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Autore: Lilith in Capricorn    25/05/2013    2 recensioni
Il giovane chitarrista rock Andy Syte è appena morto, all'età di 27 anni.
Ma non è di lui che questa storia parla, non esattamente: la sua dipartita è soltanto la prima tessera di domino che cade, colpendo indirettamente tutte le altre, in una spirale di illusioni, disillusioni, "epifanie" e riflessioni, raccontate da un coro di 5 voci, completamente diverse, ognuna con un suo diverso stile narrativo, ognuna vittima di un differente tipo di illusione.
Prima classificata al contest "Con una citazione migliora tutto!" di Niananima, con la citazione di Baricco: "Deve essere una specie di hobby: collezionare illusioni di cui non essere all'altezza."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ed ecco puntuale il nuovo capitolo!
Come vi ho anticipato, questa è la lettera che Timothy ha inviato a Jana. So che, teoricamente, sarebbe stato meglio presentare prima il personaggio della ragazza, ma questa lettera ci servirà nel prossimo capitolo e quindi andava messa prima.
Ringrazio tutti quelli che stanno leggendo o che inizieranno a leggere questa storia e spero che la troviate interessante.
Buona lettura!


LA FILOSOFIA DI RUSSIA

 

03-Timothy Brown (la giovinezza)


Cara Jana,

Ho avuto tempo a sufficienza per pensare, prima di scriverti questa difficile lettera.
So che, in teoria, avrei dovuto scegliere un modo diverso, per introdurre queste parole, forse più serio e formale, dato che io e te non ci siamo mai conosciuti di persona, anche se tuo fratello mi ha parlato molto di te.
Eppure, penso che il classico, familiare “cara” sia proprio la formula migliore, per iniziare: credo che voglia essere un modo – un po’ blando e poco efficace – per cercare di avvicinarmi a te il più possibile e per farti sentire quanto sono con te, nell’affrontare il dolore che abbiamo in comune.
 
Non so se Andy ti abbia mai parlato di me, ma io credo di sì; parlava così tanto, lui, non stava zitto un attimo, soprattutto quando era di buon umore.
Sono Timothy Brown, il batterista della band di tuo fratello, il suo membro fondatore, insieme a lui.
 
Accidenti, ricordo ancora il giorno, anzi la notte, in cui l’ho incontrato, sperduto per le strade di New York, con l’aria disorientata e un inglese tanto pessimo da risultare quasi fastidioso.
Ricordo che lo trovai buffo, per come gesticolava, oltre che incredibilmente divertente, perché, nonostante gli impedimenti linguistici, riusciva sempre a dare prova del suo spensierato umorismo.
 
Mi piaceva davvero molto, tuo fratello, mi è piaciuto fin da subito.
E a chi non piaceva, d’altronde? Era una di quelle persone che, per quanto grosse ne combinino, facendo chissà quanti danni, non puoi mai odiare.
Non credo di essermi mai arrabbiato con lui, in tanti anni, nemmeno una volta, anzi, credo di non aver mai nemmeno alzato la voce.
Era una di quelle persone a cui ci si affeziona fin da subito e che ti porti nel cuore per tutta la vita, anche se ci hai parlato una volta sola.
 
E io ci parlai, quella notte, con lui, per poco più di un’ora – per quanto si potesse parlare con uno che a malapena sapeva mettere due parole in croce, in inglese.
Poi, ad un certo punto, se ne uscì che era appena arrivato nella metropoli, non aveva un dollaro in tasca e nemmeno un posto dove andare.
Senza nemmeno starci a pensare, gli proposi subito di venire da me: non lo conoscevo, ci avevo parlato solo un’oretta, non sapevo nulla di lui ed era pure straniero.
Eppure, sentivo che non avevo nulla da temere.
 
Aveva con sé una custodia che riconobbi immediatamente come quella di una chitarra e, quando giunti a casa mia vide la batteria, non ci fu bisogno di dire nulla: tirò fuori la sua acustica e ci mettemmo a improvvisare qualcosa lì, su due piedi, per tutta la notte.
Da lì in poi, non ci siamo mai separati: abbiamo messo su una dio di band, abbiamo avuto un successo che neanche ci immaginavamo, abbiamo avuto sempre più fan, guadagnato sempre più soldi …
 
Certo, non è stato facile, all’inizio soprattutto, ce la siamo dovuta sudare: piccole esibizioni nei locali, contest vari in tutto il Paese, brevissimi concertini di apertura a band molto più importanti e conosciute,  le faticate incisioni dei primi 2 album, l’agognato contratto con una casa discografica, il continuo impegno per farci conoscere da tutti, sempre di più, affinché mandassero più spesso le nostre canzoni in radio, o sui canali musicali in tv, la stesura e la composizione di nuove canzoni, sempre migliori delle precedenti …
 
