Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Segui la storia  |       
Autore: Kirara_Kiwisa    06/06/2013    1 recensioni
Se cercate una storia in cui i protagonisti sconfiggono il male, questa storia non fa per voi. Qui si parla di una ragazza in parte strega e in parte angelo che tenta di sconfiggere il bene, a tutti i costi. Una ragazza con sangue misto, Victoria, temuta dalla sua specie ma che presto l'intero mondo temerà. O almeno questo è ciò a cui lei aspira. Ma qualcosa interferisce sulla sua strada della vendetta, un demone. Nolan, un sangue misto come lei, che la trascina nella sua battaglia per la conquista della corona del Regno dei Demoni. Due destini si incrociano, un mezzo angelo e un mezzo diavolo che collaborano per diventare più forti insieme. Lei serve a lui, lui serve a lei. Un piano che potrebbe funzionare, basterebbe solo riuscire a non annientarsi a vicenda per raggiungere ognuno la propria vendetta...
La paura di essere uccisa da Nolan, spinge Victoria ad allontanarsi, a cadere nelle grinfie di qualcuno di ancor più pericoloso. Abrahel, il fratellastro di Nolan, che aspira al trono dei Demoni altrettanto se non più del mezzo demone.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Victoria's Memories'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Arrivai nella cittadina successiva con ancora il cuore in gola. Avevo perduto la protezione di mia madre, l’ultimo ricordo che mi rimaneva di lei e da quel momento sarei stata un bersaglio facile.
Rimasi in stato catatonico per tutto il viaggio, seduta intenta a fissare il panorama che correva veloce. Non mi preoccupavo di essere ricoperta di sangue. Credo che gli altri passeggeri mi abbiano fissato per tutto il tempo, spaventati e inorriditi. Non facevo caso nemmeno al dolore, ero occupata a chiedermi come gli Anziani fossero entrati a conoscenza del mio amuleto.
Per tutta la vita avevo serbato accuratamente il segreto e in pochi attimi un gatto mandava tutto al diavolo.
Puntai gli occhi al cielo, non c’era traccia di Moloch ma non per questo potevo sentirmi più tranquilla. Sospirai sconsolata. Senza la piuma ero vulnerabile, bastava che il Concilio si riunisse interamente per giustiziarmi e non avrei avuto scampo. Neanche il mio potere naturale mi avrebbe permesso di uccidere così tante persone insieme.
Se non fosse stato per quel bizzarro ragazzo, non sarei mai fuggita dalla capitale.
Pensai a lui costantemente durante il tragitto, domandandomi cosa lo avesse spinto ad affrontare un angelo per me. Avevo già ricevuto qualche insana risposta a riguardo, niente che mi soddisfacesse davvero.
Non riuscivo a comprendere se potessi fidarmi di lui, mi aveva salvato la vita ma la sua figura era totalmente avvolta nel mistero. Aiutarmi a scappare non faceva necessariamente di lui un mio alleato. Serbava un segreto nei miei confronti, glielo avevo letto chiaramente negli occhi.
Fino a che non l’avessi scoperto non sarei riuscita a fidarmi, né ovviamente a seguirlo.
Sospirai, cercando di non pensarci. Il treno da Castleford mi aveva condotto in uno strano paese, denominato Salem. Si trattava di un piccolo e sperduto villaggio a due passi dal confine, l’ideale per nascondersi dal Concilio.
Pregustai l’attimo in cui gli Anziani avessero scoperto che mi trovavo proprio lì: l’unico paese in cui non potevano mettere piede.  
Scesa dal treno notai immediatamente lo stile antiquato del posto. La stazione ferroviaria era ancora tutta in legno, non ne avevo mai vista una così, eppure avevo viaggiato molto. Mi sporsi leggermente oltre la porta dell’edificio, spiando il villaggio dall’alto di una scalinata.
Gli abitanti portavano abiti completamente fuori dal tempo, le donne indossavano solo lunghi vestiti marroni o color ocra. Non vidi alcuna signora portare dei pantaloni, quasi come fosse vietato. In testa, quasi tutte portavano dei cappellini buffi e, sotto di essi, i capelli erano raccolte in strane acconciature.
Gli uomini portavano anch’essi un cappello, solitamente nero, tutti con una folta barba e con abiti di bassa qualità. Sembravano contadini che mettevano il vestito buono solo per andare in chiesa.
Uscì cautamente dall’uscio della stazione, tuttavia senza allontanarmi troppo da esso. Quel mondo a me sconosciuto mi metteva un po’ di apprensione. Avevo sentito parlare degli abitanti di Salem ma vederli con i miei occhi era tutta un’altra cosa.
Da sopra la scalinata su cui mi trovavo potei scorgere tutta la città con un solo sguardo. Era composta solo da tante case in legno, tutte uguali. Le strade non erano asfaltate, né pavimentate. Si camminava sulla terra nuda, polverosa e giallognola. I bambini correvano per le vie del paese senza paura delle automobili, la modesta popolazione infatti si spostava solo con il calesse. C’era un unico edificio religioso, con un campanile che ogni ora segnava lo scorrere del tempo.
Osservai l’orologio, i rintocchi sancivano il calar della sera.
Non vidi molti negozi di abbigliamento, né locali in cui divertirsi. C’era solo un bar, in cui si riunivano gli uomini alla sera. L’insegna diceva “Saloon”.
