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Autore: monalisasmile    28/05/2013    1 recensioni
Il viola è conosciuto come il colore dello spirito. Rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione ed intelligenza, tra amore e razionalità. È il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi. È una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro. Ma è anche il colore degli occhi di una ragazza che entrerà a far parte della vita dei digi-prescelti.
La narrazione comincia in toni leggeri: leggerete di nuovi incontri, di battibecchi e amori adolescenziali, di amicizie e piccoli dispiaceri, emozioni che condizioneranno le giornate e si porranno al centro delle loro vite. Almeno inizialmente.
Perché come nella vita spesso accade, arriverà il momento in cui i personaggi verranno posti di fronte a problemi maggiori e difficili decisioni. D’improvviso tutto parrà sfuggirgli tra le dita. Gli eventi si faranno incalzanti e spesso imprevedibili. Più volte si sentiranno impotenti di fronte a una realtà indecifrabile e troppo crudele per essere affrontata.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 22

 

-      Posso farti una domanda, Koushiro? –

Yamato si era intrufolato nella sua stanza appena gli altri avevano levato le tende. Il rosso balzò per la sorpresa.

“ Beh, se non altro lo spavento mi terrà sveglio per un po’!” pensò e annuì: d’altronde Yamato non era tipo da accettare un “no” come risposta.

-      Ti va di raccontarmi come sei riuscito a svegliarti dopo che avevi perso i sensi? Nei dettagli se non ti dispiace… - lo incalzò con un sorriso malizioso.

Koushiro avvampò.

-      Francamente sì, mi dispiace, sono cose…private… E poi a che ti servirebbe? –

Yamato si strinse nelle spalle con fare innocente.

-      Beh, dato che sei l’unico oltre a me e Mimi ad essersi risvegliato, poteva essere interessante sapere come di preciso ci sei riuscito, così da mettere a confronto le nostre esperienze, no? - gli sorrise scaltro, sapendo di aver colpito nel suo punto debole: la sua fame di sapere.

-      O-ok… - acconsentì il ragazzo, impacciato – Comunque non è che ci sia molto da raccontare… Ero immerso in quel torpore, di cui francamente non ho alcun ricordo, quando ho sentito la voce di Mimi. Non capivo cosa dicesse di preciso, mi sembrava solo molto turbata e io… - arrossì di nuovo, abbassando lo sguardo – a-avrei voluto consolarla, capisci? Poi l’ho sentita piangere e non ce l’ho più fatta, semplicemente dovevo svegliarmi. E così è stato. –

-      Tutto qua? –

Il rosso alzò lo sguardo sull’espressione sbigottita del biondo.

-      S-sì… - sbiascicò, incerto.

-      L’hai sentita piangere… ma non hai avuto una visione, non hai visto né sentito altro? –

-      No… -

Yamato sorrise soddisfatto e fece per andarsene, quando la voce del rosso lo richiamò.

-      Ah, Yamato… -

-      Dimmi, Koushiro. – si voltò a guardarlo, interrogativo di fronte all’espressione improvvisamente seria dell’amico.

-      A proposito della tua caduta dalla moto: hai fatto una cosa davvero stupida. Non farlo più. –

Il biondo lo fissò un attimo esterrefatto, poi annuì e si defilò.

 

Gabumon raggiunse Yamato sulla terrazza dell’ospedale. Il prescelto guardava verso la città buia, lo sguardo perso nel vuoto e la mente affondata nei pensieri.

Il digimon sospirò, sedendosi accanto a lui: aveva imparato da tempo quanto insondabile potesse essere il ragazzo.

-      Ho bisogno del tuo aiuto, Gabumon. –

L’amico sgranò gli occhi: credeva che Yamato fosse momentaneamente perso in qualche ragionamento strano, invece era perfettamente reattivo. A volte credeva che non l’avrebbe mai capito. Ma ovviamente anche questa parte della loro amicizia poteva accettarla con gioia, perché lui era il suo prescelto.

-      Sai che puoi sempre contare su di me, Yamato. –

-      Lo so, amico mio. – gli sorrise il biondo, grato di avere un alleato tanto fedele.

Quanto gli era mancato il suo amico digitale…

Ma quello non era il momento per i sentimentalismi. Corrugò la fronte, tornando serio e pensieroso.

-      Ci sono un paio di cose che non ho raccontato agli altri e che nemmeno Gennai sa… Riguardano Rumiko. –

Il digimon annuì, in ascolto. Aveva capito quanto la ragazza fosse importante per lui.

-      Gli altri penserebbero che sono pazzo, ma io credo che Rumiko… - scelse accuratamente le parole – possa tornare… -

-      Intendi… - esitò Gabumon – viva? –

Il ragazzo gli sorrise.

-      Ma non era… insomma, non l’avevi vista tu stesso…? –

-      Sì, so cos’ho visto quella notte. Ma il padre di Rumiko ha detto di avere fiducia…lui crede in Kitsunemon. –

-      Ma cosa potrebbe fare? Per quanto sia potente, resta pur sempre un digimon. E senza le sua prescelta le sue capacità dovrebbero esser più limitate… -

-      Sì sì, lo so. – gettò la testa indietro Yamato – Nemmeno io riuscivo a crederci all’inizio. Ma poi ho fatto quel volo con la moto… -

-      Una cosa davvero stupida, Yamato. Non farlo più. – intervenne il digimon, serissimo.

