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Autore: WinterRose    05/06/2013    1 recensioni
Eric, ragazzo apparentemente privo di qualità eccetto che per un corpo da urlo, e Kathrine, ragazza studiosa, matura e responsabile, si conoscono praticamente da sempre; peccato che non si sopportino a vicenda e che i rispettivi genitori vogliano che i due ragazzi si sposino. Ma le cose possono sempre cambiare giusto? Umorismo, ironia, gelosia e tanto, tanto amore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ciao ragazze/i! :D

Dopo tanto ma tanto tempo- e mi scuso per questo, perdonatemi- posto l'epilogo della storia. Be' spero che nel complesso questo mio racconto vi sia piaciuto, ho fatto del mio meglio per renderlo “leggibile” :) ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito finora, che hanno commentato o semplicemente hanno letto.
Se il mio stile e l'impostazione della mia storia vi piace e sareste interessate a un'altra storia scritta da me fatemelo sapere, vedrò di pubblicarne un'altra (dopo averla scritta ovviamente xD).
Ora vi lascio all'epilogo (la canzone è a thousand years di Christina Perri, la adoro!)
Commentate in tanti dato che si tratta dell'ultimissimo capitolo, mi fareste davvero piacere!

A presto, un bacione!
<3

WinterRose

p.s. Se qualcuna di voi vuole aggiungermi su facebook mi mandi il proprio nome in un messaggio privato :D





 

La distanza di un bacio

 


 

The day we met

frozen, I held my breath

right from the start

knew that I found a home

for my heart,

Beats fast

Colors and promises

How to be brave

How can I love when I'm afraid

To fall

But watching you stand alone

All of my doubt

Suddenly goes away somehow

 

One step closer

 

I have died everyday

waiting for you

Darlin' don't be afraid

I have loved you for a

Thousand years

I'll love you for a

Thousand more

 

 

 

5 Novembre 2006

 

La mia mamma si chiama Kathrine Bennet.

E' la mamma più buona e più bella che esista nel New Jersey, molto probabilmente in tutti gli Stati Uniti e forse in tutto il mondo. Anche papà lo dice. Anzi non lo dice quasi mai, ma glielo si legge negli occhi quando la guarda. Quando rispondo male alla mamma e lei si arrabbia, papà diventa furioso: alla fine finisce sempre che è la mamma a difendermi di fronte all'ira di papà. Lui allora mi guarda malissimo e se ne va sbattendo la porta. Ma la mamma mi dice sempre che lui è fatto così e che quando erano giovani era ancora più scontroso. Le chiedo perchè sia cambiato e lei si limita a sorridermi dolcemente senza però aprire bocca. Poi mi invita a fare pace con papà: vado nel suo studio e lo trovo di spalle mentre guarda fuori dalla finestra. Allora mi avvicino e gli chiedo scusa; lui si piega sulle ginocchia per arrivare alla mia altezza – papà è davvero altissimo- e guardandomi dritto negli occhi mi dice di non trattare più così la mamma. Io annuisco e lui mi abbraccia dandomi un bacio sulla fronte. Di solito funziona così. Ogni tanto però anche loro litigano, soprattutto quando vengono a fare visita alla mamma degli amici maschi. Ce n'è uno che viene abbastanza spesso, con i capelli marroni e gli occhi scuri di cui però non mi ricordo il nome. Quando l'ho chiesto a papà, si è subito incupito e ha detto che è uno che ci ha provato con la mamma qualche anno fa, prima che si sposassero. Non so cosa voglia dire “provarci con qualcuno” ma sembra qualcosa di molto brutto da come si rabbuia papà ogni volta. Quando il signore amico della mamma se ne va, papà dice qualcosa di sarcastigo- si dice così vero?- e la mamma si innervosisce e iniziano a discutere. Poi dopo un po' che litigano lei fa la faccia dolce e gli dice qualcosa di sdolcinato che non ho intenzione di scrivere e papà le si avvicina tantissimo guardandola fisso negli occhi: se nella stanza ci sono anch'io spesso papà mi dice di andare a giocare da un'altra parte. Non ho mai capito il perchè onestamente. L'unica amica di mamma con cui papà non litiga è Jessica anche se non viene tanto spesso: la mamma dice che è perchè vive lontano. Papà invece ha due amici maschi, Fred e James. Fred va abbastanza d'accordo con la mamma anche perchè lei gli spiega molto spesso delle cose su un esame di spicologia che Fred deve passare. Papà mi ha detto che è la quinta volta che prova a prendere un bel voto in quell'esame, e sinceramente non capisco perchè voglia fare per forza lo spicologo. James e la mamma si lanciano spesso delle frecciatine, ma secondo me alla fine si vogliono bene. Ah, poi ogni tanto la mamma menziona una certa Jane, ma quando lo fa è sempre triste. Non so chi sia, non l'ho mai vista, ma papà ogni volta che la mamma tira fuori l'argomento le dice di non aver mai fatto in vita sua una scelta più giusta. Sicuramente non si tratta della scelta della mia baby-sitter che è inquietante. Si chiama Victoria, credo, ma mamma e papà la chiamano sempre Vicky e dicono di conoscerla da un po' di tempo. Secondo me non può avere più di 20 anni, però sembra un fantasma. Ha la pelle bianchissima e i capelli scuri e due occhi azzurri che brrrr... non voglio neanche pensarci.

