Capitolo
22
-
Posso
farti una domanda, Koushiro? –
Yamato si era
intrufolato nella sua
stanza appena gli altri avevano levato le tende. Il rosso
balzò per la
sorpresa.
“ Beh,
se non altro lo spavento mi
terrà sveglio per un po’!”
pensò e annuì: d’altronde Yamato non
era tipo da
accettare un “no” come risposta.
-
Ti
va di raccontarmi come sei riuscito a svegliarti dopo che avevi perso i
sensi?
Nei dettagli se non ti
dispiace… - lo
incalzò con un sorriso malizioso.
Koushiro
avvampò.
-
Francamente
sì, mi dispiace, sono cose…private… E
poi a che ti servirebbe? –
Yamato si
strinse nelle spalle con
fare innocente.
-
Beh,
dato che sei l’unico oltre a me e Mimi ad essersi
risvegliato, poteva essere
interessante sapere come di preciso
ci sei riuscito, così da mettere a confronto le nostre
esperienze, no? - gli
sorrise scaltro, sapendo di aver colpito nel suo punto debole: la sua
fame di
sapere.
-
O-ok…
- acconsentì il ragazzo, impacciato – Comunque non
è che ci sia molto da
raccontare… Ero immerso in quel torpore, di cui francamente
non ho alcun
ricordo, quando ho sentito la voce di Mimi. Non capivo cosa dicesse di
preciso,
mi sembrava solo molto turbata e io… - arrossì di
nuovo, abbassando lo sguardo
– a-avrei voluto consolarla, capisci? Poi l’ho
sentita piangere e non ce l’ho
più fatta, semplicemente dovevo
svegliarmi. E così è stato. –
-
Tutto
qua? –
Il rosso
alzò lo sguardo
sull’espressione sbigottita del biondo.
-
S-sì…
- sbiascicò, incerto.
-
L’hai
sentita piangere… ma non hai avuto una visione,
non hai visto né sentito altro? –
-
No…
-
Yamato sorrise
soddisfatto e fece per
andarsene, quando la voce del rosso lo richiamò.
-
Ah,
Yamato… -
-
Dimmi,
Koushiro. – si voltò a guardarlo, interrogativo di
fronte all’espressione
improvvisamente seria dell’amico.
-
A
proposito della tua caduta dalla moto: hai fatto una cosa davvero
stupida. Non
farlo più. –
Il biondo lo
fissò un attimo
esterrefatto, poi annuì e si defilò.
Gabumon
raggiunse Yamato sulla
terrazza dell’ospedale. Il prescelto guardava verso la
città buia, lo sguardo
perso nel vuoto e la mente affondata nei pensieri.
Il digimon
sospirò, sedendosi accanto
a lui: aveva imparato da tempo quanto insondabile potesse essere il
ragazzo.
-
Ho
bisogno del tuo aiuto, Gabumon. –
L’amico
sgranò gli occhi: credeva che
Yamato fosse momentaneamente perso in qualche ragionamento strano,
invece era
perfettamente reattivo. A volte credeva che non l’avrebbe mai
capito. Ma
ovviamente anche questa parte della loro amicizia poteva accettarla con
gioia,
perché lui era il suo prescelto.
-
Sai
che puoi sempre contare su di me, Yamato. –
-
Lo
so, amico mio. – gli sorrise il biondo, grato di avere un
alleato tanto fedele.
Quanto gli era
mancato il suo amico
digitale…
Ma quello non
era il momento per i
sentimentalismi. Corrugò la fronte, tornando serio e
pensieroso.
-
Ci
sono un paio di cose che non ho raccontato agli altri e che nemmeno
Gennai sa…
Riguardano Rumiko. –
Il digimon
annuì, in ascolto. Aveva
capito quanto la ragazza fosse importante per lui.
-
Gli
altri penserebbero che sono pazzo, ma io credo che Rumiko… -
scelse
accuratamente le parole – possa tornare… -
-
Intendi…
- esitò Gabumon – viva? –
Il ragazzo gli
sorrise.
-
Ma
non era… insomma, non l’avevi vista tu
stesso…? –
-
Sì,
so cos’ho visto quella notte. Ma il padre di Rumiko ha detto
di avere
fiducia…lui crede in Kitsunemon. –
-
Ma
cosa potrebbe fare? Per quanto sia potente, resta pur sempre un
digimon. E
senza le sua prescelta le sue capacità dovrebbero esser
più limitate… -
-
Sì
sì, lo so. – gettò la testa indietro
Yamato – Nemmeno io riuscivo a crederci
all’inizio. Ma poi ho fatto quel volo con la moto…
-
-
Una
cosa davvero stupida, Yamato. Non farlo più. –
intervenne il digimon,
serissimo.
Il ragazzo
restò un attimo
sbalordito, poi sorrise raggiante.
-
Sono
le stesse parole che mi ha detto lei… -
-
Lei
chi? –
-
Rumiko.
–
Ora Gabumon era
sicuro di non capirci
più nulla. Possibile che, come si andava sussurrando per i
corridoi, Yamato
avesse perso qualche rotella a causa di quella capocciata?
-
Non
ti seguo… -
-
Ascolta,
so che può sembrati assurdo, ed in effetti probabilmente lo
è… ma quando ho
battuto la testa e ho perso i sensi, è grazie a lei se mi
sono risvegliato.
