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Autore: Espen    26/05/2013    7 recensioni
Anno 2060.
Dopo la Terza Guerra Mondiale il Giappone è sotto una rigidissima dittatura.
Ogni libertà di pensiero e parola viene soppressa.
La popolazione vive nella povertà e soffre la fame, mentre il Sommo Imperatore e i suoi soldati nel lusso e ricchezza.
Tutti sono contro di lui, ma tacciono per paura della morte.
Il Giappone è avvolto dall’oscurità, ma una nuova luce sconvolgerà la vita di tutti.
Questa è la storia dei Ribelli.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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 Capitolo due
Di nuove conoscenze e sorprese
La notte era giunta su Tokio e, finchè tutti dormivano, i Ribelli decidevano quali passi compiere per raggiungere la libertà.
Avevano indetto un’altra riunione e si erano radunati di nuovo nelle catacombe. Sembrava che Shirou avesse un piano.
-Quindi è questa la tua idea? Sei cosciente che è una cosa molto pericolosa da fare? Potresti rimetterci la vita.-
Hitomiko era molto saggia e sveglia, diceva sempre le cose come stavano, ma con una diplomazia impeccabile. Forse era per questo che era diventata una dei Capi.
-Ne sono perfettamente consapevole, ma preferisco morire lottando per qualcosa in cui credo che morire di fame sotto un’oppressione. E poi tutti noi sappiamo che alcuni non ce la faranno. Ma il loro sacrificio non sarà inutile, se vivremo in un Paese libero.-
Nello sguardo di Shirou si poteva percepire tutta la sua volontà, la voglia di cambiare e il coraggio. Lo stesso che lo aveva spinto ad andare contro tutto e tutti, creare i Ribelli  e proclamare una rivolta. In quegli occhi grigi c’era un luccichio strano, che aveva convinto venti persone a seguire quella sua pazza e quasi impossibile idea.
Tutti i presenti lo guardarono in un muto assenso, erano pronti.
L’idea di Fubuki consisteva nel difendere i cittadini in modo da guadagnarsi la loro fiducia e appoggio. Spesso i soldati incaricati di proteggere la popolazione approfittavano del loro ruolo, quasi ogni giorno si sentiva parlare di violenze e abusi.
Il Sommo Imperatore non aveva mai fatto niente per fermare ciò; i soldati, nella gerarchia sociale, erano superiore ai comuni cittadini e andavano rispettati, avevano il libero arbitrio su chi era inferiore.
Il Piano di Shirou consisteva nel fermare questo. Voleva bloccare i soldati ogni volta che vedevano qualche abuso. Sarebbero diventati delle specie di protettori del popolo. Ovviamente non potevano farsi riconoscere, come minimo il Sommo Imperatore sarebbe venuto a prenderli e li avrebbe condannati alla morte. Avrebbero nascosto il loro volto con alcune maschere veneziane. Hera, che lavorava nel negozio di abbigliamento della madre, avrebbe procurato tutto il necessario.
La Rivoluzione stava davvero per iniziare.
 
 
Atsuya era appoggiato all’umida parete dei sottoranei, le braccia conserte e gli occhi chiusi. Quel posto gli era sempre piaciuto, era silenzioso e sembrava essere avvolto da un alone di mistero.
Effettivamente qualcosa di nascosto c’era: un passaggio sotteraneo che aveva scoperto Afuro qualche mese prima. Non lo aveva mai percorso, principalmente per paura, ma era quasi sicuro che portasse in città. Appena lo aveva saputo, Atsuya aveva deciso di andarci la mattina seguente, finalmente avrebbero visto Tokio.
-Scusa il ritardo Atsu-kun, ci ho messo un po’ di tempo per evitare tutti i servi che girano per il castello.-
Davanti a lui si presentò Afuro, avvolto da una mantellina scarlatta come la sua, il cappuccio, calato sulla testa, faceva intravedere gli occhi cremisi e quel ciuffo biondo che aveva sempre davanti al viso. Lui, al contrario dell’amico, non era molto entusiasta di quella trasgrezione. Infondo le regole erano state fatte per proteggere le persone, pertanto bisognava rispettarle. Almeno era quello che gli ripeteva sempre suo padre.
