua.

 

I due sono rimasti nei paraggi per il tempo sufficiente a controllare la ferita, recuperare quanto preso prima che io arrivassi e andarsene. Non hanno preso acqua, il che mi fa pensare che o non sanno come renderla potabile o ne hanno già presa altrove.
Per quanto mi riguarda mi sono limitato a riempire in fretta il contenitore ed applicarvi la tintura di iodio che c’era nello zaino, quanto bastava perché nello spostarmi iniziasse a fare il suo lavoro; ho cercato di muovermi nei punti più riparati, anche se non è una garanzia: facendo tutti la stessa cosa prima o poi ci incroceremo inevitabilmente. Ho camminato tanto da essere arrivato in un punto dove non ci sono tracce di passaggio altrui – per quanto altre zone potrebbero essere quelle dove ho corso io stesso, quindi anche questo non è poi così indicativo.
Nello spostarmi ho almeno avuto la fortuna di riconoscere una delle poche specie di piante che mia madre mi ha insegnato a distinguere; considerando che quelle più comuni non credo siano tipiche del territorio paludoso in cui siamo, ho cercato di trovare dei punti di riferimento per ricordare almeno vagamente dove fosse. Di certo è probabile che cresca anche altrove, ma non si sa mai; ho preferito cercare un posto nei paraggi – il lato positivo di questa pianta, la tifa o anche “cattail” è che non ha bisogno per forza di essere cucinata per essere commestibile. Il che è un bene, visto che accendere un fuoco non rientra nei miei piani, finché posso evitarlo. Considerando poi che anche la sua radice è commestibile, direi che più fortuna di questa non potevo averne, per adesso.
Mi sono allontanato il più possibile dall’acqua perché, per la conoscenza che ho, un alligatore è veloce anche sulla terra ferma ed è più probabile che finisca sulla mia strada tanto più rimango vicino a quello che potrebbe essere il suo habitat primario.
Nonostante volessi evitarlo, la scelta più sensata sembra sistemarmi su un albero: sono in un punto troppo poco folto a livello del terreno, per sperare di mimetizzarmi magari tra le piante alte.
Ci riesco quando, ad occhio e croce, penso manchi relativamente poco perché inizi a far buio.

 


