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Autore: MelKaine    19/12/2007    16 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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The Heart of Everything 3
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Eccomi al terzo aggiornamento (dovevo aggiornare ieri, lo so, ma di sera il sito non funzionava, quindi) e ancora non ci credo di essere stata in grado di seguire la mia scaletta fino a qui. Un grazie a tutti coloro che mi hanno sostenuta fin dal primo e secondo capitolo, in particolare Ilary, Seilen91, lilica, kagome chan, Tigre94 (no, non sono Albus e Severus i due uomini in questione), Lake (ciao Lake, grazie ancora per i tuoi commenti alle altre mie fic, in particolare Segrete) a cui dico che ovviamente la signora Figg NON sta bene di cervello, come anche i Dursley non stanno affatto bene e neanche Severus quando avrò finito con lui, comunque cercherò di fare del mio meglio per non farli soffrire troppo, promesso ^__= o almeno, per non farli soffrire troppo ‛fino alla fine’. Grazie mille a Miriel per avermi segnalato la svista verbale, subito corretta. Grazie ancora. E grazie anche a pikkola prongs (il tuo nome mi piace molto ^_^ è davvero grazioso) alla quale confesso che anch’io sarei stata male da morire nel parlare di una possibile violenza sessuale su Harry e questo è il motivo per cui non l’ho fatto. Sì, “Eight” è la fanfiction su Fanfiction.net ed è fantastica davvero, peccato sia WIP, chissà quando verrà finita... Effettivamente leggo parecchio, sopratutto in quest’ultimo periodo. Grazie ancora per i complimenti, ma di errori ce ne sono e tanti anche, te lo posso assicurare. Grazie a LadySnape per il suo commento e per i complimenti sul mio stile. Grazie a briciola88, sì, in effetti non è una storia allegra, o almeno non lo è adesso, ma posso anticipare che migliorerà ^__^ io sono, per principio, una paladina dell’happy end, quindi non c’è da preoccuparsi. Grazie a unknow_angel per le mail (a cui risponderò al più presto) e per i commenti, avremo modo di parlarne meglio su messenger poi... Grazie mille a kisa86 per la mail e per il post nel forum, grazie davvero, nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per una mia storia prima. Infine grazie a hermy88. Bravissima, hai riconosciuto il titolo, non pensavo qualcuno conoscesse i Within Temptation, io personalmente li adoro, la cantante ha una voce *meravigliosa*, beata lei... ç___ç Questa storia non sarà una song-fic, ma conto di inserire molti titoli correlati a canzoni dei loro album e qualche frase dei testi, ma comunque se lo farò saranno segnalati (per esempio il titolo di questo capitolo riprende una parte di quello di un loro pezzo del terzo album, il più bello secondo me. Spero di non aver dimenticato nessuno, in caso contrario fatemi sapere subito, ok? Ancora un bacio a tutte/i. Vi auguro buona lettura.

 

Mel Kaine

 

 

Nota grammaticale importante: in fondo.

 

 

The Heart of Everything

 

 




Capitolo 3 - / Hollow memories /








Nella solitudine di un fuoco perennemente acceso, in una stanza spoglia, era facile lasciarsi ai ricordi. In fila, pronti ad assalire un animo deliziato all’idea di vacillare e divenire ancora più misero. Giusto contrappasso per le sue colpe. Oh, il sangue scivolava via dalla mani sotto l’acqua, ma era la coscienza, induritasi ora dopo ora, crudeltà dopo crudeltà, a segnare il suo cambiamento, a decretare la fine di ogni sua speranza. Ed ancora brillava il rosso riverbero, senza bruciare realmente nulla, senza suono e senza odore. Allegoria di chi ha lasciato già che tutto si consumasse e niente più ha da offrire in dono al dolore e al rimpianto. Involucro vuoto e vano. Foreste di paradossi nella mente esasperata da correnti di pensiero contrastanti e negazioni dell’essere, dell’avere, del volere e del sentire.
Le sue lunghe dita, pallide e smunte (come un volto sepolto dal tempo, sepolto nella colpa più nera), leggere accarezzavano il legno scuro, le coste alte e spesse dei libri, la polvere delle memorie, gli antichi sapori di qualcosa che aveva negoziato con l’incedere degli anni e che adesso era marcio come le fronde cadute degli alberi dopo le prime piogge d’autunno. Il suo indice si trovò, d’improvviso, a tracciare i contorni definiti di una cornice. Un mezzo sorriso ironico e storto. Mentre pensava che nessuno poteva dirsi riserva e non partecipante nell’eterna gara per la supremazia sul tempo. Ingannarlo, rallentarlo, fermarlo, recluderlo, ingabbiarlo nei vaghi e sfumati contorni di una fotografia. Col pollice era quasi pronto ad accarezzare la dolce, dolcissima linea di quel volto, quando la sgradevole sensazione di falsità lo avvolse come il pungente vento del mattino. Sarebbe stato solo un altro freddo, violento, ruvido contatto. Rude nella sua dichiarazione di realtà. Non c’era più pelle su quel viso, né colore in quegli occhi, né fiato fra quelle labbra. Il giorno passato è perduto. Il dolore era l’unica cosa che si poteva nutrire di immagini scolpite in movimenti sempre uguali e vivere nelle ore, nei mesi, negli anni.
Dannate foto magiche, colpevoli di far apparire vive persone che non avevano più respiro nei loro corpi freddi, consumate dalla terra in cui erano state seppellite. Maledette le memorie e la loro parassitaria esistenza, aggrappate ai nostri punti deboli, lacerando, mordendo, tormentando. E tutto era solo urla.