Di fronte ad Atsuya, però, non era riuscito a rifiutare. Forse era colpa della sicurezza che mostrava, lui aveva molto carisma. Riusciva sempre a rigirare le cose a suo favore. Inoltre Afuro si fidava ciecamente di lui.
In fondo, cos’è un amicizia senza fiducia?
Sapeva che Atsuya lo avrebbe protetto, in qualsiasi circostanza.
 
Era da quasi mezz’ora che camminavano lungo quel tunnel stretto e buio. La torcia dell’albino illuminava il terreno fangoso sul quale camminvano, in modo da non inciampare.
-Uff! Ma quanto manca alla fine? È da tantissimo tempo che camminiamo senza aver trovato nulla!-
Atsuya sbuffò dopo l’ennesima lamentela dell’amico, odiava quando si comportava come un bambino viziato, facendo esaurire la sua scarsa pazienza.
-Sarà passato solo un quarto d’ora, smettila di frignare e continua a camminare, lamentarti non serve a nulla.- quasi ringhiò le ultime parole e Afuro si zittì… per ricominciare dieci minuti dopo.
A fermare l’istinto omicida di Atsuya fu un qualcosa di indistinto infondo a quell’immenso corridoio. Il ragazzo lo illuminò con la torcia e sorrise felice nel constatare che era una porta.
Ci fu un istante di assoluto silenzio, i due ragazzi avevano addirittura smesso di respirare.
-Atsu-kun?
-Mh?
-Secondo te quella è-
-.
Subito i due ragazzi corsero emoziati verso quella porta, quel passaggio che portava sul mondo.
 
 
Shirou alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo quando sentì la porta del negozio aprirsi. Tra tutte le persone che potevano varcare quella soglia, lui era l’ultimo che si aspettava di vedere.
Occhi come la notte e pelle caramellata, Shuu si era seduto sul vecchio pavimento di legno (il negozio era privo di sedie o tavoli) e lo guardava aspettandosi la fatidica domanda.
-Cosa ci fai tu qui?
Appunto.
Il ragazzino mostrò un sorrisetto furbo e, allungando le gambe per stare più comodo, disse:- I ragazzi sono tutti impegnati, così ho deciso di venire qui, non sei contento Shi-chan?-
Shirou stentava a credere che il ragazzino che stava guardando in quel momento fosse lo stesso trovato due anni prima sotto un ponte insieme alla sorellina di sei anni. Non aveva mai capito per quale assurdo motivo li avesse accolti in casa sua, forse gli ricordavano lui durante la sua infanzia, quando viveva ancora in Hokkaido. Li aveva dato vitto e alloggio a una condizione: non dovevano mai disturbarlo durante il lavoro e, ovviamente, Shuu non la rispettava. Era un ragazzo ribelle, il cui unico desiderio era essere libero. E sapeva che Shirou non li avrebbe mai rimandati sulla strada, infondo provava affetto per loro.
I Ribelli erano nati per i giovani come lui, con sogni nella testa e un futuro ancora da scrivere.
-Tu non puoi stare qui. E non chiamarmi Shi-chan, mi irrita.-
Il tono che aveva usato l’albino potevano spaventare chiunque per la fredezza e l’irritazione, ma Shuu non era “chiunque”.
Il moro infatti, come se non avesse sentito, si avvicinò al bancone e sporse il busto in avanti, per vedere cosa stava leggendo l’altro. Ormai era abituato alla fredezza dell’albino.
-Quello è il giornale di Taiyo, giusto?-
Il diciannovenne si limitò ad annuire leggermente.
A Tokio, come probabilmente in tutto il Giappone, venivano venduti due giornali: uno era quello approvato dal Sommo Imperatore, che conteneva articoli falsi, dove si parlare del sovrano quasi fosse una divinità gentile e generosa; l’altro era venduto al mercato nero, costava un po’ di più dell’altro, ma dava informazioni vere sulla vita orrenda delle persone, sulle continue violenze che venivano fatte sui giovani e, da qualche tempo, trattava delle rivolte in Hokkaido.