Rimasi qualche minuto a guardare affascinata la mia ultima tappa prima del Regno delle Fate. Sembrava tutto finto. Quel luogo era completamente tagliato fuori dal progresso.
Osservai la piazza antecedente alla stazione, notando un grande ammasso di paglia e rami secchi. Intorno ad essi si stagliava verso l’alto un palo in legno. Capì che si trattava di un rogo.
Il mio cuore sussultò, nonostante sapessi bene di trovarmi nella città dei caccia streghe.
Salem era l’unico paese affrancato dalla nostra nazione. Ripudiavano il Concilio da cinque secoli ed erano famosi per il “grande massacro”. Centinaia di creature dai poteri magici vennero scovate e bruciate vive, prima che Salem ottenesse uno statuto tutto suo.
Da cinquecento anni nessuno stregone poteva mettere piede in quel luogo, la punizione era la morte.
Sembrava assurdo, eppure in quel momento per me non vi era luogo più sicuro che quello.
Neanche pregando, gli Anziani sarebbero potuti entrare senza rompere il trattato con i cittadini di Salem. 
Sospirai, consapevole che la mia debolezza mi costringeva in quei confini, circondata da umani.
Tentai di trovare dei lati positivi, in fin dei conti ero stanca di viaggiare e il solo pensiero di salire su un altro treno mi disgustava. Volevo un letto comodo, un tetto sulla testa e un pasto caldo. Con un po’ di bravura i caccia streghe non mi avrebbero scoperta, avrei cambiato il colore dei miei occhi e avrei cercato di apparire il più normale possibile. Il taglio di capelli non mi aveva aiutata affatto ma tramutare le mie iridi da gatto in gemme azzurre, forse sì.
- Che obbrobrio-
Sussurrai tornata dentro, davanti allo specchio del minuscolo bagno della stazione.
Sbuffai. Mi pareva innaturale e strano avere gli occhi azzurri, ma non per quello stavo sbuffando. Avevo ancora la maglietta sporca di sangue.
Mi posi una mano fra i capelli, cercando di pensare a qualcosa.
Non potevo certamente uscire per strada con gli abiti insanguinati.
Irritata, presi dei pezzi di carta ed iniziai a pulire le ferite sulle spalle. Non bruciava molto, non era poi tanto grave però avevo perso l’ultima maglietta che mi era rimasta.
Un’altra colpa che gravava sulla testa di Moloch.
Uscì dal bagno esplorando l’interno della diroccata stazione ferroviaria, deserta. Non c’era poi molto al suo interno: una panchina, tante porte chiuse, una biglietteria, un telefono.
Cautamente cercai qualcosa che assomigliasse ad uno spogliatoio per gli addetti.
In quel momento mi sarei accontentata anche di una tovaglia trovata in un ripostiglio!
Scassai almeno un paio di porte, prima di incappare in una stanzetta buia con del vestiario abbandonato al suo interno. Si trattava di divise ferroviarie maschili ma, nel mucchio appeso alla parete, trovai una camicia bianca abbastanza piccola da potermi andare. Senza tante pretese, gettai la precedente maglia nel bidone della spazzatura ed uscì con quell’informe lenzuolino ruvido addosso. Perlomeno aveva dei bottoni.
Ripulita dal sangue, andai a cercarmi una locanda.
Dopo il tramonto il paese diveniva deserto e compresi quanto fosse sconveniente per una ragazza uscire di sera da sola e senza un uomo. Avevano una mentalità molto antiquata e bigotta, che mi portò ad essere subito adocchiata malamente dai contadini del luogo. Roteai gli occhi rassegnata, constatando che nonostante tanta fatica partivo comunque con il piede sbagliato.
Fortunatamente, giunsi presto davanti ad una squallida struttura per umani. Una stalla riadattata, che osavano chiamare albergo. Sospirai, cercando di farmi coraggio. Se dovevo fingermi umana, dovevo vivere da umana.
Priva del mio zaino e di tutto il suo contenuto, usai i pochi soldi che mi erano rimasti nelle tasche per pernottare in quella pensione per tre notti, poi mi trovai un lavoro.
Sentì di una anziana coppia di agricoltori che cercavano un aiuto per le faccende domestiche, in cambio offrivano vitto e alloggio.
Mi presentai a loro con un bel sorriso smagliante, cercando di farmi assumere a tutti i costi.
Gli abitanti non ricevevano mai stranieri in città e trattavano con sospetto chiunque non fosse nato e cresciuto a Salem. Fortunatamente per me, li convinsi presto che non fossi un pericolo.
Ero brava a persuadere la gente, almeno fino a che non combinavo qualche guaio. Qualcosa di grosso solitamente, che portava i miei ospiti a capire che non fossi del tutto normale. Un mostro, generalmente.
Comunque le prime settimane trascorsero tranquille, nonostante fossi costretta a lavori un po’ ingrati. Almeno ero viva e mi piaceva approfittare delle faide interne del nostro regno per salvarmi la pelle. Se gli Anziani avevano capito che mi trovavo lì, sicuramente si stavano logorando dalla rabbia. In quei giorni, mi sentì invincibile. 
L’unico pensiero che mi tormentava era quel ragazzo dagli occhi di civetta.
Non riuscivo a non pensarci.
Mi sentivo in colpa per essere scappata e averlo lasciato in balia del mio assalitore.
Avrei dovuto affrontarlo io, non certo lui.
