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Eccomi al terzo aggiornamento (dovevo aggiornare ieri, lo so, ma di sera
il sito non funzionava, quindi) e ancora non ci credo di essere stata in
grado di seguire la mia scaletta fino a qui. Un grazie a tutti coloro che
mi hanno sostenuta fin dal primo e secondo capitolo, in particolare Ilary,
Seilen91, lilica, kagome chan, Tigre94 (no, non sono Albus e Severus i due
uomini in questione), Lake (ciao Lake, grazie ancora per i tuoi commenti
alle altre mie fic, in particolare Segrete) a cui dico che ovviamente la
signora Figg NON sta bene di cervello, come anche i Dursley non stanno
affatto bene e neanche Severus quando avrò finito con lui, comunque
cercherò di fare del mio meglio per non farli soffrire troppo, promesso
^__= o almeno, per non farli soffrire troppo ‛fino alla fine’. Grazie
mille a Miriel per avermi segnalato la svista verbale, subito corretta.
Grazie ancora. E grazie anche a pikkola prongs (il tuo nome mi piace molto
^_^ è davvero grazioso) alla quale confesso che anch’io sarei stata male da
morire nel parlare di una possibile violenza sessuale su Harry e questo è
il motivo per cui non l’ho fatto. Sì, “Eight” è la fanfiction su
Fanfiction.net ed è fantastica davvero, peccato sia WIP, chissà quando
verrà finita... Effettivamente leggo parecchio, sopratutto in quest’ultimo
periodo. Grazie ancora per i complimenti, ma di errori ce ne sono e
tanti anche, te lo posso assicurare. Grazie a LadySnape per il suo
commento e per i complimenti sul mio stile. Grazie a briciola88, sì, in
effetti non è una storia allegra, o almeno non lo è adesso, ma posso
anticipare che migliorerà ^__^ io sono, per principio, una paladina
dell’happy end, quindi non c’è da preoccuparsi. Grazie a unknow_angel per
le mail (a cui risponderò al più presto) e per i commenti, avremo modo di
parlarne meglio su messenger poi... Grazie mille a kisa86 per la mail e
per il post nel forum, grazie davvero, nessuno aveva mai fatto una cosa
del genere per una mia storia prima. Infine grazie a hermy88. Bravissima,
hai riconosciuto il titolo, non pensavo qualcuno conoscesse i Within
Temptation, io personalmente li adoro, la cantante ha una voce
*meravigliosa*, beata lei... ç___ç Questa storia non sarà una song-fic, ma
conto di inserire molti titoli correlati a canzoni dei loro album e
qualche frase dei testi, ma comunque se lo farò saranno segnalati (per
esempio il titolo di questo capitolo riprende una parte di quello di un
loro pezzo del terzo album, il più bello secondo me. Spero di non aver
dimenticato nessuno, in caso contrario fatemi sapere subito, ok? Ancora un
bacio a tutte/i. Vi auguro buona lettura.
Mel Kaine
Nota grammaticale importante: in fondo.
The Heart of Everything
Capitolo 3 - / Hollow memories /
Nella solitudine di un fuoco perennemente acceso, in una stanza spoglia,
era facile lasciarsi ai ricordi. In fila, pronti ad assalire un animo
deliziato all’idea di vacillare e divenire ancora più misero. Giusto
contrappasso per le sue colpe. Oh, il sangue scivolava via dalla mani
sotto l’acqua, ma era la coscienza, induritasi ora dopo ora, crudeltà dopo
crudeltà, a segnare il suo cambiamento, a decretare la fine di ogni sua
speranza. Ed ancora brillava il rosso riverbero, senza bruciare realmente
nulla, senza suono e senza odore. Allegoria di chi ha lasciato già che
tutto si consumasse e niente più ha da offrire in dono al dolore e al
rimpianto. Involucro vuoto e vano. Foreste di paradossi nella mente
esasperata da correnti di pensiero contrastanti e negazioni dell’essere,
dell’avere, del volere e del sentire.