Sono rimasto svenuto per un quarto d’ora
all’incirca, avvolto in quello stesso
sonno anomalo in cui sono costretti i Dormienti. Eppure io non mi
ricordo né di
aver chiuso né di aver riaperto gli occhi; se non me
l’avesse detto Masahiro
penserei di esser sempre stato sveglio. Invece a un certo punto devo
aver
riaperto gli occhi, ancora avvolto nello stesso torpore. Una volta
scacciato
definitivamente sentivo tutto: il dolore, il freddo, la sensazione di
bagnato
sulla tempia…vedevo il sangue sulla neve, nel punto in cui
ero caduto, sentivo
la voce di Masahiro…e poi ho visto lei.
Si è materializzata di fronte a me, in mezzo alla neve, si
è avvicinata e mi ha
detto “Hai fatto una cosa davvero stupida, Yamato. Non farlo
più.” Subito dopo
è scomparsa. –
Sospirò.
–
Non
so come sia possibile, non ci crederei nemmeno io se non
l’avessi vissuto
personalmente… Ho parlato con Koushiro poco fa e mi ha
spiegato com’è riuscito
a svegliarsi: ha sentito la voce di Mimi, l’ha sentita
piangere accanto a lui…e
si è svegliato per poterla consolare. –
-
Beh,
non che io ci capisca molto di queste cose – ammise il
digimon, imbarazzato –
ma mi pareva che tra loro ci fosse un sentimento speciale… -
-
Sì,
lo so anch’io, ma il punto è che lui è
stato strappato al sonno dalla presenza
di Mimi. –
-
Una
cosa piuttosto reale. –
sottolineò il
digimon.
-
Infatti!
Solo qualcosa di altrettanto reale avrebbe potuto strappare anche me da
quel
sonno. –
-
Ma
quella di Rumiko è stata solo
un’allucinazione… -
-
Forse no. –
sorrise il biondo.
Gabumon scosse
la testa, perplesso.
-
Ascolta,
amico mio: – gli accarezzò il capo Yamato
– Mimi è stata risvegliata da una
sorta di anticorpi che è riuscita a sviluppare nel giro di
un anno. Koushiro
dalla presenza della ragazza di cui è innamorato, bisognosa
di conforto.
Entrambi hanno ricevuto una sorta di “aiuto”, chi
dall’interno, chi
dall’esterno. Ora, volendo escludere che io provi
un’attrazione passionale nei
confronti di Masahiro – esibì una faccia
esageratamente disgustata apposta per
strappare una risata al digimon – e non volendo
sopravvalutare le mie capacità
di autodifesa e sminuire quelle di Mimi… direi che
è stato qualcos’altro
ad aiutarmi. –
-
Sì,
ma cosa? –
-
Già,
cosa? Eppure in mezzo al buio, la
neve e il freddo di questa città solitaria non
c’era niente che avesse
un potere tale su di me. E Masahiro ha confermato
di non aver scorto nulla all’infuori di me. L’unico
ad aver visto qualcos’altro
sono stato io, per quanto si trattasse di una visione. E
poiché ero sveglio,
non credo che a inviarmela sia stato Alptraumon. –
-
Avrai
battuto la testa un po’ troppo forte. –
azzardò il digimon.
-
È
quello che pensano tutti, da queste parti… - gli
ammiccò – Ma io ho un’altra
teoria. –
Yamato
riportò lo sguardo sulla città
buia e deserta. Un paesaggio davvero lugubre.
-
Gabumon,
tu sai cosa sono i fantasmi? –
-
Fantasmi?
–
-
È
una delle tante leggende che si tramandano nel nostro mondo. Si
racconta che lo
spirito di coloro che muoiono anziché ascendere al Cielo
come tutte le altre
anime, a volte resti intrappolato nel mondo dei vivi. Di solito
ciò accade
perché hanno delle “faccende in
sospeso”, come un compito da portare a termine
o qualcuno da proteggere. Sono invisibili a tutti, fuorché
ad alcune persone
“speciali”, o perché a loro care oppure
perché dotate di qualche potere
particolare. Ufficialmente sono storie molto affascinanti ma prive di
fondamento, in realtà nessuno è mai entrato in
contatto con una di queste
anime. Tuttavia… - si girò a guardarlo, lo
sguardo volto a scrutare gli
occhioni dolci dell’amico – nessuno ha mai creduto
nemmeno all’esistenza di
altri mondi paralleli al nostro e tanto meno all’esistenza di
straordinarie
creature digitali. –
Gabumon
arrossì, imbarazzato e
felice. Yamato avvolse il digimon con un braccio, stringendolo accanto
a sé.
-
Eppure
io ci credo. Ho un amico digitale e
sono finito innumerevoli volte nel suo mondo. E so
che ve ne sono altri, paralleli ai nostri, sebbene meno
accessibili. E così come noi attraverso il portale digitale
aperto dai nostri
pc, sono sicuro che anche da quei
mondi è possibile comunicare, in qualche modo. –
Strinse la presa
sul compagno, quasi
fosse in cerca di maggior energia per quanto stava per dire.
-
Se
credo in tutto ciò, allora posso anche credere nei fantasmi.
