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Autore: Josie5    10/06/2013    25 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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E' un capitolo lungo, fanciulle, preparate cibo e bevande per sopravvivere.
E state attente ai salti temporali, dovrebbero capirsi ma se leggete velocemente potreste rischiare di perdervi un attimo:)
Buona lettura . (speriam)




(grazie a _miaoo_ <3)



26. Parlare
 

 

La vita era proprio bella.

Bella, bella, bella.

- Cos'è quella faccia da deficiente?

Mia sorella però non lo era. - Annabel, mangia che tutto quel grasso ha bisogno di nutrimento, - le ricordai indicandole con la forchetta la colazione.

- Se non fossi così idiota sapresti che il grasso non ha bisogno di nutrimento.

- Gne gne gne! - Quasi urlai con una smorfia e alzandomi in piedi.

Lei incrociò le braccia e guardandomi in cagnesco sembrò indecisa se continuare a mangiare sul serio o lanciarmi la tazza contro, come aveva già tentato di fare due giorni prima. Io per sicurezza mi allontanai.

Beh dicevo?

Ah sì, che la vita era proprio bella, ricordai, mettendo nella lavastoviglie i piatti sporchi e sorridendo gongolante.

Non importava che avessi sonno da morire, importava che finalmente la svolta ci fosse stata stata: al compleanno di Max, Francy mi aveva baciato. Che poi mi avesse baciato lei, prendendomi alla sprovvista, nel giardino, mi aveva fatto rotolare sul letto quella notte senza quasi dormire, troppo incredulo per farlo.

Su, insomma, c'eravamo baciati.

Mi aveva baciato lei.

Avrei dovuto ringraziare a vita Max per essere nato il 23 Aprile e aver fatto la festa.

Avrei dovuto ringraziare anche Evelyne per essere sparita: proprio per cercarla eravamo usciti e lì, chiacchierando, dopo un mio complimento, c'era stato il bacio.

Amavo la vita. Avevo baciato Francy!

Mentre andavo a cercare la giacca, tutto gongolante, e mi chiedevo se avrei dovuto baciarla quel giorno per salutarla, mi venne in mente una cosa. Fu un flash improvviso tra tutti quei pensieri e mi bloccai, come per visualizzarlo meglio.

- Ci muoviamo? - Chiese mia sorella venendomi incontro e sistemandosi i capelli fin troppo rossi che, da mesi, continuavo a pregarle di tingersi di nero per tornare al naturale.

Le feci cenno di stare zitta alzando una mano. Stavo provando a ricordarmi una cosa che forse mi sfuggiva, sulla sera precedente.

Max dov'era finito?

Ci pensai solo in quel momento, ma la sera prima, fin troppo preso da Francy, non avevo più visto il festeggiato.

Provai a scavare in ogni singolo ricordo, ma Max non c'era da nessuna parte.

Ricordavo come ultima cosa di aver salutato Billy, mentre me ne andavo prima del solito per essere solidale col coprifuoco di Francy. Max dov'era?

- Oh! - Mi richiamò quello zuccherino di mia sorella.

Annuii perplesso e mi infilai la giacca dopo aver preso il mazzetto delle chiavi della macchina. Mancava poco e quella peste avrebbe avuto una patente e un'automobile tutta sua, salvando finalmente me e la mia pazienza.

Arrivammo a scuola poco dopo e Annabel come al solito filò via di corsa per fingere, sempre simpaticamente, che non fossimo parenti. E pensare che gente avrebbe pagato per avere a che fare con me! In ogni caso mia sorella non faceva parte dei miei problemi immediati e passai oltre il muro che delimitava il polo scolastico e sbadigliando mi avviai, come sempre, alla parete dove i miei amici si appoggiavano tutte le mattine.

Seth e Charlie erano già lì, entrambi con l'aria esausta e una strana smorfia da dopo sbornia che soltanto pochi eletti avrebbero sfoggiato per il resto della giornata. Salutai sorridendo come sempre.

Appoggiandomi al muro li guardai meglio; lo sguardo, dopo l'occhiata veloce, mi tornò subito su Seth e sgranai gli occhi. - Che cazzo hai fatto?! - Quasi urlai alla vista del livido violaceo che gli colorava la base dell'occhio sinistro.

Lui mi fulminò per poi mettersi a trafficare nelle tasche alla ricerca del pacchetto di sigarette; Charlie invece scoppiò a ridere e quasi rischiò di piegarsi in due, un qualcosa nel sorriso fin troppo esagerato sembrava voler far capire che avesse aspettato molto quella domanda.

- Se tu ieri invece di imboscarti con la Reed fossi stato presente alla festa adesso lo sapresti, - rispose freddo Seth. - Soprattutto visto che lo sa tutta la scuola e nessuno sembra voler parlare d'altro! Quanto mi stanno tutti sul cazzo!

Con un cenno e sempre con gli occhi spalancati cercai di riportarlo alla domanda. - Sì, ma con chi hai litigato?! Era una festa tranquilla! Come hai fatto?!

In quel momento arrivò sbadigliando anche Billy, seguito a poca distanza da Rob. - Questo buon umore? - Domandò l'ultimo dopo aver visto Charlie che continuava a spanciarsi.

- Qualcuno mi spiega quel livido?! - Richiesi cominciando a perdere la speranza di poterlo scoprire e continuando ad indicarlo. Mi ero perso altro?!

Billy trattenne una risata lanciando un'occhiata a Seth che si accese finalmente una sigaretta, con un gesto secco; Charlie cercò di calmarsi e Rob fu l'unica a parlare, finalmente: - La Gray. - Fu l'unica risposta.

Alzai un sopracciglio, insoddisfatto e non capendo. - Evelyne cosa? Ti ha picchiato Evelyne?! - Mi si parò davanti agli occhi l'immagine di quella che, pur essendo la metà di Clark, riusciva a stenderlo con un solo colpo. Sembrò poco realistico anche a me.

Seth prese parola dopo aver soffiato velocemente il fumo. - Che è una dannata troia! Porca puttana se è stronza quella vacca!

Billy sbuffò ironico a quella serie di offese. - Ma taci, idiota!

- Non taccio un cazzo! Cosa me ne frega a me se vuole vendicarsi di Max?! Dio, che rabbia che mi fanno venire quei due! Che scopino smettendo di rompere il cazzo a tutto il mondo! - Charlie in parte annuì, d'accordo.

Io capivo sempre meno. - Qualcuno mi spiega?! Non è che mi invento la storia sentendo queste frasi a metà!

- E anche tu, Rob, uno stronzo assurdo! - Ricominciò.

Billy alzò gli occhi al cielo. - Se tu avessi ragionato un attimo, ci saresti arrivato a capire cosa stava combinando... tutti noi l'avremmo capito. Poi dovevi in ogni caso immaginarti come sarebbe finita assecondandola. Rob ha fatto solo bene.

- Poi eri così convinto che a lui non fregasse un cazzo, eh, - lo canzonò Rob beccandosi un'altra occhiataccia.

Prima che potessi di nuovo ripetere che qualcuno mi spiegasse, Billy ebbe pietà di me: - Evelyne ha fatto finta di volerci...

- Beh... che poi non sappiamo per certo se ha fatto finta del tutto! Non l'ha mai negato lei!- Si difese un po' Seth, incupito in una smorfia di protesta, ma io continuavo a non capire.

Billy sospirò. - Dicevo: Evelyne ha fatto finta, o forse no, di volerci stare con Seth. Non so bene che cazzo ha fatto ma Seth da bravo furbo ha ceduto a due moine; quand'era ovvio che non te le avrebbe mai fatte normalmente.

- E si sono baciati davanti a tutti... - Aggiunse Rob, velocemente, prima che l'unico diretto interessato presente intervenisse. Io non potei crederci e spalancai la bocca, incredulo.

- Rob pensava che lei fosse ubriaca ed è venuto a dire qualcosa a me e a Max mentre 'sto furbo se la portava in una camera.

- Oh vabbè, uno ne approfitta! - Si giustificò parlando male per colpa della sigaretta in bocca.

- La regola delle ragazze ubriache! - Ricordò Charlie scuotendo la testa con tono fin troppo grave per essere davvero serio.

Annuii anch'io, ma io davvero contrariato. La regola delle ragazze ubriache prevedeva che non facessimo mai niente con una tipa che da sana, normalmente, non ce l'avrebbe mai data. Sarebbe stato moralmente ingiusto, insomma. E noi una sottospecie di morale, non avendocela avuta in quegli anni, avevamo dovuto crearcela. L'idea ovviamente era partita da Billy.

- Nessuno l'ha mai cagata quella cazzo di regola di merda! - Si difese Seth tornando a fumare con rabbia.

- E' da non credere che volessi farti Evelyne! - Esclamai parlando nonostante l'incredulità. E non perchè la Gray fosse brutta, anzi da quando frequentava Max era sempre più carina, ma insomma, tutti sapevano tacitamente che Evelyne fosse affare di Parker, in un certo senso e in un certo modo indeterminato.

Seth sembrò esasperarsi. - Oh, ma che cazzo c'avete voi con questa storia?! Da quando è stato deciso che ha il cartellino appeso con scritto “Proprietà privata”?! Da mai! Poi se dici qualcosa a Max fa tutto lo schifato parlando di lei!