L’inno è appena finito, spandendosi per tutta l’arena come spore velenose: ha la capacità di paralizzarti, e continuerà a farlo finché lo sentiremo.
Il silenzio torna ad avvolgermi insieme al buio; pare che nessuno abbia avuto la pessima idea di accendere un fuoco, stanotte, ed è anche comprensibile perché il clima notturno per ora non pare essere particolarmente freddo qui.
Il riepilogo dei caduti alla prima giornata ha contato dodici morti. Questo vuol dire che siamo praticamente già dimezzati. Nell’immenso schermo che diventa il cielo per noi che ancora vivi cerchiamo di capire quali avversari abbiamo avuto già la fortuna di perdere per strada, sono passati come ogni volta i volti dei tributi per cui i giochi si sono già conclusi, in ordine di distretto.
Uno dell’1 e uno del 2: si saranno probabilmente uccisi tra di loro alla Cornucopia.
Il 3 e il 4 hanno ancora entrambi i tributi, il 6 li ha persi entrambi; Tsutagawa del 7, quello che non piaceva a Kasamatsu, anche se non penso lo abbia ucciso lui. Uno dell’8, non Kuroko – il piccoletto – ma l’altro.
Il compagno di Kagami con un punteggio basso, del 9.
Entrambi quelli del 10. Eikichi dell’11… ci scommetto che l’ha ucciso proprio Aomine.
Naturalmente, Haizaki del 12.
Poggio la testa contro l’albero, lascio che la schiena vi aderisca e inspiro, lentamente: è un buon metodo, quando stai per entrare nel panico, respirare piano. Ti obbliga a controllare quanta aria entra ed esce dai polmoni, e concentrarsi su un meccanismo all’apparenza così semplice fa sì che non pensi più alla causa scatenante di quello stesso panico.
Izuki. La faccia di Izuki, pressoché anonima per il resto dei tributi vivi, è passata nel cielo dopo quello del 2.
Dovrei essere contento, perché significa che non mi troverò in condizione di doverlo uccidere io, o di dover pregare razionalmente che lo faccia qualcuno per me. Eppure tutto ciò che riesco a pensare è qualcosa che in realtà avrebbe dovuto passarmi per la testa molto prima, una cosa così ovvia che mi chiedo perché soltanto adesso mi sembri sensata.
Poi, quando sono abbastanza sicuro – dopo un tempo che non so quantificare – di aver recuperato la regolarità del respiro, capisco.
Capisco che negli Hunger Games vieni messo in un’arena con persone che non hai mai visto e a cui non hai avuto tempo di affezionarti: se hai forza abbastanza da non considerarli esseri umani, o la predisposizione a pensare solo ed unicamente alla tua sopravvivenza, ucciderli non è così difficile.
Nauseante, forse, ma non difficile.
Se sei particolarmente fortunato, poi, il tributo scelto insieme a te non è qualcuno che conosci se non di vista; se anche toccasse a te ucciderlo, potresti farcela.
Ma Shun no. Shun lo conoscevo, con Shun sono andato a scuola: non era il mio migliore amico, non era come un fratello, ma Shun era una persona che ho conosciuto e con cui ho condiviso comunque qualcosa, non importa quanto banale sia stata.
E Shun è morto.
Per la prima volta da quando siamo a Capitol, da quando siamo nell’arena, la consapevolezza che qui la gente si uccida davvero finché non ne rimane solo uno mi arriva addosso potente e terribile. Con essa, il pensiero che non sopravvivrò. La paranoia si fa strada, centuplicata rispetto a quando aspettavo sessanta secondi su una pedana che, se fossi erroneamente sceso prima, mi avrebbe fatto saltare per aria.
Chi ha ucciso Izuki? Cause naturali? Qualcosa che potrei non riconoscere, un cibo avvelenato, un animale feroce che non potrei combattere? Oppure qualcuno? Se così fosse, di certo ha tutte le possibilità per uccidere anche me, perché io e Shun di certo non differivamo in forza fisica o capacità, non più di tanto.
Shun è morto.
Mi torna in mente sua madre, portata via dai Pacificatori dopo un saluto che non è mai abbastanza lungo per dire a addio a tuo figlio mentre va a morire.
Sua madre non abbastanza forte da non gridare di dolore nel corridoio di concederle qualche istante in più.
Sua madre che aveva unicamente Izuki al mondo, ed ora è sola con la sua disperazione.
Se tornerò vivo a casa è con questo che dovrò combattere: il senso di colpa per essere vivo.
E finalmente capisco che è questo che ti uccide davvero, che ha sempre ucciso tutti i vincitori, che ti trasforma in quello che è Miyaji – il contenitore umano di tutta la disperazione che riesce a concentrarsi in un solo posto, del senso di colpa per qualcosa di cui dovresti gioire.
Sei vivo, e desideri essere morto.

 

 