 

 

Kathrine appoggiò il diario che fino ad allora aveva tenuto tra le mani sul tavolo della cucina, là dove l'aveva trovato. Sapeva che non era giusto leggere il diario di qualcun altro: anche lei quando era bambina non sopportava che i suoi genitori si impicciassero nei suoi affari. Forse adesso però aveva capito perchè si ostinassero a consultare il suo diario: semplice e ingenua curiosità di vedere le cose da un altro punto di vista? Ma non un punto di vista qualsiasi, il punto di vista del suo bambino. Quel bambino per cui aveva lottato, che era stato dentro di lei per nove mesi. Un bambino che era parte di lei e parte dell'uomo che amava, l'uomo della sua vita. Forse era il desiderio di voler vedere la medesima felicità che lei stessa aveva irradiato anche nel suo piccolo, voleva la conferma che anche lui provasse la gioia che aveva fatto parte della propria nuova vita. Voleva scoprire il suo mondo, voleva sapere di più su di lui, perchè quello che le diceva non sembrava mai abbastanza.

Fuori dalla finestra iniziarono a cadere lentamente candidi fiocchi di neve.

Era la prima nevicata di quell'anno, ma a Fairview la neve in generale non era una novità.

Le cose in quegli ultimi 15 anni erano cambiate.

I suoi tratti somatici erano leggermente mutati così come il suo carattere, temprato dalle delusioni più dolorose e dai momenti di euforia più abbagliante.

Era diventata più silenziosa, più dolce, se possibile, più comprensiva e paziente.

Era diventata più gelosa e, a volte, l'insicurezza sembrava sopraffarla; e nei momenti in cui non era così, la bestia era sempre dietro l'angolo, pronta a prendere il sopravvento.

Era diventata una donna.

E poi c'era Lui. Lui che all'inizio aveva tanto odiato, lui che non le aveva donato altro se non sofferenza, lui che aveva preso in mano il suo cuore e l'aveva stritolato.

Lui che alla fine l'aveva scelta, lui che in un giorno d'autunno le si era inginocchiato davanti e le aveva chiesto di sposarlo, lui che l'aveva aspettava all'altare serio e con uno sguardo indecifrabile ma che non aveva mai allontanato gli occhi dai suoi, lui che l'amava e che le aveva dato il bambino più bello del mondo. Quando guardava Dereck ogni volta era un colpo al cuore: aveva gli stessi occhi del padre: grigi e freddi come il ghiaccio. Quegli occhi che l'avevano ipnotizzata e che l'avevano resa inerme di fronte a lui.

