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Autore: MelKaine    25/12/2007    15 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
Capitoli:
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The Heart of Everything 4
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Buon Natale a tutti!!!
Quarto capitolo, quarto aggiornamento. Un profondo grazie a tutti coloro che mi stanno ancora seguendo in questa mia prima avventura nel mondo di Harry Potter.
Grazie a Summer84 per il commento. Un po’ mi dispiace dover rattristare la gente, ma la storia lo richiede e considerando che a far ridere sono un disastro meglio così... Complimenti a Tigre94 per l’azzeccata intuizione, Snape davvero non vorrà ascoltare i segnali. Grazie mille a LadySnape. In effetti l’argomento non è affatto felice, ripeto. E voglio, in qualche modo, senza pretendere troppo, che le persone che leggono la mia storia capiscano quanto tutto questo sia orrendo ed ingiusto, non perché lo scrivo io, ma perché purtroppo queste cose, nel mondo, accadono davvero. Ed è così incivile, così... crudele, che mi vergogno di stare nella stessa categoria filogenetica di tali mostri. Vorrei che la gente sapesse cosa prova un bambino che ha fame, che sta male, che non ha amore. Vorrei che coloro che sono responsabili di queste cose spendano un momento del loro tempo a riflettere su tutto ciò prima di alzare nuovamente le mani, prima di ferire degli innocenti. Il potere non serve a distruggere, serve ad aver cura di chi è più debole. Non si dimostra di essere forti picchiando chi non ha difese... così si è solo codardi.
Spero che la mia storia aiuti a vederla in questo modo, nient’altro. Grazie ad unknow_angel (a cui devo ancora rispondere, perdono!) per i suoi immeritati complimenti. Grazie a iaco per l'incoraggiamento. Grazie a lilica, ti prometto che ne vedranno delle belle i due!! Grazie mille a Chrystal_93 per le sue parole super-incoraggianti ^__^ . Lake, grazie mille, ma aspetta ad odiare Snape, questo ancora non è niente ^__=  . Grazie a kagome chan per il suo commento. Un bacione a quella malefica di una bombottosa, a cui chiedo pubblicamente scusa per essere arrivata 3 volte in costante ritardo agli appuntamenti, grazie per i commenti, cara. Ogni promessa va mantenuta, dopo vado a commentare le altre fic! Ulteriori ringraziamenti a Ilary e (non so il nick, quindi metto quello della mail...) spike_and_buffy_loveforever. Spero di non aver lasciato indietro nessuno, fatemelo notare, semmai. Un ringraziamento a ellinor, a cui chiedo scusa per averla rattristata. Ti confesso che non avrei dovuto, ma mi sono sentita lusingata dalle tue parole, se hai provato rabbia e dolore allora sono riuscita a trasmettere qualcosa attraverso la mia storia e questo, secondo me, è uno dei più grandi obiettivi che una fic deve avere. Mi dispiace molto per la crudeltà di alcuni passaggi o di alcune situazioni, non mi sentirò in alcun modo offesa da chiunque smetta di leggere perché non se la sente, mai. Voglio solo poter dire che almeno nelle mie storie c’è sempre un lieto fine. Le fanfiction sono strumenti della fantasia che narrano di un mondo che esiste solo nelle nostre teste e nel mio non c’è spazio per la morte, la tristezza e la desolazione alla fine di ogni fiaba. Quindi happy ending sicuro...
 

 

Mel Kaine

 

 

Nota grammaticale importante e nota del capitolo: in fondo.

 

 

The Heart of Everything

 

 