È passato un giorno e mezzo – escluso quello dell’inizio dei giochi – e c’è stato un solo morto, l’altro tributo del 2 che, a voler fare una stima, penso sia stato ucciso da Reo.
Mi sono spostato continuamente ad intervalli più o meno regolari di un paio di ore, approfittandone per raccogliere altra tifa quando ne ho trovata o tornando di un poco sui miei passi quando, andando avanti, mi rendevo conto che rischiavo di non trovarne. Ho individuato anche un tipo di mirtillo commestibile – è acido e ha un pessimo sapore, ma non si può esattamente fare gli schizzinosi qui.
L’assenza di attacchi che penso durerà ancora per poco – non c’è spettacolo così, dovranno pure obbligarci a portare avanti i giochi in qualche modo – mi ha dato il tempo di fare due cose: analizzare quelli che sono rimasti in gara ed elaborare una strategia personale.
Siamo rimasti in undici: Reo, se consideriamo favoriti i primi quattro distretti, può pensare di allearsi con una persona sola, ossia occhi-cattivi. Ma francamente l’indole di quest’ultimo non mi sembra da alleanza; in caso contrario, la cosa più sensata sarebbe stata allearsi con il tributo del tuo stesso distretto, ed era chiaro che né lui né Shinchan avevano quell’intenzione.
Suppongo quindi che siano ognuno per la sua strada.
Wakamatsu e Sakurai sono forse l’unica vera alleanza, almeno per ora: puntare Sakurai significa ritrovarsi l’altro subito alle calcagna, e un due contro uno non è mai auspicabile.
Kasamatsu non so se sia orientato più sulla totale difensiva, o su una non-aggressione intelligente, ossia se punti a proteggersi in caso di attacco o ad attaccare solo chi è più alla sua portata sulla carta.
Kuroko penso sia sulla difensiva, ma che non si sia alleato con nessuno: obiettivamente, non penso gli convenga.
Kagami e Aomine sembrano abbastanza tipi da attacco, e ho incrociato il primo in un goffo tentativo di mimetizzarsi vicino ad un corso d’acqua. Potrebbe avere a che fare fin troppo presto con un alligatore.
Atsushi è quello che meno ha possibilità di passare inosservato ma – e devo basarmi su un ragionamento in cui non posso includere armi, perché non ho idea di chi abbia preso cosa ad eccezione di Kuroko che ho intravisto prima di allontanarmi dalla Cornucopia – non ne ha davvero bisogno.
È l’ultimo che sceglierei di attaccare.
La mia strategia è sopravvivere finché non vengo ucciso, che questo avvenga prima o dopo è un dettaglio relativamente secondario. C’è una cosa che devo fare e più tempo ho, meglio è; non posso giocare al gatto con il topo. Devo solo preoccuparmi di far sembrare che io stia tramando qualcosa, perciò mi sposto con la scusa di osservare, di studiare. Mi fermo ad intervalli regolari, controllo gli arbusti, ciò che mi circonda; tocco il terreno di tanto in tanto, come a controllarne consistenza ed umidità.
Questo penso terrà a bada il pubblico con la curiosità, e spero che partano scommesse – di che genere non mi importa – che facciano pensare agli Strateghi che tutto abbia un senso per cui valga la pena aspettare.
Sto considerando verso dove orientarmi che un colpo a ovest rispetto a dove sono ci segnala che ora siamo in dieci; chi sia morto non si sa, naturalmente, e manca ancora mezza giornata al solito riepilogo.
Se qualcuno ha ucciso qualcun altro, è comunque abbastanza distante perché io non debba preoccuparmi di velocizzare il passo più del dovuto.
O almeno ne sono convinto finché non risuona in tutta l’arena l’annuncio di Akashi Seijuro, il capo degli Strateghi: parla con voce calma e controllata, ma autoritaria. Sembra che ti stia dando una scelta, come a dire “puoi farlo, ma in caso contrario non accadrà nulla di irreparabile”, ma non è così.
Affatto.
«Da questo momento al concludersi della giornata, come limite ultimo di tempo, i tributi sono chiamati a prendere parte ad almeno uno scontro diretto, pena la squalificazione dai giochi.»
L’annuncio risuona due volte per essere certi che tutti l’abbiano sentito.
In altre parole, il pubblico si annoia perché non ci stiamo ammazzando tra di noi ad una velocità accettabile – va bene far durare lo show, ma non se devono essere giorni e giorni di gente che si evita scappando in un terreno paludoso.
In altre parole, o ci uccidiamo tra di noi dando spettacolo, o ci uccideranno loro in chissà quali modi.
Perché di certo “squalifica” non vuol dire che ti riporteranno a casa e pazienza, hai perso i giochi.
Questo scombina i miei piani e significa che qualcuno, da qualche parte e verosimilmente, sta già puntando verso di me.

 