Il cuore mi doleva, ogni qual volta osservavo la cicatrice che mi aveva inferto sul polso. Non avevo avuto più sue notizie da quando ci eravamo separati a Castleford. Non era spuntato da dietro qualche angolo come a suo solito, non avevo udito la sua fastidiosa voce nelle tenebre.
Dopo la battaglia contro Moloch, non era più venuto da me.
Quando pensavo a lui, la notte in camera mia, ero abbastanza angosciata. Nonostante lo trovassi seccante, non mi sarei mai perdonata la sua morte, avvenuta a causa della mia debolezza.
Al chiaro di luna, passavo il tempo a sospirare. Non era la prima volta che qualcuno perdeva la vita a causa mia e non lo riuscivo più a sopportare, dovevo diventare più forte.
Nei giorni successivi cercai di non pensarci, di concentrarmi sulla mia situazione a Salem e di sopravvivere in quel contesto. Il fingersi umana era già abbastanza difficile e inventare storie sul mio passato, lo era ancora di più.
La versione ufficiale era che i miei genitori, umani, erano stati uccisi dai demoni nella precedente guerra ed io, infuriata con il Concilio per averli mandati alla morte, ero scappata a Salem. Così, miracolosamente, ebbi il permesso di restare e conobbi molti personaggi interessanti.
Feci la conoscenza di uomini mercenari, cacciatori di taglie commissionati da ricchi uomini desiderosi di farsi giustizia da soli, nobili troppo impazienti per la lenta legge del Concilio. Si guadagnavano da vivere catturando o uccidendo stregoni, a seconda della richiesta. Le storie dicevano che nel tempo libero cacciavano indipendentemente le creature dai poteri magici, per poi giustiziarle nella piazza del villaggio davanti a tutti. Uccidevano senza nessun criterio, senza regola o motivo. Guidati solo dal loro piacere e dal loro odio, inseguivano come prede le loro vittime, anche se del tutto prive di taglia. Erano pericolosi, suscettibili e volubili. Potevano accettare commissioni da stregoni, per poi tornare ad ucciderli il giorno dopo. Assumerli era sempre un rischio, bisognava essere sciocchi o disperati per avvalersi dei loro servigi.
La sera, al locale vicino a casa, ascoltavo le loro storie piene di coraggio e di avventura.
Avrei voluto avere la loro forza, poter uccidere angeli, streghe e maghi come facevano loro.
Se mi avessero pagato poi, sarebbe stato tutto ancora più bello.
- Uccideresti un angelo per me?-
Domandai seriamente ad un giovane cacciatore, con cui ero entrata particolarmente in confidenza.
Si chiamava David e scoppiò a ridere quando udì la mia richiesta.
- Perché dovrei?!-
Domandò, ordinandomi ancora da bere nella confusione del Saloon, lieto che nessun altro avesse sentito.
- Perché mai vorresti la morte di un angelo?-
Scrollai le spalle, non sapendo cosa inventarmi. Uscivamo insieme ma non per questo mi fidavo di lui, né pensassi di dover essere sincera nei suoi riguardi.
- Lo hai mai fatto?-
Chiesi, cambiando domanda.
- Hai mai ucciso un angelo?-
- No-
Rispose sinceramente, avvicinandosi maggiormente a me con i suoi grandi occhi nocciola.
- Però ho visto qualcuno che lo faceva-
- Raccontami-
Supplicai, afferrando bevendo dal boccale che mi era appena stato riempito.
- Eravamo nella Nazione delle Streghe-
Iniziò il giovane.
- Lo atterrammo con le frecce e le pallottole avvelenate dopo il quarto giorno di caccia. Inibimmo subito i suoi poteri utilizzando lo zolfo e lo immobilizzammo con delle corde in oro massiccio-
Raccontò orgoglioso.
- Il nostro capo gruppo scelse la morte più lenta e dolorosa, gli strappò le piume una ad una-
Rabbrividì a quel pensiero.
- Gli angeli cessano di vivere dopo aver perso sette piume-
Informò il ragazzo, come se non lo avessi saputo.
- Anche l’arcangelo più forte spira dopo aver perso un massimo di dieci piume. Ma pensa che quel maledetto resistette fino a tredici! Incredibile!-
- Cosa aveva fatto?-
- Non ci interessava-
Spiegò il cacciatore, scrollando le spalle.
- Non era compito nostro saperlo-
Mi scostai da lui, rimanendole delusa. Uccidevano solo per amore dei soldi, non vi era più niente dell’antico ordine che li aveva creati. Pochi conservavano l’odio dei progenitori verso le creature magiche, per molti era ormai diventato solo un lavoro. Cacciavano creature che non gli avevano fatto niente personalmente, senza saperne il perché, solamente perché era divertente e andava fatto. Gli angeli non li avevano rovinato la vita, non li avevano terrorizzati a morte fin in tenera età, non li avevano strappato la cosa più preziosa che potessero avere. Nonostante questo li uccidevano con incredibile ferocia, con il sorriso sulle labbra e senza il dolore nel cuore.
Gli umani ero convinti che il mostro fossi io, eppure più li conoscevo più mi sembravano spietati, peggio dei demoni. Sospirai, scostandomi dal corpo muscoloso dell’aitante caccia streghe. Se avessimo fatto prima quella conversazione, probabilmente fra noi non sarebbe accaduto mai niente.
- Passi da me più tardi?-
Chiese il ragazzo, stranito che me ne stessi già andando.
- Non credo-
Bofonchiai.