Le sue lunghe dita, pallide e smunte (come un volto sepolto dal tempo,
sepolto nella colpa più nera), leggere accarezzavano il legno scuro, le
coste alte e spesse dei libri, la polvere delle memorie, gli antichi
sapori di qualcosa che aveva negoziato con l’incedere degli anni e che
adesso era marcio come le fronde cadute degli alberi dopo le prime piogge
d’autunno. Il suo indice si trovò, d’improvviso, a tracciare i contorni
definiti di una cornice. Un mezzo sorriso ironico e storto. Mentre pensava
che nessuno poteva dirsi riserva e non partecipante nell’eterna gara per
la supremazia sul tempo. Ingannarlo, rallentarlo, fermarlo, recluderlo,
ingabbiarlo nei vaghi e sfumati contorni di una fotografia. Col pollice
era quasi pronto ad accarezzare la dolce, dolcissima linea di quel volto,
quando la sgradevole sensazione di falsità lo avvolse come il pungente
vento del mattino. Sarebbe stato solo un altro freddo, violento, ruvido
contatto. Rude nella sua dichiarazione di realtà. Non c’era più pelle su
quel viso, né colore in quegli occhi, né fiato fra quelle labbra. Il
giorno passato è perduto. Il dolore era l’unica cosa che si poteva nutrire
di immagini scolpite in movimenti sempre uguali e vivere nelle ore, nei
mesi, negli anni.
Dannate foto magiche, colpevoli di far apparire vive persone che non
avevano più respiro nei loro corpi freddi, consumate dalla terra in cui
erano state seppellite. Maledette le memorie e la loro parassitaria
esistenza, aggrappate ai nostri punti deboli, lacerando, mordendo,
tormentando. E tutto era solo urla.
Un colpo discreto alla porta ed un membro dell’Ordine apparve sulla soglia
dello studio di Dumbledore.
“Il bambino è a Hogwarts”.
“Mille grazie, Kingsley”.
L’uomo si congedò con un cenno della testa e Albus si risolse a scendere
nella Great Hall per la cena.
I meriggi in cui gli capitava di perdersi disperatamente nelle danze
vorticose dei suoi pensieri lo lasciavano sempre con un insopprimibile
desiderio di devastare dentro al piatto qualunque cosa gli elfi domestici
avessero preparato, senza mangiarne. Albus sedeva poco distante, il suo
immortale sorriso gentile ed il maledetto brillio nel suo sguardo lo
portarono ad esigere vendetta contro il filetto di carne comodamente
poggiato davanti a lui. Perpetrato il delitto si sentì accusare dallo
sguardo del capo dell’Ordine e ancora una volta gli venne ricordato di
dovergli una risposta.
Non aveva alcun ulteriore motivo da aggiungere in sua difesa e sapeva con
ogni certezza che nessuno dei suoi validi appelli sarebbe stato nuovamente
preso in considerazione. E più di ogni altra cosa non voleva sentire
ancora quel nome. Non voleva altre lunghe ore davanti al fuoco con la
sola, deleteria, compagnia di una bottiglia di scotch, non voleva la
sensazione di vuoto e di nausea di quegli eterni strazi che erano le
minuziose analisi dei suoi passati comportamenti, né desiderava eviscerare
nuovamente un sentimento morto o una colpa relativamente giovane.
No.
Eppure sapeva perfettamente e con assoluta chiarezza che avrebbe, ad ogni
modo, dissentito da quella decisione, che avrebbe ancora rifiutato, fatto
tutto quello che poteva per negarsi tale, sgradita, responsabilità. Non si
sarebbe mai, né volontariamente né forzatamente, occupato del giovane
Potter.
La cena finì in relativa calma e, non appena Dumbledore fece per
congedarsi dalla tavola degli insegnanti e dirigersi verso di lui, Severus
si alzò immediatamente, pronto a praticare ogni forma di ostruzionismo
conosciuta.
“Ah, Severus, proprio l’uomo giusto…”
Snape fece per prendere parola e difendere a spada tratta la sua
imperitura volontà di rimanere solo, quando Albus fece cenno di seguirlo.
“Il piccolo Harry è già arrivato, ragazzo mio, da questa parte”.
Sconfitto ancor prima della dichiarazione di guerra, Severus seguì in
silenzio Dumbledore.
Harry guardava con timore gli enormi, altissimi orologi che riempivano la
stanza. Il loro quieto ticchettio era ormai diventato talmente rumoroso da
riempire tutta la stanza ed i loro rintocchi, ad intervalli regolari, lo
facevano sussultare con violenza. Era in piedi, rigido come una piccola
statuetta. Non osava sedersi su nessuna delle bellissime sedie ricoperte
di velluto dorato che occupavano gli angoli vuoti. Non sapeva
assolutamente dov’era, né cosa s’aspettasse da lui chiunque l’avesse
portato lì. Cercò d’ingoiare la paura come meglio poteva, ma non ottenne
risultati migliori di quelli che avrebbe potuto sperare d’avere davanti a
suo zio dopo una giornata in cui i suoi lavori non erano stati finiti in
tempo. Il continuo ronzio parlava di minuti e minuti andati, volati via.