Non è stato facile e tante persone hanno sempre provato a snobbarci, sminuirci, deprimerci, insultarci e qualche volta anche a fregarci!
Ma ogni volta che si presentava una difficoltà, con la tenacia, la forza e l’ottimismo di Andy dalla nostra, riuscivamo sempre a cavarcela.
Senza di lui, certamente, non saremmo arrivati così lontano: lui era la nostra fonte di energia, la nostra anima, la nostra benzina.
Certo, tutti noi siamo unici, basta toglierne uno qualsiasi e non saremmo più gli stessi: ma lui era davvero speciale, più di tutti noi, perché aveva qualcosa in più che era il centro pulsante del nostro mondo.
 
Mi sono sempre chiesto cosa fosse a renderlo così grande e luminoso ai nostri occhi, agli occhi dei fan, agli occhi di tutto il mondo.
Negli ultimi giorni, ho avuto tanto tempo per pensare – credo di non aver mai riflettuto tanto e tanto a lungo, prima – e forse ho capito cos’era quel qualcosa in più: la sua anima giovane.
 
Questo era Andy: giovane.
L’emblema stesso della gioventù, con la sua forza da spaccare il mondo, il suo entusiasmo incontenibile, il suo spensierato ottimismo, la sua gioia solare e contagiosa, ma anche le sue paure, i suoi problemi, i suoi dubbi, tutto di lui esprimeva giovinezza.
Una giovinezza forte, emblematica, eterna.
Eterno: quando eri con lui, ti sentivi il centro del mondo, un invincibile guerriero, una forza che spacca tutto e poi lo assembla nuovamente in un modo diverso, un modo, probabilmente, migliore.
 
Ecco, penso che sia proprio questo il nucleo dell’adolescenza e dell’età giovane: l’invincibilità.
Quando hai vent’anni, potresti essere, potenzialmente, qualunque cosa: sei all’apice della forza e dell’entusiasmo e, in più, in ogni cosa che fai, ti accompagna sempre quella potente, straordinaria sensazione o convinzione di essere intoccabile, invincibile, eterno.
Non importa cosa tu stia facendo, dove trovi e con chi: qualunque cosa accada, pare sempre che tu abbia tutto il tempo del mondo.
 
Quando uno è giovane, non ha la più pallida idea di cosa sia il tempo, in realtà, non conosce la vecchiaia, non immagina nemmeno fino a che punto possa essere sfocato e incerto il futuro.
Quando uno ha 27 anni e una vita fantastica e da sogno, come era la nostra, si sente il signore del mondo, un principe privilegiato, una sorta di supereroe invincibile e immortale, che non cambierà mai, non conoscerà mai i dolori e i ritmi lenti e distesi della vecchiaia e avrà sempre tutto il tempo del mondo davanti a sé.
Quando uno e giovane o, più generalmente, inesperto e ingenuo, finisce quasi inevitabilmente col collezionare una serie di illusioni di cui, poi, non si dimostra all’altezza.
 
Credo di averla letta, una frase del genere, una volta – mi riferisco all’ultima – ma non ricordo dove.
Quello che ricordo è che non la capii, ma adesso so: è stata la vita stessa a spiegarmi il senso di quelle parole e lo ha fatto con la metodologia più cruda e brutale: frantumando le mie illusioni in un secondo, attraverso la canna di una pistola.
 
Tu sei persino più giovane di me, forse non dovrei dirti queste cose, forse dovrei lasciarti libera di sognare e illuderti, come abbiamo fatto tutti noi.
Eppure, non posso fare a meno di essere sincero: non voglio scrivere cose banali e stupide sulla speranza, su Dio, su quanto fosse straordinario tuo fratello, tanto che sicuramente gli angeli lo avranno portato in paradiso.
Non voglio dirti cazzate del tipo “non avere paura e non piangere per lui, perché adesso è in un posto migliore da dove può vederti, ti resterà sempre accanto e un giorno lo rivedrai”.
Non voglio usare quelle vuote formule di condoglianze che ormai sembrano quasi standardizzate e comandate e che, comunque, trovo fastidiose e prive di qualunque utilità e anima.
 