Il ragazzo restò un attimo sbalordito, poi sorrise raggiante.

-      Sono le stesse parole che mi ha detto lei… -

-      Lei chi? –

-      Rumiko. –

Ora Gabumon era sicuro di non capirci più nulla. Possibile che, come si andava sussurrando per i corridoi, Yamato avesse perso qualche rotella a causa di quella capocciata?

-      Non ti seguo… -

-      Ascolta, so che può sembrati assurdo, ed in effetti probabilmente lo è… ma quando ho battuto la testa e ho perso i sensi, è grazie a lei se mi sono risvegliato. Sono rimasto svenuto per un quarto d’ora all’incirca, avvolto in quello stesso sonno anomalo in cui sono costretti i Dormienti. Eppure io non mi ricordo né di aver chiuso né di aver riaperto gli occhi; se non me l’avesse detto Masahiro penserei di esser sempre stato sveglio. Invece a un certo punto devo aver riaperto gli occhi, ancora avvolto nello stesso torpore. Una volta scacciato definitivamente sentivo tutto: il dolore, il freddo, la sensazione di bagnato sulla tempia…vedevo il sangue sulla neve, nel punto in cui ero caduto, sentivo la voce di Masahiro…e poi ho visto lei. Si è materializzata di fronte a me, in mezzo alla neve, si è avvicinata e mi ha detto “Hai fatto una cosa davvero stupida, Yamato. Non farlo più.” Subito dopo è scomparsa. –

Sospirò.

     Non so come sia possibile, non ci crederei nemmeno io se non l’avessi vissuto personalmente… Ho parlato con Koushiro poco fa e mi ha spiegato com’è riuscito a svegliarsi: ha sentito la voce di Mimi, l’ha sentita piangere accanto a lui…e si è svegliato per poterla consolare. –

-      Beh, non che io ci capisca molto di queste cose – ammise il digimon, imbarazzato – ma mi pareva che tra loro ci fosse un sentimento speciale… -

-      Sì, lo so anch’io, ma il punto è che lui è stato strappato al sonno dalla presenza di Mimi. –

-      Una cosa piuttosto reale. – sottolineò il digimon.

-      Infatti! Solo qualcosa di altrettanto reale avrebbe potuto strappare anche me da quel sonno. –

-      Ma quella di Rumiko è stata solo un’allucinazione… -

-      Forse no. – sorrise il biondo.

Gabumon scosse la testa, perplesso.

-      Ascolta, amico mio: – gli accarezzò il capo Yamato – Mimi è stata risvegliata da una sorta di anticorpi che è riuscita a sviluppare nel giro di un anno. Koushiro dalla presenza della ragazza di cui è innamorato, bisognosa di conforto. Entrambi hanno ricevuto una sorta di “aiuto”, chi dall’interno, chi dall’esterno. Ora, volendo escludere che io provi un’attrazione passionale nei confronti di Masahiro – esibì una faccia esageratamente disgustata apposta per strappare una risata al digimon – e non volendo sopravvalutare le mie capacità di autodifesa e sminuire quelle di Mimi… direi che è stato qualcos’altro ad aiutarmi. –

-      Sì, ma cosa? –

-      Già, cosa? Eppure in mezzo al buio, la neve e il freddo di questa città solitaria non c’era niente che avesse un potere tale su di me. E Masahiro ha confermato di non aver scorto nulla all’infuori di me. L’unico ad aver visto qualcos’altro sono stato io, per quanto si trattasse di una visione. E poiché ero sveglio, non credo che a inviarmela sia stato Alptraumon. –

-      Avrai battuto la testa un po’ troppo forte. – azzardò il digimon.

-      È quello che pensano tutti, da queste parti… - gli ammiccò – Ma io ho un’altra teoria. –

Yamato riportò lo sguardo sulla città buia e deserta. Un paesaggio davvero lugubre.

-      Gabumon, tu sai cosa sono i fantasmi? –

-      Fantasmi? –

-      È una delle tante leggende che si tramandano nel nostro mondo. Si racconta che lo spirito di coloro che muoiono anziché ascendere al Cielo come tutte le altre anime, a volte resti intrappolato nel mondo dei vivi. Di solito ciò accade perché hanno delle “faccende in sospeso”, come un compito da portare a termine o qualcuno da proteggere. Sono invisibili a tutti, fuorché ad alcune persone “speciali”, o perché a loro care oppure perché dotate di qualche potere particolare. Ufficialmente sono storie molto affascinanti ma prive di fondamento, in realtà nessuno è mai entrato in contatto con una di queste anime. Tuttavia… - si girò a guardarlo, lo sguardo volto a scrutare gli occhioni dolci dell’amico – nessuno ha mai creduto nemmeno all’esistenza di altri mondi paralleli al nostro e tanto meno all’esistenza di straordinarie creature digitali. –

Gabumon arrossì, imbarazzato e felice. Yamato avvolse il digimon con un braccio, stringendolo accanto a sé.