Capitolo 4 - / Resentful distractions /





Harry non era mai riuscito, in tutta la sua vita, a dormire più di un paio d’ore di seguito. Certe volte era per il dolore dopo ‘la disciplina’ di zio Vernon, certe altre era la fame a svegliarlo, altre ancora il freddo o i suoni spaventosi della notte. Oppure succedeva, come quella mattina, che il suo corpo si lamentasse della superficie sulla quale era stato costretto a dormire. Oh, ma Harry era veramente grato e si sentiva fortunato ad aver potuto riposare sul legno e non sulla pietra. Si svegliò gemendo piano. Si passò una manina sugli occhi e li stropicciò forte. La prima cosa che sentì fu la fame, la seconda fu il male alla spalla destra per averci dormito sopra e la terza fu un disperato senso di allarme. Non si sentiva quasi più stanco, questo significava che aveva dormito! E troppo anche! Presto, doveva pulire la cucina, lavare i piatti, spolverare il salotto e pulire in cima alla libreria e poi il giardino… e tutto prima del ritorno di Zio Vernon!
Si issò fuori dal baule sgraziatamente, ruzzolando a terra. Di corsa raggiunse la porta, ma quando la vide (così alta, così bella, così diversa da quella del sottoscala) ricordò di non essere più in casa Dursley. Non aveva nemmeno appoggiato le manine sulla maniglia che ricordò anche le parole di quell’uomo vestito di nero. Non gli era permesso uscire dalla stanza. Prese fiato e tornò lentamente verso il baule, alzò gli occhi, fissando con desiderio la porta del bagno. Avrebbe voluto bere un pochino e passarsi dell’acqua sul viso, ma non poteva sprecare così la sua unica volta. Doveva aspettare almeno il pomeriggio o la sera. Già la notte prima aveva disubbidito ed era tornato in bagno, sicuramente se lo avesse fatto di nuovo sarebbe stato punito ancor più duramente. Un tremito lo scosse ed Harry si rassegnò a rimettersi a sedere dentro al baule. Sperava che l’uomo-col-naso-da-pinguino venisse a portargli qualcosa da mangiare.


Quella mattina la lezione di Pozioni fu una della più terribili di tutto l’anno per i giovani Hufflepuff. Snape continuava ad accanirsi su di loro come una iena affamata di sarcasmo e disprezzo, ignorando totalmente i suoi Slytherin. La continua pressione a cui erano sottoposti, e la considerevole perdita di punti, aveva fatto aumentare esponenzialmente il numero di calderoni in esplosione. Quando la classe venne congedata gli Hufflepuff erano, ormai, irrimediabilmente ultimi nella nuova classifica delle Case.

Snape si diresse quindi ai suoi quartieri. Sapeva che il bambino-Potter non era uscito dalla sua stanza. L’incantesimo di avvertimento glielo avrebbe fatto eventualmente sapere.
Ma questo non lo rendeva affatto più felice. Sicuramente la piccola, sciocca creatura stava ancora dormendo, per questo non si era già avventurata alla ricerca della prima cosa da distruggere.
In gran fretta rientrò nei propri appartamenti per controllare che tutto fosse a posto e si diresse alla porta della camera del figlio dei Potter.
La aprì con violenza, pregustandosi la piccola, futile soddisfazione di svegliarlo di soprassalto. Ma tutto quello che vide fu un letto vuoto.
Dannazione, dov’era Potter?
Come era riuscito ad uscire senza far attivare l’incantesimo sulla porta?
Socchiudendo gli occhi con sospetto, Snape esplorò la stanza. Ed infine lo vide. Quasi nascosto dentro al baule. Cos’era? Uno stupido gioco che quei Muggle gli avevano insegnato?
Lasciando scivolare un po’ di minaccia nel suo tono di voce, ordinò: “Esci da lì”.
Subito lo vide scattare in piedi ed issarsi oltre il bordo. Un momento dopo se lo trovò davanti, immobile in piedi e con la testa bassa.
Era sveglio dunque ed ancora vestito in quei disgustosi, sudici vestiti da Muggle.
Sembrava non essere davvero uscito da quella stanza, invero.
Forse le intimidazioni della sera precedente avevano sortito qualche effetto… bene…
Severus si appuntò mentalmente di farne più spesso.
Il silenzio si stava trascinando per troppo tempo. Snape decise di arrivare giusto al punto, come era sua abitudine.
“Quando mi senti arrivare non ti è permesso nasconderti. Adesso dimmi, dove sono tutte le tue cose, i tuoi giocattoli, i tuoi vestiti? Ne avevi quando ti hanno portato qui?”

Harry non alzò la testa.

“No, signore”.

“Molto bene, parlerò con chi di dovere. Rimani ancora nella tua stanza e… intrattieniti come meglio credi, dormi, gioca, fai quello che vuoi, ma non uscire”.

E senza aspettare la solita, ripetitiva risposta se ne andò, dirigendosi alla Great Hall per attendere al pranzo assieme a tutti gli altri insegnanti. Non aveva bisogno di preoccuparsi del cibo per il bambino, gli elfi erano stati informati ed avrebbero portato qualcosa per lui. Adesso aveva bisogno di accanirsi su qualsiasi pietanza fosse all’ordine del giorno e parlare con Albus. Parlare molto, molto seriamente con Albus.