Un colpo discreto alla porta ed un membro dell’Ordine apparve sulla soglia dello studio di Dumbledore.
“Il bambino è a Hogwarts”.

“Mille grazie, Kingsley”.

L’uomo si congedò con un cenno della testa e Albus si risolse a scendere nella Great Hall per la cena.




I meriggi in cui gli capitava di perdersi disperatamente nelle danze vorticose dei suoi pensieri lo lasciavano sempre con un insopprimibile desiderio di devastare dentro al piatto qualunque cosa gli elfi domestici avessero preparato, senza mangiarne. Albus sedeva poco distante, il suo immortale sorriso gentile ed il maledetto brillio nel suo sguardo lo portarono ad esigere vendetta contro il filetto di carne comodamente poggiato davanti a lui. Perpetrato il delitto si sentì accusare dallo sguardo del capo dell’Ordine e ancora una volta gli venne ricordato di dovergli una risposta.
Non aveva alcun ulteriore motivo da aggiungere in sua difesa e sapeva con ogni certezza che nessuno dei suoi validi appelli sarebbe stato nuovamente preso in considerazione. E più di ogni altra cosa non voleva sentire ancora quel nome. Non voleva altre lunghe ore davanti al fuoco con la sola, deleteria, compagnia di una bottiglia di scotch, non voleva la sensazione di vuoto e di nausea di quegli eterni strazi che erano le minuziose analisi dei suoi passati comportamenti, né desiderava eviscerare nuovamente un sentimento morto o una colpa relativamente giovane.

No.

Eppure sapeva perfettamente e con assoluta chiarezza che avrebbe, ad ogni modo, dissentito da quella decisione, che avrebbe ancora rifiutato, fatto tutto quello che poteva per negarsi tale, sgradita, responsabilità. Non si sarebbe mai, né volontariamente né forzatamente, occupato del giovane Potter.

La cena finì in relativa calma e, non appena Dumbledore fece per congedarsi dalla tavola degli insegnanti e dirigersi verso di lui, Severus si alzò immediatamente, pronto a praticare ogni forma di ostruzionismo conosciuta.

“Ah, Severus, proprio l’uomo giusto…”
Snape fece per prendere parola e difendere a spada tratta la sua imperitura volontà di rimanere solo, quando Albus fece cenno di seguirlo.
“Il piccolo Harry è già arrivato, ragazzo mio, da questa parte”.

Sconfitto ancor prima della dichiarazione di guerra, Severus seguì in silenzio Dumbledore.