- Ho mal di testa-
- V-Va bene. Ci vediamo domani?-
Annuì sorridendo, mentendo. Dal giorno dopo fino alla mia partenza, lo avrei sempre ignorato.  
 
Trascorsi qualche altra settimana ospite degli abitanti di Salem.
Avrei dovuto sentirmi tranquilla, visto che i caccia streghe non accennavano il minimo dubbio sulla mia identità. Avevo avuto conferma che non accettavano commissioni dal Concilio né che si immischiavano nelle loro faccende, eppure ero terribilmente paranoica. In cuor mio temevo che trovassero comunque qualche mio volantino fuori dal villaggio, condannandomi al rogo.
D’altro canto, lasciare Salem mi faceva ancora più paura.
Oltrepassare il confine cittadino senza la piuma, equivaleva rischiare di essere catturata e uccisa dagli Anziani. Ritenni di essere più al sicuro nel villaggio, circondata da semplici umani.
Nonostante le mie angosce, alle volte fantasticavo su un’ipotetica vita a Salem. Sognavo di farmi un futuro fra di loro, di imparare metodi per uccidere le creature magiche anche senza usare i poteri.
Mi sarebbe piaciuto diventare una caccia streghe, ovviamente con dei valori diversi dai loro.
Avrei vissuto alla giornata, mangiato grazie alle taglie, mi sarei fatta delle cicatrici sul corpo ed ognuna di quelle essere una storia emozionante da raccontare. Forse non avevo bisogno di cercare di distruggere gli Anziani, per la prima volta potevo tentare semplicemente di vivere.  
Ogni tanto, per la prima volta, si affievoliva il desiderio di un potere più grande e di portare a compimento la mia vendetta. Tornavo alla realtà non appena posavo l’occhio sul marchio che quel ragazzo mi aveva impresso, ricordandomi che forse era morto a causa mia. 
Una mattina, la mia illusione di normalità s’infranse del tutto.
Ero scesa presto in cortile, per adempiere ai miei compiti prima che la famiglia si svegliasse.
Stavo dando da mangiare ai maiali della fattoria, uno dei tanti lavori che dovevo fare per guadagnarmi il vitto. Nonostante il cattivo odore stavo imparando a lavorare, il valore di darsi da fare e di avere una vita retta in una buona famiglia. Stavo assumendo l’idea di essere accettata e non odiata. Lentamente, apprendevo il significato di vivere in un posto fisso, senza fuggire di casa ogni due mesi.
- E voi siete sistemati-
Dissi soddisfatta alle bestie che si rotolavano nel fango, terminato il lavoro.
Sospirai dalla stanchezza, asciugandomi il sudore dalla fronte. Non sapevo cosa fosse più faticoso, se fuggire dal Concilio o lavorare per gli umani. Con questo dubbio, mi voltai per rientrare con la ciotola di sbobba fra le mani. 
- Non solo ci lavori, ci parli anche con i maiali-
Mi bloccai incredula. Lo strano ragazzo era vivo.
Dopo settimane di attesa, spuntava alle prime luci dell’alba, quando ero sporca di fango e melma. Forse mi aveva visto conversare con Piggy, dire a Penzi quanto fosse grasso e ammonire Milly per rubare il cibo di Jilly.
Che vergogna. Davanti al suo sguardo divenni completamente rossa e mi parve di andare a fuoco.
Persi di mano la ciotola vuota, lasciandola rotolare a terra.
Non potevo credere che fosse vivo.
- Non ti sembra di essere caduta un po’ in basso?-
Domandò il ragazzo con tono di rimprovero. Mi fissava crucciato a braccia incrociate, a pochi metri di distanza come se fosse la cosa più normale del mondo.
- Non…non sei morto-
Riuscì solo a bofonchiare, con un filo di voce.
- Certo che no!-
Rispose il ragazzo, ridendo ed iniziando ad avvicinarsi.
- Sì, ce ne è voluto per battere quell’angelo ma neanche io sono tanto facile da uccidere-
Sorrisi istintivamente, felice che fosse sopravvissuto. Lui, aveva ucciso un angelo per me.
Rinsavì immediatamente assumendo un’espressione seria, non volendo mostrare la reale preoccupazione che mi aveva tormentata in quei giorni.
- Peccato-
Sbottai riprendendo la ciotola di sbobba da terra.
- Mi sarei liberata di un peso come te-
- Questo peso ti ha salvato la vita!-
Ribatté lui offeso, smettendo di avanzare verso di me.
- Lo pensi tu, io avevo la situazione in pugno. Se non fossi arrivato, l’avrei sistemato in metà del tuo tempo-
Affermai pavoneggiandomi. Il ragazzo rimase in silenzio ed io ne approfittai per andarmene, dovendo terminare ancora parecchi compiti. La sua figura mi impediva il passo, così per oltrepassarlo gli posi una mano sul fianco e lo spinsi verso la direzione opposta, liberandomi il cammino.
Il giovane gemette immediatamente, portandosi entrambe le mani sul punto che avevo appena toccato. Si inginocchiò a terra lamentandosi, restando immobile in preda al dolore.
- Cos’hai?-
Domandai spaventata, facendo cadere nuovamente la ciotola per terra. Non ricevendo risposta, lo raggiunsi in fretta, accovacciandomi al suo fianco e scrutando il suo corpo con attenzione. Cercai di toccarlo, ritrovandomi a ritrarre la mano per paura di ferirlo ancora.