Billy rise, ma non commentò la sua frase e continuò come se nulla fosse: - Fatto sta che noi veniamo avvisati, Max sale dritto verso le camere e becchiamo Seth che prova a spingere Eve sul letto. E qua non puoi dire niente perché si vedeva che non ci stava più. - Lanciò la frecciatina facendo alzare gli occhi al cielo all'altro. - E vabbè si mettono a spintonarsi, Max gli chiede cos'avesse intenzione di fare e Seth dice, molto furbamente ancora, che se la voleva scopare prima di lui e Max gli dà un pugno.

- Oh! - Fu il mio commento.

Rob rise. - Un bel gancio destro! - E imitò il colpo, venendo fulminato da Clark.

- Mi dispiace un sacco di non essere stato presente ... - Si lamentò Charlie con una smorfia sinceramente dispiaciuta e afflitta.

- Eri troppo occupato a bere.

- Come sempre.

- E nessuno mi ha avvisato?! - Mi lamentai interrompendoli.

- Eri impegnato. - Ammiccò Billy. - Poi avresti comunque saputo dopo, non era importante in quel momento; anzi meno gente sapeva ieri sera, meglio era.

Seth lanciò la sigaretta per terra, schiacciandola con forza. - Poi me ne sono andato perché se lo rivedevo non me ne fregava niente del suo compleanno e gliela facev...

Tutti scoppiarono a ridere scetticamente, interrompendolo e facendolo arrabbiare ancora di più.

- Alex!

Mi sentii chiamare e tutto il gruppo si girò, guardando in basso, verso la bella morettina che si era parata di fianco a noi. La bella morettina dei miei sogni. Sorrisi. - Francy!

Tutti gli altri, lo sentii quasi senza guardare, alzarono gli occhi al cielo. Lei però non ci fece caso e sembrava preoccupata. - Sai qualcosa di Evelyne?

Gli altri sembrarono di nuovo interessati alla conversazione.

Francy si tormentava le labbra con i denti.

Labbra.

Concentrati, Alex. Mi ha fatto una domanda? Ah, e sì! No, aspetta, no. - No, l'abbiamo vista entrambi l'ultima volta in giardino, mentre tornava a casa...

Lei vagò con fare apprensivo tra i miei amici e si fermò su Seth. - Stamattina delle ragazze mi hanno raccontato di ieri. Complimenti, Clark, più in basso e più squallido di così non potevi essere! - Disse con una cattiveria che non le avevo mai sentito usare.

- Non si lamentava lei, ieri. - Rispose l'altro con un sorriso scettico che coi lividi stonava.

- Ah! E perchè Evelyne ha fatto tutto quello? - Mi ricordai solo in quel momento che tra le frasi iniziali c'erano stati degli accenni a una vendetta.

- Probabilmente per Dawn, - rispose Rob, facendo spallucce. - Ha accennato al “fatto”, quando ha cominciato ad urlare contro Max, subito dopo il pugno.

- Ahia! - Feci e quasi mi venne da ridere pensando che Max fosse stato beccato. "Beccato" poi era una parola grossa, non aveva alcun motivo di tenerglielo nascosto, alla fine, eppure l'aveva fatto.

- Dawn cosa?! - Francy si sporse, gli occhi spalancati e ancora più grandi, ci guardò nel panico.

Noi ci osservammo indecisi se dirglielo o meno, ma ormai aveva sentito l'inizio.

- Dopo la partita coi selezionatori, Max è andato a letto con Dawn, alla mia festa. - Mi decisi a dire io, vedendo che nessun altro lo faceva. - Che tra parentesi hanno usato la camera della mia sorellona e deve tornare questo weekend e non so se mia madre ha già messo le lenzuola pulite o devo cambiarle io! - Blaterai velocemente, abbastanza schifato.

Francy però non mi ascoltava più e rimase senza parole.

Seth sospirò rumorosamente alla sua reazione. - Non stanno insieme, porca puttana...

- Ma l'ha baciata il giorno dopo! - Esclamò lei, cominciando ad arrabbiarsi, se con Clark o con Parker non lo sapevo.

- Ah davvero? - Chiese Charlie, non informato su quel particolare come non lo eravamo tutti.

- Sì, in effetti credo che sia per quello che ha reagito in quel modo: prima Dawn poi lei, Max non ha fatto una gran bella figura, - teorizzò Billy.

- Ma ha esagerato, non stanno insieme né niente e alla Gray non deve fregare un cazzo delle tipe con cui va Max! - Fece notare Charlie, appoggiandosi al muro. - Si sa com'è fatto e dopo questi mesi che si girano continuamente attorno lo sa anche lei. Senza contare il fatto che la Gray ha spudoratamente cercato di far litigare due amici!

- Allora a Max non deve fregare un cazzo dei tipi che la Gray bacia. Lei avrà pur cercato di proposito di farli mettere l'uno contro l'altro, ma Max l'ha perfettamente assecondata: ha dato persino un pugno a Seth! - Si oppose Rob, sbuffando. - Seth l'ha provocato ma era una provocazione da niente: ci è cascato subito e ha reagito in modo assurdo.

- L'ho detto che devono scopare e basta e non rompere il cazzo a noi! – Ripeté Seth e ad ogni frase la sua espressione diventava sempre più scura, quasi il livido si stesse ingrandendo a vista d'occhio assorbendo il volto.

- Forse sarebbe davvero una soluzione, – rispose Charlie ridendo.

Evelyne e Max, della serie “discorsi leggeri e comprensibili di prima mattina”. Ed era ironico: non si capivano nemmeno loro due e nessuno di noi capiva davvero il loro rapporto o cosa ci fosse dietro. Max poi al riguardo non aveva mai detto molto, soprattutto nell'ultimo periodo. Sarebbero potuti sembrare banalmente amici, ma il loro rapporto ci appariva allo stesso tempo composto da troppe offese e sguardi truci per esserlo davvero; senza tener conto di quelle occhiate, un po' diverse, che ogni tanto si rivolgevano, non di certo da amici, e dall'episodio a casa mia in cui li avevamo beccati in camera insieme la tesi dell'amicizia l'avevo nettamente esclusa. 

- Vabbè, lasciate perdere. - Sdrammatizzò Francy con un cenno. - Adesso il punto che mi importa è che Evelyne non ha risposto ai messaggi e non è al bar e non risponde alle mie chiamate e sono preoccupata! Ieri ha preso la macchina dopo tutto quello che era successo! Ed è colpa mia che dovevo accorgermene e forse non è arrivata a cas...

- Chiediamo a Max! - Propose Charlie scoppiando a ridere e interrompendo con quei toni bruscamente Francy. Seth tirò fuori un'altra sigaretta, scuotendo la testa.

- Perché? - Chiesi perplesso.

- Ieri sera è sparito e nessuno sa dov'è.

- Ho dovuto chiudere casa io!- Sbuffò Billy con una strana rassegnazione.

Ecco perché non ricordavo di averlo più visto, pensai.

- Diciamo poi che casualmente è sparito dopo Evelyne e la loro scenata.

Francy sembrò non crederci, ma almeno l'espressione preoccupata sembrava essere svanita. - Sono insieme?!

Tutti fecero spallucce. - Sono supposizioni ma sembra abbastanza ovvio a questo punto.

Francy si passò la mano tra i capelli quasi incredula e in quel momento si sentì una breve suoneria. Infilò in fretta la mano nei jeans tirando fuori il cellulare.

Io mi sporsi per leggere, prendendomi quella confidenza e fui l'unico.

Okay, scusa, mi sono svegliata tardi! Forse se corro arrivo in orario!

Niente di incriminante. Un po' mi dispiacque.

- Confessa? - Chiese Billy, comunque curioso.

Francy scosse la testa arricciando le labbra, come analizzando il cellulare.

In quel momento sentimmo qualcuno avvicinarsi e alzando lo sguardo vedemmo Max; lui ricambiò tranquillamente l'occhiata di tutti, passandosi la mano tra i capelli nel suo tic calcolato.

- Uh? - Affiancò Francy. - Come mai qua? - Chiese leggero e abbozzando un sorriso.

- Niente... - dissimulò Francy, guardandolo un po' male. - Ci vediamo a ginnastica, Alex! - Mi salutò sorridendo velocemente per poi sparire.

Le urlai dietro un saluto che probabilmente nemmeno sentì e poi tornai agli altri tristemente.

Seth era sempre più imbronciato e sembrava sul punto di allontanarsi, gli altri tre guardavano divertiti Max.

- Eh beh, ieri? - Chiese alla fine Charlie.

Max ci guardò divertito. - Bella festa! Grazie! E pensavo per la partita della prossima settimana che… - E cominciò a blaterare così velocemente che nessuno riuscì a fermarlo.

Lo sguardo di tutti i presenti diceva la stessa cosa: “non avremmo mai saputo”.

 

O mai saputo forse era troppo.

Avevo passato l'ora di ginnastica con Francy e forse la sua influenza mi faceva male.

Male perché continuavo a fissarle le labbra e volevo troppo baciarla, troppo, stavo quasi male. Avrei voluto parlarne per poter chiarire finalmente che dopo quel bacio la volevo solo per me, mia e soltanto mia; per poterle chiedere se anche lei voleva lo stesso.

Ma era troppo presa a pensare ad Evelyne che era arrivata a pelo per l'inizio delle lezioni, non riuscendo a incrociarla, e troppo presa a immaginare quello che forse era successo la sera prima.

