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Autore: Kilian_Softballer_Ro    02/06/2013    3 recensioni
(Sequel di "School,friends...and family")
Shadow è tornato nella città dove frequentava il liceo, e quando a una cena rincontra i suoi vecchi amici di allora, sembra che nulla, figli a parte, sia cambiato...Ma è davvero così?
Quattordici anni prima qualcos'altro era successo, e rivangare il passato potrebbe non essere piacevole. Cosa accadrà? Scopritelo qui!
***GRANDE RITORNO A SORPRESA PER TUTTI. ANCHE PER ME.***
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Qualche giorno dopo, l’intera truppa femminile si ritrovò a casa di Rouge davanti a una tazza di tè. Non avevano in programma altre rimpatriate fra sole donne, ma la pipistrella aveva tirato fuori la scusa che nessuna delle altre aveva ancora visto la sua casa e perciò le aveva invitate tutte. E dopo i canonici giri della villa (che come grandezza non aveva nulla da invidiare a quelle di Silver e Blaze e Sonic e Amy), erano finite come sempre a fare pettegolezzi.
La novità del bambino di Roxy fu al primo posto per gran parte del discorso.
-         E tuo fratello come l’ha presa? – Chiese Blaze. L’echidna sorrise da sopra la sua tazza.
-         All’inizio non tanto, ma poi si è addolcito. Sai che in fondo-molto in fondo-ha un cuore tenero. -  Si girò verso Tikal. – Scusa se non ho aspettato te ed Itza per dirlo, ma ero talmente nervosa che avevo paura di non avere più il coraggio di parlarne.
-         Non preoccuparti. Vedere la faccia di Knuckles quando ci ha dato l’annuncio mi ha ripagato di tutto.
-         Perché, com’era? – Si incuriosì Rouge.
-         Devastato. – La risposta le fece scoppiare a ridere tutte.
-         Comunque, Roxy – riprese il discorso Denise – sapete già che cos’è?
-         Non ancora. Non si lascia vedere. Ma io voglio una femmina a tutti i costi.
-         E se è un maschio? – Chiese  Amy.
-         Allora Dodge dovrà darsi una mossa e ricominciare la produzione. – Nuova risata collettiva.– Non scherzo! Io voglio una bambina!
-         Ah ma non farti tante illusioni, le bambine non sono più facili da gestire dei maschietti. – Sospirò Denise. – Bada solo a non farne due in una volta, è un disastro.
-         Ha ragione – confermò Amy. – Io adoro Shin e Misa, ma ci sono stati dei momenti quando erano appena nati in cui avrei voluto fonderli e farli diventare uno solo.
-         Eh sì, perché tu non avevi…quanti anni quando hai avuto i gemelli? Non molti più di me – si incuriosì Roxy.
-         Ne avevo diciannove, sì.
-         Fantastico! Posso tirarti in ballo, se Knuckles ricomincia con la sua storia del “hai solo diciotto anni, non andrà a finire bene” eccetera eccetera?
-         Se proprio vuoi… - Rispose la riccia sogghignando.
-         Se serve cita anche me, avevo la stessa età quando è nata Beverly.
-         Giusto, Blaze, me l’ero quasi dimenticata. Grazie.
-         Comunque, tornando al discorso di prima, fai un figlio per volta – disse Denise. – Non so come ho fatto a resistere fin qui con due pesti come Em e Lou.
-         Uh, a proposito – commentò Rouge. – Ci sono novità riguardo al padre di Aster? Mi avevi detto che voleva incontrare i suoi nipotini. Avete poi deciso?
Meike poggiò sul tavolino la propria tazza, incrociò le braccia e fissò ostentatamente lo sguardo  sul muro. La riccia bionda le diede una rapida occhiata, poi sospirò.
-         Sì, abbiamo deciso. I genitori di As verranno a casa nostra dopodomani.
-         Follia – borbottò la gatta arancione.
-         Non sei costretta ad esserci, Meike. Te l’ho detto. Nessuno ti obbliga a vedere i tuoi genitori, se non vuoi.
-         Ma vorrai scherzare?! – La giovane si alzò in piedi. – E’ ovvio che  ci sarò, si tratta anche dei miei nipoti. Quello là bisogna tenerlo d’occhio.
Calò un silenzio imbarazzato, rotto da Roxy che tirò l’amica per la maglietta. –Siediti, Mè.
La gatta riprese posto sul divano fra lei e Cream. – Che c’è? Te l’ho detto, si tratta dei miei nipoti. Tu faresti lo stesso per Itza.