Harry guardava con timore gli enormi, altissimi orologi che riempivano la stanza. Il loro quieto ticchettio era ormai diventato talmente rumoroso da riempire tutta la stanza ed i loro rintocchi, ad intervalli regolari, lo facevano sussultare con violenza. Era in piedi, rigido come una piccola statuetta. Non osava sedersi su nessuna delle bellissime sedie ricoperte di velluto dorato che occupavano gli angoli vuoti. Non sapeva assolutamente dov’era, né cosa s’aspettasse da lui chiunque l’avesse portato lì. Cercò d’ingoiare la paura come meglio poteva, ma non ottenne risultati migliori di quelli che avrebbe potuto sperare d’avere davanti a suo zio dopo una giornata in cui i suoi lavori non erano stati finiti in tempo. Il continuo ronzio parlava di minuti e minuti andati, volati via. Mentre la sua agitazione aumentava e lo lasciava a tratti tremante, a tratti assolutamente indifferente, ma con gli occhi verde scuro spalancati sull’ignoto.
Un altro, improvviso, rintocco. Un altro piccolo sussulto.
Così preso nel provare timore, non si rese conto del rumore della porta e dei passi per le scale fino a che un paio di ombre alte e scure non si mossero alla sua destra. Immediatamente il piccolo Harry si fece indietro, ritirandosi un passo alla volta nell’angolo più vicino.
Due uomini avanzavano verso di lui e non erano gli stessi che lo avevano portato via dai Dursley. Uno di loro era vecchio, così vecchio che il piccolo Harry si chiese se stesse per compiere cento anni o se li avesse già passati. Aveva uno stranissimo cappello ed un vestito dai colori ancora più strani. Mentre si avvicinava manteneva sul viso un sorriso gentile, ma Harry aveva imparato a non fidarsi di chi gli si avvicinava sorridendo, soprattutto se la persona in questione era suo zio o suo cugino Dudley. Quindi si ritirò, per quanto poteva, ancora nell’angolo, schiacciandosi contro il corpo longilineo di uno degli altissimi orologi.

“Ciao Harry”disse l’uomo anziano.

Harry non rispose, quel sorriso lo metteva a disagio, forse aveva fatto qualcosa di sbagliato ed erano venuti a dirglielo, forse avrebbe dovuto già cominciare a pulire quella stanza, forse non doveva guardare gli orologi.
Il piccolo abbassò lo sguardo.

“Harry, voglio presentarti una persona, una persona speciale che avrà il compito di badare a te e di educarti, assieme a me e agli altri insegnanti, ovviamente. Severus, ragazzo mio, vieni pure avanti”.

Ecco, non è che ci fossero poi molte altre parole.
L’altro uomo, quello che fino ad adesso era rimasto nell’ombra, si fece avanti.
Ed era assolutamente… spaventoso.

Era molto più giovane del signore con lo strano cappello, ma aveva occhi neri e profondi come pozzi (anche se Harry non aveva mai davvero visto un pozzo sapeva che doveva essere un luogo orribile), lunghi capelli scuri come tende sciupate ed una specie di vestito ampio e nero come la cenere. La sua faccia era senza espressione e le sue labbra sottili erano già strette in una smorfia a metà fra il disgusto ed il rimprovero. Sembrava avere tutte e due le facce di Zio Vernon e Zia Petunia quando lo guardavano. E poi c’era il suo naso. Guardato a lungo non era poi così brutto, ma era sicuramente un naso grosso. Grosso come il becco di un pinguino. Sì, un grosso pinguino cattivo…
Oh, ma Harry non l’avrebbe mai detto ad alta voce…

L’uomo non disse niente ed il silenzio spaventava il piccolo ancora di più.
Il bimbo non osava alzare lo sguardo per nessuna ragione al mondo, ma sentiva su di sé quegli occhi neri come il buio che c’era in cantina.

“Harry, quest’uomo è Severus Snape, Professore di Pozioni qui ad Hogwarts. Resterai in sua compagnia per un po’ di tempo, puoi star certo che avrà ottima cura di te e delle tue necessità. Severus?”

Harry sentì l’uomo più giovane sospirare con fastidio.

“Piacere di conoscerla, signor Potter”.

Il piccolo prese immediatamente a torcersi le manine l’una dentro l’altra.
Doveva rispondere?
Cosa doveva dire?
Cosa non doveva dire?

Si risolse ad usare, a voce bassa, l’unica frase che sapeva sicura.
“Sì, signore”.

Snape sollevò un sopracciglio. Avrebbe desiderato commentare in modo sprezzante sulla maleducazione del figlio dei Potter, ma la voce di Dumbledore lo fermò.

“Molto bene, adesso che anche le più banali formalità sono state esplicate sono certo che vorrai mostrare al piccolo Harry la sua stanza. Il nostro giovane ospite sarà senz’altro stanco dopo tutte le avventure di quest’oggi, dico bene Harry?”

“Sì, signore”.

“Ottimo, ottimo. Buonanotte dunque”.

“Albus, non ritengo affatto…”

Un gesto noncurante della mano.
“Oh, non temere ragazzo mio, andrà tutto bene. Ne sono certo”.

E, sorridendo beatamente, scomparve su per le scale.