-      Eppure io ci credo. Ho un amico digitale e sono finito innumerevoli volte nel suo mondo. E so che ve ne sono altri, paralleli ai nostri, sebbene meno accessibili. E così come noi attraverso il portale digitale aperto dai nostri pc, sono sicuro che anche da quei mondi è possibile comunicare, in qualche modo. –

Strinse la presa sul compagno, quasi fosse in cerca di maggior energia per quanto stava per dire.

-      Se credo in tutto ciò, allora posso anche credere nei fantasmi. – corrugò la fronte, concentrato e deciso – La visione che ho ricevuto, il vostro ripetere le sue stesse parole, sono tutti messaggi che Rumiko mi sta mandando per farmi sapere che lei c’è, da qualche parte, e che veglia su di me. È stata lei a risvegliarmi da quel sonno maledetto, ne sono sicuro. – abbassò il capo – E tornerà… - disse a voce più bassa, quasi stesse parlando a se stesso – Molto presto tornerà… -

“…da me…” concluse nella sua mente, in un una muta preghiera.

 

Kitsunemon fece ondeggiare le nove code, rilassandosi: Yamato sembrava esser finalmente giunto alla conclusione che si aspettava. Tuttavia le cose, nel Mondo Reale, non erano affatto semplici…

Aveva speso non poche energie per risvegliare Yamato dal sonno di Sandmannmon, e sperava che il digimon non se ne fosse accorto: ora come ora era meglio che lui e, soprattutto, Angstmon non sapessero dove lei e la sua prescelta si trovassero. Avrebbero intuito le sue intenzioni e avrebbero fatto di tutto per distruggere il corpo di Rumiko, così da rendere vana ogni speranza.

“ Già, la speranza…”

Per questo aveva inviato a Yamato quella visione e aveva messo le stesse parole in bocca ai suoi amici: voleva che lui continuasse a sperare e credere.

Sfiorò teneramente il volto gelido della sua prescelta. Suo padre credeva in lei, Yamato pure. E lei…lei, che era il suo digimon, la sua compagna, la sua amica, l’altra metà della sua anima…lei avrebbe dato tutta se stessa per aiutarla.

Ma era lei il vero ostacolo… Perché non credeva in se stessa, perché aveva perso l’ultimo barlume di speranza prima che il suo corpo cadesse a terra, privo di vita.

La volpe bianca spostò lo sguardo sullo Specchio del Limbo.

Eppure era là, la poteva vedere in quella pozza scura, rannicchiata sul fondo di quel lago infernale, apparentemente vicina eppure mortalmente lontana. Aveva gli occhi chiusi, i lunghi capelli fluttuavano attorno al suo corpo nudo, mentre le braccia stringevano quasi spasmodicamente le ginocchia al petto. Sembrava terrorizzata, sofferente e bisognosa di conforto.

Ma Kitsunemon sapeva che se fosse entrata in quelle acque l’immagine si sarebbe dissolta e i flutti l’avrebbero inghiottita per sempre, condannandola alla peggiore delle pene…

Rabbrividì, riabbassando il capo e appoggiandolo alle zampe. Rumiko non poteva vederla, finché si ostinava a tenere gli occhi chiusi, e per quanto lei l’avesse chiamata, la ragazza non aveva mai dimostrato di riuscire a sentirla. Probabilmente si rifiutava di farlo.

Ancora una volta, la frustrazione minacciò di prendere il sopravvento. Tuttavia ripensò a coloro che le volevano bene e avrebbero desiderato riabbracciarla. Perfino quella graziosa palla di pelo marrone di nome Caffè. Ma, soprattutto, ripensò al motivo per cui la sua anima si trovava imprigionata nello Specchio del Limbo, l’unica finestra tra il Mondo dei Morti e quello dei Vivi: Rumiko aveva delle “faccende in sospeso” e diverse persone da proteggere.

-      La domanda ora è: – sussurrò Kitsunemon, e la sua voce parve quasi assordante nel paesaggio deserto e silenzioso – quello che hai alle spalle e che ti richiama a gran voce è abbastanza importante per te da tornare indietro e lottare ancora? O sei troppo stanca e amareggiata e preferisci scegliere la via più semplice? –

La presa sulle ginocchia si rafforzò, ma le palpebre si socchiusero appena, rivelando due iridi viola.

 

Sandmannmon fece scorrere lo sguardo maligno sulla città buia, soffermandosi sull’unico puntino luminoso: l’ospedale in cui erano radunati i superstiti al primo attacco.

Annusò l’aria: era impregnata di ansia, agitazione mal repressa e paura.

Trotterellò sul cornicione dell’alto palazzo.

Non gli sarebbe dispiaciuto fare una capatina dagli Svegli, giusto per spaventarli un po’…

Il rombo alle sue spalle frenò i suoi pensieri e il digimon dalle sembianze di troll si voltò di scatto, trovandosi a pochi metri da due narici ardenti come braci. Quasi fece un balzo indietro per lo spavento: Angstmon sapeva essere davvero terrificante.