Si trovavano in luoghi segreti ai soldati, Shirou il suo l’aveva preso da Taiyo, amico di Shuu, che li vendeva in una vecchia casa abbandonata un po’ fuori dal centro di Tokio.
-Quando hai finito me lo fai leggere?-
Il diciannovenne sbuffò dopo l’ennesima domanda del ragazzino.
-Shuu sta zitto o ti mando fuori a calci.-
 
Afuro non si sarebbe mai immaginato Tokio in quello stato. Certo, sapeva che il popolo era meno ricchio della sua famiglia, ma lì si parlava di povertà vera e propria. Molte case e condomini avevano l’intonaco scrostato, i piccoli giardini sembravano incolti da anni e in certe case al posto di alcune finestre o porte d’entrata c’erano dei buchi rettangolari, dei ladri potevano entrare facilmente. La cosa che lo aveva lasciato davvero senza parole erano i volti delle persone che camminavano sulle strade rovinate: erano tristi e rassegnati, sembrava che non ci fosse felicità.
Sicuramente suo padre non ne era al corrente, altrimenti avrebbe fatto qualcosa, doveva essere così.
Era talmente perso nei suoi pensieri da non accorgersi che si era allontanato da Atsuya e ritrovarlo in mezzo a tutta quella folla era impossibile. Subito gli prese il panico, che avrebbe fatto da solo in una città sconosciuta? Non sapeva dove andare o cosa fare!
Atsuya gli aveva detto che se si fosse perso sarebbe dovuto andare davanti al passaggio segreto che li aveva condotti lì, solo che non ricordava più dove si trovava. Non aveva mai avuto senso dell’orientamento, spesso si perdeva tra le numerose stanze della sua casa.
Stava per scoppiare a piangere in mezzo alla piazza quando un negozio attirò la sua attenzione. Era piccolo, ma gli abiti esposti nella modesta vetrina erano davvero belli, nemmeno i sarti di corte ne avevano fatti di così fantastici. Si mosse quasi meccanicamente verso la porticina di legno, come sotto incantesimo.
 
Dall’interno sembrava ancora più piccolo, ma i pochi vestiti esposti attirarono subito la sua attenzione, in special modo un completo messo in mostra su un manichino al centro della stanza: giacca in pelle rossa, maglietta bianca e jeans scuri, un abbinamento semplice e meraviglioso. Ne era talmente ipnotizato che non si accorse degli scatoloni davanti a lui e vi inciampò, cadendo rovinosamente a terra e rovesciando tutto il loro contenuto sul pavimento polveroso.
-Ehi ragazzina attenta a dove metti i piedi! Guarda che hai combinato!-
Davanti a sé comparve un ragazzo, probabilmente di due o tre anni più grande di lui, con i capelli marroni lunghi fino alle spalle e due occhi grigi che sembravano scavarti l’anima, aveva una cicatrice sulla fronte e Afuro si chiese come se l’era procurata, il taglio doveva essere stato molto profondo. Poi si rese conto di quello che gli aveva detto e subito scattò in piedi adirato.
Assurdo, lo aveva scambiato per una femmina…
-Guarda che io sono un ragazzo! Come hai osato pensare il contrario?!-
Il castano lo guardò prima in faccia e poi scese con lo sguardo un po’ più giù, sul petto. Afuro si sentiva fortemente a disagio sotto quegli occhi grigi e profondi, tanto che arrossì leggermente. Nel frattempo l’altro era ritornato a guardarlo in faccia per dire un atono:- Mh. Scusami, non ti avevo visto in faccia e per via della tua capigliatura ti avevo scambiato per una ragazza.-
 Il castano si inginnocchiò tranquillamente sul pavimento cominciando a raccattare i vestiti sparsi e rimetterli malamente nelle scatole, infondo ai clienti non importava granchè che fossero spiegazzati, bastava avere qualcosa addosso. Il biondo nel frattempo era rimasto pietrificato, nessuno aveva mai fatto un commento sui suoi capelli. Si prese in mano una ciocca color grano e la guardò dubbioso, cosa avevano che non andava?