Egoisticamente, a questo punto potrei persino tornare sui miei passi e non fare nulla, perché una cosa è certa: lo spettacolo di oggi è stato ormai assicurato al pubblico di Capitol City.
Due colpi si sono levati in aria, e io so a chi appartengono: il primo era per Sakurai, il secondo per Hanamiya del 3. Me li sono ritrovati davanti che quest’ultimo aveva appena atterrato Sakurai.
Non ha implorato pietà. Da Sakurai forse te lo saresti aspettato, ma è morto con una dignità più spaventosa della violenza con cui è stato ucciso.
Sassate. Non per mancanza di armi, non per difesa estrema, ma solo per cruda e macabra crudeltà.
Hanamiya
l’ha immobilizzato e praticamente torturato per farsi dire dov’era Wakamatsu – la loro alleanza non era un mistero nemmeno per gli altri, e di sicuro il biondo è un bersaglio più degno di attenzione per occhi-cattivi.
Sakurai non ha parlato, e il risultato è stato un incessante ripetersi di sassate; c’era sangue ovunque, quando è arrivato Wakamatsu. La violenza inaudita con cui si è scagliato su Makoto, istintivamente, l’ho ritenuta giusta: potrà sembrare barbaro, ma io penso che siamo qui, ventiquattro ragazzi praticamente coetanei costretti ad uccidersi, e dovrebbero esserci almeno rispetto e solidarietà, abbastanza da decidere di porre fine alle vite altrui nel modo più veloce e meno doloroso possibile.
Invece non è così. Qui c’è gente, magari rara ma c’è, fuori di testa quasi quanto quelli di Capitol o il cui istinto di sopravvivenza li porta all’estremo dove nemmeno la follia potrebbe guidarli.
Hanamiya
ha smesso di essere umano nel momento in cui ha messo piede nell'arena, sempre che lo fosse almeno fuori.
Wakamatsu era ferito. Forse per quello Sakurai era solo, forse cercava qualcosa per medicarlo e alleviargli il dolore e per lo stesso motivo, forse, non ha mai gridato il nome del compagno per avere soccorso.
È rimasto a piangerlo. E questo è il gesto più umano e sincero che io abbia visto da quando siamo a Capitol.
Allontanandomi ho pensato che se sopravvivrò, sarà ironico: sarò diventato come Miyaji, che ho tanto criticato ma che finalmente ho compreso. Ad ucciderlo dentro non è stato solo l’abbandono del tributo del suo Distretto.
È stato assistere alle morti di altri esseri umani senza poterne salvare nessuno, salvo mettere automaticamente in pericolo la propria stessa vita.
Può sembrare scontato dire che “avrebbero dovuto aiutarli”, ma la verità è che agli Hunger Games nessuno mai diventa un eroe.
Avevo capito di aver tralasciato un dettaglio importante della mia strategia; o meglio, che la cosa che devo fare non può andare a buon fine, continuando così.
Dovevo e devo sopravvivere, e per farlo intanto avrei dovuto presumibilmente avere uno scontro diretto che, contrariamente al mio affrettato pensiero iniziale, non implicava un’uccisione. Non dall’annuncio.
L’occasione si è presentata mentre mettevo distanza tra me e Wakamatsu. Spostandomi nell’erba alta tra alcuni arbusti, mi sono ritrovato per la seconda volta osservatore di uno scontro in mezzo a cui nessuno sano di mente si sarebbe messo: Midorima del 3 e Reo dell’1. Inutile sottolineare chi stesse avendo la meglio.
Io e Shun non avevamo in comune forza fisica o capacità strategica, ma una sola abilità: non è tipica del 5, è solo che a noi è capitata. Alcuni la chiamano “visione periferica”, ma di solito c’è almeno un punto cieco. La mia non lo ha, e quella di Shun non era di molto inferiore. Può sembrare inutile, ma in mezzo all’erba alta e non visibile al tuo nemico la capacità di vedere tutto ciò che ti circonda è un vantaggio notevole; ti fa prendere in considerazione fattori che normalmente saresti portato a tralasciare.
Ed è stato in quel momento che l’ho capito: uno scontro poteva essere anche un combattimento finito in parità, dopotutto. Almeno per stavolta.
Ci ho rimesso un pugnale, ma non è una gran perdita, sia perché ne ho altri ancora inutilizzati e sia perché l’aver costretto Reo alla ritirata mi è valso la sopravvivenza di oggi. Anche se quando Midorima ha dato segno di avermi visto ho pensato che, a conti fatti, fosse comunque finita.
«Non sapevo che nei giochi ci fossero anche gli eroi stupidi.» ha commentato, lasciandomi intendere di avermi individuato o di aver almeno capito che c’era qualcuno ancora nei paraggi.