L'orologio a pendolo della sala da pranzo scoccò le 11.

Si disse che era stanca. Il suo sguardo si posò sui biscotti da poco sfornati che erano ancora disposti in file ordinate sulla teglia. L'aspetto non era particolarmente gradevole: non erano perfettamente tondi, anzi, i contorni erano piuttosto irregolari; le gocce di cioccolato erano mal distribuite e alcune si erano sciolte direttamente sulla teglia; senza contare che la pasta aveva assunto uno strano colore beige e sembrava molto secca.

Kathrine emise un sospiro rassegnato e si disse che li avrebbe buttati il giorno successivo.

Spense la luce e si trascinò su per le scale lentamente, appoggiandosi al corrimano.

Nella casa regnava il silenzio; Dereck dormiva e lui non c'era. Era quel profondo silenzio a ricordarglielo .Non c'era la televisione accesa, non c'era il rumore dei tasti del computer che vengono premuti con leggerezza, non c'era lui. Non c'era niente.

Le lacrime le salirono agli occhi proprio mentre entrava nella loro camera e nella penombra distingueva il letto matrimoniale fatto alla perfezione, quel letto che da un po' di tempo era troppo grande per lei sola. Il fruscio degli abiti che cadevano a terra sostituì per qualche secondo il silenzio. Ma fu questione di poco, perchè quando si infilò sotto le coperte fredde il nulla tornò e non se ne volle andare. Kathrine non sapeva per quanto ancora avrebbe fatto parte della sua vita.

 

 

Qualcosa di caldo le sfiorò la fronte.

Stava sognando, non doveva aprire gli occhi o altrimenti ci avrebbe messo chissà quanto altro tempo ad addormentarsi. L'immensità vuota del letto gliel'avrebbe impedito.

Inspirò profondamente per rilassarsi e continuare a dormire.

Ma poi eccolo; eccolo come un miraggio inconsistente nel deserto, eccolo come il profumo di fiori dopo un lungo inverno, eccolo come l'acqua dal cielo che s'infrange sul terreno arido della savana bruciata ed eccolo come il sapore del sole sulla bianca pelle.

Menta, tabacco e qualcos'altro.

Quell'odore le inondò i sensi e li annullò del tutto. Sentiva solamente quel profumo ed era così vicino, era ovunque.

Menta, tabacco e qualcos'altro.

Il corpo si irrigidì. Non era possibile, si disse, era sicuramente uno scherzo della propria immaginazione, gliene aveva giocati troppi negli ultimi tempi. Se avesse aperto gli occhi sarebbe svanito tutto e il dolore sarebbe stato ancora più forte: ancora una volta il fallimento del proprio pseudo-istinto di autoconservazione.

A quel punto l'odore si fece piano piano meno intenso lasciando dietro di sé una scia appena riconoscibile.

Come non detto, si disse voltandosi scontenta dall'altra parte del letto.

Il tempo passò lentamente e i sensi gradualmente tornarono a funzionare a dovere: fu in quel momento che riuscì a percepire, nonostante avesse le palpebre chiuse, la luce del bagno accesa.

Kathrine non aveva lasciato accesa la luce del bagno. Quando era tornata in camera era tutto spento.

Si alzò leggermente appoggiandosi su un gomito.

Una figura, i cui tratti riusciva appena a distinguere grazie alla luce che, in realtà, doveva essere spenta, stava seduta ai piedi del letto dandole le spalle.

La vide togliersi la camicia bianca, lasciando intravedere la pelle nuda.

Le si mozzò il respiro.

Conosceva quelle spalle, conosceva quelle braccia, conosceva quella linea del collo e conosceva quei capelli biondi.

Eric.

Il suo cuore prese il volo in un battito d'ali e il primo istinto fu quello di saltargli al collo. Stringerlo tra le braccia e non lasciarlo andare più.