Pose il quesito al ragazzo e lui, alzando di poco lo sguardo gli disse semplicemente:-Hai i capelli molto lunghi.
-E con questo?-
-Sono da femmina.-
Il volto del più piccolo si dipinse di un rosso vivido, gli capitava sempre quando si arrabbiava. Atsuya lo prendeva sempre in giro per quello chiamandolo “Campanellino” come la fatina di Peter Pan, una vecchia fiaba che sua madre li raccontava sempre. Ripensò per un attimo a quei momenti con molta nostalgia. Le mancava molto, se ne era andata di casa dieci anni fa’, improvvisamente, durante la notte.
-Stavi guardando quel completo giusto? Cosa ti interessa, la giacca, la maglia o i jeans?- il commesso lo ridestò dai suoi tristi pensieri, aveva finito di rimettere in ordine e lo stava scrutando, come per capire a cosa pensasse. Quegli occhi gli mettevano soggezione, sembravano trapassargli l’anima.
-Beh…tutto.- rispose Afuro con semplicità.
-Tutto?- ripetè l’altro guardandolo incredulo:- hai idea di quanto costa?-.
Si chinò ai piedi del completo raccogliendo un pezzo di carta rettangolare abbastanza grande, sopra c’erano scritti i prezzi dei singoli prodotti e il totale. Glielo diede in mano indicandogli il prezzo più alto. Nessuno a Tokio poteva permetterselo, ma sua madre non poteva abbassare molto i prezzi, infondo anche loro avevano delle tasse da pagare. Hera scrutò quel volto, aspettandosi di vederlo sorpreso; invece il ragazzino non cambiò espressione, semplicemente prese, dalla borsa a traccola che aveva con sé, i soldi mostrandoglieli.
I suoi occhi grigi si spalancarono meravagliati, con tutto quel denaro sarebbe riuscito ad arrivare a fine mese tranquillamente.
Chi diamine era quel ragazzino?
Ora che ci pensava, non lo aveva mai visto a Tokio e non sembrava appartenerci. Lo si poteva notare anche fisicamente: era bello, non che gli abitanti della sua città non lo fossero, anzi; ma la sua era un bellezza diversa. Il suo viso, le sue espressioni, non erano segnate dalla sofferenza e dal dolore, come quelle di tutte le persone che lo circondavano: erano pure, come quelle di un bambino o di un angelo.
Sì, sembrava decisamente un piccolo angelo biondo.  E poi aveva molti soldi, che nessuna persona normale possedeva. Hera giunse alla conclusione che quel ragazzino misterioso fosse il figlio o parente di qualche capo d’azienda, ma non gli importava molto se aveva soldi da spendere. Tanto, grazie ai Ribelli, non ci sarebbero più state quelle differenze, nessuno avrebbe più patito la fame mentre poche persone avevano tutte le prelibatezze del mondo sulla tavola.
Non ci sarebbero più state ingiustizie.
-Allora ti porto i vestiti così te li provi, che taglia porti?- Hera riemerse dai suoi pensieri cercando di concentrarsi sul suo lavoro.
Afuro non sapeva cosa rispondere, tutti i suoi capi erano fatti su misura dalle sarte di corte. Non si era mai posto il problema e questo lo metteva in imbarazzo, tanto che era sicuro di essere arrosito. Tuttavia il ragazzo sembrò comprendere la sua difficoltà e, solo per pochi secondi, sul suo viso comparve un sorriso beffardo. Poi lo riguardò per proclamare:- Mh, sei abbastanza mingherlino, credo che una S ti vada bene.-
 
Hera rimase incantato quando il ragazzino uscì dal camerino, un vecchio ripostiglio con una tenda al posto della porta, con addosso gli abiti richiesti. La giacca rossa si intonava ai suoi occhi, mentre i jeans aderenti li fasciavano elegantemente le gambe. Se lo avesse visto per strada, quasi sicuramente ci avrebbe provato.