Mi è sembrato sciocco nascondermi e sono uscito allo scoperto, anche se in guardia.
«Niente eroismo, ma dovevo partecipare almeno ad uno scontro, no?» dirlo con la consapevolezza che mi stanno ascoltando non mi preoccupa particolarmente, perché è una mancanza degli Strateghi non aver specificato di uccidere. Anche se non credo che Akashi Seijuro lasci nulla al caso o faccia errori grossolani di questo tipo.
Ci siamo studiati per qualche istante poi, non so bene perché, ho pensato di doverglielo dire: «Uno dei colpi era Hanamiya
Forse ho pensato che di Shun io avrei voluto saperlo prima di un riepilogo serale che vedrebbero tutti; lui però ha taciuto, fatto un sospiro impercettibile, si è sistemato gli occhiali sul naso. Sembrava si aspettasse qualcosa. Non sapevo nemmeno se provare ad allontanarmi.
«Non eravamo legati.» ha detto poi, niente più di questo, ma sempre una risposta. Mi è scappato uno sbuffo divertito che è risultato comico nell’intera situazione: «Non sei di tante parole, eh Shinchan?» ho commentato, e l’ho visto scomporsi più per questo che per la notizia di occhi-cattivi. Forse non è abituato ai nomignoli, o forse non si aspettava questo atteggiamento amichevole.
Ha continuato a non sembrare ostile, e ho pensato che non avrei avuto un’occasione migliore di quella; ho tentato il tutto per tutto.
«Alleiamoci. Per un po’, s’intende.» perché non sono così stupido da credere che ad un certo punto non ci ritroveremo l’uno contro l’altro. È la prassi del gioco.
L’alleanza che intendo io è differente da quella di Wakamatsu e Sakurai, basata su un legame che non hanno voluto calpestare solo per colpa degli Hunger Games, un legame tale per il quale Wakamatsu si è offerto volontario al posto dell’altro tributo estratto insieme a Sakurai, probabilmente nella speranza che almeno questo gli salvasse la vita. Se non si è offerto per Sakurai è perché questi si sarebbe fatto avanti dopo per affiancarlo comunque, rendendo il tutto vano.
L’alleanza che voglio io è quella che ti permette per un po’ di preoccuparti di un tributo in meno, e che mi vale il tassello mancante al raggiungimento del mio obiettivo.
«È fuori discussione.»
«Shinchan, come sei freddo!» ho ribattuto, senza perdere di vista la zona in cui siamo; ci mancava solo di farsi uccidere durante una chiacchierata: «Ma rimane il fatto che mi devi la vita.» ho puntato – è stato meschino, lo ammetto – sul fatto che se non è tipo dalla morale integra e inattaccabile, di sicuro Midorima Shintarou è uno a cui non piace avere debiti.
«Non mi stava uccidendo.»
«Non ancora. Ma nessuno ci assicura che non l’avrebbe fatto senza il mio aiuto, no?»
Si è preso una lunga pausa, e ho pensato che stesse ponderando come uccidermi e farla finita; invece, inaspettatamente, ha sospirato rassegnato annuendo.<
«Cosa vuoi da questa alleanza? Che ci guadagni, Takao?» ah, si è persino ricordato il mio nome.
«Un nemico in meno, almeno per un po’. Ognuno fa quello che vuole durante il giorno, ma la sera ci ritroviamo. Scambio di informazioni e quello che serve.» mi sono mantenuto sul vago, perché alleanza o no non ho intenzione di dire tutto e subito. Forse un attimo prima della fine, qualunque essa sia.
«…Però piantala con quel nomignolo.»
Mi è inevitabilmente scappato da ridere; non so con quali motivazioni abbia accettato, ma mi basta che l’abbia fatto per ora.
A svegliarlo in questo momento è il suono dell’inno; forse l’idea di qualcuno che monti una sorta di turno di guardia gli ha permesso di rilassarsi il minimo necessario a dormire un po’. Sbatte le palpebre, forse stupito lui stesso di essersi appisolato.
«Quanti siamo?»
«Otto.» rispondo: «Hanamiya, Sakurai e Murasakibara sono fuori. Il primo ha ucciso il secondo, poi Wakamatsu del 4 ha ucciso lui. Murasakibara non lo so.» e questo mi preoccupa. Chi uccide un gigante di più di due metri tra chi è rimasto di noi?
Shinchan non dice nulla, non subito.
«Uccidere Makoto non era facile.»
«Se sei impazzito di dolore, probabilmente sì.» dico soltanto. Lui rimane in silenzio per un tempo ancora più lungo, e alla fine mi guarda scettico: «Essere sentimentali non ti aiuterà.»
Poi mi passa la giacca con cui si era coperto per metà, e monta la guardia.

   
 
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