Io dubitavo. Da quello che mi era stato raccontato, anche se si fossero visti sul serio, si sarebbero solo scannati, litigando, non avrebbero di certo passato la notte insieme. A fare cosa poi? Mi volò davanti agli occhi una strana immagine di Evelyne e Max che scopavano: ce li vedevo e non ce li vedevo allo stesso tempo. La cancellai velocemente.

Francy però di una cosa era convinta. Anzi, due.

Una che Evelyne non gliel'avrebbe detto presto cos'era successo veramente e lei voleva sapere, subito.

Due che bisognava investigare.

Così io ero stato mandato lontano da lei, in avanscoperta, al mio solito tavolo.

Il mio cuore sanguinava e soffriva, come un soldato inviato in guerra, lontano dalla sua amata, non sapendo quando e se sarebbe tornato. Mi sedetti in quello stato in mensa.

Mi resi poi conto in quel momento che Max non c'era. Lanciai quindi uno sguardo disperato a Francy che con gli occhi mi ordinò solo di starmene fermo lì.

- Max? - Chiesi, mogio ed eseguendo.

Tutti fecero spallucce, abbastanza disinteressati e troppo concentrati sul cibo.

Dawn arrivò come al solito – a volte pensavo che nominare il capitano la attirasse -, affiancata dalle sue amiche e si sedettero tutte lì; Billy sembro cercare di trattenere una risata prima ancora che la bionda parlasse.

- Ditemi che non è vero, - ordinò freddamente e partendo subito in quinta.

Charlie, che le moriva dietro dalla preistoria, ma sembrava l'unico a cui lei non fosse disposta a darla, sorrise già disponibile. - Cosa, piccola?

Lei lo fulminò glaciale. Quando c'era Max non faceva così…

- Non chiamarmi piccola. Ed è vero quello che si dice a scuola?!

Fui un attimo sollevato di notare che non fossi l'unico ad aver conosciuto gli eventi solo il giorno dopo.

Charlie capì già dove stesse andando a parare la conversazione, come sempre poi. - Eh, dipende, Dawn; cosa intendi?

- E' vero che LUI ha picchiato Seth per la troia?!

Povera Evelyne, pensai, tutti a darle della troia quel giorno.

- Per una troia no, per la Gray sì, - rispose sorridendo apertamente Billy.

Dawn incredula si alzò in piedi, con le mani piantate sul tavolo. - E qualcuno mi spiega questo assurdo comportamento?!

Stava anche attirando l'attenzione dei tavoli vicini mentre Clark digrignava i denti fingendo di non star sentendo.

Billy continuò a guardarla divertito. - Non l'abbiamo ancora ben interpretato, ma puoi scegliere la versione che ti pare, ne stanno girando tante per la scuola.

Da quel che avevo sentito nelle ore precedenti tutte vertevano su una, la più semplice: Max Parker era geloso, di Evelyne Gray. E solo l'anno precedente quei due nomi sarebbero stati quasi impossibili da trovare nella stessa frase – soprattutto perché Evelyne era “quella del giornalino”, non si usava il nome -, invece quello stesso giorno avevo sentito in corridoio chi cercava di argomentare l'inesistenza di gelosia, soprattutto da parte di uno come Max, chi diceva addirittura di sostenerli come coppia, chi riteneva impossibile che quei due potessero piacersi e anche chi pensava che in realtà fossero cugini, o qualcosa del genere, e fosse stata semplice gelosia tra consanguinei; poi chi semplicemente se la spassava come un matto ricordando di continuo lo schiaffo che si sapeva fosse arrivato a Max. Quello l'avevo scoperto direttamente dalle voci visto che i miei amici idioti si erano dimenticati di dirmelo.

La bionda arricciò il naso, probabilmente pensando a tutte le cose che erano passate per la testa anche a me, e che di certo lei non poteva accettare, e poi sparì verso un altro tavolo con le sue amiche: testa alta e petto in fuori, ferita nell'orgoglio.

Secondo lei e le cheerleader non sedersi con noi ci rendeva assolutamente e terribilmente tristi e lo facevano tutte le volte che era arrabbiata la capitana. L'evento ci lasciava però abbastanza indifferenti. Tanto alle feste continuavano a darcela, quindi.

Non a me, ovviamente, mi corressi immediatamente.

Guardai di nuovo verso Francy sorridendo e lei mi lanciò un'espressione curiosa da lontano, pensando che avessi notizie. Mi rigirai un po' deluso.

Proprio in quel momento, mentre tornavo a guardare davanti a me, Evelyne fece la sua comparsa in mensa.

Aveva una maglietta di quelle non enormi che ogni tanto, seppur abbastanza raramente, sfoggiava, e quella strana presenza sembrava voler compensare la sciarpa scura che portava disordinatamente arrotolata intorno al collo.

La guardai perplesso: nemmeno avesse fatto freddo fuori o lì dentro.

- Sciarpa, - commentò Rob. Buona parte degli occhi del nostro tavolo, quelli presenti alla mattina almeno, si erano alzati fissi su di lei, di nuovo curiosi.

- Sospettosa una sciarpa, - fece Charlie ridendo.

- O forse è solo una sciarpa? - Propose ironicamente Billy scuotendo la testa e versandosi da bere.

- Potrebbe avere benissimo mal di gola. - Concordai anch'io osservandola mentre, cercando di farsi una coda, esitava davanti ai vassoi puliti.

- Cinque dollari che ha un succhiotto! - Scommise Charlie.

- Ci sto. - Rob accettò subito la scommessa, più per il gusto di farlo che per altro e si diedero il cinque con un colpo secco. - Non le hai fatto succhiotti ieri, eh, Seth? - Si informò poi all'improvviso, prendendolo però per il culo.

Lui in risposta alzò il dito medio, continuando a mangiare con la mano libera.

Evelyne intanto sembrava cercare con forza di non guardare verso la gente seduta nella mensa alle sue spalle e osservava, con fin troppa concentrazione, il cibo dietro alle vetrinette.

In quel momento Max fece anche lui la sua comparsa dalla porta, vagò con lo sguardo e poi, come capitavo spesso di vederlo fare, notò la Gray, sorrise leggero e si avviò verso di lei.

- Per ora niente di tanto strano, – notai, commentando come davanti un qualche documentario.

Billy sbuffò. - Ma sei tonto? Normalmente non sarebbe strano: se la ride pensando a come tormentarla oggi. Ma ieri hanno litigato abbastanza pesantemente.

- Ah! - Mi ricordai tornando a guardarli.

Max senza farsi evidentemente notare si avvicinò ad Evelyne per poi chinarsi, da dietro, verso il suo orecchio, sfiorandole un fianco.

La scena sembrò in qualche modo strana, anche se non capivo bene il perché.

Ma la cosa più evidente, per chiunque, fu il vassoio di Evelyne che, subito dopo il tocco di Max, cadde rumorosamente per terra, scivolando dalle sue mani mentre lei sobbalzava.

- Cinquanta dollari che hanno scopato! - Propose immediatamente Rob.

- Ah, su questo non riesco a scommetterci contro… - Si lamentò Charlie.

A me venne da ridere ma continuai ad osservarli curioso.

Evelyne si chinò in fretta, senza rivolgergli uno sguardo. Max sorridendo divertito si toccò i capelli guardandosi intorno: probabilmente vide gli occhi di mezza scuola, o tutta, puntati su di loro.

Lei, con il vassoio in mano, si rimise in piedi e avanzò nella fila, ignorando spudoratamente il ragazzo che continuò a seguirla, cercando di riafferrarla per un fianco.

La cosa era in effetti sospetta.

Max si stava divertendo da morire, di un umore fin troppo roseo ed Evelyne sembrava fin troppo imbarazzata per ascoltarlo, ma lui continuava.

Billy allungò la mano verso Rob. - Accetto la scommessa.

Tutti lo guardammo in silenzio.

Billy non scommetteva mai e quando lo faceva vinceva.

- Cos'hanno visto i tuoi occhi di elfo?! - Chiese con fare isterico Charlie, da bravo nerd e citando il Signore degli anelli. Forse era per quello che Dawn non gliela dava.

L'altro rise. - Niente, ma dico che non l'hanno fatto!

- Si fida della figa di legno della Gray, - commentò tranquillo Seth, mangiando.

- Ma taci, - rispose a tono Billy.

Demmo un'ultima occhiata a Max ed Evelyne: lui l'aveva superata all'ultimo, alla cassa, dopo aver preso il cibo e lei aveva finalmente reagito provando a picchiarlo da dietro.

Poco dopo ci raggiunse finalmente il nostro amico e si sedette, sorridendo assorto, di fronte a me e di fianco a Charlie.

Cosa mi aveva detto di fare Francy per scoprire? Ah, sì, essere diretto: - Cos'hai fatto ieri dopo essere sparito?! - Chiesi immediatamente, mentre lui finiva di sistemarsi.

Max alzò lo sguardo e mi guardò seriamente perplesso. - Eh?

Billy scoppiò a ridere. - Dai, Alex!

- No, voglio saperlo! - Ripresi serio.

Il sorriso di Max traballò, ma continuò a guardarci senza rispondere. - Io?

- Sì, tu! - Insistette anche Charlie, assecondandomi e sporgendosi per guardarlo.