Mentre la sua agitazione aumentava e lo lasciava a tratti tremante, a
tratti assolutamente indifferente, ma con gli occhi verde scuro spalancati
sull’ignoto.
Un altro, improvviso, rintocco. Un altro piccolo sussulto.
Così preso nel provare timore, non si rese conto del rumore della porta e
dei passi per le scale fino a che un paio di ombre alte e scure non si
mossero alla sua destra. Immediatamente il piccolo Harry si fece indietro,
ritirandosi un passo alla volta nell’angolo più vicino.
Due uomini avanzavano verso di lui e non erano gli stessi che lo avevano
portato via dai Dursley. Uno di loro era vecchio, così vecchio che il
piccolo Harry si chiese se stesse per compiere cento anni o se li avesse
già passati. Aveva uno stranissimo cappello ed un vestito dai colori
ancora più strani. Mentre si avvicinava manteneva sul viso un sorriso
gentile, ma Harry aveva imparato a non fidarsi di chi gli si avvicinava
sorridendo, soprattutto se la persona in questione era suo zio o suo
cugino Dudley. Quindi si ritirò, per quanto poteva, ancora nell’angolo,
schiacciandosi contro il corpo longilineo di uno degli altissimi orologi.
“Ciao Harry”disse l’uomo anziano.
Harry non rispose, quel sorriso lo metteva a disagio, forse aveva fatto
qualcosa di sbagliato ed erano venuti a dirglielo, forse avrebbe dovuto
già cominciare a pulire quella stanza, forse non doveva guardare gli
orologi.
Il piccolo abbassò lo sguardo.
“Harry, voglio presentarti una persona, una persona speciale che avrà il
compito di badare a te e di educarti, assieme a me e agli altri
insegnanti, ovviamente. Severus, ragazzo mio, vieni pure avanti”.
Ecco, non è che ci fossero poi molte altre parole.
L’altro uomo, quello che fino ad adesso era rimasto nell’ombra, si fece
avanti.
Ed era assolutamente… spaventoso.
Era molto più giovane del signore con lo strano cappello, ma aveva occhi
neri e profondi come pozzi (anche se Harry non aveva mai davvero visto un
pozzo sapeva che doveva essere un luogo orribile), lunghi capelli scuri
come tende sciupate ed una specie di vestito ampio e nero come la cenere.
La sua faccia era senza espressione e le sue labbra sottili erano già
strette in una smorfia a metà fra il disgusto ed il rimprovero. Sembrava
avere tutte e due le facce di Zio Vernon e Zia Petunia quando lo
guardavano. E poi c’era il suo naso. Guardato a lungo non era poi così
brutto, ma era sicuramente un naso grosso. Grosso come il becco di un
pinguino. Sì, un grosso pinguino cattivo…
Oh, ma Harry non l’avrebbe mai detto ad alta voce…
L’uomo non disse niente ed il silenzio spaventava il piccolo ancora di
più.
Il bimbo non osava alzare lo sguardo per nessuna ragione al mondo, ma
sentiva su di sé quegli occhi neri come il buio che c’era in cantina.
“Harry, quest’uomo è Severus Snape, Professore di Pozioni qui ad Hogwarts.
Resterai in sua compagnia per un po’ di tempo, puoi star certo che avrà
ottima cura di te e delle tue necessità. Severus?”
Harry sentì l’uomo più giovane sospirare con fastidio.
“Piacere di conoscerla, signor Potter”.
Il piccolo prese immediatamente a torcersi le manine l’una dentro l’altra.
Doveva rispondere?
Cosa doveva dire?
Cosa non doveva dire?
Si risolse ad usare, a voce bassa, l’unica frase che sapeva sicura.
“Sì, signore”.
Snape sollevò un sopracciglio. Avrebbe desiderato commentare in modo
sprezzante sulla maleducazione del figlio dei Potter, ma la voce di
Dumbledore lo fermò.
“Molto bene, adesso che anche le più banali formalità sono state esplicate
sono certo che vorrai mostrare al piccolo Harry la sua stanza. Il nostro
giovane ospite sarà senz’altro stanco dopo tutte le avventure di quest’oggi,
dico bene Harry?”
“Sì, signore”.
“Ottimo, ottimo. Buonanotte dunque”.
“Albus, non ritengo affatto…”
Un gesto noncurante della mano.
“Oh, non temere ragazzo mio, andrà tutto bene. Ne sono certo”.
E, sorridendo beatamente, scomparve su per le scale.
Nel rinnovato silenzio della stanza un altro orologio suonò rumorosamente.
Harry sussultò, lasciandosi sfuggire una sorta di misero e bassissimo
singulto non appena l’uomo vestito di nero si mosse.