Nel rinnovato silenzio della stanza un altro orologio suonò rumorosamente. Harry sussultò, lasciandosi sfuggire una sorta di misero e bassissimo singulto non appena l’uomo vestito di nero si mosse.
Snape portò lungo i fianchi le braccia che fino a quel momento aveva tenuto incrociate contro il petto. Lanciò uno sguardo duro e serio al piccolo Harry, squadrandolo dal basso verso l’alto con meticolosa precisione. Il suo naso moriva dalla voglia di arricciarsi per il disgusto dell’essere costretto alla vista di abiti di tale foggia. Terrificanti persino per dei Muggle, invero.

Nel frattempo il piccolo Harry attendeva quietamente il suo destino. Non si stupiva affatto di essere stato affidato a quell’uomo. In fondo solo una persona così spaventosa avrebbe potuto accettare di averlo intorno. La gente perbene, quella simpatica e buona, che sorride felice ed è sempre gentile, semplicemente non era per lui. Solo i bravi bambini potevano avere persone del genere, non certo il piccolo, sporco, inutile Harry. Disubbidiente ed ingrato. Che non sapeva fare niente e che lavorava sempre male e non finiva mai in tempo…
No, Harry certamente sapeva che non sarebbe mai stato considerato un bravo bambino, non lo meritava, e quindi era giusto che finisse assieme a quell’uomo vestito di nero dal viso terribilmente cattivo. L’unica cosa che sperava era, magari, di non venir picchiato troppo forte. Ed un pezzettino di pane… sì, anche le botte andavano bene, ma almeno un pezzettino di pane…

La voce chiara e autoritaria dell’uomo lo trascinò via dal pensiero del suo piccolo desiderio.

“Mi segua, signor Potter”.

“Sì, signore” sussurrò Harry pianissimo e subito lo seguì.

Passarono attraverso una porta laterale che Harry prima non aveva visto. Adesso si trovavano in un corridoio lungo e buio. L’uomo non si girò nemmeno una volta e proseguì senza indecisioni verso altre scale. Scesero di almeno due piani e di nuovo c’erano solo corridoi. Corridoi altissimi e stretti, pieni di strani quadri che parevano muoversi, ma nell’ombra non si vedeva bene, tutto sembrava così vecchio e nero. Harry sperava con tutto il cuore di non dover pulire tutto. Non sarebbe riuscito a finire mai più.
Passarono molti minuti, ma l’uomo non si era fermato e continuava a camminare e svoltare prima a destra, poi a sinistra e viceversa. Se mai Harry si fosse trovato ad avventurarsi per quei luoghi da solo, era certo che si sarebbe perso in un attimo. Già non ricordava più nemmeno da che parte avevano girato l’ultima volta…
La testa, ad ogni passo, si faceva sempre più leggera e girava un pochino ad ogni angolo svoltato. Il freddo si stava facendo più intenso e la luce sembrava apparire di fronte a loro al passaggio di quell’uomo alto per poi scomparire di nuovo una volta passato. Harry non voleva rimanere indietro al buio, così faceva di tutto per tenere l’andatura veloce e stancante di quell’uomo. Poco importava, se per ogni suo passo, ce ne volevano quasi quattro dei suoi…
Poco dopo si ritrovò pressoché a dover correre, quando l’uomo si fermò improvvisamente di fronte ad un muro.
Davanti a loro, sulla parete, pendeva un grosso quadro rettangolare, alto quasi quanto l’uomo stesso. Raffigurava il tronco scuro e vecchio di un albero secco. I suoi rami, quasi neri, salivano in modo contorto verso il cielo grigio come ferro.
Harry non ne avrebbe saputo dire il perché, ma guardarlo lo fece sentire molto, molto triste.
L’uomo allora posò la mano contro il quadro e mormorò qualche parola senza farsi udire.
Subito il quadro si spostò di lato e comparve una porta.
Il piccolo Harry aveva ancora gli occhi spalancati per lo stupore quando venne fatto entrare.

Severus sospirò senza farsi sentire.
Adesso, al sicuro nelle proprie stanze, poteva venire a capo del disastro che era divenuta la sua serata da quando Albus si era alzato da tavola. Non aveva bisogno di girarsi per sentire dietro di sé la presenza del figlio dei Potter, immobile al centro del tappeto del salotto dei suoi quartieri privati. Perlomeno la piccola piaga era silenziosa. Eppure neanche questo era stato d’aiuto pochi attimi fa, quando Severus aveva sentito l’emicrania bussare alle sue tempie. Adesso tutto quello che desiderava era mandare a letto quella piccola, inopportuna creatura ed indulgere nei pensieri e nell’alcol, fino a tardi. Ma prima aveva bisogno di creargli una stanza ed un letto. Si volse quindi, osservando attorno che non vi fossero possedimenti personali che avesse cura di prelevare per la loro salvaguardia, e si avvicinò al bambino.