- Non sono sparito - rispose sbuffando e prendendo il suo hamburger con indifferenza.

- E cosa avresti fatto? - Continuai, lanciando un'occhiata veloce a Francy che aveva iniziato a parlare freneticamente con un'Evelyne che sembrava solo voler scappare.

- Eri con la troia, ammettilo, - intervenne all'improvviso Clark, con un grande e finto sorriso che stonava insieme ai lividi. Charlie rise mentre Billy sospirò abbastanza esasperatamente: io ero d'accordo, perché cercava altre botte?

Max ingoiò, lo guardò per la prima volta e sorrise ironicamente. - Sì, con tua madre. - Senza nemmeno aspettare risposta si girò verso di me. - Con la Reed com'è andata? - Chiese per poi ridare un morso.

Mi illuminai. - Ah, benissimo! Non posso dirvi troppo ma… Insomma, benissimo!

- No, dai racconta i particolari! - Insistette Max, spronandomi anche con un cenno e una strana espressione, forse fin troppo entusiasta, a cui non feci però caso pensando già a cosa dire.

- Intendevo la Gray, - si intromise Seth, di nuovo, ricordandomi anche che in effetti avrei dovuto chiedere di quello.

- Esatto, la Gray! - Esclamò anche Charlie che sembrava starsi divertendo più del necessario e saltellava sulla sedia. Probabilmente sperava davvero in qualche avvenimento particolare che gli togliesse la “rivalità” di Parker per il cuore di Dawn.

- Cosa la Gray? - Chiese Max facendo una smorfia da “non ho capito”.

- Ieri! - Ripetemmo Charlie ed io.

- Sì, appunto, ieri, su, Alex, quanto ci metti a raccontare! - Incitò di nuovo.

Charlie si accigliò visibilmente e sbuffando tirò fuori il cellulare, rinunciando a capirci qualcosa. - Va a cagare, va'!

- Cosa? - Blaterò continuando a mangiare ma sputtanandosi abbastanza evidentemente.

- Non mi distrarre! - Urlai istericamente e dai tavoli vicini, compresa Francy, mi guardarono perplessi. - Sei sparito! Con chi eri? Dove?! Perchè?!

- Smettila, Alex, ti prego, - mi scongiurò Rob portandosi le mani alle orecchie e appoggiandosi con fare esasperato allo schienale della sedia.

- Sì, abbastanza, - si aggiunse anche Billy. - Tanto non lo dice.

Max che aveva continuato a mangiare tranquillamente alzò la testa e ci guardò tutti. - Sì, dai, Alex! Sei proprio ripetitivo, te l'ho già detto!

Lo guardai incredulo e rinunciai anch'io.

 

- Come non hai scoperto niente?! - Mi sussurrò con il broncio Francy, sempre a mensa, mentre Evelyne a poca distanza sistemava il suo vassoio.

- Non è colpa mia! Tu non hai a che fare con Max! Quando lui non vuole dirti qualcosa non te la dice e non c'è verso!

Francy s'incupì e continuò a guardare seriamente la schiena di Eve che ci metteva fin troppo tempo a sistemare le sue cose, quasi poco intenzionata a raggiungerci e a sapere di cosa stessimo parlando.

- Lei ha ammesso che Parker è andato a casa sua, che hanno litigato e poi non ha continuato e ha detto che mi dirà un'altra volta i dettagli, visto che stavano arrivando gli altri.

In qualche modo sembrava davvero che fosse successo qualcosa di strano.

- E ho il vago sospetto poi che questi dettagli siano abbastanza importanti, - continuò accigliata la mia morettina.

Guardai ancora Evelyne che continuava a svuotare il vassoio da qualcosa di inesistente e sospirai: proprio adesso che avevo avuto il mio tanto agognato bacio quei due dovevano cominciare a fare cose strane – o meglio - ancora più strane del solito.

Maledetti.

E a proposito di bacio…

Allungai il braccio circondando con cautela i fianchi stretti di Francy. - Comunque anche noi forse dovremmo parlare di ieri. - Le feci notare con un sorrisone, avvicinandola.

Lei mi guardò un po' sorpresa e il viso da bambolina arrossì mentre mi chinavo.

- Alex! - Mi chiamò guardandosi intorno ma non allontanandosi. - Mensa!

Feci spallucce guardandole solo le labbra.

Un piccolo colpo di tosse ci interruppe.

Ma porca puttana!

Mi girai vedendo Evelyne incredula che rideva - No, ma cos'è successo qua?!

Francy avvampò del tutto e io la guardai offeso lasciando la presa sui suoi fianchi. - Non gliel'hai detto?

- Detto cosa? - Chiese Evelyne continuando con quell'espressione.

- E' che volevo sapere prima… - Iniziò Francy evidentemente a disagio e tirandomi la maglietta con un broncio dispiaciuto che avrebbe dovuto intenerirmi. E maledizione se ci riusciva.

Piegai la testa di lato, mentre la leggera irritazione già svaniva, e poi guardai Evelyne. - Stiamo in… - Mi bloccai.

Francy non disse niente.

Ci guardammo.

Evelyne arricciò le labbra in uno strano sorriso trattenuto che le avevo visto fare spesso. - State? - Incitò.

Non stavamo un bel niente visto che dovevamo ancora parlare!

Per fortuna quel silenzio imbarazzante fu interrotto; o forse per sfortuna: - Gray! – Chiamò Clark, con la stessa smorfia che aveva avuto da quella mattina, avvicinandosi.

Il sorriso divertito di Evelyne si spense non appena i suoi occhi trovarono chi avesse parlato, ma anche dopo averlo riconosciuto lo guardò dritto in faccia, senza esitazioni. Probabilmente si era aspettata che quel confronto sarebbe presto arrivato. - Cosa c'è, Clark?

Lui si fermò a pochi passi da lei e sorrise, all'improvviso. - Sappi che mi vendicherò.

Lo sguardo di Evelyne cedette un attimo, mentre Francy, con una smorfia, l'affiancava, ma si recuperò in fretta. - Adesso non esagerare: abbiamo sbagliato entrambi e dovremmo semplicemente chiuderla qui.

- Entrambi?! Io dove avrei sbagliato?! - L'espressione di Seth era cambiata di nuovo, con altrettanta rapidità: e adesso c'era rabbia.

- Mi hai portata in una camera! E di certo non per parlare!

- Mi stai forse dando la colpa?! Tu non ti sei mai opposta! - Ribatté, cercando, come Evelyne, di non urlare per non farsi sentire da altri oltre che da noi tre.

- Avevo bevuto! Non mi giustifico con l'alcool per averti baciato ma per il resto sì. Dopo quello non riuscivo davvero a capire cosa stesse succedendo, altrimenti non te l'avrei mai permesso! A momenti non mi sembrava di avere nemmeno te davanti! E in camera ti ho detto di no, ma stavi continuando. Puoi dire che ho sbagliato a provocarti ma tu ne hai approfittato, stavi perfettamente approfittando della situazione e di me! - Si difese prontamente in argomenti a cui sembrava evidentemente aver già pensato.

- Approfittando?! Ho approfittato?! E di cosa? Mi hai reso ridicolo davanti a tutti i miei amici e l'intera scuola non fa che parlare dell'idiota che si è fatto prendere a pugni per la Gray. Di cosa avrei approfittato?!

Mi corrucciai notando quanto rancore ci fosse dietro a tutte quelle parole.

- Clark, il mio era solo un bacio! Non potevo immaginare del pugno!

- L'hai cercato tu quel pugno! Non essere bugiarda!

E con quella frase non potei evitare di dare un po' di ragione a Seth: Evelyne una vendetta dopo tutto l'aveva cercata, aveva agito per quella; ma tutta quella rabbia era fin troppo eccessiva e sbagliata.

- E invece non sono bugiarda a dirti che non mi sarei mai aspettata qualcosa del genere!

- Volevi che ci fossero solo spintoni allora? Siamo sempre lì!

Evelyne sembrava sempre più in difficoltà e Francy la guardava preoccupata. - No! Non potevo immaginare quella reazione, così come non l'hai immaginata tu ieri sera prima che accadesse! - Esclamò.

- Ma sta zitta, Gray!

- No che non sto zitta! Ho ragione anch'io e devi ascoltarmi!

- Non osare dire di avere ragione! - E ormai fuori di sé, la strattonò per una spalla, avvicinandola in una presa che solo a vista sembrava già fin troppo stretta; Evelyne strinse gli occhi e cercò di allontanare la mano di lui con le sue.

Francy reagì di scatto, portandosi avanti e strattonando la sua amica indietro, ma non riuscendo in realtà a muoverla perché bloccata da Seth. - Eve, andiamo via! - La pregò comunque, anche se non serviva.

- Seth, basta! - Intervenni toccandogli il braccio con cui aveva afferrato Evelyne. - Stai esagerando! - Lo ammoni in un tono che non ero solito usare.

In risposta mi arrivò uno spintone che mi fece traballare all'indietro. - Non intrometterti, Alex, non c'entri un cazzo!

Mi sporsi di nuovo in avanti. - Ti allontani e ti calmi?!

- Clark! - Ci girammo tutti di colpo: Max si era avviato verso di noi, probabilmente vedendo tutta la scena dal nostro tavolo, e ci raggiunse con uno sguardo impassibile.