Snape portò lungo i fianchi le braccia che fino a quel momento aveva
tenuto incrociate contro il petto. Lanciò uno sguardo duro e serio al
piccolo Harry, squadrandolo dal basso verso l’alto con meticolosa
precisione. Il suo naso moriva dalla voglia di arricciarsi per il disgusto
dell’essere costretto alla vista di abiti di tale foggia. Terrificanti
persino per dei Muggle, invero.
Nel frattempo il piccolo Harry attendeva quietamente il suo destino. Non
si stupiva affatto di essere stato affidato a quell’uomo. In fondo solo
una persona così spaventosa avrebbe potuto accettare di averlo intorno. La
gente perbene, quella simpatica e buona, che sorride felice ed è sempre
gentile, semplicemente non era per lui. Solo i bravi bambini potevano
avere persone del genere, non certo il piccolo, sporco, inutile Harry.
Disubbidiente ed ingrato. Che non sapeva fare niente e che lavorava sempre
male e non finiva mai in tempo…
No, Harry certamente sapeva che non sarebbe mai stato considerato un bravo
bambino, non lo meritava, e quindi era giusto che finisse assieme a quell’uomo
vestito di nero dal viso terribilmente cattivo. L’unica cosa che sperava
era, magari, di non venir picchiato troppo forte. Ed un pezzettino di
pane… sì, anche le botte andavano bene, ma almeno un pezzettino di pane…
La voce chiara e autoritaria dell’uomo lo trascinò via dal pensiero del
suo piccolo desiderio.
“Mi segua, signor Potter”.
“Sì, signore” sussurrò Harry pianissimo e subito lo seguì.
Passarono attraverso una porta laterale che Harry prima non aveva visto.
Adesso si trovavano in un corridoio lungo e buio. L’uomo non si girò
nemmeno una volta e proseguì senza indecisioni verso altre scale. Scesero
di almeno due piani e di nuovo c’erano solo corridoi. Corridoi altissimi e
stretti, pieni di strani quadri che parevano muoversi, ma nell’ombra non
si vedeva bene, tutto sembrava così vecchio e nero. Harry sperava con
tutto il cuore di non dover pulire tutto. Non sarebbe riuscito a finire
mai più.
Passarono molti minuti, ma l’uomo non si era fermato e continuava a
camminare e svoltare prima a destra, poi a sinistra e viceversa. Se mai
Harry si fosse trovato ad avventurarsi per quei luoghi da solo, era certo
che si sarebbe perso in un attimo. Già non ricordava più nemmeno da che
parte avevano girato l’ultima volta…
La testa, ad ogni passo, si faceva sempre più leggera e girava un pochino
ad ogni angolo svoltato. Il freddo si stava facendo più intenso e la luce
sembrava apparire di fronte a loro al passaggio di quell’uomo alto per poi
scomparire di nuovo una volta passato. Harry non voleva rimanere indietro
al buio, così faceva di tutto per tenere l’andatura veloce e stancante di
quell’uomo. Poco importava, se per ogni suo passo, ce ne volevano quasi
quattro dei suoi…
Poco dopo si ritrovò pressoché a dover correre, quando l’uomo si fermò
improvvisamente di fronte ad un muro.
Davanti a loro, sulla parete, pendeva un grosso quadro rettangolare, alto
quasi quanto l’uomo stesso. Raffigurava il tronco scuro e vecchio di un
albero secco. I suoi rami, quasi neri, salivano in modo contorto verso il
cielo grigio come ferro.
Harry non ne avrebbe saputo dire il perché, ma guardarlo lo fece sentire
molto, molto triste.
L’uomo allora posò la mano contro il quadro e mormorò qualche parola senza
farsi udire.
Subito il quadro si spostò di lato e comparve una porta.
Il piccolo Harry aveva ancora gli occhi spalancati per lo stupore quando
venne fatto entrare.
Severus sospirò senza farsi sentire.
Adesso, al sicuro nelle proprie stanze, poteva venire a capo del disastro
che era divenuta la sua serata da quando Albus si era alzato da tavola.
Non aveva bisogno di girarsi per sentire dietro di sé la presenza del
figlio dei Potter, immobile al centro del tappeto del salotto dei suoi
quartieri privati. Perlomeno la piccola piaga era silenziosa. Eppure
neanche questo era stato d’aiuto pochi attimi fa, quando Severus aveva
sentito l’emicrania bussare alle sue tempie. Adesso tutto quello che
desiderava era mandare a letto quella piccola, inopportuna creatura ed
indulgere nei pensieri e nell’alcol, fino a tardi. Ma prima aveva bisogno
di creargli una stanza ed un letto. Si volse quindi, osservando attorno
che non vi fossero possedimenti personali che avesse cura di prelevare per
la loro salvaguardia, e si avvicinò al bambino.