- Ti ho scottato?-
Proseguì preoccupata, nonostante fino a quel momento il mio tocco su di lui non avesse mai funzionato. Il ragazzo non riuscì a rispondermi, aveva gli occhi chiusi e il volto contorto in un’espressione di dolore. No, non potevo averlo ustionato a tal punto. Gli presi le mani per spostarle dal fianco e con delicatezza sollevai appena la maglietta, notando delle bende.
- Sei ferito-
Affermai sbigottita.
- E’ stato Moloch?-
- Non è niente-
Bisbigliò lui, cercando di nascondere i bendaggi.
- E’ solo un graffio-
- Un graffio non può farti così male-
Obiettai scostando le mani dalla ferita.
- Va tutto bene…probabilmente è ancora presto-
Mormorò con un filo di voce.
- Me lo avevano detto di non rialzarmi-
Ridacchiò.
- Ma io non li ho ascoltati…veramente, io non li ascolto mai-
Borbottò, senza perdere il sorriso. Al contrario io non riuscivo a sorridere, ricordando che si era ferito a causa mia. Odiavo la mia debolezza, se solo avessi saputo controllare la mia natura non avrei avuto bisogno di essere protetta. Posi entrambe le mani sul terreno, stringendo forte il terriccio per scaricare la collera. Non potevo cullarmi in quell’illusione di una perfetta vita contadina. Dovevo uscire dal villaggio e rimettermi in viaggio, anche se avevo paura.
Dopo qualche istante, scorsi del fumo fuoriuscire da sotto le mie mani e percepì una tenue puzza di bruciato. Le aprì, constatando che avevo bruciato il terreno stesso. Il ragazzo lo notò, chiedendomi se stessi bene.
- Certo-
Sbottai, cercando di apparire tranquilla.
- Mi stavo solo chiedendo…-
Iniziai, imbarazzata.
- Hai tardato a tornare a causa della ferita?-
- Ti sono mancato?-
Chiese lui con un sorrisetto malizioso stampato in faccia.
- Per niente-
Affermai decisa e rialzandomi in fretta.  
- Non vorrei averti sulla coscienza, tutto qua-
Precisai, fissandolo ancora a terra con le mani sul fianco. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, squadrandomi divertito.
- Ma…prima hai detto che speravi fossi morto-
Mi stavo contraddicendo con una parola dietro l’altra. Per non fare maggiori danni, ripresi la ciotola di sbobba decisa a rientrare in casa.
- Aspetta-
Mugolò lui, tentando di alzarsi.
- Devi venire…-
Mi afferrò per un lembo dei vestiti, costringendomi a voltarmi. Scoppiò a ridere non appena incrociò nuovamente i miei occhi, colorati magicamente con un incantesimo.  
- Scusami ma sei ridicola con gli occhi azzurri. Fanno ribrezzo, veramente. Sono impressionanti-
Mi scostai da lui, liberandomi della sua presa mentre continuava a fissarmi divertito.
- E’ l’unico modo che ho per mantenermi in vita!-
Urlai.
- Sì e anche allevare i maiali ti serve per vivere?-
- C-Certo. Sto imparando ad essere normale-
Continuò a ridere, piegandosi in due mentre io desideravo colpirlo ancora sulla ferita.
- Ma tu non sei normale-
- Che vuol dire? Ho comunque il diritto di vivere! E poi tutto questo è temporaneo. Presto otterrò il potere necessario…-
- E come? Dando un po’ di sbobba in più?-
A quel punto persi il controllo.
- Come ti permetti…tu…stregone maniaco! Quello che faccio io non ti deve interessare! Perché non te ne torni da dove sei venuto?! Avrai una casa, no? Allora tornaci!-
- Io lo dico per te, maledizione! E’ possibile che non lo capisci?!-
Urlò a sua volta, divenendo improvvisamente serio.
- Una ragazza come te non dovrebbe abbassarsi a dare da mangiare ai maiali!-
- Ah no? Allora dimmi sapientone, cos’è che dovrebbe fare una ragazza come me?! Combattere e morire?! Ho perso l’unica cosa che mi teneva in vita!-
- Stupida, non ne hai bisogno! Basterebbe che tu venissi con me!-
Tacqui, guardandolo allibita.
- Stai iniziando ad essere ripetitivo e noioso-
Informai incrociando le braccia, tuttavia assumendo un tono di voce decisamente più basso.
Anche lui allora si calmò, capendo di aver alzato troppo la voce. Riprese fiato dopo un momento di silenzio, dopodiché continuò a parlare.
- Se tu venissi con me, non dovresti fare niente di tutto questo-
Non ebbi neanche il tempo di rispondere, improvvisamente udimmo delle urla e dei rumori provenienti dalla casa dietro di noi. I padroni di casa e gli altri aiutanti della fattoria stavano accorrendo velocemente con i forconi e le zappe in pugno, puntandocele contro.
- Come osa un essere come te mettere piede a Salem!-
Urlò violentemente il dolce vecchietto che mi aveva ospitata in casa. Sobbalzai spaventata, temendo di essere stata scoperta.
- Ragazzina!-
Continuò a gridare la padrona della fattoria, bloccandosi a pochi metri da noi.
- Fai comunella con questo demone?-
- No io…-
Tentai di dire in mia difesa, realizzando solo in seguito cosa la donna avesse detto.
- Demone?-
Ripetei ebete.
La ciotola cadde ancora una volta.
Il mio cuore tremò, il corpo si irrigidì, la mente divenne vuota e provai una tremenda fitta allo stomaco.