Seth sembrò irritarsi ancora di più con quell'ulteriore presenza. - Eccolo! Ovvio che arriva a pararle il culo un'altra volta! Vuoi darmi un altro pugno?!

- Lasciala andare! – Ordinò abbastanza strettamente Max, avvicinandosi ai due ma non toccandogli il braccio come avevo fatto io, probabilmente per non rischiare di peggiorare il tutto.

Evelyne che continuava a cercare di allontanare la presa rispose velocemente, in difficoltà più di prima, forse per la situazione, forse per l'arrivo di Max: - Va tutto bene! Stavamo solo parlando!

- Esatto, sloggia, Parker! – Sillabò Seth guardandolo infuriato.

Max ricambiò lo sguardo arrivando quasi a un soffio dal suo (ex) amico, ma rivolgendosi ad Evelyne: - Se c'è qualcuno con cui lui deve parlare quello sono solo io, con te non ha niente da dire e di sicuro niente per cui metterti le mani addosso.

Seth si decise a mollare la presa e la Gray fece subito un passo indietro. - Invece ne ho eccome di cose da dire. E parlo con lei perché con te non voglio più avere a che fare davvero per tanto tempo! – Spiegò e nonostante la frase stava evidentemente fronteggiando solo Max in quel momento.

L'altro sorrise ironico, spostandosi e mettendosi tra lui ed Evelyne, allontanandola ulteriormente con un leggero tocco sul braccio a cui lei ubbidì, con una strana vergogna sul viso. - Peccato, allora non parlerai con nessuno visto che lei devi lasciarla stare.

- Ha fatto la cazzata e adesso se ne assume le responsabilità!

Evelyne tentò di rispondere, da dietro le spalle del capitano: - Lo sto già facendo! Ma devi assum…

Fu interrotta e coperta di nuovo da Max: - Dentro la cazzata ci sei enormemente anche tu, Clark!

- E tu ancora di più, Parker! - Ribatté Seth, ormai interamente concentrato su di lui, proprio come Max aveva probabilmente voluto.

- Non litigate! - Provò ancora a intervenire Evelyne mentre Francy le blaterava di non farlo. - Max ieri ha sbagliato, ma non devi prendertela con lui!

- Non ho sbagliato un bel niente, se l'è solo meritato! - Si oppose il ragazzo che continuava a non volere che lei fronteggiasse di nuovo Clark.

- E non sarebbe colpa sua?! Visto che la mano non gliel'ha di certo mossa qualche forza superiore?!

- Ragazzi, basta! - Li scongiurai, non volendo davvero che ci fosse un'altra litigata seria trai miei due amici e avendo visto anche, guardandomi intorno, la cuoca della mensa che ormai – avendo intuito la situazione e il suo potenziale pericolo - ci stava raggiungendo.

Seth aprì la bocca per rispondere ancora: - No, che…

Finalmente la donna bionda ci aveva raggiunti. - C'è qualche problema? - Chiese, con un cipiglio severo che attirò persino gli occhi di Max e Seth. - In caso affermativo direi che chiamerò la preside! – Minacciò, osservandoci tutti per qualche secondo ciascuno.

Forse fu l'idea di un possibile arrivo della nostra orrenda preside o forse l'intervento di qualcuno di esterno che non c'entrasse con quello che era successo la sera prima, ma quella frase sortì l'effetto desiderato e i miei due amici si allontanarono l'uno dall'altro.

- Nessun problema. Non ancora perlomeno, – rispose Seth e, dopo un'occhiata fredda ad Evelyne e Max, ci diede le spalle, avviandosi verso la porta d'emergenza che dava sul giardino.

La cuoca sembrò soddisfatta e fece per aggiungere altro, ma proprio in quel momento Evelyne, con uno sguardo cupo, si staccò da Francy, accennando ad andarsene.

- Eve! - La chiamò Francy, bloccandola per il braccio.

- Francy, ti prego, lasciami; dopo, – la scongiurò, con una smorfia davvero seria sul volto e l'altra lasciò la presa. Che altro avrebbe dovuto fare, dopo tutto?

La cuoca della nostra scuola guardò, come noi, la Gray che si allontanava, non capendo, forse come non potevamo nemmeno capire noi.

Max sospirò e passandosi una mano tra i capelli seguì i passi di Evelyne e fu chiaro che fosse intenzionato a raggiungerla; la cuoca fece spallucce e ci lasciò anche lei.

Rimanemmo così: solo Francy ed io, in mezzo alla mensa, in un punto dove probabilmente le orecchie e gli occhi di tutti erano stati puntati fino a quell'esatto momento.

- Cosa… Cosa ne pensi? - Mi chiese Francy e aveva una strana espressione triste, guardando Max che usciva definitivamente dal nostro campo visivo.

Ci pensai un attimo, girandomi anche per vedere se Seth fosse effettivamente uscito. - Non so, spero che Clark non faccia altre cazzate e…

Mi interruppe bruscamente. - Mi aveva promesso che non avremmo più avuto segreti.

La guardai, impreparato ed esitando un attimo. - Evelyne?

Annuì, inumidendosi le labbra. - Eppure non mi vuole dire di Max e adesso ha preferito andarsene… Con Max...

Istintivamente le spostai un ciuffo di capelli che le era scivolato sulla fronte, per attirare la sua attenzione su di me con cui parlava, ma senza quasi esserne consapevole. Riuscii ad avere di nuovo i suoi occhi nei miei. - Non devi fargliene una colpa... – Dissi e mi sentii orgoglioso di quella frase da persona seria. - Alla fine nemmeno tu le hai detto del nostro bacio di ieri. - Continuai a sentirmi davvero intelligente anche per quell'aggiunta particolarmente azzeccata.

Lei sembrò imbarazzarsi un attimo: o perché avevo nominato ancora il bacio o perché si era accorta anche lei di quanto l'ultima mia frase fosse vera.

- Quindi non fare quel broncio, qualunque cosa sia successa deve prima pensarci su e sistemare con Max, ma poi la saprai, magari non ora, ma poi la saprai. - E le sorrisi. Magari non ora perché potevamo parlare noi; potevamo baciarci, magari.

Sembrò illuminarsi e di conseguenza lo feci anch'io: il mio bacio?! Stavo per ricevere il mio bacio?!

- Alex! Hai ragione!

- E lo s…

- Deve evidentemente sistemare le cose con Max prima! O meglio, devono parlarne! Seguiamoli!

Mi sentii morire e mi si spalancò la bocca: probabilmente qualche anno di vita, dalla disperazione, mi uscì dalle labbra.

- Seguirli? - Riuscii a chiedere alla fine, sperando di aver capito male.

- Seguirli! Investighiamo! Lo saprò ora! - E mi afferrò la mano, trascinandomi fuori dalla mensa.

Il mio cuore soffriva.

 

 

- - - - - - - - - -

 

 

Non ero una che dormiva molto e ormai si era capito.

Non ero tra quegli adolescenti che fino a mezzogiorno riposavano se non andavano a scuola; non lo ero mai stata né prima di iniziare a lavorare, né ovviamente dopo, non avendone il tempo. Le sveglie non mi stavano di sicuro simpatiche, ma non le avevo mai nemmeno odiate. Il loro suono era sì fastidioso, ma utile: contribuiva a tirarmi fuori da uno stato d'incoscienza in cui a fatica mi ero infilata, tentennando.

Non mi piaceva particolarmente dormire.

Sembrava quasi che il mio corpo detestasse e respingesse il sonno, quell'annebbiamento dei sensi e della ragione.

Forse odiavo dormire perché non potevo pensare: nei sogni dominavano le sensazioni, le passioni; niente era logico; si agiva seguendo una specie di istinto, agendo di “pancia”.

E io non ero una ragazza che agiva così, normalmente; io ero abituata alla testa.

Così la sveglia era sempre gradita, come la luce, come la ragione.

Quel giorno non fu così.

Il mio cellulare suonò, come tutte le mattine, ma lo squillo acuto sembrò entrarmi in testa, nelle ossa e nel cuore per lo spavento che mi fece prendere.

Sobbalzai strappata bruscamente da sogni profondi, come non mai, offuscati, caldi.

Mi ritrovai sul mio letto, raggomitolata tra coperte stropicciate, con un cuscino storto sotto la testa, un capello in bocca e la mano di Max sulla spalla, un polpastrello sulla clavicola.

Mi svegliai già con gli occhi spalancati, notando che i miei sogni non sembravano tanto diversi dalla realtà.

Notando che i miei sogni erano in realtà ricordi.

Non mi diedi nemmeno il tempo di svegliarmi del tutto che mi sentii andare a fuoco, mentre il viso di Max, rivolto dalla mia parte in una posizione scomposta – quasi si fosse addormentato non volendo - si piegava in una strana smorfia assonnata, e la mano si sollevava dalla mia pelle per raggiungere la sua e ripararsi gli occhi chiusi dalla poca luce che entrava in camera.

Mi sentii bruciare e mi alzai dal letto, incespicando tra le lenzuola e rischiando di cadere per terra, di faccia.

Non aspettai altro e non volli dare secondi a Parker per aprire gli occhi - soprattutto perché mi ritrovai semplicemente in slip. Afferrai di corsa una maglietta, dalla sedia, e davvero prossima all'auto-combustione mi precipitai fuori dalla camera infilandomela.

Solo dopo essere entrata in bagno trovai il tempo di respirare, appoggiandomi alla porta.