Il pranzo fu un affare piuttosto quieto, il tavolo degli Hufflepuff era così silenzioso da far impressione. Ma neanche la loro incipiente sindrome depressiva riusciva a risollevare l’umore del maestro di Pozioni. Severus attese che Albus si alzasse e lo raggiunse, scivolandogli accanto con grazia.

“Ho bisogno di parlarle, Preside”.

“Ma certo, mio caro ragazzo, seguimi”.

Salirono le scale verso l’ufficio di Dumbledore e si accomodarono l’uno di fronte all’altro.

“Allora, cosa posso fare per te?” chiese gentilmente l’anziano mago.

“Albus, per essere concisi non è possibile che il giovane Potter rimanga…”

“Oh, giusto, il giovane Harry! Come sta il giovane Harry, mio caro ragazzo?” lo interruppe velocemente il Preside.

“Meglio di quanto dovrebbe…” fu lo sprezzante parere.

Il Preside di Hogwarts parve ignorare il tono caustico di quella risposta.
“Bene, bene… dicevamo?”

Severus si rassegnò ad abbandonare il discorso, per il momento.
Sapeva che qualunque cosa detta sarebbe rimasta inascoltata, avrebbe fatto meglio ad attendere un momento più propizio.

Si strinse fra pollice ed indice la sommità del naso, come faceva sempre quando le preoccupazioni lo portavano lentamente per mano verso l’emicrania.

“Ho bisogno di parlare con gli Auror che hanno prelevato il figlio dei Potter… il bambino non ha alcun possedimento. Avrò bisogno di mandare uno degli elfi della scuola a Diagon Alley, dubito che Hogwarts abbia divise di taglia così piccola…”

“Ma certo, ragazzo mio, tutto quello che ti serve. Ovviamente ogni spesa sostenuta per il giovane Harry sarà a carico della scuola, sentiti libero di…”

Questa volta fu Snape ad interrompere l’uomo.

“Non sono certo qui per una richiesta di soldi, Albus. Come ben sai ho ereditato un generoso ‘risarcimento’ dopo la morte dei miei genitori e ho il mio lavoro e le mie pozioni”.

“Ovviamente, caro ragazzo, ma permettimi di ripeterti, comunque, che sarebbe un vero privilegio per Hogwarts occuparsi di tali questioni d’importanza minore… diciamo che sarebbe un modo come un altro di ottenere un ulteriore ‘risarcimento’, da parte del Ministero della Magia, intendo…” un brillio intenso nei vivaci occhi azzurri.

Snape si lasciò ad un lieve sorriso ironico.

In fondo non era una cattiva idea spillare soldi a quell’inutile verme di un Fudge, sempre pronto a puntare, dalla seconda fila, il dito contro chi combatteva in prima linea a rischio della propria vita ogni giorno.

“Come vuoi, Albus, fai pure come ritieni giusto. Non ho obiezioni su questo. Adesso, se non ti dispiace, vorrei parlare con gli Auror e poi recarmi a fare lezione”.

“Ma certo, un momento solo”.

Dumbledore prese una manciata di polvere da una scatola sopra il suo camino e la gettò fra le fiamme, chiamando ad alta voce il numero dodici di Grimmauld Place.

In pochi minuti Kingsley Shacklebolt fece il suo ingresso nella stanza, scuotendosi un po’ di cenere dai vestiti.
“Benvenuto amico mio – lo salutò Albus. – Accomodati pure”.

Il giovane Auror si fece da parte mentre anche Mad-Eye Moody entrava nell’ufficio.

“Molto, molto bene! Adesso che siamo tutti qui Severus aveva qualche domanda, se non sbaglio?”

Snape si volse poco cordialmente verso i due uomini e chiese come mai il giovane Potter non avesse con sé nessuna delle sue proprietà.

Moody fece un verso quasi disgustato, appoggiando entrambe le mani sul suo bastone.
Kingsley si fece avanti, i riflessi del fuoco facevano brillare il suo orecchino d’oro come fosse illuminato dal sole.

“Abbiamo ritenuto che un raid veloce fosse la soluzione migliore, non c’era tempo per raccogliere tutte le cose del bambino. I Muggle sembravano estremamente nervosi quando siamo entrati”.