– corrugò la
fronte, concentrato e deciso – La visione che ho ricevuto, il
vostro ripetere
le sue stesse parole, sono tutti messaggi che Rumiko mi sta mandando
per farmi
sapere che lei c’è, da qualche parte, e che veglia
su di me. È stata lei a
risvegliarmi da quel sonno maledetto, ne sono sicuro.
– abbassò il capo – E
tornerà… - disse a voce più bassa,
quasi stesse parlando a se stesso – Molto presto
tornerà… -
“…da
me…” concluse nella sua mente,
in un una muta preghiera.
Kitsunemon fece
ondeggiare le nove
code, rilassandosi: Yamato sembrava esser finalmente giunto alla
conclusione
che si aspettava. Tuttavia le cose, nel Mondo Reale, non erano affatto
semplici…
Aveva speso non
poche energie per
risvegliare Yamato dal sonno di Sandmannmon, e sperava che il digimon
non se ne
fosse accorto: ora come ora era meglio che lui e, soprattutto, Angstmon
non
sapessero dove lei e la sua prescelta si trovassero. Avrebbero intuito
le sue
intenzioni e avrebbero fatto di tutto per distruggere il corpo di
Rumiko, così
da rendere vana ogni speranza.
“
Già, la speranza…”
Per questo aveva
inviato a Yamato
quella visione e aveva messo le stesse parole in bocca ai suoi amici:
voleva
che lui continuasse a sperare e credere.
Sfiorò
teneramente il volto gelido
della sua prescelta. Suo padre credeva in lei, Yamato pure. E
lei…lei, che era
il suo digimon, la sua compagna, la sua amica, l’altra
metà della sua anima…lei
avrebbe dato tutta se stessa per aiutarla.
Ma era lei il vero ostacolo…
Perché non credeva in se stessa, perché aveva
perso l’ultimo barlume di speranza prima che il suo corpo
cadesse a terra,
privo di vita.
La volpe bianca
spostò lo sguardo
sullo Specchio del Limbo.
Eppure era
là, la poteva vedere in
quella pozza scura, rannicchiata sul fondo di quel lago infernale,
apparentemente vicina eppure mortalmente lontana. Aveva gli occhi
chiusi, i
lunghi capelli fluttuavano attorno al suo corpo nudo, mentre le braccia
stringevano quasi spasmodicamente le ginocchia al petto. Sembrava
terrorizzata,
sofferente e bisognosa di conforto.
Ma Kitsunemon
sapeva che se fosse
entrata in quelle acque l’immagine si sarebbe dissolta e i
flutti l’avrebbero
inghiottita per sempre, condannandola alla peggiore delle
pene…
Rabbrividì,
riabbassando il capo e
appoggiandolo alle zampe. Rumiko non poteva vederla, finché
si ostinava a
tenere gli occhi chiusi, e per quanto lei l’avesse chiamata,
la ragazza non
aveva mai dimostrato di riuscire a sentirla. Probabilmente si rifiutava
di
farlo.
Ancora una
volta, la frustrazione
minacciò di prendere il sopravvento. Tuttavia
ripensò a coloro che le volevano
bene e avrebbero desiderato riabbracciarla. Perfino quella graziosa
palla di
pelo marrone di nome Caffè. Ma, soprattutto,
ripensò al motivo per cui la sua
anima si trovava imprigionata nello Specchio del Limbo,
l’unica finestra tra il
Mondo dei Morti e quello dei Vivi: Rumiko aveva delle
“faccende in sospeso” e
diverse persone da proteggere.
-
La
domanda ora è: – sussurrò Kitsunemon, e
la sua voce parve quasi assordante nel
paesaggio deserto e silenzioso – quello che hai alle spalle e
che ti richiama a
gran voce è abbastanza importante per te da tornare indietro
e lottare ancora?
O sei troppo stanca e amareggiata e preferisci scegliere la via
più semplice? –
La presa sulle
ginocchia si rafforzò,
ma le palpebre si socchiusero appena, rivelando due iridi viola.
Sandmannmon fece
scorrere lo sguardo
maligno sulla città buia, soffermandosi sull’unico
puntino luminoso: l’ospedale
in cui erano radunati i superstiti al primo attacco.
Annusò
l’aria: era impregnata di
ansia, agitazione mal repressa e paura.
Trotterellò
sul cornicione dell’alto
palazzo.
Non gli sarebbe
dispiaciuto fare una
capatina dagli Svegli, giusto per spaventarli un
po’…
Il rombo alle
sue spalle frenò i suoi
pensieri e il digimon dalle sembianze di troll si voltò di
scatto, trovandosi a
pochi metri da due narici ardenti come braci. Quasi fece un balzo
indietro per
lo spavento: Angstmon sapeva essere davvero
terrificante.
-
Ho
capito, ho capito! – gracchiò il Fante di Sabbia
– Li lascerò in pace… -
“ Per
ora…” concluse nella sua mente.
-
Però
tu evita queste entrate in scena così rumorose, o mi farai
venire un infarto! –
Il gigantesco
cavallo nero non parve
badare alle sue parole, perché prese la rincorsa dal fondo
della terrazza e,
con un grande rombare di zoccoli, spiccò un balzo nel vuoto,
librandosi
nell’aria fredda e immota.