Un respiro.

Due respiri.

Calma.

Pensa.

Le sensazioni a quel punto furono varie: c'era vergogna, tanto imbarazzo, per tutte le cose che avevo fatto – che avevamo fatto, corresse la mia sadica coscienza - e anche per quella fuga precipitosa che speravo davvero non avesse visto aprendo gli occhi prima che la porta si chiudesse; c'era ansia, perché non sapevo quale fosse il passo successivo, non sapevo come comportarmi, non sapevo cosa dire, né cosa fare; e c'era felicità, per quelle frasi della sera prima che mi pulsavano davanti agli occhi come il sangue che sentivo veloce contro le tempie; felicità perché nonostante ora me ne vergognassi ero felice di tutti i baci e di tutti i gesti compiuti, da parte di entrambi. Ma era appunto una felicità offuscata, intensificata ma distorta da tutto quell'imbarazzo.

Mi portai velocemente i capelli all'indietro, tenendomeli stretti con una mano, come a cercare aria – ne avevo davvero bisogno - e mi avvicinai al lavandino.

Vidi allo specchio gli occhi lucidi e il colorito rosso, le labbra gonfie.

Aprii il rubinetto e sentendo scorrere l'acqua continuai a guardarmi le labbra, testimoni anche loro di tutto quello che era successo.

Scossi la testa provando a prendere un lungo respiro e mi chinai, sciacquandomi la faccia più e più volte, cercando di calmarmi, di raffreddarmi, e di calmarmi. Avevo già detto calmarmi?

Ma niente funzionava perché l'acqua fredda non poteva cancellare le immagini e di conseguenza il mio colorito non migliorava.

Niente poteva cancellare gli occhi verdi di Max nel buio che sembravano di continuo nei miei, su di me; niente impediva alla mia mano di sentire ancora i suoi capelli e la sua pelle sempre così calda; niente riusciva a non farmi percepire ancora le sue carezze sulle gambe, sul fianco, sul seno, i suoi baci sul collo.

Mi guardai esasperatamente allo specchio, sentendo quasi l'affanno insieme a tutti quei ricordi della notte precedente.

Avrei dovuto cacciarlo dalla mia camera, prima che accadesse quello che era poi successo, solo per salvaguardarmi: il mio cuore non poteva evidentemente reggere Parker, non poteva sostenere quello che mi aveva detto né il modo in cui mi aveva toccata, nemmeno i miei neuroni sarebbero resistiti a lungo.

Mi morsi le labbra ed esitando con lo sguardo sul mio riflesso notai un orrendo particolare, solo in quel momento, un altro evidente testimone di tutto: un succhiotto sul collo.

Smisi di tormentarmi la bocca che si spalancò, insieme agli occhi. - Quando… - Borbottai esasperatamente, toccandomi con una mano la pelle fin troppo arrossata, mentre con l'altra aprivo i cassetti alla ricerca del fondotinta: sarei riuscita a coprirlo, vero?!

Mi bloccai di colpo, dopo aver trovato quello che mi ero messa a cercare, e deglutii avvampando: mi ricordai quando doveva aver lasciato quel marchio, di preciso, durante tutta la notte appena trascorsa. Quel ricordo era stato accantonato in un angolo, sperando che non tornasse più fuori, ma era impossibile che non lo facesse: un ricordo che si apriva con Max e me sotto le coperte, tra baci, respiri mozzati, frasi sussurrate a metà perché era difficile starsi così tanto lontani, un velo di sudore tra le nostri pelli che si scontravano e toccavano ad ogni centimetro, se non per slip e boxer, ancora addosso, come una barriera muta che ci impedisse di andare davvero oltre il capolinea; ma lì, tra quelle carezze, tra quella fitta allo stomaco, tra tutto quel caldo, tra i miei occhi che volevano vederlo ma faticavano a stare aperti, lì mi ero stretta a lui di più, strusciandomi e chiedendogli anche a voce, in un sussurro, in un gemito, di andare oltre quel capolinea.

Pensai in quel momento che forse mi sarebbe servita una doccia fredda, urgentemente. E magari anche una pala: avrei scavato un buco per poi staccarmi la testa con quella.

Avevo fatto la gatta in calore. Sul serio.

Ma soprattutto dopo quella mia preghiera - perché era stata una preghiera, aggrappandomi con le mani alle sue spalle e così vicina da far sentire a me e a lui quanto pochi millimetri di stoffa ci separassero da quel capolinea -, di poterlo sentire dentro nel corpo quanto lo era già nell'anima, dopo quella lui aveva risposto di no, con un sussurro spezzato.

Al mio sguardo spaesato, che chiedeva perché, aveva risposto con baci ancora più urgenti, stringendomi i polsi e bloccandomi al materasso, baciandomi il collo, mordendolo, lasciandomi quel marchio rosso, e poi, scivolando dalle mie mani, era sceso a baciarmi e a stringermi, per poi andare più in basso, abbassandomi gli slip e incrociando gli occhi ai miei.

Dov'era la pala?

Con gli occhi di Max addosso e la sua bocca contro, la vergogna per quella richiesta implicita – e in parte esplicita – di fare l'amore, era passata in secondo piano, insieme al rifiuto che avevo ricevuto.

Ma in quel momento era mattina e io mi guardavo allo specchio, rossa come un pomodoro, e mi chiedevo: “Perché?”.

Perché Max aveva risposto di no?

Di solito non era il contrario? Le donne che dicevano di no a quel tipo di richieste e gli uomini pregavano?

Mi mordicchiai le labbra continuando ad osservarmi: forse non gli piacevo abbastanza per quello?

Però ripensai alle frasi che mi aveva detto il giorno prima, al modo in cui mi aveva toccata e baciata e seppi che quella non era la risposta.

Allora perché?

La bolla in cui mi ero racchiusa, con pensieri e immagini e sensazioni, scoppiò in un attimo e sobbalzai sul posto, ancora, sentendo la porta aprirsi e richiudere velocemente e poi la chiave girare nella toppa.

Diedi una vaga occhiata alla mia sinistra, cercando di non trattenere troppo il respiro e appoggiando il fondotinta sullo scaffale.

Vedendo Max - che si era infilato la maglietta del giorno prima e solo quella - passarsi una mano tra i capelli sorridendomi, capii che il lapsus che mi aveva fatto dimenticare di chiudere la porta fosse accaduto col chiaro desiderio che lui mi raggiungesse.

Ripuntai lo sguardo davanti a me, verso l'interessante rubinetto che mi decisi finalmente a chiudere e vidi, senza alzare troppo lo sguardo dal riflesso della mia maglietta, Max che si avvicinava, mettendosi dietro di me.

- Quella fuga come dovrei interpretarla? - Chiese divertito e lo sentii appoggiarsi alla mia schiena col petto, sistemando le mani sul lavandino, una alla mia destra, l'altra alla mia sinistra.

Alzai finalmente lo sguardo trovando il suo nello specchio.

- Hai gli occhi lucidi. – Mi fece notare, prima che potessi aprir bocca e sorrise ancora; ed erano i sorrisi belli.

- Anche tu, – ribattei, sostenendo l'occhiata.

Alzò le sopracciglia ma non rispose. Io diedi un rapido sguardo a entrambi, inquadrandoci insieme in quel riflesso, e lui sembrò distrattamente fare lo stesso, appoggiando il mento sulla mia testa.

- Perché la fuga, Evy?

Ed eravamo davvero diversi fisicamente, oltre che caratterialmente, lo notai con più evidenza di qualsiasi altra volta. Ma gli occhi, gli occhi in quel momento, nonostante il colore fosse così diverso, sembravano uguali.

- Nessuna fuga, – risposi e provai a spostarmi da quella posizione, ma lui me lo impedì.

- Ah no? - Chiese scettico e mi spostò un ciuffo dietro l'orecchio, scoprendo il succhiotto sul collo per puro caso. Lo vide e scoppiò a ridere; io mi irritai e provai a girarmi per sfuggire alle sue braccia.

- Dai, no! Non rido, giuro che non rido più! - Mi promise bloccandomi ancora e facendomi finire con la schiena contro il lavandino, rivolta sempre verso lui.

- No, bugiardo! - Esclamai, anche a disagio per la situazione e per tutta la vicinanza che mi ricordava tremendamente quella avuta durante la notte.

Sorrise ancora, questa volta più ironicamente. - Io? Bugiardo? Chi ha appena detto di non aver tentato la fuga poco fa?

Aprii la bocca per ribattere, ma si avvicinò col viso, in un gesto che mi zittì immediatamente. - Da cosa scappavi, Evy? - Mi provocò.

- Da niente. - Non cedetti.

- Ah, pensavo da me, sai? - Fece retorico e si chinò ancora arrivando a un soffio dalle mie labbra. - Poi, io che volevo, appena sveglio…

Alzai le braccia e lo bloccai appena in tempo, per me e la mia salute mentale; anche se una parte dentro di me si alzò in protesta e la lamentela risuonò rumorosa.

Mi guardò sorpreso, così vicino, con gli occhi indecifrabili.

- Dobbiamo parlare, – decretai, con la gola secca e la voce incrinata. Perché in quei minuti in bagno, ripensando a tutto quello che era successo, avevo capito quale dovesse essere il passo successivo: parlare; spiegarci perché, davvero, senza urla, senza frasi gettate e dette per rabbia, fossimo andati con Dawn e con Clark e perché poi ci fossimo trovati noi su un letto; sapere cosa significassero sul serio le cose che mi aveva detto.