Snape lanciò uno sguardo a Mad-Eye Moody, osservando, appunto, il suo roteante occhio magico.

“Non ne dubito affatto” affermò ironicamente.

“E sinceramente non eravamo neanche pronti a fare dei bagagli, con tutta quella roba… Quando siamo arrivati il piccolo era proprio davanti a noi, seduto a terra, in mezzo ad una pila di… quanti saranno stati, Alastor, venti, trenta giocattoli?”

L’Auror più anziano volse la testa dall’altra parte, ancor più nauseato.
“Bah! Inutili, sciocchi Muggle. Dovrebbero insegnare ai loro figli disciplina e vigilanza, costante vigilanza, invece di rimbambirli con tutti quei… puah!”

Per quanto la mancanza di finezza nell’espressione fosse terrificante, Snape non si poteva considerare in disaccordo con quanto, così coloritamente, affermato. Dunque il bambino-Potter era un marmocchio viziato, esattamente come sospettava. Oh, ma avrebbe certamente imparato a fare a meno di tutte le sue cose, tranne quelle essenziali, fintantoché sarebbe rimasto con lui (situazione non ancora così certa quanto Albus credeva se Snape aveva qualcosa da dire in proposito… ).

“E la famiglia di Muggle?”

“La donna era lì col bambino – rispose ancora Shacklebolt. – Ha subito chiamato il marito quando ci ha visti, non hanno opposto molta resistenza comunque, non dopo aver visto lo sguardo truce di Alastor…” e rise, giovialmente.

“Bene. E’ tutto”.

Kingsley inclinò la testa in segno di saluto, i due Auror e Dumbledore si scambiarono qualche ultima parola e nel giro di un battito d’ali era spariti nuovamente attraverso il camino.

Snape rimase in silenzio ancora un istante.
Alzò lo sguardo ed incontrò gli occhi del Preside.

“Questo è tutto quello che volevi sapere, ragazzo mio?”

“No, un’ultima cosa… Quali sono le norme di sicurezza per il figlio dei Potter, intendo dire, dove posso lasciarlo andare e dove è meglio il contrario?”

Albus sospirò tragicamente.
“Mi duole moltissimo dirti questo, cara ragazzo, ma il piccolo Harry non può essere visto da nessuno”.

Il vecchio mago prese delle caramelle e ne offrì. Dopo un deciso rifiuto da parte di Snape ne prese una per sé, come a cacciare l’amarezza della sua precedente rivelazione.

“Hogwarts è un posto sicuro per quanto riguarda l’esterno, ma al suo interno… Le famiglie di alcuni studenti sono ancora devote a Voldemort, non desidero affatto che il nascondiglio di Harry venga scoperto così presto… ed il Ministero anche… no, caro ragazzo, non devi permettere che nessuno degli studenti o degli insegnanti all’infuori di me, Minerva, Hagrid e Madam Pomfrey, se ne avessi bisogno, sappia che il giovane Potter vive con te nei tuoi quartieri. E’così triste non poter lasciar uscire il bambino, ma ritengo sia per il suo bene, almeno per il momento. In seguito, sono certo, troveremo una soluzione migliore”.

Snape annuì lentamente e si congedò.



Harry si teneva le mani sulla pancia, incapace di far tacere il sordo rumore che ad intervalli regolari interrompeva il silenzio. L’uomo vestito di nero era tornato da lui, ma non gli aveva portato niente da mangiare ed Harry adesso aveva davvero fame. Non poteva nemmeno uscire dalla stanza e fare qualcuno dei lavoretti che era abituato a fare in casa Dursley. E questo lo stava rendendo disperato. Se non lavorava non poteva sperare di avere qualcosa da mangiare, sapeva di doversi guadagnare il cibo, ma se l’uomo non gli permetteva di farlo…
Tornò nel baule, si portò le ginocchia al petto e cercò di ignorare tutte le sensazioni spiacevoli.
Avrebbe tanto voluto tornare in bagno a bere, almeno un piccolo sorso, ma l’uomo aveva detto di ‘trattenersi’ e quindi non poteva.
Faceva sempre più freddo attorno a lui e chiuse gli occhi.
Immaginò di aprirli di nuovo e di vedere la porta socchiudersi. Un cagnolino con la codina in movimento lo guardava e gli abbaiava piano. Allora Harry lo faceva entrare e cominciavano a giocare insieme, rotolandosi su un tappeto che fino a quel momento non c’era. E ridevano. Harry lo abbracciava mentre il cagnolino gli leccava la faccia.
Ed Harry si addormentò un po’ più felice.