Galoppava nel
cielo plumbeo,
mimetizzandosi tra le nuvole scure, promesse di tempesta. Ogni tanto
faceva
esplodere un tuono qua e là, assaporando il terrore che quei
semplici agenti
atmosferici sapevano incutere negli umani.
Le fauci
fameliche si piegarono in un
sorriso spaventoso.
Quanto erano
deboli gli esseri umani…
I loro fragili cuori potevano essere spezzati con facilità,
i loro propositi
deviati e i loro ideali infangati… I loro stessi sentimenti
non erano nulla più
di un battito d’ali di farfalla, troppo effimero per durare
nel tempo e
resistere alle difficoltà della vita di tutti i
giorni… Figurarsi se avrebbero
retto all’inferno che stava per scatenarsi su di
loro…
Sbuffò
e due fasci di fiamme vennero
esalati dalle narici. Sandmannmon si accontentava di far addormentare i
cittadini, poiché il digimon-troll aveva una mente limitata
e votata più al
dispetto che alla distruzione. Amava giocare con le sue vittime,
trovava
piacere nel terrorizzarle, ma mai quanto
Angstmon. Per lui la paura che si poteva percepire nell’aria
era semplicemente deliziosa.
Tuttavia, per
quanto infinitesimale
al suo confronto, Sandmannmon gli tornava parecchio utile.
D’altronde era stato
lui a risvegliarlo da quel sonno profondo in cui era costretto da
diversi
secoli: curioso e ignorante dei pericoli che correva, il Fante di
Sabbia aveva
desiderato potersi avvalere di un destriero nelle sue scorribande. E
quale
cavalcatura migliore di un antico Demone, rinchiuso da tempo
immemorabile nelle
profondità di una montagna?
Il nome che gli
avevano dato gli
Uomini in passato era Angst, altrimenti conosciuto come Terrore,
poiché era
l’essenza stessa della paura, un fantasma portatore di
angoscia. Il digimon
l’aveva ribattezzato Angstmon e gli aveva detto che
d’ora in avanti avrebbe
seguito il suo volere. Il cavallo infernale aveva sorriso crudelmente,
compiaciuto dell’ingenuità del troll dei sogni.
L’aveva
assecondato nel suo piano di
seminare terrore nella città di New York, intravedendo una
buona occasione per
fare una bella scorpacciata di anime corrotte e rimettersi in forze,
dopo la
lunga immobilità della reclusione.
Ma qui aveva
fiutato un’interessante
novità: un digimon ultraterreno e il suo prescelto, una
giovane umana di nome
Rumiko. Aveva percepito un forte legame tra di loro e
un’energia non
indifferente. Da sole erano insignificanti, insieme erano… qualcosa che Angstmon non aveva mai visto
prima d’allora, sebbene
il Demone potesse vantare un’esistenza di parecchie
generazioni.
Aveva suggerito a Sandmannmon ti tenere sotto
controllo un’altra giovane
digiprescelta che viveva nella città, giusto per
precauzione: sapeva bene che
se Gennai, il ficcanaso custode di Digiworld, aveva adocchiato quella
coppia
speciale non avrebbe resistito alla tentazione di vederla in azione. E lui gliene avrebbe dato un valido
motivo.
Così
era avvenuto lo scontro diretto
e quel potere che Angstmon aveva fiutato si era sprigionato. Ma
qualcosa era
andato storto: il corpo del Demone, non ancora nel pieno delle sue
forze, stava
per essere disintegrato. Così, ruggendo di rabbia e giurando
vendetta, aveva
fatto quanto era in suo potere per evitare la sconfitta totale: aveva
trasferito la sua anima e la sua essenza nel corpo di Rumiko,
l’unico essere
umano abbastanza forte da sopportare la sua presenza, ponendovi un
sigillo.
Necessitando anche di una chiave che potesse liberarlo nuovamente, nel
momento
più opportuno, trasferì Sandmannmon nel corpo
della prescelta che già si
trovava sotto il suo controllo.
Sarebbe
trascorso un anno, tempo
sufficiente perché un nuovo piano venisse elaborato e le
energie recuperate.
Poi Sandmannmon avrebbe trovato il modo di ritrovarsi faccia a faccia
con
Rumiko. Sarebbe stata lei a
liberarlo,
poiché solo lei conosceva il loro nome, nonché
chiave per rompere il sigillo.
Una volta fatto ciò, Sandmannmon avrebbe pronunciato la
formula per
restituirgli materialità.
Il cavallo
demoniaco abbassò gli
occhi crudeli sul paesaggio sotto di lui.
Da qualche parte
in quella dimensione
si andava raccontando che Dio aveva creato il loro mondo in sei giorni.
Nitrì,
e il suono di un milione di
urla di angoscia stridette nell’aria, facendo accapponare la
pelle agli Svegli.
Lui avrebbe impiegato lo stesso
tempo a
distruggerlo, a cominciare da quella città. E questa volta
non ci sarebbero
state esplosioni traditrici.
-
Cos’è
stato?! –
Sora si strinse
a Taichi,
terrorizzata. Il ragazzo sospirò: se la situazione non fosse
stata tanto
tragica, avrebbe gioito di quel contatto.