- D-Demone?-
Ripetei nuovamente sconcertata, voltandomi lentamente verso il ragazzo dagli occhi d’oro. Sussultai quando incrociai il suo sguardo, notando come fosse radicalmente cambiato. C’era qualcosa di diverso nel suo volto. Nei suoi occhi leggevo un’intenzione che conoscevo bene e che spesso si era potuta leggere nei miei: la mia stessa voglia di uccidere.
Prese ad avanzare verso i padroni di casa e i loro braccianti, sorridendo malignamente.
- Fermo-
Pregai, agendo d’impulso. Gli sbarrai la strada con il mio corpo, non potendo rimanere impassibile.
Il ragazzo dai capelli brizzolati si arrestò, abbassando lo sguardo fino al mio ed incrociando i miei occhi blu, irremovibili. Non potevo permettergli di farlo, quella gente mi aveva accolta in casa e aiutata più della mia vera famiglia. Non ebbi paura, neanche sapendo di trovarmi innanzi ad un demone. In quei brevi attimi pensai solamente a salvare i fattori, non ricordando nemmeno che, se solo avesse voluto, ci avrebbe uccisi tutti in un baleno.
Fortunatamente fece un bel respiro, tornando a sorridere come aveva sempre fatto fino a poco fa.
Mi sentì sollevata, riconoscendo nei suoi occhi lo stesso ragazzo che mi aveva salvata a Castleford. Abbozzai un sorriso, che scomparve quando tornai ad udire la padrona di casa che incalzava, pretendendo una risposta. Non sapevo cosa dire, come giustificarmi davanti ai loro occhi.
Cercai di bofonchiare qualcosa ma, prima che potessi farlo, il ragazzo svanì per comparirmi alle spalle. Mi afferrò per la gola, stringendomi talmente forte da farmi mancare il fiato.
Sobbalzai, con il cuore che batteva veloce, notando solo allora quante volte avesse usato quell’incantesimo. Nessuno usava la magia nera nel nostro stato, la sua forza e i suoi poteri erano una prerogativa dei demoni.
Non ebbi il tempo per riflettere sulla mia stupidità, visto che la creatura mi strinse forte trascinandomi lontano dai padroni di casa, minacciando di ucciderli se solo si fossero avvicinati.
- Lasciala andare!-
Urlò il fattore senza arretrare.
- Sporco demone! Oggi non avrai il tuo pranzo!-
Continuò un altro, alzando il forcone sempre più.
- La pagherai per essere entrato a Salem!-
Promise la donna.
- Andatevene se volete vivere. A me basta un solo umano-
Rinnovò il ragazzo freddamente, leccandomi una guancia come un animale intento ad assaggiare la sua preda.
- Se mi costringete ucciderò ognuno di voi-
Per la prima volta ebbi paura. La sua voce era diversa, incredibilmente spietata.
Sentì il mio cuore battere ancora più forte, quasi volesse fuggire dal petto.
Non sarei mai stata in grado di battere un demone.
- C-Che fai?-
Sussurrai io tremante. Già vedevo sul giornale il mio necrologio. Un commuovente articolo avrebbe parlato di una giovane donna uccisa da un terribile demone. Forse avrei fatto scoppiare una guerra, di nuovo.
- Zitta stupida-
Bisbigliò lui con la sua solita voce, facendo tornare i miei respiri regolari.  
 - Prenditi il maiale demone ma lascia la bambina!-
Urlò ancora la donna, portandosi le mani ai capelli quando la creatura dietro di me scosse il capo.
- E rinunciare alla carne fresca di un’umana? Mai!-
Disse quasi soffiando, come un gatto minacciato durante il pasto.
- Allora morirai!-
Sbraitarono in coro gli uomini, dotati di armi. Con furore si gettarono insieme su di noi, correndo puntandoci le zappe e i forconi addosso.
- Gufo?-
Mormorai spaventata.
- Non ora-
Rispose lui piano, rivolgendosi al mio orecchio nascosto dai capelli.
- Ancora un po’-
Chiusi gli occhi. Ormai gli uomini ci stavano per colpire e non sapevo che intenzioni avesse il ragazzo. Se non fossimo scappati ci avrebbero reso degli spiedini, per poi arrostirci sul fuoco del rogo. Possibile che dovunque andassi dovevano sempre cercare di uccidermi?
- Ora!-
Sussurrò lui improvvisamente, spingendomi a terra per farmi cadere al suolo.
Il demone scattò in alto con un balzo, mentre le armi lanciate dai contadini perforavano l’aria.
Rabbrividì accorgendomi che, se non mi avesse spinto, i fattori mi avrebbero colpita in pieno.
Il padrone di casa e gli altri urlarono infuriati al cielo, alzando le armi e lanciandole fino a lui, che scomparve senza lasciare tracce. Io rimasi stesa sul terreno, con le gambe che ormai non le sentivo più. La padrona di casa fu la prima a giungere da me, cercando di tranquillizzandomi e chiedendomi se stessi bene. Gli uomini invece corsero a raccogliere le armi, maledicendo forte il demone che gli era sfuggito.
Rimasi sorpresa e spaventata di come si erano prodigati tanto a salvarmi, per poi cercare di trapassarmi coi forconi pur di uccidere la creatura oscura. Solo la padrona sembrava lieta che fossi salva, gli altri erano malinconici per non aver preso il mostro. 