-         Non ne dubito, ma stai traumatizzando il tuo nipote qui – e l’echidna si tamburellò la pancia con le dita.
Meike sembrò placarsi. Denise sogghignò fra sé: quelle due erano abbastanza amiche da riuscire a calmarsi a vicenda ogni volta.
La gatta si rivolse alle altre donne. – Ha detto che posso essere la sua madrina!
-         Sul serio? – Fu il commento stupito di Rouge. La gatta era molto giovane per fare la madrina.
-         Già – confermò Roxy. – Ho organizzato tutto per bene: il primo avrà lei e Knuckles, il secondo Cream e Silver, il terzo Tikal e Charmy. E avanti così.
-         Non state correndo un po’ troppo? – Rise Amy. – Siete solo al primo.
-         Vogliamo una grande famiglia, visto che cominciamo presto. Tre è solo il numero base.
-         E…Knuckles è al corrente di questo progetto? – Si informò Tikal.
-         Ovviamente no. Gli verrebbe un infarto. – Tutte risero. Si interruppero quando videro il piccolo Night che si avvicinava a loro, sporco di grasso.
-         Mamma?
-         Che c’è tesoro? – Chiese Rouge.
-         Papà ha detto che gli serve una chiave inglese, ma non riesco a trovarla. Dov’è?
-         Nella cassetta degli attrezzi, Night. Nel ripostiglio. E’ un bastoncino lungo con una specie di pinza e un buco.
-         Oh. – Il bambino aggrottò la fronte. – Pensavo fosse nel cestino delle chiavi. – Scappò via, seguito dalle risate delle donne.
-         Che stanno facendo? – Chiese Blaze.
-         Shadow ha ritirato fuori la sua vecchia moto, quella del liceo. Credo che voglia ricominciare ad andarci.
 
Shadow era più felice che mai. Non ricordava di aver più messo mano alla moto da quando aveva diciannove o vent’anni, e adesso che aveva incontrato persino i suoi vecchi amici del tempo gli era venuta voglia di tirarla di nuovo fuori. Sperava di contagiare il figlio con la sua passione. Night non sembrava ancora molto interessato a quel mezzo di trasporto, anzi ne era quasi spaventato Ma forse era ancora troppo piccolo. Aveva ancora quell’età in cui le moto, le macchine e le cose simili fanno paura, finché non ci si saliva sopra.
Il riccio era inginocchiato di fianco al suo vecchio cavallo a motore, ma alzò lo sguardo quando sentì entrare il figlio. Night barcollava sotto il peso dell’intera cassetta degli attrezzi.
-         Papà, non sapevo quale chiave prendere!
Shadow sorrise e gliela tolse dalle mani. – Sei stato bravissimo. Credo che le userò un po’ tutte. – Prese il bambino da sotto le ascelle e lo piazzò sul sellino della moto. – E questo vecchio arnese tornerà a funzionare come nuovo.
I piedi del piccolo riccio non toccavano il pavimento, e lui si reggeva sulla motocicletta in diagonale sul cavalletto con un certo nervosismo, stringendo il manubrio. – Secondo me cade.
- Ma no, stai tranquillo, si regge benissimo.
- Secondo me cade – ripeté il bambino. Aveva un tono impaurito. – Papà, posso scendere?
- Uh, oh, certo.  –Shadow era sbalordito, ma lo aiutò a tornare con i piedi per terra. – La proveremo un’altra volta sulla strada, okay?
Night annuì lentamente, poi lo guardò incuriosito. – Cosa devi fare con la chiave inglese?
Il riccio, felice che quell’attimo di nervosismo fosse passato, gli fece cenno di avvicinarsi. – Vieni a vedere. – Si inginocchio nel punto dove si trovava prima e il figlio lo imitò, anche se lui notò che si teneva a una certa distanza dal mezzo.
Shadow prese una chiave inglese dalla cassetta e iniziò ad armeggiare sotto la moto. – Ho controllato prima, e c’è una guarnizione che non reggerebbe se provassi a guidare su strada. Poi ci saranno altre riparazioni da fare, e dovremo ridipingerla, perché è un po’ scrostata, ma prima di tutto dovremo togliere quell’affare. Avresti dovuto vederla, Night. Avevo qualcosa come dieci anni più di te quando l’ho presa, e filava come il vento.
-         Sei mai caduto quando la guidavi?
-         No, certo che no, ero bravo. Ma perché oggi ti preoccupano tanto le cadute? Stai bene?
-         Sì, sì. Cosa dobbiamo fare poi con la guaranizione?