Ma l’altro era un figlio papà, avrebbe sicuramente rifiutato le avance di uno sporco cittadino comune.
Il biondino aveva un bel corpo, e quegli abiti lo faceva risaltare benissimo. Sembrava essersene accorto pure lui, dato che si stava guardando, o meglio adorando allo specchio riempendosi di complimenti.
Tsk, vanitoso.
-Direi che lo compro, mi sta davvero bene!- esclamò il ragazzino prima di sparire di nuovo nel camerino. Tornò poco dopo con addosso una mantellina rossa e i soldi in mano, con l’altra teneva i nuovi acquisti.
-Ecco, tieni i soldi. Hai una bustina per i vestiti?-
Hera rise amaramente alla domanda del suo cliente rispondendogli:-Vorrei dirti di sì, ma i soldi scarseggiano quindi abbiamo tagliato alcune cose superflue, tra cui le buste.-
Afuro rimase molto sorpreso all’affermazione del commesso, la situazione doveva essere più grave del previsto.
Perché mio padre permette tutto questo?
Quella domanda apparve improvvisamente  nella sua mente e ci mise un po’ per farla sparire. C’era una spiegazione assolutamente logica per tutta quella povertà, doveva esserci.
-Ah. Allora niente, spero di ritornare qui!
Lo disse con una nota di amarezza nella voce, perché sapeva di non poter tornare, era meglio non contravvenire troppe volte alle regole del padre.
Afuro si diresse così verso l’uscita del negozio, col’intenzione di ritrovare Atsuya, sicuramente era molto preoccupato per lui. Ma, finchè stava appoggiando la mano sulla maniglia della porta, sentì la voce del comesso chiamarlo:- Ehi aspetta! Come ti chiami?-
-Afuro… Terumi. Tu?- adoperò il cognome della madre*, nessuno doveva sapere la sua identità.
-Hera, Hera Tadashi.
 
Avrebbe dovuto immaginarlo che sarebbe finita così.
In fondo conosceva Afuro, sapeva che aveva sempre la testa fra le nuvole. Era bastato volgere, per un momento, lo sguardo sulla folla in piazza che lui era sparito, non riusciva più a vederlo.
Sbuffò scocciato, sperando che l’amico non si fosse cacciato in qualche guaio. Se la loro vera identità si fosse scoperta, sarebbero successi enormi casini.
No, non poteva permettere che accadesse.
Con i suoi occhi grigi continuò a cercare una testolina bionda, ma la sua attenzione fu subito attirata dal rombo di un motore. Un camioncino nero si fermò nell’ampia piazza. Era la prima volta, da quando era a Tokio, che vedeva un veicolo. Sembrava che in quella città ne fossero privi, evidentemente si sbagliava. Tuttavia quel camion gli dava uno strano senso di inquietudine, soprattutto quando ne uscirono una decina di uomini. Atsuya li riconobbe subito: erano i soldati del Sommo Imperatore. Il centro di addestramento si trovavano vicino al castello e quando si arrampicava sugli alberi riusciva a vederlo. Ogni quattro ore partivano dei camion diretti in terre a lui sconosciute, almeno fino a quel momento.
Erano alquanto ambiqui in quel contesto, vestiti completamente di nero e armati di scudo e manganello, nella cintura un paio di pistole. Il popolo non sembrava stupito di vederli, tuttavia cercavano di starli il più lontano possibile, qualcuno lanciava di sfuggita un’occhiata seccata o impaurita.  Parlottarono tra loro e cominciaro a camminare, o meglio marciare, per la strada. Atsuya capì subito che si trattava di un turno di guardia, suo padre ne aveva parlato durante una delle sue lezioni private: Kageyama, per proteggere il popolo dai numerosi malviventi, aveva organizzato delle pattuglie che assicurassero la giustizia nella capitale. In quel momento, però, gli sembravano terribilmente sbagliati.