“Devo allontanarmi da questa stanza per qualche momento signor Potter,
confido nel fatto di ritrovarla integra al mio ritorno. Faccia in modo da
non spostarsi dall’esatto punto in cui si trova e di attendere il mio
ritorno, in silenzio”.
E sparì in un piccolo corridoio laterale accanto al camino.
Il giovane Harry non aveva capito molto di quello che gli era stato detto.
L’uomo aveva parlato usando un sacco di parole che lui non conosceva e poi
continuava a chiamarlo ‘signore’. Harry non era mai stato chiamato ‘signore’,
anzi, in realtà non era mai stato chiamato in quasi nessun altro modo
eccetto ‘ragazzo’. Le uniche cose che aveva capito era che non doveva
muoversi e doveva aspettare il ritorno di quell’uomo in silenzio. Prese,
quindi, a guardarsi attorno.
La stanza era illuminata da un fuoco allegro che bruciava nel camino. Le
pareti erano tutte di pietra, altissime e scure. Tre enormi librerie
occupavano tutta una parte. Una era contro il muro, le altre due gli erano
di fronte, messe di lato. Sopra c’erano così tanti, grossi libri che Harry
rimase a fissarli stupito per un bel po’, prima di passare a guardare
altro. Accanto al fuoco c’erano due poltrone molto belle, verde scuro con
un sacco di decorazioni argentate ed i cuscini sembravano essere stati
rigirati dentro una scatola di polvere d’argento e quasi brillavano. Oh,
come gli sarebbe piaciuto toccarli, solo per vedere se quella polverina
così bella gli sarebbe rimasta sulle mani. Ma non osava assolutamente
farlo, anzi, sicuramente non gli era permesso nemmeno pensarci. Accanto al
camino si apriva un corridoio veramente buio, lo stesso in cui era sparito
l’uomo in nero. Poco più in là c’era una piccola credenza di legno scuro,
dipinta di strani disegni e piena di bottiglie e bicchieri. Poi un
tavolinetto basso, uno strano pezzo di stoffa verde con un serpente a
forma di ‘S’ appeso al muro e la porta da cui erano entrati. Dall’altra
parte, infine, si poteva vedere un altro corridoio ed un’altra gigantesca
libreria, piena di fogli gialli e libri e oggetti strani e luccicanti. Era
così alta che il bimbo sperò di non doverla mai pulire sopra. Non ci
sarebbe arrivato nemmeno usando una sedia.
Harry si sfregò un pugnetto contro l’occhio.
Adesso era davvero stanco. Erano ore che stava in piedi. Guardò verso il
basso e scosse la testa.
No, il tappeto verde scuro era troppo bello perché ci si potesse sedere.
Anzi, in realtà non ci sarebbe nemmeno dovuto rimanere sopra, ma l’uomo
aveva detto di non spostarsi e lui non avrebbe mai apertamente disubbidito
ad un ordine diretto. Quindi rimase lì, spostando il peso del suo piccolo
corpo prima su una gamba e poi sull’altra, inconfortabilmente.
Il giovane Maestro di Pozioni si chiuse alle spalle la porta della stanza
che da qualche anno a questa parte usava come ripostiglio. Non aveva certo
intenzione di sistemare la camera del figlio dei Potter davanti al
bambino. Non avrebbe sopportato neanche un secondo dei puerili ‘Ohh’ e
‘Wow’ che l’uso di ogni più piccola e irrisoria magia sempre suscitava in
qualsiasi petulante marmocchio. Chiamò a voce alta uno degli elfi
domestici a disposizione del corpo insegnante e gli ordinò di trasferire
tutto quello che si trovava lì in uno dei sottoscala del suo ufficio
accanto all’aula di Pozioni, eccezione fatta per due vecchie assi di
legno, un tavolino sporco ed un cumulo di stracci. L’elfo svolse
velocemente il proprio compito e sparì. Severus lasciò che una sorta di
ghigno gli si dipingesse sul viso, mentre fissava con attenzione ciò che
era rimasto nella stanza. Per quanto desiderasse realmente non mostrare
alcuna gentilezza nei confronti del figlio di James Potter, era certo che
Albus gli avrebbe dato il tormento eterno se fosse venuto a sapere che per
un attimo Severus aveva pensato di lasciare tutto così e di presentare al
piccolo moccioso la sua ‘nuova’ stanza. Non che un poco di sana attitudine
spartana avrebbe peggiorato la già lacunosa educazione di quello
spocchioso esserino, così palesemente viziato e fastidioso… ma sarebbe
stato comunque sgradevole essere rimproverati dall’occhiata paternalistica
del capo dell’Ordine.