Snape si recò a cena con la cruenta intenzione di ridurre a striscioline qualsiasi cosa gli elfi osassero servirgli. Non alzò gli occhi da tavola nemmeno un momento. La giornata, dopo la breve visita nell’ufficio di Dumbledore, era andata peggiorando rapidamente. Quattro calderoni esplosi in meno di venti minuti e non era neanche una classe di Hufflepuff!

Come se non bastasse dopo cena non poteva esimersi dalla responsabilità di parlare con il dannato figlio dei Potter. Doveva farlo uscire da quella stanza almeno un paio d’ore e già lo sentiva nelle orecchie, a piagnucolare tutta la sera per i suoi giocattoli perduti. Aveva assolutamente bisogno di prepararsi una scorta di pozioni contro l’emicrania il prima possibile.

Scese verso i suoi quartieri molto più lentamente di quanto avrebbe dovuto. Venne fermato da due Slytherin del quarto anno e dopo aver risolto il loro problema riprese il cammino.

Questa volta quando Harry sentì i passi fuori dal corridoio si issò di scatto dal baule e corse nel centro della stanza, così come gli era stato detto. L’uomo non voleva che si nascondesse quando tornava ed Harry era pronto a fare qualunque cosa se questo poteva servire a fargli avere un pezzetto di pane.
Quando lo vide l’uomo gli parve ancora più alto e spaventoso. Aveva una faccia seria seria e le labbra erano strette l’una contro l’altra, come se stesse cercando di non urlare.
Sembrava avesse già perso la pazienza o non l’avesse mai avuta.

Harry non osò emettere un suono, abbassò la testa ancora di più e attese.

L’uomo si guardò attorno, poi chiese, senza spostarsi: “Hai mangiato quello che ti hanno portato, vero?”

Il piccolo alzò la testa stupito, ma subito la riabbassò di nuovo non appena incontrati gli occhi neri del signore a cui era stato affidato.
Oh, adesso si sarebbe avvicinato e gli avrebbe tirato uno schiaffo per la sua insolenza, forse anche due…

L’uomo effettivamente non aveva pazienza.
“Potter, ti ho fatto una domanda ed esigo una risposta, adesso! Hai mangiato quello che ti hanno portato, perché sono certo che ti avranno dato qualcosa come gli ho domandato”.

Harry prese subito a torcersi le manine. Cosa doveva dire? L’uomo sembrava così sicuro, ma lui non aveva avuto niente da mangiare…
E più il tempo passava e più stava facendo arrabbiare quel signore. Non voleva guadagnarsi subito un altro schiaffo e dai Dursley aveva imparato che non si doveva mai, per nessun motivo, contraddire uno dei grandi quando sembrava certo di una cosa. Tutto quello che poteva fare in fretta era dirgli quello che voleva sentirsi dire.

“Sì, signore”.

“Bene, puoi uscire dalla tua stanza se lo desideri, io sarò accanto al camino”.


Severus lanciò uno sguardo ai temi del secondo e terzo anno che doveva correggere e sospirò.
Perché era circondato da cose destinate a fargli venire un atroce mal di testa?

Aveva bisogno di una scrivania.

La sua personale era nel suo ufficio, accanto all’aula di Pozioni. Quello, infatti, era il posto dove per sei anni aveva corretto i compiti degli studenti e passato le sue sere. Ma adesso, con il bambino-Potter sistemato nei suoi quartieri, non poteva allontanarsi. Almeno non la sera, unico momento del giorno in cui era libero dai suoi impegni lavorativi.
Si guardò attorno alla ricerca del pezzo d’arredamento più adatto e scorse il tavolino accanto allo stemma degli Slytherin. Con rapidità lo fece levitare fino al centro della stanza e con un colpo di bacchetta lo trasformò in un’ampia scrivania di mogano scuro. Spostò con la magia una delle poltrone accanto al fuoco e la sostituì con la scrivania. Un altro colpo di bacchetta e pergamene, piume e calamai apparvero. Snape si accomodò dietro la scrivania e prese a lavorare sui compiti dei suoi studenti.