-         Guarnizione, giovanotto. Guarnizione. Comunque, dovremo toglierla. Ah, ecco! – Si udì un sordo tlack e Shadow tirò fuori un piccolo pezzo di metallo. – Poi dovremo cercarne una nuova e sostituir…
-         Attento, papà!
Fu un attimo. Night con una forza insospettabile lo spinse via ed entrambi caddero poco più in là, mentre la moto oscillava e rovinava per terra a sua volta. I due ricci si tirarono a sedere e si guardarono, il più piccolo spaventato, il più grande sbalordito.
-         Tu….come facevi a sapere che sarebbe caduta? – Balbettò Shadow.
-         Non lo so, io, io avevo un come si dice, un peresentimento che cadeva, l’ ho vista che cadeva e…e non volevo che ti cadeva addosso! – Piagnucolò il bambino. Sembrava sull’orlo delle lacrime e del panico, un fatto assolutamente nuovo. Night di solito sfoderava l’orgoglio di suo padre. – L’ho vista, papà, l’ho vista che cadeva!
-         Ehi, ehi, calma. – L’adulto gli si inginocchiò davanti e gli accarezzò la testa, cercando di restare presente a sé stesso. L’aveva “vista”? – Va tutto bene. La moto non ci è caduta addosso, non è successo nulla.
-         Io l’ho vista che cadeva – ripeté il riccetto. Mentre lo osservava asciugarsi gli occhi, Shadow notò che si era sbucciato almeno un gomito e un ginocchio, finendo per terra.
-         Okay, okay, stai tranquillo. Ora  che ne dici di andare a medicare quelle ferite? La moto può aspettare.
Night annuì e prese la mano del padre. Mentre uscivano dal garage, Shadow si disse di non preoccuparsi di ciò che diceva di aver fatto suo figlio e dell’idea che tentava di formarsi nella sua mente. Night non aveva predetto visto un bel niente. Era solo terrorizzato dalla moto, e nella sua immaginazione il più piccolo movimento del mezzo gli aveva fatto credere che stesse per cadere. E solamente PER CASO la moto era caduta davvero. Non era il caso di preoccuparsi…
Però, come diceva Night, aveva il peresentimento che fosse il caso.
 
Denise si impose di restare calma, mentre si legava i capelli in una coda davanti allo specchio, che le rifletteva l’immagine di una riccia tesa e preoccupata. Doveva tranquillizzarsi, prima che arrivassero i genitori di Aster.
Si ripeteva di essere una donna adulta, ormai, di non dover avere più paura di nessuno, ma non riusciva a convincersi. Non l’avrebbe ammesso mai con nessuno, ma ogni volta che rivedeva il suocero si sentiva ancora come una ragazzina di quattordici anni chiusa in una stanza col suo ragazzo e il padre di lui infuriato:terrorizzata.
Uscì dalla camera da letto e si diresse in salotto, dove la aspettava il resto della famiglia. Meike e i bambini occupavano l’intero divano, mentre Aster era appoggiato al muro, con la sua solita aria da dannato con i capelli sugli occhi. Il gatto le venne incontro con un sorriso.
-         Ehi, tesoro, non essere così agitata. E’ solo una riunione di famiglia. – Scherzò, ma anche lui aveva un’aria preoccupata.
-         Sono calmissima - mentì la riccia, sorridendo a sua volta ,  ben consapevole che non era un sorriso convincente.
-         Oh, certo. – Aster la strinse a sé e le sussurrò in un orecchio: - Ascolta, Deni, sono nervoso anch’io. E ti capisco. Ma se ci facciamo vedere così dai bambini, loro capiranno che c’è qualcosa che non va,  si agiteranno e sarà peggio. Ti prego  sorridi e stai tranquilla. Pensa positivo come sempre, pensa che potrebbe essere cambiato. Fallo per me.
-         Ci proverò – rispose lei con lo stesso tono, e gli diede un leggero bacio sulle labbra.
-         Ehi, ehi, niente spettacoli del genere, ci sono dei minori – li ammonì Meike con un sogghigno. I tre bambini risero, ma si interruppero sentendo suonare il campanello. La gatta inarcò un sopracciglio e lanciò un’occhiata al fratello, ma sembrò costringersi a restare calma. – Ci starebbe bene un “Lui è qui” da film fantasy.
-         Smettila, Mè. – Aster si sciolse dall’abbraccio e uscì dalla stanza. Denise cercò di mostrare un sorriso più convincente e si rivolse ai figli. – Bambini, sono arrivati i nonni.