Così trasfigurò una delle assi in un baule, l’altra in un piccolo armadio,
il tavolo in un comodino ed il cumulo di stracci in un letto. Marrone
scuro per il legno e blu chiaro per le lenzuola. Non avrebbe accettato
nessun rosso Gryffindor nei suoi quartieri. Mai.
In fretta fece ritorno nella sala dove aveva affidato a se stesso il
bambino, fortemente convinto di trovarlo, se non in mezzo ai resti di una
sua irrimediabilmente distrutta credenza, almeno inginocchiato accanto al
fuoco a bruciare i suoi preziosissimi libri.
Con immensa sorpresa lo vide esattamente nel posto dove lo aveva lasciato.
La stanza sembrava perfettamente in ordine, così come era sempre stata.
Sicuramente la piccola piaga lo aveva sentito tornare e si era messa di
nuovo lì, convinta di ricevere una lode. Tsk, avrebbe fatto bene ad
impegnarsi molto di più e ad imparare che Severus Snape raramente
considerava qualcuno degno di lode.
Adesso era giunto il momento più difficile.
Cercare di far capire alla piaga in questione che esistevano delle regole
nei suoi quartieri e che, per il suo bene, avrebbe fatto doverosamente
meglio a ricordarle.
Lo guardò in silenzio per un lungo momento. Sembrava veramente piccolo per
l’età che avrebbe dovuto avere. Erano già passati cinque anni da quella
notte in cui… ed Harry Potter allora aveva solo dodici mesi o poco più.
Sei anni, quindi. Fisicamente non ne dimostrava che tre o quattro. Il viso
era terribilmente pallido. Forse la stanchezza…
Severus sedette quindi su una delle poltrone davanti al fuoco e si decise
a fare cenno al piccolo Potter di avvicinarsi.
Pensò fosse bene rivolgerglisi direttamente e chiamarlo semplicemente
usando il suo cognome, senza più altri, ironici, fronzoli; del tutto
sprecati se ci si doveva affidare all’intelligenza di un moccioso di sei
anni.
“Molto bene, Potter, ci sono poche semplici cose di cui devo assolutamente
informarti prima di mandarti nella tua stanza. Sappi che questi sono i
miei quartieri e che qui vigono delle regole per le quali mi aspetto
assoluta ubbidienza e rispetto. Chiaro?”
“Sì, signore” rispose prontamente il bimbo.
“In primo luogo non ti sarà permesso di uscire dalla tua stanza quando io
non sono qui. Né dovrai mai uscire da quella porta senza il mio esplicito
consenso – con una mano indicò la porta dalla quale erano entrati. – Mi
aspetto che tu riesca a tenere in ordine la tua camera e non devi toccare
niente che non sia tuo senza prima chiedere il mio permesso, né tanto meno
entrare nella mia stanza o danneggiare una mia proprietà. Altra regola,
cerca di fare poco rumore quando sono qui e… ovviamente gradirei non
sentirti affatto parlare a meno tu non debba rispondere ad una mia
domanda, ma ritengo sia chiedere troppo… hai capito tutto?”
“Sì, signore”.
Snape sollevò un sopracciglio. Da quando lo aveva incontrato aveva sentito
la voce del bambino-Potter solo cinque volte. E tutte e cinque aveva detto
la stessa, identica cosa. In condizioni normali avrebbe cominciato a
pensare ad un ritardo dello sviluppo mentale, ma qui si parlava del figlio
di James. Sicuramente il marmocchio si credeva spiritoso e stava ancora
giocando al bravo bambino, convinto di poterlo raggirare. Tsk, che
credesse quello che voleva, si sarebbe accorto delle conseguenze alla
prima trasgressione.
“Continuerai a rivolgerti a me chiamandomi ‘signore’ o ‘professore’ e in
nessun altro modo. Chiariamo subito, Potter, questa situazione mi aggrada
ancora meno di quanto si possa pensare, questo compito mi è stato imposto
e certamente non ne sono felice. Ho poco tempo in questi mesi e non
intendo sprecare nemmeno un istante a ripetere quanto detto stasera,
quindi vedi di ricordarlo e di ubbidire. Mi è stata affidata la tua
educazione ed ho ogni potere di conseguirla come meglio credo, puoi star
sicuro che non avrò alcuno scrupolo ad impartirti una buona dose di
disciplina all’occorrenza”.