“Devo allontanarmi da questa stanza per qualche momento signor Potter, confido nel fatto di ritrovarla integra al mio ritorno. Faccia in modo da non spostarsi dall’esatto punto in cui si trova e di attendere il mio ritorno, in silenzio”.

E sparì in un piccolo corridoio laterale accanto al camino.

Il giovane Harry non aveva capito molto di quello che gli era stato detto. L’uomo aveva parlato usando un sacco di parole che lui non conosceva e poi continuava a chiamarlo ‘signore’. Harry non era mai stato chiamato ‘signore’, anzi, in realtà non era mai stato chiamato in quasi nessun altro modo eccetto ‘ragazzo’. Le uniche cose che aveva capito era che non doveva muoversi e doveva aspettare il ritorno di quell’uomo in silenzio. Prese, quindi, a guardarsi attorno.

La stanza era illuminata da un fuoco allegro che bruciava nel camino. Le pareti erano tutte di pietra, altissime e scure. Tre enormi librerie occupavano tutta una parte. Una era contro il muro, le altre due gli erano di fronte, messe di lato. Sopra c’erano così tanti, grossi libri che Harry rimase a fissarli stupito per un bel po’, prima di passare a guardare altro. Accanto al fuoco c’erano due poltrone molto belle, verde scuro con un sacco di decorazioni argentate ed i cuscini sembravano essere stati rigirati dentro una scatola di polvere d’argento e quasi brillavano. Oh, come gli sarebbe piaciuto toccarli, solo per vedere se quella polverina così bella gli sarebbe rimasta sulle mani. Ma non osava assolutamente farlo, anzi, sicuramente non gli era permesso nemmeno pensarci. Accanto al camino si apriva un corridoio veramente buio, lo stesso in cui era sparito l’uomo in nero. Poco più in là c’era una piccola credenza di legno scuro, dipinta di strani disegni e piena di bottiglie e bicchieri. Poi un tavolinetto basso, uno strano pezzo di stoffa verde con un serpente a forma di ‘S’ appeso al muro e la porta da cui erano entrati. Dall’altra parte, infine, si poteva vedere un altro corridoio ed un’altra gigantesca libreria, piena di fogli gialli e libri e oggetti strani e luccicanti. Era così alta che il bimbo sperò di non doverla mai pulire sopra. Non ci sarebbe arrivato nemmeno usando una sedia.
Harry si sfregò un pugnetto contro l’occhio.
Adesso era davvero stanco. Erano ore che stava in piedi. Guardò verso il basso e scosse la testa.
No, il tappeto verde scuro era troppo bello perché ci si potesse sedere. Anzi, in realtà non ci sarebbe nemmeno dovuto rimanere sopra, ma l’uomo aveva detto di non spostarsi e lui non avrebbe mai apertamente disubbidito ad un ordine diretto. Quindi rimase lì, spostando il peso del suo piccolo corpo prima su una gamba e poi sull’altra, inconfortabilmente.