Harry era rimasto fermo dove era stato lasciato. La porta era socchiusa e si udivano strani rumori di oggetti ed una specie di suono ‘magico’, non sapeva definirlo bene, sembrava una sorta di piccolo risucchio e di apparizione insieme. Forse l’uomo stava facendo le pulizie e questo terrorizzava il piccolo Harry. Il bimbo non sapeva bene cosa fare, l’uomo non gli aveva elencato una lista di compiti da svolgere come quella che Zia Petunia gli leggeva ogni mattina. Voleva uscire dalla stanza e raggiungere l’uomo, mettersi davanti a lui, in vista, per rendersi disponibile per qualsiasi lavoro andasse fatto, ma al tempo stesso non voleva infastidirlo con la sua presenza, o peggio, farlo infuriare. Sapeva fin troppo bene che tutti preferivano non doverlo vedere e quindi, adesso, non sapeva cosa fare. Si accostò lentamente allo spiraglio di porta e cercò di vedere attraverso la penombra del corridoio. L’uomo era in salotto, come aveva detto. Si sentiva rumore di fogli, adesso. Harry sentì lo stomaco contrarsi dalla fame e decise di uscire. In fondo l’uomo-col-naso-da-pinguino aveva detto che poteva. Camminò verso la luce della sala, tenendosi accanto al muro e quando la raggiunse rimase lì, sulla soglia. Si guardò attorno. La stanza era esattamente come l’aveva vista la sera prima, ad eccezione dell’enorme scrivania che adesso stava accanto al fuoco di fronte ad una delle poltrone verde e argento. L’uomo era chino sopra alcuni fogli gialli e scriveva muovendo una strana penna a forma di piuma di… oca, pollo? Harry non aveva mai visto una cosa simile e neanche aveva mai visto così tanti libri aperti tutti sullo stesso tavolo, l’uomo ne pareva circondato. Il piccolo dagli occhi verdi spostò il peso da una gambetta all’altra, sperando che prima o poi l’uomo alzasse la testa e lo vedesse. Oh, Harry non avrebbe mai osato chiamarlo per attirare la sua attenzione. Non gli era permesso rivolgersi ad una persona grande per primo.
Passarono diversi minuti. Il signore vestito di nero sembrava veramente impegnato in quello che stava facendo. La grande piuma nera svolazzava avanti e indietro in gran fretta. Mh, piccione forse. Oh, sì, piccione. Certamente piccione, però… uno piuttosto grosso dato quanto era lunga la piuma…
Harry alzò la testa per guardarla meglio un’altra volta ed i suoi occhi incontrarono quelli dell’uomo. Il bimbo avrebbe voluto emettere un singhiozzo, ma dalla sua bocca socchiusa per la sorpresa non uscì altro che un sussurro senza senso.

Severus si sentiva stranamente osservato. Aveva tentato di cacciare la fastidiosa e sconsiderata sensazione, ma essa aveva continuato a pungolargli la coscienza senza dargli tregua. Infine, cedendo all’istinto, aveva alzato lo sguardo e si era trovato effettivamente osservato.
Due enormi occhi verdi, limpidi e lucidi, attenti e… spaventati?

Chi altro se non il bambino-Potter?

Con uno sbuffo seccato ed un tono contrariato Severus gli parlò: “Cosa fai lì fermo? Vieni qui”.

Subito il piccolo Harry ubbidì, anche se probabilmente avvicinarsi significava ricevere almeno quattro schiaffi. Due per averlo guardato negli occhi nella sua stanza e due per averlo guardato adesso.
Rigido come un piccolo soldatino pronto al dolore, il bimbo si portò di fronte alla scrivania.

Snape scrisse altre due righe di sprezzanti e caustici commenti su quella patetica sorta di tema e di nuovo guardò il bambino.
“Siedi” gli disse indicando la poltrona di fianco al fuoco.

Harry si girò sgranando gli occhi.
L’uomo lo lasciava sedere su una sedia così bella?
No, sicuramente era un trucco per punirlo, uno scherzo per prendersi gioco di lui e farlo picchiare come ogni tanto faceva Dudley.

Ma l’uomo sembrava davvero serio.

Oh, un'altra situazione difficilissima.
Cosa doveva fare?

L’uomo sembrava avere ancora meno pazienza di prima. Harry lo vide gettare di lato uno dei fogli gialli prima di risentire la sua voce.

“Devo ripetermi? Siediti, ho detto”.