Avvolse le
spalle della rossa con un
braccio, stringendola ancor di più a sé.
-
Tranquilla,
Sora… Sono vicino a te. –
Lei
annuì, un poco imbarazzata:
talvolta Taichi era irriconoscibile, sembrava quasi…
-
…un
uomo. –
-
Come?
– la guardò il castano, perplesso.
-
N-niente!
– distolse lo sguardo la ragazza.
Lui fece
spallucce: le donne.
Si trovavano sul
terrazzo
dell’ospedale e Sora fece scorrere lo sguardo sul cortile
sottostante, in cui i
bambini avevano smesso di giocare per tapparsi le orecchie e
rannicchiarsi a
terra, spaventati.
-
Tai,
forse dovremmo scendere nel cortile per consol… -
Ma un altro coro
di urla strazianti
squarciò il cielo e la ragazza fu costretta a imitare i
bimbi, coprendo le
orecchie con le mani guantate e accucciandosi sulle mattonelle.
Istintivamente
chiuse gli occhi, quasi che i fantasmi che avevano dato vita a quei
suoni
terrificanti potessero materializzarsi di fronte a lei. Dopo pochi
minuti,
invece, schiudendo le palpebre si ritrovò a pochi centimetri
dal volto di
Taichi, che l’aveva imitata.
Gli occhi
nocciola del ragazzo erano fissi
nei suoi, dolci e profondi. Sora si rilassò, perdendosi in
quel mare di
serenità, traendone forza e coraggio.
Lui le sorrise e
lei fu certa che il
calore di quel gesto sarebbe stato in grado di sciogliere la neve ai
loro
piedi. Invece a liquefarsi fu il suo cuore, che accelerò i
battiti e la spinse
ad azzerare la distanza tra loro.
Sora lo
baciò e quel momento fu come
lei se l’era sempre immaginato: carico di dolcezza e
tenerezza. In un primo
momento la bocca del ragazzo restò rigida contro la sua, poi
anche lui si
lasciò andare e le labbra risposero istintivamente a ogni
carezza di quelle di
lei.
Approfondirono
il bacio.
In quel momento
un altro coro di strilla
infernali squarciò l’aria, interrompendo
quell’attimo magico. Le loro bocche si
separarono, ma la fretta fece battere le loro teste l’una
contro l’altra. Il
colpo fece perdere loro l’equilibrio ed entrambi rotolarono
nella neve, urlando
di dolore non tanto alla fronte quanto ai timpani scoperti e perforati
da
quelle urla.
Quando anche
quell’ondata terminò, i
due giovani si ritrovarono ansanti e fradici. Quello che prima era
stato un
manto candido intervallato da poche impronte, ora sembrava che avesse
fatto da
ring a un incontro di lotta libera.
Taichi si
voltò a guardarla. Il petto
di Sora si alzava e abbassava ritmicamente, la sua bocca aperta esalava
piccole
nuvolette di vapore. Si soffermò un attimo su quelle labbra
umide e leggermente
arrossate, sulle guance colorite, le ciglia bagnate e nere come
inchiostro, i
capelli rossi appiccicati alla fronte su cui forse sarebbe comparso un
bernoccoletto. Distendendo il braccio avrebbe potuto toccarla. E
così fece.
Allungò
una mano priva di guanto per
sfiorarle una guancia, delicatamente. Lei si voltò a
incontrare il suo sguardo.
Taichi
vagò in quelle iridi nocciola
screziate di pagliuzze dorate, che scintillavano di gioia. Fece
scorrere le
dita sulla sua pelle morbida, dallo zigomo fino alle labbra piegate in
un
sorriso. Lei non si mosse, lasciando che lui prolungasse più
a lungo possibile
quel contatto delicato.
-
Cosa
pensi? – le chiese lui, la voce ridotta ad un sussurro.
Il sorriso di
lei s’allargò.
-
Penso
che dovremmo ricominciare da dove ci siamo interrotti, prima che quelle
urla
riprendano. –
Taichi rise,
rotolando su un fianco e
portandosi su di lei, a quattro zampe.
-
Non
ero io il digiprescelto del Coraggio? – scherzò
lui.
-
Sì
– gli rispose lei, scostandogli una ciocca di capelli fradici
dalla fronte – ma
io sono quella dell’Amore… -
Il sorriso che
lui le regalò la fece
ammutolire. Poi Taichi si chinò nuovamente sulle sue labbra.
-
Beh,
vi pare il momento di giocare a palle di neve?! –
sbraitò Daisuke, appena li
vide incedere attraverso il corridoio.
-
Palle
di neve? – parlarono contemporaneamente Taichi e Sora.
Poi si
guardarono a vicenda: solo
allora si ricordarono di essere ancora fradici e infreddoliti.
Scoppiarono a
ridere simultaneamente
e il suono delle loro fresche risate parve per un attimo ripulire
l’aria del
terrore di pochi minuti prima.
Daisuke
sbattè le palpebre,
sbigottito e offeso dall’effetto di quello che doveva suonare
un rimprovero.
Mei scosse il
capo, armata di
secchiello e straccio.
-
Non
riderebbero se toccasse a loro
ripulire i corridoi. –
Ma Taichi e Sora
non poterono fare a
meno di aumentare il volume delle loro risate.