Il giovane Maestro di Pozioni si chiuse alle spalle la porta della stanza che da qualche anno a questa parte usava come ripostiglio. Non aveva certo intenzione di sistemare la camera del figlio dei Potter davanti al bambino. Non avrebbe sopportato neanche un secondo dei puerili ‘Ohh’ e ‘Wow’ che l’uso di ogni più piccola e irrisoria magia sempre suscitava in qualsiasi petulante marmocchio. Chiamò a voce alta uno degli elfi domestici a disposizione del corpo insegnante e gli ordinò di trasferire tutto quello che si trovava lì in uno dei sottoscala del suo ufficio accanto all’aula di Pozioni, eccezione fatta per due vecchie assi di legno, un tavolino sporco ed un cumulo di stracci. L’elfo svolse velocemente il proprio compito e sparì. Severus lasciò che una sorta di ghigno gli si dipingesse sul viso, mentre fissava con attenzione ciò che era rimasto nella stanza. Per quanto desiderasse realmente non mostrare alcuna gentilezza nei confronti del figlio di James Potter, era certo che Albus gli avrebbe dato il tormento eterno se fosse venuto a sapere che per un attimo Severus aveva pensato di lasciare tutto così e di presentare al piccolo moccioso la sua ‘nuova’ stanza. Non che un poco di sana attitudine spartana avrebbe peggiorato la già lacunosa educazione di quello spocchioso esserino, così palesemente viziato e fastidioso… ma sarebbe stato comunque sgradevole essere rimproverati dall’occhiata paternalistica del capo dell’Ordine.
Così trasfigurò una delle assi in un baule, l’altra in un piccolo armadio, il tavolo in un comodino ed il cumulo di stracci in un letto. Marrone scuro per il legno e blu chiaro per le lenzuola. Non avrebbe accettato nessun rosso Gryffindor nei suoi quartieri. Mai.
In fretta fece ritorno nella sala dove aveva affidato a se stesso il bambino, fortemente convinto di trovarlo, se non in mezzo ai resti di una sua irrimediabilmente distrutta credenza, almeno inginocchiato accanto al fuoco a bruciare i suoi preziosissimi libri.
Con immensa sorpresa lo vide esattamente nel posto dove lo aveva lasciato. La stanza sembrava perfettamente in ordine, così come era sempre stata. Sicuramente la piccola piaga lo aveva sentito tornare e si era messa di nuovo lì, convinta di ricevere una lode. Tsk, avrebbe fatto bene ad impegnarsi molto di più e ad imparare che Severus Snape raramente considerava qualcuno degno di lode.

Adesso era giunto il momento più difficile.

Cercare di far capire alla piaga in questione che esistevano delle regole nei suoi quartieri e che, per il suo bene, avrebbe fatto doverosamente meglio a ricordarle.

Lo guardò in silenzio per un lungo momento. Sembrava veramente piccolo per l’età che avrebbe dovuto avere. Erano già passati cinque anni da quella notte in cui… ed Harry Potter allora aveva solo dodici mesi o poco più. Sei anni, quindi. Fisicamente non ne dimostrava che tre o quattro. Il viso era terribilmente pallido. Forse la stanchezza…

Severus sedette quindi su una delle poltrone davanti al fuoco e si decise a fare cenno al piccolo Potter di avvicinarsi.

Pensò fosse bene rivolgerglisi direttamente e chiamarlo semplicemente usando il suo cognome, senza più altri, ironici, fronzoli; del tutto sprecati se ci si doveva affidare all’intelligenza di un moccioso di sei anni.

“Molto bene, Potter, ci sono poche semplici cose di cui devo assolutamente informarti prima di mandarti nella tua stanza. Sappi che questi sono i miei quartieri e che qui vigono delle regole per le quali mi aspetto assoluta ubbidienza e rispetto. Chiaro?”

“Sì, signore” rispose prontamente il bimbo.

“In primo luogo non ti sarà permesso di uscire dalla tua stanza quando io non sono qui. Né dovrai mai uscire da quella porta senza il mio esplicito consenso – con una mano indicò la porta dalla quale erano entrati. – Mi aspetto che tu riesca a tenere in ordine la tua camera e non devi toccare niente che non sia tuo senza prima chiedere il mio permesso, né tanto meno entrare nella mia stanza o danneggiare una mia proprietà. Altra regola, cerca di fare poco rumore quando sono qui e… ovviamente gradirei non sentirti affatto parlare a meno tu non debba rispondere ad una mia domanda, ma ritengo sia chiedere troppo… hai capito tutto?”

“Sì, signore”.

Snape sollevò un sopracciglio. Da quando lo aveva incontrato aveva sentito la voce del bambino-Potter solo cinque volte. E tutte e cinque aveva detto la stessa, identica cosa. In condizioni normali avrebbe cominciato a pensare ad un ritardo dello sviluppo mentale, ma qui si parlava del figlio di James. Sicuramente il marmocchio si credeva spiritoso e stava ancora giocando al bravo bambino, convinto di poterlo raggirare. Tsk, che credesse quello che voleva, si sarebbe accorto delle conseguenze alla prima trasgressione.

“Continuerai a rivolgerti a me chiamandomi ‘signore’ o ‘professore’ e in nessun altro modo. Chiariamo subito, Potter, questa situazione mi aggrada ancora meno di quanto si possa pensare, questo compito mi è stato imposto e certamente non ne sono felice. Ho poco tempo in questi mesi e non intendo sprecare nemmeno un istante a ripetere quanto detto stasera, quindi vedi di ricordarlo e di ubbidire. Mi è stata affidata la tua educazione ed ho ogni potere di conseguirla come meglio credo, puoi star sicuro che non avrò alcuno scrupolo ad impartirti una buona dose di disciplina all’occorrenza”.