Harry s’irrigidì senza lasciarsi sfuggire nemmeno un suono.
Ecco, sapeva che prima o dopo sarebbe arrivata quella parte. La parte
delle botte. Non che davvero fosse convinto di poterla evitare, eppure un
pochino lo aveva sperato….
Ma adesso era chiaro che quell’uomo era veramente cattivo come sembrava.
Il piccolo non riusciva a smettere di tremare leggermente, non voleva
essere visto, eppure non poteva farci niente. E guardare quelle mani così
grandi, ferme sui braccioli della poltrona non lo aiutava. Chissà come
dovevano fare male… forse lo avrebbe picchiato subito, prima di mandarlo a
dormire o forse lo avrebbe fatto domani mattina. In ogni caso lo avrebbe
fatto e presto. Harry prese nuovamente a torcersi le manine una dentro
l’altra.
Severus lo guardò ancora una volta.
Sì, si disse riconfermando la sua prima impressione, la copia sputata di
James Potter, anche se senza occhiali. Ma bastavano lo stesso viso, gli
stessi indomabili capelli e quell’aria di scherno già dipinta
nell’espressione.
Lo vide tremare lievemente, forse il freddo dei quartieri nelle segrete
del castello…
Beh, lo aveva tenuto in piedi fin troppo, era ora di mandarlo a dormire.
Severus si alzò con silenziosa eleganza.
“Bene, seguimi”.
Lo condusse quindi davanti ad una piccola porta, la sua stanza, osservando
il suo viso mentre lo lasciava entrare. Gli occhi del piccolo Potter si
sgranarono lentamente. Severus gli indicò una porta in fondo sulla parete
opposta e disse semplicemente: “Il bagno”.
Adesso poteva finalmente lasciarlo lì e dedicarsi a far scivolare i propri
pensieri giù assieme ad un buon bicchiere di scotch. Ma poco prima di
varcare la soglia, si sentì in qualche modo in dovere di avvertire il
bambino-Potter un’ultima volta.
“Non tentare di uscire da questa camera senza un valido motivo perché in
qualche modo lo verrò a sapere. Chiaro?”
E adesso aspettava la banale, falsa risposta…
“Sì, signore”.
… come dubitarne?
Si chiuse la porta alle spalle e scivolò lentamente verso la sala.
Il pensiero di serrare magicamente quella stanza lo aveva sfiorato per un
momento, ma per quanto poco si fidasse del figlio di James Potter non
poteva rischiare la sua incolumità. Il bambino avrebbe potuto avere dei
problemi durante la notte e Severus non era certo così insensibile da
negargli del tutto la possibilità di raggiungerlo nel caso ve ne fosse
l’urgenza.
Sospirò, stringendosi fra pollice ed indice la sommità del naso.
Sperò in questo modo di liberarsi di un po’ della tensione che lo aveva
tenuto sul filo fino a quel momento.
Al primo sorso di alcol una parte del feroce mal di testa lo lasciò.
Ma il problema rimaneva.
Il bambino non poteva stare con lui.
Doveva fare in modo di convincere Albus di questo e trovare qualcun’altro
più adatto e bendisposto.
Rimase a lungo davanti al fuoco.
Non sentiva alcun rumore dal piccolo corridoio e pensò che Potter fosse
già a letto, nel migliore dei casi addormentato.
Si alzò per riporre la bottiglia nella credenza e si decise a riposare le
membra.
Attraversò il corridoio, castò un incantesimo di avvertimento sulla porta
della camera di Potter, in modo che nessuno potesse aprirla senza che lui
ne fosse al corrente, e si ritirò nelle sue stanze.
Rimasto solo nella sua camera, il piccolo Harry restò immobile per qualche
lungo momento. Certamente doveva esserci uno sbaglio. Bambini come lui non
meritavano una vera stanza. Né meritavano un comodino, un armadio e,
soprattutto, non un letto. Poi vide il baule. Era chiaro, quello era il
suo posto. Per questo era vuoto. Tristemente vi si diresse, ma, mentre ci
stava appoggiando sopra le manine, scorse di nuovo la porta del bagno. Oh,
ne aveva davvero bisogno, eppure…
Lanciò uno sguardo veloce ad una delle porte e poi all’altra e raggiunse
quella del bagno. Rimase lì a guardarla per qualche minuto, indeciso. Poi
entrò velocemente e dopo poche decine di secondi era fuori di nuovo. Aveva
gli occhi spalancati ed il fiato corto, ma almeno era riuscito a fare ciò
che doveva. Aveva bevuto quanto più possibile, questo almeno teneva a bada
la fame. Di nuovo ritornò al baule e questa volta ci s’infilò dentro senza
più distrazioni, rannicchiandosi sul fondo. Almeno era pulito ed il legno
chiaro sembrava nuovo.