Più
tardi si sarebbero offerti di
asciugare loro la scia d’acqua che avevano lasciato lungo i
corridoi, un po’
per rasserenare una seccatissima Mei, un po’ per non
lasciarsi sfuggire
un’altra occasione di restare da soli.
Le urla
strazianti si ripeterono per
diverse ore durante tutta la giornata, a distanza di al massimo dieci
minuti
l’una dall’altra. Manco a dirlo, tra gli Svegli
cominciò a serpeggiare il
panico. Sembravano le grida di uomini e donne sotto tortura, incapaci
di
pronunciare verbo ma che caricavano nelle loro voci tutto il dolore che
provavano.
Tuttavia era
impossibile capirne
l’esatta provenienza, sebbene tutti concordassero che
sembravano propagarsi dal
cielo burrascoso.
-
Ma
com’è possibile?!
– Koushiro si passò
una mano tra i capelli spettinati.
Mimi lo
guardò preoccupata. Da quando
si era risvegliato non aveva più chiuso occhio e mangiava
appena. Sosteneva che
il cibo faceva assopire, perciò andava avanti a
caffé e pochi altri alimenti.
Il suo volto pallido e magro era segnato dalle occhiaie sempre
più profonde,
che conferivano agli occhi scuri l’aspetto di due crateri di
pece.
Non che Mimi
avesse intenzione di
tornare sui suoi passi, intendiamoci, il suo Koushiro sarebbe rimasto
adorabile
per mille altri motivi. Però il suo aspetto trascurato
metteva la ragazza a
disagio, soprattutto per l’impotenza che si era accorta di
avere per quanto
riguardava certe sue scelte.
Koushiro era
sempre stato un ragazzo
d’oro, gentile e dolcissimo, su questo non c’erano
dubbi. Ma la ragazza si era
recentemente accorta anche di quanto potesse essere caparbio. Sembrava
quasi
che avesse deciso di non curarsi del suo corpo fintanto che non fosse
venuto a
capo di tutti i dubbi che lo tormentavano.
-
Koushiro…
- gli si avvicinò la ragazza, arricciando il naso di fronte
alla sua scrivania
ingombra di carte, libri e, ovviamente, l’inseparabile pc e
relativi
marchingegni; accanto allo schermo l’ormai altrettanto
indivisibile tazza di
caffé, ormai freddo.
-
Non
riesco a capire!
– protestò il rosso, reggendosi la fronte con una
mano.
Mimi
pensò che le grida non dovevano
aiutarlo a concentrarsi. E sapeva bene quanto Koushiro detestasse esser
distratto mentre cercava di districare la matassa di un ragionamento.
-
Forse
dovresti mangiare qualcosa… - azzardò lei, a
bassa voce.
-
Non
devo mangiare, Mimi, devo capire. – parlò a
occhi chiusi lui –
Devo capire come fare a intrappolare Sandmannmon, che a quanto pare
trova molto
divertente farci delle sortite e poi svignarsela, scomparendo nella
città buia.
E devo capire da dove vengono queste urla, chi le sta provocando e
soprattutto perché!
– si lasciò andare contro lo
schienale della sedia, sfinito – Perché
Sandmannmon ha voluto addormentare un’intera
città? Perché
non siamo ancora stati attaccati? Che cosa
aspettano?! E che ruolo ha Angstmon in tutto ciò? Perché né io
né Gennai riusciamo a
capire cosa sia? Ho idea che non
sia
un digimon come gli altri, ammesso che effettivamente lo
sia… Per quanto ne
sappiamo potrebbe essere qualsiasi
cosa, il fatto che sia entrato in contatto con Sandmannmon non prova la
sua
natura. –
-
M-ma
non esistono creature simili nel nostro mondo! – intervenne
Mimi – Solo a Digiworld…
-
-
Sandmannmon
ha sfruttato un varco lasciato aperto per giungere in questo mondo. Ma
per
quanto ne sappiamo potrebbero essercene a centinaia,
che si affacciano su altrettanti mondi paralleli…Persino
alcuni di noi hanno
avuto modo di trovarsi in altre dimensioni parallele… -
Mimi
rabbrividì, al ricordo del
racconto spaventoso di Kari.
-
Dunque
– aveva ripreso il discorso Koushiro, parlando più
a se stesso che alla ragazza
accanto a lui – non è da escludere che Sandmannmon
abbia fatto visita a qualche
altro mondo, prima di giungere nel nostro, e che in uno di quei
viaggetti si
sia imbattuto in Angstmon… -
-
Ma
è un nome da digimon… - protestò lei,
in tono quasi infantile.
-
I
nomi possono essere storpiati facilmente… - le rispose
Koushiro distrattamente,
mentre era chiaro che la sua mente aveva ripreso a galoppare
– Sandmannmon è un
digimon d’altronde…sarà quasi
un’abitudine per lui aggiungere il suffisso
“-mon”… -
Liberò
frettolosamente la tastiera
del computer e aprì
Mimi si
allungò per sbirciare lo schermo.
Una lista di
siti in tedesco si
srotolò sotto i suoi occhi. La maggior parte erano
traduttori, che davano al
termine il significato di “paura”,
“terrore”, “ansia”. Nulla di
nuovo, insomma.