Ed Harry si sedette, affondando nel tessuto morbido e caldo della poltrona, meravigliandosi della sensazione di pura gioia che stava provando. Non era mai stato fatto sedere su qualcosa di così soffice e bello. Ancora non ci credeva…

Rischiò uno sguardo velocissimo verso l’uomo. Il maestro pinguino non lo guardava, era già tornato a leggere i suoi fogli ed Harry era così felice di poter rimanere su quella sedia così splendida che neanche sentiva più la fame. Avvertire i cuscini dietro la schiena era qualcosa di meraviglioso. Pochi attimi dopo Harry stava già per addormentarsi. Oh, non sapeva che stare su qualcosa di così morbido facesse venire così tanto sonno…
Eppure non voleva chiudere gli occhi, non voleva che l’uomo lo vedesse così, inutile e tanto stupido da addormentarsi lì come un… come un bimbetto. Cercò di sedere meglio, diritto con la schiena e senza volerlo attirò l’attenzione dell’altro.

Snape sospirò quasi. Almeno il bambino, come aveva potuto notare già diverse volte ormai, era silenzioso. Niente fastidiosi piagnucolii, niente domande, niente rumore. Ringraziò il cielo che perlomeno un po’ di buon senso aveva spinto quei Muggle ad insegnargli le basi della civiltà reciproca, se non altro.
Lo guardò attentamente.
Merlino! Quei vestiti diventavano sempre più orripilanti e ridicoli ogni istante che passava. Scuotendo la testa dai lunghi capelli neri il giovane maestro di Pozioni prese un rotolo di pergamena pulito.
Vergò un breve messaggio per Madam Malkin del negozio Madam Malkin's Robes for All Occasions per ordinare dei vestiti più adatti, insomma tutto il necessario per un bambino di….
Lo guardò un’altra volta.
… tre anni, scrisse.
Avrebbe poi mandato un elfo a ritirarli. Non era un periodo buono per mostrarsi a Diagon Alley. Adesso che il Signore Oscuro era creduto morto, la furia della gente gridava vendetta contro qualunque persona ritenuta coinvolta nei circoli di Colui-che-non-doveva-essere-nominato. Come se non fosse abbastanza dall’altro lato i Death Eater ancora liberi passavano il tempo organizzando battute di caccia per i traditori della causa. Uscire dai confini di Hogwarts sarebbe stato estremamente pericoloso.
E Albus, Albus che sapeva ogni cosa, aveva osato complicare ulteriormente la sua precaria esistenza, affidandogli niente meno che il dannatissimo Bambino Sopravvissuto. Tanto valeva legarlo ai cancelli della scuola ed attendere il vincitore. Si accettavano scommesse… prima la brava gente del mondo magico, prima i suoi ex-colleghi della cerchia del Signore Oscuro o prima Fudge in persona con tutto il Ministero?
Un soffuso risentimento spadroneggiava nel suo animo. Severus lo accantonò, scuotendo la testa.
Ripiegò la pergamena. L’avrebbe spedita la mattina seguente via gufo. Tornò in fretta ai suoi libri ed ai suoi temi. In breve concluse il suo lavoro e si diresse alla libreria per scegliere dagli scaffali uno dei tomi con cui concludere la serata.
Lanciò uno sguardo veloce al bambino-Potter e scelse un secondo libro, molto più sottile e nuovo.
“Pozioni per principianti di tutte le età” recitava il titolo.
Lily era una strega intelligente e dotata, portata per Pozioni e Incantesimi. Severus sperò che il giovane Potter avesse ereditato tali propensioni, piuttosto che quelle paterne. Poteva capire che un bambino così piccolo potesse annoiarsi senza niente da fare o con cui giocare.
Ma sicuramente non gli avrebbe comprato dei giocattoli… a quelle cose poteva pensare Albus se lo desiderava, tutto quello che Severus aveva da offrire era un buon libro e certo non gli avrebbe fatto male...
Si avvicinò al piccolo e senza una parola gli offrì il libro.
Potter aveva ormai sei anni, quindi aveva già cominciato la scuola da almeno un anno ed un paio di mesi. Forse non avrebbe capito molto di quanto letto, ma Severus lo faceva esclusivamente per tenerlo impegnato. Lo vide prendere fra le manine il libro e velocemente tornò dietro la scrivania, girando la propria poltrona verso il fuoco ed immergendosi nella lettura di un affascinante trattato sui dodicimila usi dei rizomi delle piante autunnali a foglie trilobate.