-      Ho capito, ho capito! – gracchiò il Fante di Sabbia – Li lascerò in pace… -

“ Per ora…” concluse nella sua mente.

-      Però tu evita queste entrate in scena così rumorose, o mi farai venire un infarto! –

Il gigantesco cavallo nero non parve badare alle sue parole, perché prese la rincorsa dal fondo della terrazza e, con un grande rombare di zoccoli, spiccò un balzo nel vuoto, librandosi nell’aria fredda e immota.

 

Galoppava nel cielo plumbeo, mimetizzandosi tra le nuvole scure, promesse di tempesta. Ogni tanto faceva esplodere un tuono qua e là, assaporando il terrore che quei semplici agenti atmosferici sapevano incutere negli umani.

Le fauci fameliche si piegarono in un sorriso spaventoso.

Quanto erano deboli gli esseri umani… I loro fragili cuori potevano essere spezzati con facilità, i loro propositi deviati e i loro ideali infangati… I loro stessi sentimenti non erano nulla più di un battito d’ali di farfalla, troppo effimero per durare nel tempo e resistere alle difficoltà della vita di tutti i giorni… Figurarsi se avrebbero retto all’inferno che stava per scatenarsi su di loro…

Sbuffò e due fasci di fiamme vennero esalati dalle narici. Sandmannmon si accontentava di far addormentare i cittadini, poiché il digimon-troll aveva una mente limitata e votata più al dispetto che alla distruzione. Amava giocare con le sue vittime, trovava piacere nel terrorizzarle, ma mai quanto Angstmon. Per lui la paura che si poteva percepire nell’aria era semplicemente deliziosa.

Tuttavia, per quanto infinitesimale al suo confronto, Sandmannmon gli tornava parecchio utile. D’altronde era stato lui a risvegliarlo da quel sonno profondo in cui era costretto da diversi secoli: curioso e ignorante dei pericoli che correva, il Fante di Sabbia aveva desiderato potersi avvalere di un destriero nelle sue scorribande. E quale cavalcatura migliore di un antico Demone, rinchiuso da tempo immemorabile nelle profondità di una montagna?

Il nome che gli avevano dato gli Uomini in passato era Angst, altrimenti conosciuto come Terrore, poiché era l’essenza stessa della paura, un fantasma portatore di angoscia. Il digimon l’aveva ribattezzato Angstmon e gli aveva detto che d’ora in avanti avrebbe seguito il suo volere. Il cavallo infernale aveva sorriso crudelmente, compiaciuto dell’ingenuità del troll dei sogni.

L’aveva assecondato nel suo piano di seminare terrore nella città di New York, intravedendo una buona occasione per fare una bella scorpacciata di anime corrotte e rimettersi in forze, dopo la lunga immobilità della reclusione.

Ma qui aveva fiutato un’interessante novità: un digimon ultraterreno e il suo prescelto, una giovane umana di nome Rumiko. Aveva percepito un forte legame tra di loro e un’energia non indifferente. Da sole erano insignificanti, insieme erano… qualcosa che Angstmon non aveva mai visto prima d’allora, sebbene il Demone potesse vantare un’esistenza di parecchie generazioni.

Aveva suggerito a Sandmannmon ti tenere sotto controllo un’altra giovane digiprescelta che viveva nella città, giusto per precauzione: sapeva bene che se Gennai, il ficcanaso custode di Digiworld, aveva adocchiato quella coppia speciale non avrebbe resistito alla tentazione di vederla in azione. E lui gliene avrebbe dato un valido motivo.

Così era avvenuto lo scontro diretto e quel potere che Angstmon aveva fiutato si era sprigionato. Ma qualcosa era andato storto: il corpo del Demone, non ancora nel pieno delle sue forze, stava per essere disintegrato. Così, ruggendo di rabbia e giurando vendetta, aveva fatto quanto era in suo potere per evitare la sconfitta totale: aveva trasferito la sua anima e la sua essenza nel corpo di Rumiko, l’unico essere umano abbastanza forte da sopportare la sua presenza, ponendovi un sigillo. Necessitando anche di una chiave che potesse liberarlo nuovamente, nel momento più opportuno, trasferì Sandmannmon nel corpo della prescelta che già si trovava sotto il suo controllo.

Sarebbe trascorso un anno, tempo sufficiente perché un nuovo piano venisse elaborato e le energie recuperate. Poi Sandmannmon avrebbe trovato il modo di ritrovarsi faccia a faccia con Rumiko. Sarebbe stata lei a liberarlo, poiché solo lei conosceva il loro nome, nonché chiave per rompere il sigillo. Una volta fatto ciò, Sandmannmon avrebbe pronunciato la formula per restituirgli materialità.

Il cavallo demoniaco abbassò gli occhi crudeli sul paesaggio sotto di lui.

Da qualche parte in quella dimensione si andava raccontando che Dio aveva creato il loro mondo in sei giorni.

Nitrì, e il suono di un milione di urla di angoscia stridette nell’aria, facendo accapponare la pelle agli Svegli.