-         Che gioia – borbottò Meike. La riccia avrebbe tanto voluto mandarle un messaggio telepatico (“Smettila che spaventi i piccoli”) ma per fortuna Daisy, Em e Lou non avevano sentito, presi com’erano dal saltare giù dal divano.
Aster tornò, seguito da due figure familiari. Denise allargò il proprio finto sorriso, ma si accorse  con la coda dell’occhio che la gatta non l’aveva imitata, anzi aveva un’espressione ancora più corrucciata mentre si alzava. Decise di non badarci e tornò a osservare i suoceri.
Non erano molto cambiati dall’ultima volta che li aveva visti. Gary somigliava molto al figlio, con il pelo bianco e gli occhi color ghiaccio, ma era più massiccio (ora che stava invecchiando aveva anche una gran pancia) e portava i capelli rasati a zero, invece che lunghi e arruffati come Aster. Di fianco a lui sua moglie, Svetlanyka (un nome impronunciabile che lei e Meike avevano sempre abbreviato in Svenja ) sembrava minuscola. Era una gatta bassa, con i capelli biondo ramato che cominciavano a ingrigire e gli occhi verde acqua, e come sempre dalla prima volta che Denise l’aveva vista, scrutava preoccupata il marito sperando che non si infuriasse di nuovo, ma fece un largo sorriso quando vide la nuora.
-         Denise, come sei cambiata! Ti trovo bene, cara, molto bene.
-         Anche tu sei sempre splendida. – Le due si abbracciarono, ma Denise sapeva che entrambe mentivano. Lei non era cambiata affatto, e Svenja aveva sempre l’aria spenta di un fiore appassito. Ma non era necessario dire certe cose ad alta voce.
-         Papà, questi sono i vostri nipoti – disse Aster. – Loro sono Desirée , Emmett e Louis.
-         Sono cresciuti – considerò suo padre, abbassando appena lo sguardo. Poi puntò gli occhi su Meike. – E anche qualcun altro è cresciuto, vedo.
-         Ciao. – La gatta lo fissò duramente, incrociando le braccia. Liberò i capelli ricci dall’elastico in cui erano trattenuti e li scosse, mostrandone la nuvola arancione. Era un chiaro gesto di sfida, e Gary strinse le labbra: aveva sempre intimato alla figlia di tagliarsi i capelli. – Dov’è la divisa da poliziotto, pà?
Il gatto adulto non rispose , ma si voltò verso il figlio con un falso sorriso sulle labbra. – Vivete ancora insieme, voi?
-         No, Meike ha una casa sua adesso. – Rispose Aster.
-         Oh. Con un…ragazzo?
-         No, pà. – Meike fece un passo avanti e si fermò davanti al suo naso. – Nessun ragazzo resta in casa mia per più di qualche giorno.
Questa era una provocazione bella e buona, e Svenja cercò di interromperla. – Andiamo, tesoro, non scherzare – disse mettendo una mano sulla spalla della figlia.
-         Non sto scherzando. – La ragazza fissò il padre negli occhi. – Non sto assolutamente scherzando.
Denise si rese conto di quanto stesse diventando pericolosa la situazione. Gary fissava la gatta arancione con espressione furiosa, stringendo i pugni, come se cercasse di controllarsi. I bambini si erano raccolti intorno alle gambe della madre, probabilmente perché avvertivano anche loro quella tensione, mentre Aster e sua madre erano in disparte, lei tesa e preoccupata, lui vigile e pronto a intervenire.
Ma nonostante tutto, decise di essere lei a intervenire. Aster era troppo drastico, perché per quanto imponesse alla sorella di stare calma, odiava anche lui il padre. Una  volta tanto, si fidava più di sé stessa che del suo calmo marito.
-         Credo che sia ora di un bel caffè – disse intromettendosi fra di loro – Meike, Svenja, verreste ad aiutarmi? Credo che dovrò fare diverse caffettiere.
La gatta adulta sorrise, grata della scusa per uscire, e afferrò la mano della figlia. – Certo.
Denise le trascinò via e chiuse la porta della cucina. Non appena sentì il clak della serratura, si girò verso la cognata. – Memé, ma sei impazzita? Ci manca solo che sia tu a farlo incazzare, oggi! Non dargli una scusa per alzare le mani!
-         Mi dispiace – borbottò la ragazza, con le braccia incrociate e gli occhi fissi sul pavimento.