Harry prese il libro trattenendo la meraviglia. Oh, che serata! Non solo gli era stato permesso di sedersi su una sedia bellissima, ma adesso poteva toccare una delle cose di quell’uomo. Uno dei suoi libri. E forse, forse poteva anche aprirlo. E guardarlo.
Harry non voleva fare brutta figura o sbagliare qualcosa, così prese ad osservare i movimenti del maestro dal naso di pinguino.
L’uomo aveva aperto il libro e lo teneva davanti a sé all’altezza del viso. Harry lo imitò. Da dietro la prima pagina il piccolo sbirciò ancora. Ogni tanto l’uomo girava pagina, i suoi occhi si muovevano velocemente e scorrevano giù e poi di nuovo girava pagina. Harry prese a fare lo stesso. Girava una pagina, la guardava da cima a fondo e poi, dopo un tempo sufficiente, ne girava un’altra.
Non c’erano molte figure a dire il vero. Era tutto scritto a lettere grandi, ma praticamente incomprensibili per lui. Harry aveva frequentato un solo ed unico giorno di scuola e non conosceva nemmeno l’alfabeto. Così non gli restava che guardare quegli strani dipinti tutti neri e bianchi. Mh, sembrava un libro di cucina, c’erano pentole disegnate ovunque e lunghi mestoli e barattoli strani. Ecco che la fame tornava a farsi sentire… forse l’uomo gli aveva dato il libro apposta, come quando d’estate Zia Petunia li portava ai giardini e lo mandava a comprare un gelato per suo cugino senza permettergli di averne uno per sé. Harry scosse la testa, fermandosi ad ammirare il disegno di un pentolone enorme e alto quasi quanto la libreria del salotto dei Dursley. Il bimbo lasciò correre la fantasia… adesso era diventato un cuoco famoso, così famoso che tutta la gente del mondo veniva a mangiare nel suo ristorante ed Harry cucinava per tutti senza fatica, divertendosi, e dopo aver sfamato tutti si sedeva nella sua cucina e si preparava qualcosa e mangiava assieme ai suoi amici, sì, perché lì nella cucina aveva un sacco di amici, persino i topolini nella dispensa, quelli a cui Harry dava ogni mattina un pezzetto di formaggio perché sapeva che la fame era una cosa molto, molto brutta e non voleva che nessuno, mai, dovesse provarla come spesso capitava a lui.

Una voce lo riscosse dal suo sogno ad occhi aperti.
Un piccolo pendolo, che prima Harry non aveva visto, suonava da qualche parte nella stanza.
L’uomo gli stava parlando.

“E’ tardi, vai a letto Potter, sarò nella mia stanza più tardi”.

Il bambino si alzò sussurrando: “Sì, signore”.
E sparì nel corridoio in pochi attimi.

Severus si sarebbe morso la lingua se non fosse stato certo che la mattina seguente, nelle due ore di lezione con Gryffindor e Hufflepuff, ne avrebbe avuto un bisogno disperato per sottrarre punti e sminuire pubblicamente piccoli, inferociti piromani.
Aveva nuovamente lasciata aperta una possibilità per il bambino. Esattamente come prima nella sua stanza quando gli aveva detto che lo avrebbe trovato accanto al fuoco.
Era chiaro.
Il bambino andava rimosso dalla sua cura. Avrebbe costretto Dumbledore a rivedere la sua decisione il pomeriggio seguente.
Assolutamente.







Continua…



 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

Hufflepuff: Tassorosso;
Slytherin: Serpeverde;
Cornelius Fudge: Cornelius Caramell;
Alastor "Mad-Eye" Moody: Alastor "Malocchio" Moody;
Madam Malkin: Madama McClan;
Madam Malkin's Robes for All Occasions: Madama McClan, abiti per tutte le occasioni.

Note capitolo: In effetti negli anni che vanno dal 1980 al 1990 Fudge non era a capo del Ministero della Magia, al suo posto vi era Millicent Bagnold. Ma dato che la storia è AU chiedo venia per questa ‛manipolazione’.
Ho controllato, dovrebbero effettivamente esistere piante autunnali con foglie trilobate.
Non ho potuto resistere parlando di cucina, ho DOVUTO menzionare i topolini. Mitico Ratatouille!!!

   

   
 
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