<< Sei tornato >> la voce che le uscì era appena un sussurro.

L'uomo si voltò lentamente e quando incontrò lo sguardo di Kathrine disse:

<< Ti ho svegliato, non volevo >>

Le si avvicinò silenziosamente e non appena le fu accanto le appoggiò delicatamente una mano sul viso.

Era abbastanza vicino da poter percepire nuovamente il suo odore come prima.

Kathrine si tirò su a sedere, tenendo la propria mano sopra quella di Eric che nel frattempo aveva preso ad accarezzarle leggermente lo zigomo. Il cuore le si strinse quasi con dolore quando incontrò quegli occhi grigi che non vedeva da più di tre mesi:

<< Non dovevi...? >>

<< Sono riuscito ad anticipare >>

Secco.

Tagliare corto, andare dritto al punto era una degli elementi che caratterizzavano Eric. Lo aveva imparato nel corso degli anni.

Ti amo e sei mia, quindi sposami”

Questa era stata la frase con cui aveva esordito quel giorno e che doveva essere una proposta di matrimonio. Non era quella che aveva sempre sognato ma non ci aveva fatto caso: semplicemente gli si era buttata addosso e gli aveva fatto perdere l'equilibrio; lui si era trovato steso sul pavimento e lei sopra di lui non smetteva di ridere e piangere contemporaneamente.

Kathrine spostò lo sguardo sul copriletto avorio. Sapeva cosa significava quello. Significava che se ne sarebbe dovuto andare di nuovo, e presto. Tutto ad un tratto la forza dell'emozione che l'aveva presa di petto facendola librare in un primo momento la fece cadere al suolo lasciando il posto alla sofferenza che cresceva esponenzialmente.

<< Kathrine >> le disse con cipiglio severo per catturare nuovamente la sua attenzione.

Lei non alzò volutamente lo sguardo. Si conosceva bene abbastanza per essere sicura del fatto che se l'avesse fatto sarebbe scoppiata in lacrime. E non poteva. Doveva essere forte, doveva comportarsi da donna, non era più una bambina. Sapeva che avrebbe dovuto fare i conti con tutto questo fin da quando Eric era all'ultimo anno del college. Ma che poteva fare del resto? Mandare tutto all'aria, calpestare il loro amore solamente perchè...

<< Kathrine >> ripetè con un sospiro << non vi lascerò più >>

Smise di respirare alle parole del marito:

<< Come...?>>

<< Mi hanno offerto un posto fisso. Ci trasferiamo in Belgio. Mi hanno dato un appartamento nel centro di Bruxelles di 250 metri quadri. Non molto lontano da una scuola internazionale, per Dereck >>

Kathrine spostò finalmente lo sguardo su di Eric.

Lo trovò che la fissava con quello sguardo penetrante con cui cercava di sondare la sua mente attraverso gli occhi. Cercava una risposta.

Una tempesta di parole, sentimenti che si affollava nella mente di lei e non le permettevano di articolare una frase di senso compiuto la costrinse ad aspettare. E in quell'attesa vide lo sguardo di Eric cambiare, lo vide indurirsi e vide erigersi nuovamente il muro con il quale tanto tempo prima aveva cercato di chiuderla fuori. Gli occhi da mercurio fluido divennero di freddo ghiaccio e la mandibola si serrò sulla mascella:

<< Se sei d'accordo, ovviamente >> le disse con tono glaciale.

Uno specchio di pura gioia le si infranse nel cuore che per un momento le sembrò implodere per poi tornare a battere radioso, come da tempo non faceva. Finalmente sarebbero stati insieme, come una vera famiglia: niente partenze, niente chiamate alle due di notte per il fuso orario, niente notti solitarie e fredde, niente pianti, niente sospiri silenziosi, niente bugie celate da un sorriso.

Eric si alzò dal materasso dandole nuovamente le spalle.

Riprese la propria camicia che era stata lasciata ai piedi del letto e se la infilò senza allacciarla ancora.