No, quello che voglio fare è essere assolutamente sincero, con te, anche se potrò sembrarti quasi brutale.
Certo, è vero, io credo in Dio e credo che Andy sia con lui, ora.
Ci credevo prima e ci credo ancora adesso: quello in cui ho smesso di credere è la giovinezza e tutto quello che rappresenta.
 
Quando ho visto quell’uomo vestito di scuro sollevare la pistola e puntarla verso di noi, mi sono gettato su tuo fratello, voltandolo, cercando di fargli da scudo e proteggerlo in tutti i modi.
E non ero da solo: c’erano anche tutte quelle guardie del corpo, con noi – le mie e le sue – tutte intente a formare un enorme scudo umano e a contrattaccare, per fermare quel boia.
Tutti abbiamo cercato di proteggerlo, tutti.
Eppure, è bastata una sola, minuscola pallottola infiltratasi in mezzo a noi, per ucciderlo: gli ha passato il cranio da parte a parte e Andy non ha avuto nemmeno il tempo di capire, di rendersi conto di cosa stesse succedendo, di provare dolore o paura, che era già morto.
 
I suoi occhi si sono spenti in un baleno, il suo collo ha ceduto sotto il peso della testa e il suo corpo si è silenziosamente adagiato a terra sotto i miei occhi, mentre la sparatoria ancora infuriava, alle nostre spalle, ma a me non importava più nulla: tutto ciò che riuscivo a vedere era l’espressione stupita e vuota sul suo volto, il sangue che scorreva a fiotti dalla sua testa e la vita che scivolava via dal suo corpo con una facilità incredibile e disarmante.
 
Così poco basta per morire?
Pochi millimetri di metallo?
Pochi frammenti di tempo?
Quello stesso tempo che ci sembrava illimitato e che, invece, gli è stato portato via in un modo tanto rapido da non permettergli di imprimere neanche un accenno di sofferenza sui lineamenti del suo bel viso, ma solo uno sconcertante, terrificante stupore.
 
Mi chiedo quali siano stati i suoi ultimi pensieri: dicono che quando sei in punto di morte, tutta la tua vita ti passa davanti nel giro di pochi secondi, ma non credo che lui ne abbia avuto il tempo.
Non so se sia un bel modo per morire, questo.
Di sicuro, non era un buon momento …
 
Quello che so è che in quell’istante non ho provato molto dolore, a parte la ferita alla spalla.
La vera, lunga, dilaniante sofferenza è arrivata dopo, quando mi sono svegliato dall’operazione e mi sono reso conto di avere tutto il tempo a disposizione per razionalizzare e pensare e quando, poi, ho finalmente capito quello che, in realtà, già sapevo: che il tempo non è infinito, anzi, è davvero poco e che da un momento all’altro bastano pochi millimetri e pochi istanti perché tutto finisca all’improvviso, così come è iniziato.
 
Può sembrare un concetto banale e scontato, ma ripeto: per noi, per lui, non lo era.
Andy era un illuso, un capitano Smith convinto che il suo Titanic fosse inaffondabile, un Cesare che si reca al Senato in tutta tranquillità, senza nemmeno immaginare che proprio Bruto, il suo figlio adottivo, affonderà il coltello per primo.
Tutti noi eravamo degli illusi e, forse, tante persone come noi lo sono, specialmente i più giovani.
 
Non so se questo sia giusto o no, non so quanto faccia bene illudersi: io, perlomeno, ero felice, prima.
Forse, disilludendomi sono maturato e cresciuto, ma credo che quello che ho perso, rispetto a quello che ho guadagnato, valesse molto di più.
Perciò, in un certo senso, penso che non sia così negativo illudersi: pericoloso, probabilmente, ma necessario per la sopravvivenza stessa, a volte, se non del corpo, quantomeno dell’anima, della speranza e della felicità, di certo.
Per cui, credo che sia giusto illudersi, fino ad un certo punto.
Oltre quel punto, c’è solo la fine.
 
Un giorno, forse, capirai meglio le mie parole: dimenticale, per adesso, ma non dimenticarti che sono state scritte e torna a rileggerle, quando sarai più grande. Forse, assumeranno un nuovo significato, in futuro, col senno di poi.
Comunque, spero di incontrarti di persona, un giorno, e parlare con te e vedere quanto somigli a tuo fratello, perché tutti mi dicono che siete proprio due gocce d’acqua, almeno caratterialmente.
Non so, forse tutto ciò che desidero è solo vedere se è sopravvissuta in te una piccola parte di lui: in me, c’è molto di lui e sento la sua mancanza in ogni momento.
 
A presto,
 

 Timothy


PROSSIMO CAPITOLO: SABATO 1 GIUGNO!

   
 
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