Svenja sospirò. – Non dovete preoccuparvi per lui – disse con il suo sottile accento norvegese – è cambiato, non picchia più nessuno da anni. – Denise avrebbe voluto crederle, ma la donna si rifiutava di guardarla negli occhi mentre pronunciava quelle parole. Che stesse mentendo?
Meike pareva avere lo stesso dubbio. – Come faccio a crederti? – Chiese, alzando la testa ( non più di tanto: le superava entrambe in altezza ) e fissando la madre.
-         Cosa?
-         Come faccio a credere a quello che mi stai dicendo? Come posso fidarmi di TE?
-         Ma…Meike, come ti permetti!
-         Mi permetto finché voglio! Fin da quando ero piccola non hai fatto altro che mentirmi! Quando ero bambina, era tutto un ripetere “stai tranquilla tesoro, non lo farà più, è l’ultima  volta”. Poi siamo partiti, e tu mi dicesti che non ci avrebbe mai seguito in Norvegia. E quando invece lo fece, ricominciasti con “ oh, è cambiato, non alzerà più un dito”, e ora siamo qui, lui è nell’altra stanza ed è tutto ricominciato daccapo! Ti ha picchiato ancora, non è così? Ti picchia da allora!
-         Meike, come osi! Sono tua madre!
-         Tu non sei mia madre! – Urlò la giovane, fuori di sé. – Denise è stata mia madre più di quanto lo sia stata tu! Lei e Aster mi hanno cresciuto come avrebbero dovuto fare dei genitori, senza picchiarmi o mentirmi!
Denise si morse le labbra, dandosi della stupida. Cercando di mettere fine a un litigio ne aveva fatto iniziare un altro, e questo la riguardava in prima persona. Le cose che Meike stava dicendo per lei erano stupefacenti, ma per Svenja dovevano essere terribili. La donna aveva gli occhi spalancati e lucidi, le labbra tremanti.
-         Meike, per favore, basta… - Cercò di fermarle la riccia.
-         No! – La ragazza aveva le lacrime agli occhi a sua volta, come se le avesse rattenute insieme a quelle parole per troppo tempo. – Deve capire come mi sono sentita! Per ogni singolo istante degli ultimi quattordici anni, ho odiato lei e mio padre per avermi messo al mondo in mezzo a tutte quelle bugie. Non sono la mia famiglia!
-         Tesoro… - Mormorò Svenja. - Min kjære...Datter min….(Tesoro mio…Figlia mia…)
Meike scosse la testa, in una nube di riccioli arancioni, al sentire quelle parole nella sua lingua. - Jeg er ikke din datter. Ikke nå lenger. (Non sono tua figlia. Non più.)
Denise sbarrò gli occhi. Conosceva abbastanza il norvegese da capire le loro parole, ed esse suonavano come una condanna definitiva. Guardando ora l’una ora l’altra gatta, aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotta da un grido proveniente dall’altra stanza. Alzò di scatto la testa, insieme alle altre.
Un bambino. I suoi bambini.
Con Meike alle calcagna (Svenja rimase dov’era, piangendo e fissando il muro come se non potesse credere a ciò che aveva sentito ), si precipitò in salotto e rimase basita vedendo la scena che le si presentava davanti.
Aster stava tenendo bloccate le braccia del padre, costringendolo a stare fermo contro un muro, mentre lui fremeva di rabbia e digrignava i denti, fissando un punto di fianco al divano. Seguendo il suo sguardo, Denise vide che dietro al bracciolo si erano nascosti i suoi tre figli, appiccicati l’uno all’altro pieni di paura. Sulla guancia di Louis si stava formando il segno rossastro di un ceffone.
Fissò prima Aster, poi Gary, poi si voltò verso Meike. La ragazza aveva lo sguardo vacuo, freddo, come se tutto ciò fosse qualcosa che si era aspettata, ma che la colpiva lo stesso nel profondo.
-         Non voglio saperne niente – mormorò la gatta.
Poi, prima che chiunque potesse fermarla,  uscì dalla stanza, aprì la porta d’ingresso e se la sbatté alle spalle, mentre correva via dalla casa.


Sia lodato San Crispino. Ce  l'ho fatta.
Okay, scusate per il ritardo. Ho avuto non pochi problemi, fra scuola e ispirazione, a andare avanti, e la prossima volta cercherò di aggiornare più in fretta. Sempre sperando che a qualcuno importi ancora di questa storia oltre che a me, e che non mi boccino ( cosa alquanto probabile ).  Chissà. Si vedrà :)
Intanto vi saluto. Per favore, recensite! ç_ç
Ciao ciao!
Ro =)
  
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