 
Dopo quell’episodio passai ogni notte insonne, a riflettere.
Stringevo forte il marchio che mi aveva impresso, desiderando che tornasse presto a farmi visita. Due linee collegati da due punti, un segno circolare che ricordava vagamente l’infinito. Non faceva male, se ne stava silente sulla mia pelle a ricordarmi i suoi grandi occhi di civetta.
Ero stata marchiata da un demone.
Nonostante la mia vasta conoscenza sulle creature oscure, non avevo la minima idea di cosa questo volesse dire, né di cosa comportasse. Ero certa però che a qualcosa quella cicatrice servisse.
Sospirai. Era un demone, lo era stato per tutto il tempo ed io non l’avevo capito. Avevo sempre ritenuto di poter riconoscere la razza demoniaca a prima vista, invece mi ero fatta ingannare.
Sbuffai, puntando lo sguardo verso le stelle e pensando a cosa gli avrei detto se mai lo avessi rivisto.
Sicuramente lo avrei picchiato.
Era solamente la terza notte da quando i fattori lo avevano cacciato, eppure a me sembrava essere passata un’eternità.
Appollaiata sul davanzale della mia finestra, mi refrigeravo alla fresca brezza della notte dopo una giornata di fatiche. In tenuta da notte, pantaloncini e top, osservavo i campi circondati d’oscurità. Davanti a quell’orizzonte tenebroso mi sentivo incredibilmente piccola, la vastità del firmamento sopra di esso mi ricordava quanto fossi insignificante.
Sospirai, così forte da farmi male ai polmoni. Socchiusi gli occhi, assaporando il vento che mi accarezzava il volto, libera dall’anello che di notte non dovevo portare, libera da ogni legame.
Nel buio rivedevo il suo viso, quei tratti così delicati, estremamente familiari.
- E’ tutto pronto-
Affermò improvvisamente una voce dietro di me. Non mi spaventai, non sobbalzai. Volsi lentamente il capo verso di lui e lo osservai seduto sul mio letto con disinvoltura, come se quella fosse stata la sua stanza. Le gambe accavallate e le braccia incrociate, due occhi dorati che mi fissavano nel buio.
Non potei fare altro che sorridere.
Ero abituata alle sue entrare in scena teatrali, ormai non potevo farne a meno.
- Adesso puoi venire con me-
Aggiunse. Io tacqui, ritrovandomi a fissarlo a lungo.
Le mille domande che gli volevo fare, scomparirono nel suo sguardo.
- Non verrò con te-
Decretai. Le mie parole lo fecero sospirare.
- Capisco. Hai paura di me-
Chinò il capo portandosi le mani ai capelli, fissando il pavimento.
- Per questo mi hai detto di essere uno stregone? Per non spaventarmi?-
- Veramente hai fatto tutto da sola, io non ho mai detto di essere uno stregone-
- Tu però hai annuito quando te l’ho chiesto-
- Non sapevo come avresti reagito-
Ammise, allora fui io a sospirare. Faceva tanto il saccente ma alla fine non capiva nulla. Scesi dal davanzale, avvicinandomi a lui di qualche passo.
- Gufo?-
Lui alzò il volto, rispondendo a tale nome. Io lo raggiunsi, avvicinando il mio viso al suo e giungendo a pochi centimetri di distanza dai suoi occhi.
- Tu sei…uno stupido!-
Urlai spintonandolo forte, gettandolo completamente sul letto. Rimase immobile, attonito, mentre io mi arrampicavo delicatamente sul materasso, raggiungendolo.
- Non ho paura di te-
Sussurrai, salendo sopra di lui e guardandolo dritto negli occhi.
- Ma…allora…perché non vuoi venire con me?-
Chiese lui balbettando, senza muoversi. Sorrisi, come al solito dovevo spiegargli tutto. Gli spostai i capelli dalla fronte, liberandogli lo sguardo.
- Ho un brutto presentimento-
Spiegai dolcemente, rimanendo carponi sul suo corpo.
Nell’oscurità della stanza riuscivo a scorgere distintamente soltanto le sue iridi dorate, mentre il resto era avvolto nelle tenebre.
- Ovvero?-
- Chiamalo intuito femminile ma non mi fido di te-
Stranamente sorrise, come se mi stesse dando ragione.
Avvicinai il mio volto al suo, posandogli gentilmente una mano sul busto. Il suo corpo ebbe un fremito mentre le mie labbra si accostavano alle sue, i suoi occhi si chiusero, arrendendosi.
- Soprattutto…di un gufo ferito di cui non so nemmeno il nome!-
Affermai scostandomi da lui e sollevandogli velocemente la maglietta. Finalmente potei osservare i bendaggi nella loro interezza. Come avevo immaginato, la ferita era estesa e le bende ricoprivano completamente il ventre e i fianchi.
- Lo sapevo-
Decretai scuotendo il capo mentre il ragazzo rinsaviva, al quanto deluso.
- S-Sei una cretina!-
Urlò lui imbarazzato sistemandosi velocemente le vesti e portandosi a sedere, costringendomi ad alzarmi.
- Così ti farai ammazzare. Inutilmente!-
Rimproverò completamento arrossito, alzandosi anch’esso in piedi.
- Perché esiste anche un modo utile di farsi ammazzare?-
Domandai divertita. Il demone, inaspettatamente, non rise.
- Se tu ti unissi a me potremmo distruggere quei vecchi in un baleno!-
- Frena frena-
Dissi io mettendo le mani davanti, fra me e lui.