Harry s’irrigidì senza lasciarsi sfuggire nemmeno un suono.
Ecco, sapeva che prima o dopo sarebbe arrivata quella parte. La parte delle botte. Non che davvero fosse convinto di poterla evitare, eppure un pochino lo aveva sperato….
Ma adesso era chiaro che quell’uomo era veramente cattivo come sembrava.
Il piccolo non riusciva a smettere di tremare leggermente, non voleva essere visto, eppure non poteva farci niente. E guardare quelle mani così grandi, ferme sui braccioli della poltrona non lo aiutava. Chissà come dovevano fare male… forse lo avrebbe picchiato subito, prima di mandarlo a dormire o forse lo avrebbe fatto domani mattina. In ogni caso lo avrebbe fatto e presto. Harry prese nuovamente a torcersi le manine una dentro l’altra.

Severus lo guardò ancora una volta.
Sì, si disse riconfermando la sua prima impressione, la copia sputata di James Potter, anche se senza occhiali. Ma bastavano lo stesso viso, gli stessi indomabili capelli e quell’aria di scherno già dipinta nell’espressione.
Lo vide tremare lievemente, forse il freddo dei quartieri nelle segrete del castello…
Beh, lo aveva tenuto in piedi fin troppo, era ora di mandarlo a dormire.
Severus si alzò con silenziosa eleganza.

“Bene, seguimi”.

Lo condusse quindi davanti ad una piccola porta, la sua stanza, osservando il suo viso mentre lo lasciava entrare. Gli occhi del piccolo Potter si sgranarono lentamente. Severus gli indicò una porta in fondo sulla parete opposta e disse semplicemente: “Il bagno”.

Adesso poteva finalmente lasciarlo lì e dedicarsi a far scivolare i propri pensieri giù assieme ad un buon bicchiere di scotch. Ma poco prima di varcare la soglia, si sentì in qualche modo in dovere di avvertire il bambino-Potter un’ultima volta.

“Non tentare di uscire da questa camera senza un valido motivo perché in qualche modo lo verrò a sapere. Chiaro?”

E adesso aspettava la banale, falsa risposta…

“Sì, signore”.

… come dubitarne?

Si chiuse la porta alle spalle e scivolò lentamente verso la sala.
Il pensiero di serrare magicamente quella stanza lo aveva sfiorato per un momento, ma per quanto poco si fidasse del figlio di James Potter non poteva rischiare la sua incolumità. Il bambino avrebbe potuto avere dei problemi durante la notte e Severus non era certo così insensibile da negargli del tutto la possibilità di raggiungerlo nel caso ve ne fosse l’urgenza.
Sospirò, stringendosi fra pollice ed indice la sommità del naso.
Sperò in questo modo di liberarsi di un po’ della tensione che lo aveva tenuto sul filo fino a quel momento.
Al primo sorso di alcol una parte del feroce mal di testa lo lasciò.

Ma il problema rimaneva.
Il bambino non poteva stare con lui.
Doveva fare in modo di convincere Albus di questo e trovare qualcun’altro più adatto e bendisposto.

Rimase a lungo davanti al fuoco.
Non sentiva alcun rumore dal piccolo corridoio e pensò che Potter fosse già a letto, nel migliore dei casi addormentato.
Si alzò per riporre la bottiglia nella credenza e si decise a riposare le membra.

Attraversò il corridoio, castò un incantesimo di avvertimento sulla porta della camera di Potter, in modo che nessuno potesse aprirla senza che lui ne fosse al corrente, e si ritirò nelle sue stanze.