Lui  avrebbe impiegato lo stesso tempo a distruggerlo, a cominciare da quella città. E questa volta non ci sarebbero state esplosioni traditrici.

 

-      Cos’è stato?! –

Sora si strinse a Taichi, terrorizzata. Il ragazzo sospirò: se la situazione non fosse stata tanto tragica, avrebbe gioito di quel contatto.

Avvolse le spalle della rossa con un braccio, stringendola ancor di più a sé.

-      Tranquilla, Sora… Sono vicino a te. –

Lei annuì, un poco imbarazzata: talvolta Taichi era irriconoscibile, sembrava quasi…

-      …un uomo. –

-      Come? – la guardò il castano, perplesso.

-      N-niente! – distolse lo sguardo la ragazza.

Lui fece spallucce: le donne.

Si trovavano sul terrazzo dell’ospedale e Sora fece scorrere lo sguardo sul cortile sottostante, in cui i bambini avevano smesso di giocare per tapparsi le orecchie e rannicchiarsi a terra, spaventati.

-      Tai, forse dovremmo scendere nel cortile per consol… -

Ma un altro coro di urla strazianti squarciò il cielo e la ragazza fu costretta a imitare i bimbi, coprendo le orecchie con le mani guantate e accucciandosi sulle mattonelle. Istintivamente chiuse gli occhi, quasi che i fantasmi che avevano dato vita a quei suoni terrificanti potessero materializzarsi di fronte a lei. Dopo pochi minuti, invece, schiudendo le palpebre si ritrovò a pochi centimetri dal volto di Taichi, che l’aveva imitata.

Gli occhi nocciola del ragazzo erano fissi nei suoi, dolci e profondi. Sora si rilassò, perdendosi in quel mare di serenità, traendone forza e coraggio.

Lui le sorrise e lei fu certa che il calore di quel gesto sarebbe stato in grado di sciogliere la neve ai loro piedi. Invece a liquefarsi fu il suo cuore, che accelerò i battiti e la spinse ad azzerare la distanza tra loro.

Sora lo baciò e quel momento fu come lei se l’era sempre immaginato: carico di dolcezza e tenerezza. In un primo momento la bocca del ragazzo restò rigida contro la sua, poi anche lui si lasciò andare e le labbra risposero istintivamente a ogni carezza di quelle di lei.

Approfondirono il bacio.

In quel momento un altro coro di strilla infernali squarciò l’aria, interrompendo quell’attimo magico. Le loro bocche si separarono, ma la fretta fece battere le loro teste l’una contro l’altra. Il colpo fece perdere loro l’equilibrio ed entrambi rotolarono nella neve, urlando di dolore non tanto alla fronte quanto ai timpani scoperti e perforati da quelle urla.

Quando anche quell’ondata terminò, i due giovani si ritrovarono ansanti e fradici. Quello che prima era stato un manto candido intervallato da poche impronte, ora sembrava che avesse fatto da ring a un incontro di lotta libera.

Taichi si voltò a guardarla. Il petto di Sora si alzava e abbassava ritmicamente, la sua bocca aperta esalava piccole nuvolette di vapore. Si soffermò un attimo su quelle labbra umide e leggermente arrossate, sulle guance colorite, le ciglia bagnate e nere come inchiostro, i capelli rossi appiccicati alla fronte su cui forse sarebbe comparso un bernoccoletto. Distendendo il braccio avrebbe potuto toccarla. E così fece.

Allungò una mano priva di guanto per sfiorarle una guancia, delicatamente. Lei si voltò a incontrare il suo sguardo.

Taichi vagò in quelle iridi nocciola screziate di pagliuzze dorate, che scintillavano di gioia. Fece scorrere le dita sulla sua pelle morbida, dallo zigomo fino alle labbra piegate in un sorriso. Lei non si mosse, lasciando che lui prolungasse più a lungo possibile quel contatto delicato.

-      Cosa pensi? – le chiese lui, la voce ridotta ad un sussurro.

Il sorriso di lei s’allargò.

-      Penso che dovremmo ricominciare da dove ci siamo interrotti, prima che quelle urla riprendano. –

Taichi rise, rotolando su un fianco e portandosi su di lei, a quattro zampe.

-      Non ero io il digiprescelto del Coraggio? – scherzò lui.

-      Sì – gli rispose lei, scostandogli una ciocca di capelli fradici dalla fronte – ma io sono quella dell’Amore… -

Il sorriso che lui le regalò la fece ammutolire. Poi Taichi si chinò nuovamente sulle sue labbra.

 

-      Beh, vi pare il momento di giocare a palle di neve?! – sbraitò Daisuke, appena li vide incedere attraverso il corridoio.

-      Palle di neve? – parlarono contemporaneamente Taichi e Sora.

Poi si guardarono a vicenda: solo allora si ricordarono di essere ancora fradici e infreddoliti.

Scoppiarono a ridere simultaneamente e il suono delle loro fresche risate parve per un attimo ripulire l’aria del terrore di pochi minuti prima.