Mi sentii toccare un fianco e mi tesi subito, trattenendo il respiro; Max sorrise e si avvicinò di nuovo, sfiorandomi il mento con le labbra. - Di cosa? - Chiese e arrivò lentamente all'angolo della mia bocca prima che parlassi di nuovo.

- Di quello che è… Successo, – riuscii a rispondere, in un sussurro, e volli allontanarlo, perché non dovevano esserci baci in quel momento, ma parole: alzai le braccia verso il suo petto, per spostarlo, ma sentendo sotto le mani, sotto la maglietta, la sua pelle calda, mi bloccai, incapace di spingerlo via.

- E c'è bisogno di farlo adesso? - Continuò, sfiorandomi e provocandomi con le labbra e la punta del naso, gli occhi fissi nei miei e la mano che lentamente, ferma sul fianco, sembrava star sollevando la maglietta.

Nella mia testa partì il campanello d'allarme: i neuroni ormai conoscevano quel soggetto che avevo di fronte ed erano ancora abbastanza lucidi per scongiurarmi di porre metri di distanza tra me e lui. Metri, o anche chilometri, forse così saremmo riusciti a parlare.

- Sì, adesso! - Insistetti, tirando indietro almeno il viso, per allontanarmi dalla sua bocca. Quei pochi millimetri richiesero uno sforzo titanico. - E smettila! - Lo sgridai, arpionandogli la mano che chiaramente stava provando a scoprirmi di più la pelle.

Rise, e quel buon umore - nonostante l'orario, nonostante il risveglio brusco, nonostante il sonno che doveva avere - mi fece arrossire: sapevo a cosa fosse dovuto.

- Smetterla? - Ripeté, toccandomi l'altro fianco con la mano che non avevo afferrato.

- Sì! – Confermai, di nuovo in difficoltà. - E smettila anche di fare queste domandine idiote!

- Le faccio perché non voglio parlare, – spiegò sbuffandomi divertito sul mento e chinandosi lentamente verso il mio collo, sfiorandomi con le labbra.

- In questo modo non eviterai che… - Iniziai con coraggio, provando di nuovo a ribellarmi al suo tocco, alle sue labbra vicine al marchio che mi aveva simpaticamente lasciato.

Provando, perché la mano sul fianco cominciò ad accarezzarmi piano ed ebbi un violento flash di quella notte e mi mancò il fiato.

- Che? - Mi spronò, a bassa voce, con la bocca sul mio collo, lasciandomi lievi baci. E di sicuro mi stava prendendo in giro, come sempre, felice di quell'ascendente che aveva su di me e aumentava di continuo, notandolo sempre più.

- Che… - Continuai ma la parola quasi non si sentì.

Le sue labbra scesero, fino alla base del collo, vicino alla spalla.

- Che… - Feci ancora ma non mi ricordavo più come avessi avuto intenzione di proseguire la frase. Era un verbo.

Percepii un sorriso contro la pelle e poi un altro bacio, mentre risaliva, e un piccolo morso avvicinandosi all'orecchio.

- Succeda, – conclusi e avevo la pelle d'oca, gli occhi ormai chiusi. Mi ritrovai la mano non più sulla sua, per bloccarla, ma sul suo braccio, per avvicinarlo.

Ci volle poco, con quella debolezza che stavo avendo, a sentire le sue gambe contro le mie e la mano sul fianco, sotto la maglietta.

Ci volle poco a non oppormi alle sue labbra sul mio orecchio destro quando sussurrò: - E cos'è che vuoi che succeda?

Non me lo ricordavo più.

Ma girando il viso, di lato, trovando il suo, fu lui ad interpretare: e mi baciò.

Ritrovare le sue labbra fu strano. Fu strano perché ormai mi sembrava di conoscerle a memoria, di sapere quanto fossero morbide, perfette, di non aver mai assaggiato altro che lui; mi ricordavo quel suo modo di stringermi il labbro inferiore per chiedere di approfondire, quel suo avvicinarmi e toccarmi il fianco, salendo in punta di dita. Ma fu strano perché allo stesso tempo mi sembrava di baciarlo per la prima volta ed era sempre così, tutte le volte che ci allontanavamo di millimetri, per poi tornare più vicini di prima. C'era sempre qualcosa di nuovo, in lui, nelle labbra, o forse in me.

Sentii quasi senza rendermene conto la sua mano arrivare sotto il seno, sfiorandomi, e fermarsi lì; mentre il bacio quasi mi impediva di respirare e una fitta alla pancia mi faceva uscire dalla labbra, ogni volta che ci allontanavamo, ansimi di protesta, sprecando sempre più la poca aria che avevo.

E dovevo avere davvero poco ossigeno anche nel cervello: continuavo a baciarlo, fremendo e rischiando di farmi uscire altri lamenti perché la sua mano non si decideva a salire e le sue dita bruciavano; e io avrei dovuto parlare, avevo voluto parlare.

Ma in quel momento volevo solo Max.

Max che mi spostò e lo assecondai, senza la minima esitazione, andando a finire, camminando a fatica contro di lui, con la schiena contro la lavatrice lì vicino.

Le sue labbra si allontanarono un secondo dalle mie, con l'apposito obbiettivo di farmi concentrare solo sui suoi occhi dritti nei miei e sulla sua mano e sulle sue dita che scivolarono ancora in alto, circondandomi finalmente il seno e mandandomi ancora di più a fuoco. Poi mi fu di nuovo addosso e soffocai un gemito, che sarebbe stato troppo rumoroso senza le sue labbra contro.

Quando sentii poi la sua mano sotto la coscia, probabilmente apprestandosi a sollevarmi per farmi sedere sulla lavatrice, due battiti sulla porta risuonarono nel bagno.

Non capii subito, continuando ad essere arpionata a lui, e anche Max sembrò fare lo stesso, nonostante la sua mano avesse rinunciato a sollevarmi.

Poi si sentì di nuovo il colpo sulla porta e bruscamente le nostre labbra si separarono, la sua mano scivolò fuori dalla mia maglietta.

- Evelyne? - Chiamò da fuori mia zia, bussando ancora.

Max ed io ci guardammo, entrambi col fiatone – io in particolare - e ci allontanammo.

- Sì? - Chiesi e la voce acuta che mi uscì non fu un buon modo per rispondere.

- Hai finito in bagno?

- U-un attimo! - Balbettai, cominciando a capire sempre di più la situazione e guardando Parker nel panico, nonostante sentissi ancora l'eccitazione fin nelle ossa.

Lui sembrò preoccupato come me e si guardò intorno cercando una via di fuga e non trovandola. Non trovandola da nessuna parte se non nella finestra. La guardò due volte per poi tornare su di me. - No, ti prego, Evy, di lì no, – suonò quasi a preghiera quella frase detta a bassa voce, e rischiò di sfuggirmi una risata nonostante il tutto fosse in realtà tragico.

Camminai velocemente fino a quella, aprendola e guardando fuori. - E' come scendere da quella di camera mia! - Cercai di fargli notare, anche se in realtà sembrava il tutto un po' più pericoloso da quel lato della casa.

Si avvicinò, affacciandosi fuori con una smorfia e poi tornò a guardarmi. - Non ho i jeans, non puoi sul serio chiedermi di calarmi da una finestra in mutande. - E avrei davvero riso in un'altra situazione perché Max con una faccia così esasperata non l'avevo mai visto.

La mia espressione gli bastò come risposta e con un sospirò scavalcò la finestra con una gamba. - Almeno l'aria fredda mi aiuterà – commentò apaticamente.

- Eve? - Richiamò mia zia e Max mi guardò di nuovo, sempre con una smorfia. E mi avvicinò, tirandomi per la maglietta, e strappandomi un bacio a fior di labbra che durò fin troppo poco.

- Ho un déjà vu, sai? - Mi disse dopo essersi staccato e sorridendo. Fece ridere finalmente anche me, fin troppo fuori dal mondo fino a quel momento e sentivo ancora la sua bocca sulla mia.

- Era diverso, – risposi, continuando a sorridere, con la strana aria che dovevo aver avuto tante altre volte insieme a lui.

- Solo perché quella volta l'arrapata che mi è saltata addosso sei stata tu, – ribatté e poi si calò finalmente dalla finestra.

- Ti stai dando dell'arrapato, adesso, Parker? - Gli chiesi affacciandomi.

Sorrise ma guardando dove metteva i piedi. - Lanciami i pantaloni da camera tua! - Mi ricordò, poco prima che chiudessi la finestra.

Prima che mia zia potesse di nuovo reclamare il bagno andai a girare la chiave nella toppa, aprendole.

Lizzy, con la solita aria da prima mattina, mi osservò un attimo, alzando un sopracciglio. - E tutto questo tempo?

Non risposi e le sorrisi automaticamente, ripensando a Max che si stava calando solo in maglietta e mutande e al bacio e a quello che era successo prima e…

Merda, pensai bloccandomi, ma noi avremmo dovuto parlare!

Il sorriso mi si cancellò e zia Elizabeth mi sorpassò entrando di poco in bagno, guardandomi in modo strano. - Cosa c'è? - Mi chiese.