Kathrine capì di aver aspettato troppo tempo e anche lei alzandosi, abbandonò il tepore delle lenzuola. Il marito era ancora lì, immobile. Gli si avvicinò lentamente fino a quando non sentì la propria pelle sfiorare la sua camicia:

<< Eric, guardami >>

Decisa, ma con dolcezza.

Quando vide che l'uomo non accennava a girarsi gli sfiorò l'avambraccio con una carezza.

Con la velocità di un lampo Eric si girò, le strinse il polso e glielo portò all'altezza del viso, infossando i propri occhi in quelli di lei. Kathrine vi lesse risentimento celato dalla maschera di rabbia che Eric le stava volutamente mostrando. Era più forte di lui fare così: l'ira rappresentava la maschera che nascondeva la propria debolezza e la propria sofferenza. Ma lei era sua moglie e conosceva ogni centimetro della sua pelle e tutte le sfaccettature del suo cuore perfetto. E sapeva quello che doveva fare.

Non ci pensò due volte: gli poggiò delicatamente la mano libera sul petto e con gli occhi chiusi si alzò in punta di piedi per raggiungere il viso dell'uomo.

Non appena sentì le proprie labbra incontrare quelle di Eric un brivido le percorse la schiena dorsale. Sebbene non lo vedesse da tanto, non lo baciasse da tanto ricordò tutto improvvisamente e vividamente, tutto quello che poco a poco, con la lontananza e il passare del tempo, era andato a sbiadirsi. Ricordò la consistenza delle sua labbra e il loro sapore; ricordò la sua stretta sul proprio fianco e i suoi capelli tra le dita; ricordò le sue braccia forti che la stringevano; ricordò il soffio del suo respiro sul proprio corpo; ricordò la sensazione inebriante della propria pelle scoperta che baciava la sua e ricordò il calore emanato dal suo corpo che l'avvolgeva e la faceva bruciare.

Eric dischiuse le labbra con un sospiro e ricambiò il bacio carezzandole la vita. Lei si sentì presa dall'esaltazione della vittoria e gli passò una mano sul collo, coraggiosa: automaticamente la presa dell'uomo si fece più salda e la mano che prima le teneva il polso si posizionò sulla nuca di Kathrine.

Quando le mancò il respiro abbandonò la sua bocca e si allontanò leggermente per poterlo guardare negli occhi; lui ricambiò lo sguardo in silenzio:

<< Eric >> esordì guardandosi i piedi << insieme a Dereck sei tutto quello che ho. Ti amo e ti ho sempre amato fin da quando quel pomeriggio mi chiamasti per nome e mi dicesti che ti piaceva l'opera. In questi mesi durante i quali non c'eri non... riuscivo mai ad essere completamente felice: ti eri portato via una parte di me. Come potrei continuare a vivere senza?>>

Si fece forza e riuscì a riportare lo sguardo nel suo:

<< Come potrei continuare a vivere senza di te? >>

Abbassò il volto inspirando profondamente, ma non si trattò neanche di pochi secondi. La mano forte di lui le prese il mento, le alzò il viso e la baciò, cogliendola inizialmente di sorpresa.

Eric.

Da quanto tempo aveva sognato quel momento e da quanto tempo temeva non sarebbe mai arrivato.

Eric.

Tutto sarebbe andato bene, si sarebbero amati fino alla fine dei loro giorni.

Eric.

Gli avrebbe dedicato ogni singolo istante della propria vita, ogni singolo giorno gli avrebbe dimostrato tutto il suo amore.

Eric.

C'era solo lui ora. Nell'aria, nel cuore, nei suoi rapidi respiri presi tra un bacio e l'altro. E c'erano le lacrime di lei che calde scorrevano fino al mento e alle labbra dove bagnavano le labbra di lui.

Eric.

Eric.

Eric.

Silenziosa, la sua camicia cadde a terra.

  
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