Daisuke sbattè le palpebre, sbigottito e offeso dall’effetto di quello che doveva suonare un rimprovero.

Mei scosse il capo, armata di secchiello e straccio.

-      Non riderebbero se toccasse a loro ripulire i corridoi. –

Ma Taichi e Sora non poterono fare a meno di aumentare il volume delle loro risate.

Più tardi si sarebbero offerti di asciugare loro la scia d’acqua che avevano lasciato lungo i corridoi, un po’ per rasserenare una seccatissima Mei, un po’ per non lasciarsi sfuggire un’altra occasione di restare da soli.

 

Le urla strazianti si ripeterono per diverse ore durante tutta la giornata, a distanza di al massimo dieci minuti l’una dall’altra. Manco a dirlo, tra gli Svegli cominciò a serpeggiare il panico. Sembravano le grida di uomini e donne sotto tortura, incapaci di pronunciare verbo ma che caricavano nelle loro voci tutto il dolore che provavano.

Tuttavia era impossibile capirne l’esatta provenienza, sebbene tutti concordassero che sembravano propagarsi dal cielo burrascoso.

-      Ma com’è possibile?! – Koushiro si passò una mano tra i capelli spettinati.

Mimi lo guardò preoccupata. Da quando si era risvegliato non aveva più chiuso occhio e mangiava appena. Sosteneva che il cibo faceva assopire, perciò andava avanti a caffé e pochi altri alimenti. Il suo volto pallido e magro era segnato dalle occhiaie sempre più profonde, che conferivano agli occhi scuri l’aspetto di due crateri di pece.

Non che Mimi avesse intenzione di tornare sui suoi passi, intendiamoci, il suo Koushiro sarebbe rimasto adorabile per mille altri motivi. Però il suo aspetto trascurato metteva la ragazza a disagio, soprattutto per l’impotenza che si era accorta di avere per quanto riguardava certe sue scelte.

Koushiro era sempre stato un ragazzo d’oro, gentile e dolcissimo, su questo non c’erano dubbi. Ma la ragazza si era recentemente accorta anche di quanto potesse essere caparbio. Sembrava quasi che avesse deciso di non curarsi del suo corpo fintanto che non fosse venuto a capo di tutti i dubbi che lo tormentavano.

-      Koushiro… - gli si avvicinò la ragazza, arricciando il naso di fronte alla sua scrivania ingombra di carte, libri e, ovviamente, l’inseparabile pc e relativi marchingegni; accanto allo schermo l’ormai altrettanto indivisibile tazza di caffé, ormai freddo.

-      Non riesco a capire! – protestò il rosso, reggendosi la fronte con una mano.

Mimi pensò che le grida non dovevano aiutarlo a concentrarsi. E sapeva bene quanto Koushiro detestasse esser distratto mentre cercava di districare la matassa di un ragionamento.

-      Forse dovresti mangiare qualcosa… - azzardò lei, a bassa voce.

-      Non devo mangiare, Mimi, devo capire. – parlò a occhi chiusi lui – Devo capire come fare a intrappolare Sandmannmon, che a quanto pare trova molto divertente farci delle sortite e poi svignarsela, scomparendo nella città buia. E devo capire da dove vengono queste urla, chi le sta provocando e soprattutto perché! – si lasciò andare contro lo schienale della sedia, sfinito – Perché Sandmannmon ha voluto addormentare un’intera città? Perché non siamo ancora stati attaccati? Che cosa aspettano?! E che ruolo ha Angstmon in tutto ciò? Perché né io né Gennai riusciamo a capire cosa sia? Ho idea che non sia un digimon come gli altri, ammesso che effettivamente lo sia… Per quanto ne sappiamo potrebbe essere qualsiasi cosa, il fatto che sia entrato in contatto con Sandmannmon non prova la sua natura. –

-      M-ma non esistono creature simili nel nostro mondo! – intervenne Mimi – Solo a Digiworld… -

-      Sandmannmon ha sfruttato un varco lasciato aperto per giungere in questo mondo. Ma per quanto ne sappiamo potrebbero essercene a centinaia, che si affacciano su altrettanti mondi paralleli…Persino alcuni di noi hanno avuto modo di trovarsi in altre dimensioni parallele… -

Mimi rabbrividì, al ricordo del racconto spaventoso di Kari.

-      Dunque – aveva ripreso il discorso Koushiro, parlando più a se stesso che alla ragazza accanto a lui – non è da escludere che Sandmannmon abbia fatto visita a qualche altro mondo, prima di giungere nel nostro, e che in uno di quei viaggetti si sia imbattuto in Angstmon… -

-      Ma è un nome da digimon… - protestò lei, in tono quasi infantile.

-      I nomi possono essere storpiati facilmente… - le rispose Koushiro distrattamente, mentre era chiaro che la sua mente aveva ripreso a galoppare – Sandmannmon è un digimon d’altronde…sarà quasi un’abitudine per lui aggiungere il suffisso “-mon”… -

Liberò frettolosamente la tastiera del computer e aprì la Home page di Google, digitando la parola “Angst”.

Mimi si allungò per sbirciare lo schermo.