Eppure Koushiro
pareva aver fiutato
una pista.
-
Cosa
vedi in tutto ciò che io non riesco a scorgere? -
sbuffò Mimi – Questo non fa
che confermare quanto ci ha detto Gennai, cioè che si nutre
della paura… -
-
Infatti,
Mimi… - si voltò a guardarla,
improvvisamente sorridente – E non ti pare una coincidenza
piuttosto curiosa
l’associazione tra la sua natura e questo termine tedesco?
Scommetto che
spulciando le leggende della Germania possiamo trovare qualcosa al
riguardo! –
le strizzò l’occhio.
-
Credi
dunque che quel mostro venga dal nostro mondo?!
–
-
Probabilmente
no, Mimi…ma come il nostro mondo è in stretto
contatto con Digiworld, allo
stesso modo potrebbe esserlo con altri…magari in tempi molto
antichi qualcuno è
sbarcato nella dimensione da cui proviene Angst e questo spiegherebbe
l’origine
del suo nome… -
-
Non
capisco cosa speri di trovare. – scosse il capo Mimi
– Si tratta comunque di un
mostro appartenente ad un altro
mondo. Perché dovrebbe esserci qualche informazione su di
lui in questo? Se anche qualcuno
fosse finito
in quella dimensione, probabilmente non ne ha mai voluto parlare, per
paura di
esser preso per matto, e il segreto è ormai morto e sepolto
insieme a lui. Una
volta bruciavano le persone se
andavano in giro a raccontare cose strane… -
-
Lo
so, Mimi. – le accarezzò una guancia, gentile.
Come faceva la
gente a dire che Mimi
era stupida? Il fatto che a volte fosse un po’ superficiale e
molto attenta
alle cose materiali, nulla toglieva alla sua intelligenza.
-
Tuttavia
pensa a noi. – le sorrise
teneramente
– Abbiamo fatto diversi viaggi in un altro mondo e siamo
entrati in contatto
con le creature che lo popolavano. Non l’abbiamo sventolato
ai quattro venti,
eppure altre persone all’infuori di noi sanno dei digimon. I
nostri genitori,
alcuni amici… Gli stessi digimon sono comparsi diverse volte
nel Mondo Reale e
sono stati visti da centinaia di persone. Forse non sono
l’argomento del
giorno, probabilmente la maggior parte della gente crede di aver avuto
un’allucinazione, ma non mi stupirei se qualcuno ne fosse
stato ispirato per un
romanzo o un’opera d’arte. –
Abbassò
il capo, afferrandole una
mano e accarezzandola delicatamente.
-
Forse
non troverò nulla, ma non so più dove sbattere la
testa. Io devo capirci qualcosa di
più in questa
faccenda! –
Mimi
annuì: tipico di Koushiro.
-
Va
bene – parve acconsentire la ragazza – ma tenta di
non stancarti troppo,
d’accordo? –
Fece per
andarsene, quando la voce
del rosso la richiamò.
-
Mimi…
-
-
Dimmi.
– si voltò a guardarlo perplessa.
-
Avrei
un certo languorino… -
Koushiro le
sorrideva gentile, le
guance leggermente imporporate. Lo stava facendo per lei,
perché aveva notato
la sua preoccupazione per la sua salute, ne era sicura. Ma non lo dette
a
vedere.
-
D’accordo,
genio. Però dovrai mangiare tutto.
–
lo ammonì.
Lui
annuì, balbettando un “grazie”.
Mimi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
-
Grazie
a te, Koushiro… - sussurrò rivolta alla porta.
Poi
aggrottò la fronte e sbuffò: gli
avrebbe anche preparato un bel tazzone di caffè.
Yamato aveva
mille dubbi per la testa.
Solo una certezza risultava cristallina nel suo cervello: doveva
aiutare Rumiko
a tornare. Qualcosa dentro di lui gli diceva che tutto sarebbe tornato
a posto
non appena lei avrebbe fatto la sua ricomparsa. Certo, una parte di lui
si
ostinava a rammentargli che tale convinzione era dettata
dall’amore che provava
nei suoi confronti, ma Yamato aveva smesso da tempo di dar retta a
quella
vocina.
Innanzitutto
avrebbe avuto bisogno di
informazioni. E quale luogo migliore per effettuare una ricerca se non
la
biblioteca? Dubitava però che in quella centrale di Tokyo
avrebbe trovato
qualche informazione utile su come riportare in vita i morti.
Tuttavia si era
impossessato di un
computer dell’ospedale e aveva preso a fare ricerche. Doveva
pur esserci un
qualche filosofo che avesse compiuto degli studi in merito. Se
c’era una cosa
che aveva imparato degli esseri umani, infatti, era che non vi era
limite alla
loro curiosità.
Ma dopo mezza
giornata passata a
rovistare nel web non aveva ancora trovato nulla
d’interessante, solo ciarpame.
Si accasciò sulla sedia, sfinito, e dette alcune grandi
sorsate alla tazza di
caffé che teneva sempre a portata di mano. Spesso si
chiedeva quanto tempo
sarebbe passato prima che il suo organismo si adattasse a quella
bevanda e la
caffeina non riuscisse più a tenerlo sveglio.