Adesso aveva un momento per pensare a tutto quello che gli era stato
detto. Non che le regole di quel posto fossero poi così diverse da quelle
in casa Dursley. Anche lì non doveva toccare mai niente né uscire senza
permesso né fare rumore. Poi, non aveva capito bene, quell’uomo aveva
parlato di alcune altre regole che ‘vivevano’ nei suoi quartieri… Harry
non sapeva che le regole vivessero, forse questa era una cosa che avrebbe
imparato a scuola, ma ormai non ci poteva più andare e la mattina dopo
sarebbe stato l’unico bambino a non poter vedere i delfini. Era così
triste, ma anche se aveva bevuto non voleva piangere di nuovo. L’uomo poi
aveva detto che non doveva parlare mai, a meno che non fosse per
rispondere ad una domanda. Beh, questo lo poteva fare, anche qui niente di
diverso da quello che Zio Vernon gli aveva sempre ripetuto. E poi gli
aveva detto di chiamarlo ‘signore’ o ‘professore’. Quindi era come una
delle maestre della scuola dove era stato. Chissà… forse se si fosse
comportato bene e se avesse lavorato senza fiatare l’uomo in nero gli
avrebbe potuto insegnare qualcosa, in fondo era un maestro… continuava ad
assomigliare più ad un grosso, alto pinguino cattivo, ma era anche un
maestro… un maestro pinguino… oh, era un pensiero quasi buffo, ma Harry
sapeva di non poterlo mai dire ad alta voce. Sarebbe stato sicuramente
punito. Era stato avvertito almeno. L’uomo aveva detto che lo avrebbe
sicuramente picchiato. E poi aveva aggiunto che non era felice di averlo
lì. A questo Harry poteva credere senza dubbio. Nessuno voleva il piccolo
Harry, nessuno lo poteva vedere, nessuno lo poteva sopportare, perché
Harry era cattivo e inutile e quindi nessuno sarebbe, mai e poi mai, stato
felice di averlo intorno. Harry lo sapeva bene, eppure questo non lo
faceva sentire meno triste quando gli veniva detto. Era stato molto tempo
disteso lì, a pensare. E la fame si era fatta sentire, voleva bere un
altro po’, forse poi avrebbe potuto dormire un pochino. Velocemente tornò
in bagno per pochissimi secondi, ma quando uscì e si fu sistemato di nuovo
dentro al baule prese a tremare come una foglia.
Passi.
Dei passi nel corridoio.
Oh, lo sapeva che non sarebbe dovuto tornare in bagno. Dai Dursley non gli
era permesso più di una volta al giorno e adesso sicuramente sarebbe stato
picchiato.
Oh, sì, i passi si stavano facendo più vicini e forti.
Harry si coprì la testa con le manine, cercando di farsi piccolo piccolo e
sparire nel fondo del baule. Le ginocchia gli tremavano così tanto da
sbattere l’una contro l’altra e quasi non respirava. I passi si erano
fermati davanti alla sua porta ed Harry pensò che fra poco la maniglia si
sarebbe abbassata e che l’uomo in nero sarebbe entrato, rosso come era
sempre Zio Vernon quando era arrabbiato, e lo avrebbe picchiato con quelle
mani pallide e grandi. Passarono i tre istanti più lunghi della sua vita
poi i passi ripresero, allontanandosi, e scomparvero nel silenzio della
notte.
Poco dopo Harry si lasciò sfuggire un mezzo sospiro-singhiozzo.
Ma adesso non poteva più dormire. Sicuramente non l’avrebbe passata
liscia. Di certo la mattina dopo sarebbe stato punito, forse l’uomo era
stanco, come capitava a volte a Zio Vernon. E quando Zio Vernon gli
permetteva di non essere picchiato la sera si ricordava sempre di farlo la
mattina dopo. E adesso aveva di nuovo paura. Si stese, ma gli occhi erano
aperti e le orecchie si aspettavano in qualsiasi momento di udire di nuovo
quei passi, di sentire l’uomo tornare indietro. E non riuscì a dormire
nemmeno un po’. Stremato, chiuse gli occhi solo la mattina dopo, mentre
Snape scivolava fuori dai suoi quartieri per recarsi nella Great Hall.
Continua…
Nota grammaticale: per mia
decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri
di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi,
non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche
perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’.
Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di
ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
Great Hall: Sala
Grande
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