Una lista di siti in tedesco si srotolò sotto i suoi occhi. La maggior parte erano traduttori, che davano al termine il significato di “paura”, “terrore”, “ansia”. Nulla di nuovo, insomma.

Eppure Koushiro pareva aver fiutato una pista.

-      Cosa vedi in tutto ciò che io non riesco a scorgere? - sbuffò Mimi – Questo non fa che confermare quanto ci ha detto Gennai, cioè che si nutre della paura… -

-      Infatti, Mimi… - si voltò a guardarla, improvvisamente sorridente – E non ti pare una coincidenza piuttosto curiosa l’associazione tra la sua natura e questo termine tedesco? Scommetto che spulciando le leggende della Germania possiamo trovare qualcosa al riguardo! – le strizzò l’occhio.

-      Credi dunque che quel mostro venga dal nostro mondo?! –

-      Probabilmente no, Mimi…ma come il nostro mondo è in stretto contatto con Digiworld, allo stesso modo potrebbe esserlo con altri…magari in tempi molto antichi qualcuno è sbarcato nella dimensione da cui proviene Angst e questo spiegherebbe l’origine del suo nome… -

-      Non capisco cosa speri di trovare. – scosse il capo Mimi – Si tratta comunque di un mostro appartenente ad un altro mondo. Perché dovrebbe esserci qualche informazione su di lui in questo? Se anche qualcuno fosse finito in quella dimensione, probabilmente non ne ha mai voluto parlare, per paura di esser preso per matto, e il segreto è ormai morto e sepolto insieme a lui. Una volta bruciavano le persone se andavano in giro a raccontare cose strane… -

-      Lo so, Mimi. – le accarezzò una guancia, gentile.

Come faceva la gente a dire che Mimi era stupida? Il fatto che a volte fosse un po’ superficiale e molto attenta alle cose materiali, nulla toglieva alla sua intelligenza.

-      Tuttavia pensa a noi. – le sorrise teneramente – Abbiamo fatto diversi viaggi in un altro mondo e siamo entrati in contatto con le creature che lo popolavano. Non l’abbiamo sventolato ai quattro venti, eppure altre persone all’infuori di noi sanno dei digimon. I nostri genitori, alcuni amici… Gli stessi digimon sono comparsi diverse volte nel Mondo Reale e sono stati visti da centinaia di persone. Forse non sono l’argomento del giorno, probabilmente la maggior parte della gente crede di aver avuto un’allucinazione, ma non mi stupirei se qualcuno ne fosse stato ispirato per un romanzo o un’opera d’arte. –

Abbassò il capo, afferrandole una mano e accarezzandola delicatamente.

-      Forse non troverò nulla, ma non so più dove sbattere la testa. Io devo capirci qualcosa di più in questa faccenda! –

Mimi annuì: tipico di Koushiro.

-      Va bene – parve acconsentire la ragazza – ma tenta di non stancarti troppo, d’accordo? –

Fece per andarsene, quando la voce del rosso la richiamò.

-      Mimi… -

-      Dimmi. – si voltò a guardarlo perplessa.

-      Avrei un certo languorino… -

Koushiro le sorrideva gentile, le guance leggermente imporporate. Lo stava facendo per lei, perché aveva notato la sua preoccupazione per la sua salute, ne era sicura. Ma non lo dette a vedere.

-      D’accordo, genio. Però dovrai mangiare tutto. – lo ammonì.

Lui annuì, balbettando un “grazie”. Mimi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

-      Grazie a te, Koushiro… - sussurrò rivolta alla porta.

Poi aggrottò la fronte e sbuffò: gli avrebbe anche preparato un bel tazzone di caffè.

 

Yamato aveva mille dubbi per la testa. Solo una certezza risultava cristallina nel suo cervello: doveva aiutare Rumiko a tornare. Qualcosa dentro di lui gli diceva che tutto sarebbe tornato a posto non appena lei avrebbe fatto la sua ricomparsa. Certo, una parte di lui si ostinava a rammentargli che tale convinzione era dettata dall’amore che provava nei suoi confronti, ma Yamato aveva smesso da tempo di dar retta a quella vocina.

Innanzitutto avrebbe avuto bisogno di informazioni. E quale luogo migliore per effettuare una ricerca se non la biblioteca? Dubitava però che in quella centrale di Tokyo avrebbe trovato qualche informazione utile su come riportare in vita i morti.

Tuttavia si era impossessato di un computer dell’ospedale e aveva preso a fare ricerche. Doveva pur esserci un qualche filosofo che avesse compiuto degli studi in merito. Se c’era una cosa che aveva imparato degli esseri umani, infatti, era che non vi era limite alla loro curiosità.

Ma dopo mezza giornata passata a rovistare nel web non aveva ancora trovato nulla d’interessante, solo ciarpame. Si accasciò sulla sedia, sfinito, e dette alcune grandi sorsate alla tazza di caffé che teneva sempre a portata di mano. Spesso si chiedeva quanto tempo sarebbe passato prima che il suo organismo si adattasse a quella bevanda e la caffeina non riuscisse più a tenerlo sveglio.