- Distruggerli in un baleno? Io? Con te?!-
Domandai allibita.
- E perché mai tu dovresti aiutarmi? E come soprattutto?-
Sospirò, prima di accennare ad una risposta.
- Io ho visto il tuo potere-
- Beh hai visto male-
Sbottai innervosita.
- Ci sono particolari condizioni in cui posso usarlo e non con tutti. L’unico motivo per cui non temevo il Concilio, l’ho perso nella capitale!-
- Posso aiutarti a farne a meno-
Non gli diedi ascolto, certa che stesse vaneggiando.
- Non so cosa hai in mente. Non so chi tu sia né cosa tu voglia ma la mia è una faccenda personale, i demoni non c’entrano. Non voglio combattere al tuo fianco e non mi fido di te, hai capito?-
Affermai, creandogli un certo disappunto. Non so cosa si aspettasse da me ma non mi sarei unita ad uno sconosciuto per intraprendere una specie di battaglia fra parti. Io volevo solo vendicarmi per tutto ciò che mi era stato fatto, i demoni non dovevano venire coinvolti.
- Fai prima a dire che hai paura di me. Non devi vergognarti, è normale. Tutte le streghe hanno paura dei demoni-
Continuò, facendomi perdere le staffe.
- Ma non ci senti? Ho detto che i demoni non mi fanno paura!-
Gridai, portandomi subito dopo una mano sulla bocca. I padroni di casa stavano dormendo al piano di sotto.
- Semplicemente non mi fido di te-
Proseguì, a tono più basso.
- C’è qualcosa in te che non mi convince, tutto qui. I demoni non mi fanno paura, ero ancora piccola quando scappavo di casa per andare nel loro regno da sola-
Raccontai orgogliosa.
- Pensa che una volta mi sono pure confusa con loro-
Aggiunsi, fiera delle mie imprese. A quelle parole lui sussultò, bloccandosi per qualche istante.
- Una volta sono giunta fino alla capitale e ho visto anche una parata della famiglia reale! Non per vantarmi ma ho pure salvato la vita al vostro principe ereditario! Non so se lo sapevi ma un demone molto potente scagliò una freccia avvelenata contro il secondogenito e fui io a dirottarla, affrontando la grande Lilith in uno scontro corpo a corpo!-
Proseguì pavoneggiandomi e voltandomi verso la finestra. Gli diedi la schiena, attendendo complimenti e congratulazioni che però non arrivarono. Per un po’ vi fu solo il silenzio ma non me ne stupì. Il ragazzo era sicuramente rimasto attonito dal mio coraggio.
Improvvisamente mi afferrò da dietro, prendendomi per le spalle. Mi abbracciò forte, avvolgendomi completamente.
Rimasi allibita e mi accorsi di arrossire. Sentivo il suo respiro sul mio collo e il battito del suo cuore dietro la mia schiena. Non mi aspettavo certo una reazione simile.
Non disse niente, non una parola. Semplicemente mi tenne stretta ed io mi abbandonai al suo abbraccio.
- Eri tu-
Sussurrò.
- Credevo che fossi morta-
- Cosa?-
Domandai confusa, cercando di scostarmi da lui. Non mi lasciò andare, mi tenne stretta a sé per un lasso di tempo che parve interminabile. Quando si ritenne soddisfatto mi pose una mano sugli occhi e la stanza divenne ancora più buia. Dolcemente mi girò verso di lui, permettendomi solo allora di riaprirli. Rimasi sorpresa quando vidi che mi stava semplicemente fissando, se pur molto intensamente.
- Così va meglio-
Disse senza distogliere un attimo lo sguardo dai miei occhi, così uguali ai suoi.
Li aveva fatti tornare del loro colore normale, volendoli osservare come mai aveva fatto. Ne stava scrutando ogni particolare, come se un mondo intero vi fosse racchiuso al loro interno.
Mi sentivo in imbarazzo, non capivo cosa stesse cercando in essi.
Più mi guardava, più diventava triste. Dopo poco si distanziò da me, lasciandomi lì impalata nella stanza. Si voltò, dandomi le spalle e portandosi le mani alla testa. Mi parve che abbozzasse un risolino isterico, disperato, come se quello che era venuto a sapere lo infastidisse.
- Non puoi più venire con me-
Sbottò improvvisamente.
- Come?-
- Non devi più venire con me-
Si corresse, accentuando la parola “devi” ed offrendomi un triste sorriso. Rimasi senza parole, intenta ad osservare il suo sguardo mutato così repentinamente. Ero la prima a non desiderare di seguirlo, non avrei dovuto risentirmi di quell’imposizione eppure udire che non potevo, che non dovevo più, mi infastidì terribilmente.
- Mi dispiace-
Ammise sorpassandomi nell’oscurità della camera, per raggiungere la finestra. Mi volsi con il cuore che batteva a mille e un terribile nodo in gola. Se ne stava andando.
- Aspetta-
Pregai, avvicinandomi e protendendo una mano in avanti mentre lui era già intento a salire sul davanzale.
- Scusa se ti ho infastidita fino ad ora-
Affermò rivolgendomi il suo sguardo l’ultima volta per poi gettarsi dalla finestra, al terzo piano dell’abitazione. Scattai verso il davanzale, cercando la sua figura nelle tenebre del cortile.
Era sparito, se ne era andato lasciandomi sola.  
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: Kirara_Kiwisa