Rimasto solo nella sua camera, il piccolo Harry restò immobile per qualche lungo momento. Certamente doveva esserci uno sbaglio. Bambini come lui non meritavano una vera stanza. Né meritavano un comodino, un armadio e, soprattutto, non un letto. Poi vide il baule. Era chiaro, quello era il suo posto. Per questo era vuoto. Tristemente vi si diresse, ma, mentre ci stava appoggiando sopra le manine, scorse di nuovo la porta del bagno. Oh, ne aveva davvero bisogno, eppure…
Lanciò uno sguardo veloce ad una delle porte e poi all’altra e raggiunse quella del bagno. Rimase lì a guardarla per qualche minuto, indeciso. Poi entrò velocemente e dopo poche decine di secondi era fuori di nuovo. Aveva gli occhi spalancati ed il fiato corto, ma almeno era riuscito a fare ciò che doveva. Aveva bevuto quanto più possibile, questo almeno teneva a bada la fame. Di nuovo ritornò al baule e questa volta ci s’infilò dentro senza più distrazioni, rannicchiandosi sul fondo. Almeno era pulito ed il legno chiaro sembrava nuovo.
Adesso aveva un momento per pensare a tutto quello che gli era stato detto. Non che le regole di quel posto fossero poi così diverse da quelle in casa Dursley. Anche lì non doveva toccare mai niente né uscire senza permesso né fare rumore. Poi, non aveva capito bene, quell’uomo aveva parlato di alcune altre regole che ‘vivevano’ nei suoi quartieri… Harry non sapeva che le regole vivessero, forse questa era una cosa che avrebbe imparato a scuola, ma ormai non ci poteva più andare e la mattina dopo sarebbe stato l’unico bambino a non poter vedere i delfini. Era così triste, ma anche se aveva bevuto non voleva piangere di nuovo. L’uomo poi aveva detto che non doveva parlare mai, a meno che non fosse per rispondere ad una domanda. Beh, questo lo poteva fare, anche qui niente di diverso da quello che Zio Vernon gli aveva sempre ripetuto. E poi gli aveva detto di chiamarlo ‘signore’ o ‘professore’. Quindi era come una delle maestre della scuola dove era stato. Chissà… forse se si fosse comportato bene e se avesse lavorato senza fiatare l’uomo in nero gli avrebbe potuto insegnare qualcosa, in fondo era un maestro… continuava ad assomigliare più ad un grosso, alto pinguino cattivo, ma era anche un maestro… un maestro pinguino… oh, era un pensiero quasi buffo, ma Harry sapeva di non poterlo mai dire ad alta voce. Sarebbe stato sicuramente punito. Era stato avvertito almeno. L’uomo aveva detto che lo avrebbe sicuramente picchiato. E poi aveva aggiunto che non era felice di averlo lì. A questo Harry poteva credere senza dubbio. Nessuno voleva il piccolo Harry, nessuno lo poteva vedere, nessuno lo poteva sopportare, perché Harry era cattivo e inutile e quindi nessuno sarebbe, mai e poi mai, stato felice di averlo intorno. Harry lo sapeva bene, eppure questo non lo faceva sentire meno triste quando gli veniva detto. Era stato molto tempo disteso lì, a pensare. E la fame si era fatta sentire, voleva bere un altro po’, forse poi avrebbe potuto dormire un pochino. Velocemente tornò in bagno per pochissimi secondi, ma quando uscì e si fu sistemato di nuovo dentro al baule prese a tremare come una foglia.
Passi.
Dei passi nel corridoio.
Oh, lo sapeva che non sarebbe dovuto tornare in bagno. Dai Dursley non gli era permesso più di una volta al giorno e adesso sicuramente sarebbe stato picchiato.
Oh, sì, i passi si stavano facendo più vicini e forti.
Harry si coprì la testa con le manine, cercando di farsi piccolo piccolo e sparire nel fondo del baule. Le ginocchia gli tremavano così tanto da sbattere l’una contro l’altra e quasi non respirava. I passi si erano fermati davanti alla sua porta ed Harry pensò che fra poco la maniglia si sarebbe abbassata e che l’uomo in nero sarebbe entrato, rosso come era sempre Zio Vernon quando era arrabbiato, e lo avrebbe picchiato con quelle mani pallide e grandi. Passarono i tre istanti più lunghi della sua vita poi i passi ripresero, allontanandosi, e scomparvero nel silenzio della notte.
Poco dopo Harry si lasciò sfuggire un mezzo sospiro-singhiozzo.
Ma adesso non poteva più dormire. Sicuramente non l’avrebbe passata liscia. Di certo la mattina dopo sarebbe stato punito, forse l’uomo era stanco, come capitava a volte a Zio Vernon. E quando Zio Vernon gli permetteva di non essere picchiato la sera si ricordava sempre di farlo la mattina dopo. E adesso aveva di nuovo paura. Si stese, ma gli occhi erano aperti e le orecchie si aspettavano in qualsiasi momento di udire di nuovo quei passi, di sentire l’uomo tornare indietro. E non riuscì a dormire nemmeno un po’. Stremato, chiuse gli occhi solo la mattina dopo, mentre Snape scivolava fuori dai suoi quartieri per recarsi nella Great Hall.





Continua…




 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

Great Hall: Sala Grande
 

   

   
 
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