Lanciò un’occhiata ai suoi compagni di sotterfugi (non aveva accennato agli altri delle sue intenzioni, era certo l’avrebbero preso per pazzo e lo avrebbero ostacolato in tutti i modi).

Gabumon e Masahiro conversavano amabilmente, il primo appollaiato su un mobiletto, il secondo seduto a cavalcioni di una sedia, le braccia conserte appoggiate allo schienale. Inizialmente il digimon non aveva nascosto la sua reticenza ad accettare la presenza di quell’uomo accanto a sé e soprattutto al suo prescelto. Yamato aveva sorriso della sua gelosia e gli aveva raccontato dell’incontro-scontro con Masahiro. Il digimon aveva ascoltato in silenzio e lentamente, seppur all’inizio con riluttanza, aveva cominciato a mostrarsi più gentile nei confronti dell’uomo. Ma appena quest’ultimo prese a raccontargli dei suoi viaggi e di tutto ciò che aveva avuto modo di vedere, Gabumon ne era rimasto affascinato almeno quanto Yamato, gioendo a sua volta nel raccontare aneddoti e avventure vissute col suo prescelto.

Quello che stupiva realmente il biondo, tuttavia, era la semplicità con cui Masahiro aveva accettato non solo di trovarsi catapultato in quella situazione tenebrosa, ma anche di passare le sue giornate in compagnia di un ragazzo praticamente sconosciuto e una creatura digitale decisamente fuori dal comune.

-      Te l’ho detto, ragazzo – gli aveva semplicemente risposto Masahiro, quando Yamato gli aveva esposto la sua perplessità – ti trovo un tipo piuttosto in gamba e interessante, decisamente cresciuto, per la tua età. –

-      Ti sembro saggio? – aveva alzato un sopracciglio il biondo, scettico.

-      I “grandi” non sono necessariamente saggi, ma hanno sulle spalle maggiori esperienze, responsabilità e problemi. Anche se sono sempre stato convinto che la maggior parte di questi ultimi se li creano da soli. – si era stretto nelle spalle.

-      E per quanto riguarda Gabumon? –

-      Credo sia un tipo parecchio forte anche lui. All’inizio pensavo fosse un animaletto da compagnia decisamente più bizzarro di quelli che avevo visto fin ora. Ma parlandoci mi sono ricreduto: se tu sei un giovane adulto, lui invece è un bimbo maturo. –

Yamato aveva riso.

-      Un bimbo maturo? Tralasciando il controsenso…ma non sono la stessa cosa? –

-      No. – gli aveva spiegato Masahiro, come se fosse una cosa ovvia – Un giovane adulto è un ragazzo che ha vissuto più esperienze e attraversato più difficoltà di un suo coetaneo. Questo l’ha fatto maturare anzitempo, gli ha caricato le spalle di doveri che un ragazzo della sua età non conosce neppure e gli ha plasmato la mente, rendendola disillusa e contorta come quella di un adulto. Un bambino maturo, invece, sebbene abbia vissuto le stesse esperienze e dovuto superare gli stessi ostacoli, non ha permesso che gli eventi avessero la meglio su di lui. È rimasto lo stesso bambino sognatore, in grado di sperare e credere ciecamente, semplicemente per affetto. –

Aveva ammiccato a un meditabondo Yamato.

-      Per farti un esempio: tu ora mi hai esposto i tuoi dubbi, mentre il tuo amico digitale non credo se li sia nemmeno posti. Per lui probabilmente è ovvio che io trovi piacevole la vostra compagnia, altrimenti non passerei tutto il mio tempo con voi, con un altro centinaio di persone a disposizione con cui socializzare. Per quanto il suo ragionamento sia ingenuo, infatti, non fa una piega. – posò una manona sulla spalla del ragazzo – Dovresti chiedergli consiglio più spesso anziché arrovellarti inutilmente da solo. –

 

Il ragazzo tornò alla realtà, sospirando sconsolato.

-      Gabumon – apostrofò il digimon, che si voltò a guardarlo incuriosito – tu a chi chiederesti informazioni su come resuscitare i morti? –

Il digimon aggrottò la fronte. Parve pensarci un attimo, grattandosi il muso con fare meditabondo, come se stesse tentando di estrapolare un ricordo preciso.

-      Se non sbaglio – azzardò poi – li chiamate sacerdoti… -

Yamato sgranò gli occhi, tirandosi una manata sulla fronte.

-      Ma certo! Perché non ci ho pensato io? –

Ma negli occhi di Masahiro gli parve di leggere la risposta: perché era un giovane adulto.

 

 

 

Continua…

 

 

 

N.d.a:

Sarei molto curiosa di leggere le vostre impressioni sulla storia e sulla piega che stanno prendendo gli eventi.

Tante domande sono state poste, ora per i personaggi è arrivato il momento di cercare delle risposte. E di risolvere i propri dubbi.

 

Dal capitolo 23:

[…] Sapeva bene che Koushiro non aveva parlato. Eppure lei l’aveva sentito.

 

Un abbraccio,

Monalisasmile

 

  
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