Dove i soldati passavano si creava un varco, si vedeva benissimo che il popolo aveva paura di loro e la cosa che lo disgustava di più era che i soldati sembravano coderci in quell’atteggiamento. Loro non avrebbero dovuto rassicurare il popolo invece di terrorizarlo? Non dovrebbero mescolarsi con loro in modo da avere la loro fiducia, essere umili e non superiori?
Più stava in quel posto, più tutti gli insegnamenti che aveva appresso nel corso della vita gli sembravano totalmente falsi.
Un urlo femminile lo ridestò dai suoi pensieri.
-Si può sapere che volevi fare sporca ladra?-
Cinque soldati avevano circondato una ragazzina, di circa dodici anni, e uno di questi la teneva per il polso urlandole contro. Da quel che aveva capito la ragazza aveva rubato una mela ed era stata scoperta.
-I miei genitori non hanno il l-lavoro… e io devo portare qualcosa ai miei fratelli!- tentò di giustificarsi lei.
Atsuya rimase sconvolto da quelle parole, l’ennesimo insegnanemento sgretolato. Fin da piccolo gli dicevano che Tokio, nonostante tutto, fosse una città dove si viveva bene, le persone lavoravano ed erano felici.
Bugie.
Sul volto del soldato comparve un sorriso languido e alcuni suoi compari sghignazzarono.
-Allora che ne dici di pagarci in natura, puttanella?-
L’albino si congelò sul posto nel vedere gli occhi della ragazzina pieni di terrore e disperazione, e quella parola rimbonbava continuamente nella sua testa.
Bugie.
Era una cantilena fastidiosa, una neina asfisiante che si imprimeva come inchiostro su carta nella sua mente.
Bugie.
Per la prima volta nella sua vita non sapeva cosa fare, era completamente paralizzato dallo shock. Per anni aveva immaginato cosa ci fosse oltre quelle mura enormi, che sembravano volerlo rinchiudere in una prigione d’oro.
Era davvero quella la libertà? Povertà e abusi in ogni dove?
Pregò mentalmente affinchè quella ragazza si salvasse e gettò qualche occhiata alle persone nella piazza, ma nessuno sembrava volerla aiutare.
Continuavano a camminare, testa bassa e sguardo sulle scarpe, ma si poteva leggere la paura sui loro volti.
Bugie.
Atsuya, mosso da qualcosa che non riusciva a definire, corse verso quei soldati, doveva salvare quella innocente vittima. Non stava pensando alle conseguenze che avrebbe portato il suo gesto e nemmeno che avrebbe potuto farsi molto male, sapeva solo che era la cosa giusta da fare.
Qualcuno evidentemente ebbe la sua stessa idea e lo anticipò. Una freccia, comparsa dal nulla, infilzò la carne del collo del soldato, e questo cadde a terra inerme lasciando il polso della ragazza. Nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo, che anche gli altri quattro caddero al suolo, uno dopo l’altro, uccisi da una freccia.
Tutti, in quell’enorme piazza, si fermarono.
Qualcuno aveva osato sfidare la legge.
E proprio quel qualcuno guardava dall’alto di un tetto di un palazzo la sua opera, il cappuccio nero ben calato in testa e l’arco in una mano.
Un sorriso sadico si dipinse sul volto.
Il primo passo era stato fatto.



*= ricordo che nella fic Afuro è il figlio di Kageyama, pertanto il suo cognome non è Terumi, ma, appunto, Kageyama.

Angolino pazzoide dell'autrice sclerata
Ehi gente!
Come potete vedere sono ancora viva.
Non sapete quanto mi dispiace aggiornare così di rado, ma ho troppe cose da studiare D:
In questi mesi mi sono data da fare per recuperare le materie insufficienti e quindi non ho avuto molto tempo per scrivere ^^
Ma questo a voi non interessa
Spero soltanto che questo capitolo non abbia deluso le vostre aspettative, onestamente è stata dura scriverlo, dato che è la cosa più lunga che abbia mai partorito!
Per il resto non ho molto da dire...
peace&love e viva lo yaoi!
Un abbraccio abbraccioso a tutti quelli che seguono questa cosa
Angy-chan




  
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