Lanciò
un’occhiata ai suoi compagni
di sotterfugi (non aveva accennato agli altri delle sue intenzioni, era
certo
l’avrebbero preso per pazzo e lo avrebbero ostacolato in
tutti i modi).
Gabumon e
Masahiro conversavano
amabilmente, il primo appollaiato su un mobiletto, il secondo seduto a
cavalcioni di una sedia, le braccia conserte appoggiate allo schienale.
Inizialmente il digimon non aveva nascosto la sua reticenza ad
accettare la
presenza di quell’uomo accanto a sé e soprattutto
al suo prescelto. Yamato
aveva sorriso della sua gelosia e gli aveva raccontato
dell’incontro-scontro
con Masahiro. Il digimon aveva ascoltato in silenzio e lentamente,
seppur
all’inizio con riluttanza, aveva cominciato a mostrarsi
più gentile nei
confronti dell’uomo. Ma appena quest’ultimo prese a
raccontargli dei suoi
viaggi e di tutto ciò che aveva avuto modo di vedere,
Gabumon ne era rimasto
affascinato almeno quanto Yamato, gioendo a sua volta nel raccontare
aneddoti e
avventure vissute col suo prescelto.
Quello che
stupiva realmente il biondo,
tuttavia, era la semplicità con cui Masahiro aveva accettato
non solo di
trovarsi catapultato in quella situazione tenebrosa, ma anche di
passare le sue
giornate in compagnia di un ragazzo praticamente sconosciuto e una
creatura
digitale decisamente fuori dal comune.
-
Te
l’ho detto, ragazzo – gli aveva semplicemente
risposto Masahiro, quando Yamato
gli aveva esposto la sua perplessità – ti trovo un
tipo piuttosto in gamba e
interessante, decisamente cresciuto, per la tua età.
–
-
Ti
sembro saggio? – aveva alzato un sopracciglio il biondo,
scettico.
-
I
“grandi” non sono necessariamente saggi, ma hanno
sulle spalle maggiori
esperienze, responsabilità e problemi. Anche se sono sempre
stato convinto che
la maggior parte di questi ultimi se li creano da soli. – si
era stretto nelle
spalle.
-
E
per quanto riguarda Gabumon? –
-
Credo
sia un tipo parecchio forte anche lui. All’inizio pensavo
fosse un animaletto
da compagnia decisamente più bizzarro di quelli che avevo
visto fin ora. Ma
parlandoci mi sono ricreduto: se tu sei un giovane adulto, lui invece
è un
bimbo maturo. –
Yamato aveva
riso.
-
Un
bimbo maturo? Tralasciando il controsenso…ma non sono la
stessa cosa? –
-
No.
– gli aveva spiegato Masahiro, come se fosse una cosa ovvia
– Un giovane adulto
è un ragazzo che ha vissuto più esperienze e
attraversato più difficoltà di un
suo coetaneo. Questo l’ha fatto maturare anzitempo, gli ha
caricato le spalle
di doveri che un ragazzo della sua età non conosce neppure e
gli ha plasmato la
mente, rendendola disillusa e contorta come quella di un adulto. Un
bambino
maturo, invece, sebbene abbia vissuto le stesse esperienze e dovuto
superare
gli stessi ostacoli, non ha permesso che gli eventi avessero la meglio
su di
lui. È rimasto lo stesso bambino sognatore, in grado di
sperare e credere
ciecamente, semplicemente per affetto. –
Aveva ammiccato
a un meditabondo
Yamato.
-
Per
farti un esempio: tu ora mi hai esposto i tuoi dubbi, mentre il tuo
amico
digitale non credo se li sia nemmeno posti. Per lui probabilmente
è ovvio che io trovi
piacevole la vostra
compagnia, altrimenti non passerei tutto il mio tempo con voi, con un
altro
centinaio di persone a disposizione con cui socializzare. Per quanto il
suo
ragionamento sia ingenuo, infatti, non fa una piega. –
posò una manona sulla
spalla del ragazzo – Dovresti chiedergli consiglio
più spesso anziché
arrovellarti inutilmente da solo. –
Il ragazzo
tornò alla realtà,
sospirando sconsolato.
-
Gabumon
– apostrofò il digimon, che si voltò a
guardarlo incuriosito – tu a chi
chiederesti informazioni su come resuscitare i morti? –
Il digimon
aggrottò la fronte. Parve
pensarci un attimo, grattandosi il muso con fare meditabondo, come se
stesse
tentando di estrapolare un ricordo preciso.
-
Se
non sbaglio – azzardò poi – li chiamate sacerdoti…
-
Yamato
sgranò gli occhi, tirandosi
una manata sulla fronte.
-
Ma
certo! Perché non ci ho pensato io? –
Ma negli occhi
di Masahiro gli parve
di leggere la risposta: perché era un giovane adulto.
Continua…
N.d.a:
Sarei molto
curiosa di leggere le
vostre impressioni sulla storia e sulla piega che stanno prendendo gli
eventi.
Tante domande
sono state poste, ora
per i personaggi è arrivato il momento di cercare delle
risposte. E di
risolvere i propri dubbi.
Dal capitolo 23:
[…]
Sapeva bene che Koushiro non
aveva parlato. Eppure lei l’aveva sentito.
Un abbraccio,
Monalisasmile