- Niente, – blaterai, cominciando già ad avviarmi in camera mia, ma mi fermai di colpo anche in quel caso, girandomi a guardarla, ancora sullo stipite della porta ad osservarmi. - Perché sei già sveglia? - Non doveva lavorare né far niente e solitamente non la incrociavo mai prima di andare a scuola. Lei al contrario di me amava dormire.

- Dovevo controllare una cosa, – rispose facendo spallucce e chiudendosi la porta dietro.

Decisi di lasciar perdere entrando in camera mia.

Sospirai guardando il letto interamente scomposto e trovai facilmente i jeans di Parker, di fianco al letto, sopra il mio vestito.

Mi imbarazzai un attimo, sollevando quelli e le scarpe lì vicino, ma il mio sguardo si concentrò sui primi.

Dovevamo decisamente parlare e la prossima volta non mi sarei fatta abbindolare: avevo la tremenda sensazione che Max avrebbe volentieri continuato così, tralasciando quel che era successo, cos'era significato e le sue frasi; non parlandone.

Perché faceva paura, aveva detto.

Avvampai ancora di più, pensando al perché potesse fargli tutto così paura e le cose che mi passavano per la testa come possibili risposte non potevano impedire al mio cuore, che si era già riparato, più solido di prima, dopo la crepa che si era formata la sera prima, di battere come un idiota.

Il mio cuore era un idiota.

E lo ero anch'io.

Sorridente, rossa e con gli occhi lucidi: innamorata.

La sera prima era sembrato che la malattia che mi stava tormentando mi avesse definitivamente uccisa, poi avevo provato a rianimarmi da sola, cercando vendetta, per poi ritrovarmi sepolta nella tomba e alla fine di nuovo viva, malata ma sentendomi sana, baciando Parker.

Ed ero un'idiota ma felice.

Sospirai esasperata con me stessa e appoggiando i jeans sull'avambraccio mi avviai verso la finestra. E fu così, casualmente, che il portafoglio di Max scivolò da una tasca, per terra.

Mi fermai, tornando indietro di pochi passi e chinandomi per raccoglierlo: osservai anche quell'oggetto, all'inizio disinteressata, poi pensierosa e alla fine curiosa.

Deglutii.

Con Max avrei dovuto parlare, di tutto, e l'avrei costretto a farlo, ma c'era una cosa che non avrei mai trovato il coraggio di chiedergli pur continuando a volerlo sapere.

Un “perché?” che mi ero fatta anche in bagno: perché non aveva voluto farlo con me?

Continuai a guardare il portafoglio con un fare esageratamente angustiato.

Sapevo che probabilmente era stato meglio così: se l'avessimo fatto forse le cose mi sarebbero sfuggite troppo dalle mani, troppo coinvolti; io forse mi sarei sentita ancora più legata a lui, ancora più presa da lui, quando quasi niente era davvero chiaro.

O forse era semplicemente sesso e io davo troppa importanza alla prima volta e pensavo troppo e forse, pensai quasi ridendo da sola, forse semplicemente mi aveva detto di no perché non aveva nemmeno un preservativo con sé. Semplice e logico!

Mi passai quindi il portafoglio dalla mano destra alla sinistra più e più volte, pensando a cosa fare, se controllare davvero cosa ci fosse dentro.

Alla fine mi decisi, dando una veloce occhiata alla finestra e pensando a Parker che aspettava quei pantaloni: Max in boxer in giardino.

Aprii velocemente il portafoglio: tessere, carta d'identità, patente, un biglietto da cinque euro spiegazzato come ricordo di un viaggio in Europa; aprii la parte delle banconote e, insieme a un po' di soldi, vidi davvero quello che non avrei voluto trovare: un preservativo.

Osservai un altro po' il quadratino colorato che avevo davanti. Poi finalmente chiusi il portafoglio, infilandolo di nuovo nella tasca dei jeans di Max e andando ad aprire la finestra.

Non sapevo che altre spiegazioni darmi e non volevo più pensarci, non avrei mai saputo ma mi andava bene così.

No, in realtà no.

Mi affaccia frustrata, trovando Parker che si guardava attorno con fare esasperato. Gli lasciai cadere i jeans e le scarpe davanti e lui alzò gli occhi di colpo.

Mi sorrise prendendoli. - Una tua vicina mi ha visto, credo si sia emozionata con un tale spettacolo davanti; o sta chiamando il 911, ma è meno probabile.

Scossi la testa, sospirando ma non riuscendo a non ridere. - Vattene! - Lo cacciai.

Mi ammiccò da là in basso e questa volta il déjà vu lo ebbi io.

Chiusi la finestra e guardando casualmente alle mie spalle vidi l'orologio analogico appeso alla parete e impallidii: ero in ritardo, tremendamente in ritardo!

Sobbalzai, correndo di nuovo verso il bagno e bussando disperatamente per farmi aprire da Lizzy.

Pochi minuti dopo, in tempi record, ero pronta: mi ero lavata e infilata vestiti a caso di corsa, più una sciarpa che sarei stata obbligata a tenere per il resto del giorno, e cercando di mettermi le scarpe stavo scendendo le scale inciampando.

- Non fai colazione? - Mi chiese Elizabeth, con un toast imburrato in mano e osservandomi mentre le passavo di fronte di corsa.

- Non ho tempo! - Mi lamentai lottando a morte con le all star che non si decidevano ad allacciarsi.

- Come mai questo ritardo? - Domandò ancora, continuando ad osservarmi di sottecchi. - Hai fatto troppo tardi ieri sera?

La osservai cercando di non tradire niente dallo sguardo. - No, sono andata a letto appena tornata a casa e non era tanto tardi… - Blaterai, letteralmente analizzando la sua espressione.

- Sì, in effetti quando sei venuta a spegnere la tv mi ero addormentata da poco e non doveva essere notte fonda, – commentò, facendo spallucce e guardando il suo toast.

Mi sfuggì un breve sorriso di sollievo e sistemandomi meglio la tracolla sulla spalla annuii. - Ci vediamo dopo allora, Lizzy!

E mi mossi di nuovo velocemente: feci per uscire, afferrando le chiavi con una mano e infilandomi la giacca a fatica anche per colpa della sciarpa, oltre la tracolla.

- Ah comunque, – iniziò di nuovo zia Lizzy, avvicinandosi, sempre col toast in mano e con la stessa espressione.

- Sì? - Chiesi spostandomi i capelli all'indietro esasperatamente e con una mano già sul pomello della porta.

Sorrise. - La prossima volta Max puoi anche farlo uscire dalla porta, le finestre sono un po' pericolose, sai?

 

 

Quello era stato il mio risveglio.

Era seguita un'apparente sensazioni di morte – o forse non tanto apparente – dopo la frase di Elizabeth, ma tutto era andato bene.

Era andato bene anche se il suo sorriso, che era diventato, subito dopo il “sai?”, malizioso, mi rimbalzava ancora davanti agli occhi.

Mia zia sapeva.

Mia zia aveva sentito la litigata tra me e lui la sera prima – come avevo potuto credere altrimenti con le urla che avevamo cacciato?!

Mia zia aveva probabilmente sentito la sua ultima frase e poi il silenzio.

Silenzio.

Mia zia probabilmente aveva immaginato cosa significasse quel silenzio e per quello si era svegliata presto, per controllarci.

Okay, nulla era andato bene!

La giornata era andata via via peggiorando: le occhiate che avevo ricevuto ovunque a scuola, arrivando in ritardo; le chiacchiere non di certo a bassa voce su quello che era successo con Clark e Parker alla festa; Francy che non capiva quanto mi servisse calma, momentanea, quanto mi servisse sistemare con Max prima di parlare con lei; e poi direttamente Clark aveva dato il colpo di grazia.

Il colpo di grazia facendomi sentire ancora più una merda, in colpa per quelle azioni sbagliate.

Avevo davvero sbagliato.

Con quei sentimenti stavo scappando via dalla mensa, non potendone più.

- Evy! - Mi sentii chiamare e avrei saputo benissimo chi era anche non riconoscendo la voce: chi altro usava quel soprannome dopo tutto?

Non mi fermai però, continuando a camminare imperterrita, quasi illudendomi di potergli davvero sfuggire.

Ma quando mai ci ero riuscita?

- La smetti di scappare?! - Mi chiese, afferrandomi per il polso e bloccandomi con forza sul posto.

Mi voltai, trovandomi subito davanti i suoi occhi: sembrava arrabbiato e qualcosa gli passava per la testa, probabilmente ragionamenti simili ai miei, su Clark.

- Non sto scappando! – Negai, spostandomi un ciuffo sfuggito alla coda che mi ero fatta nervosamente a mensa, sentendo tutti quegli occhi addosso.

- Lo stai facendo! – Ribatté lui. - Anche stamattina! – Mi fece notare e con quell'accenno i suoi lineamenti sembrarono ammorbidirsi un attimo.

Scossi la testa, non guardandolo e osservandogli la semplice maglietta bianca. - Non si possono comparare le due cose.

- Più o meno. - Sospirò appoggiandosi al muro e lasciandomi andare il polso, sapendo che non volevo più andarmene.

- Hanno solo in comune il fatto che volevo pensare, con calma, da sola – gli spiegai.

Ci mise un attimo a rispondere, sentendosi probabilmente preso in causa nella frase: - Pensi troppo.

Lo guardai male. - Penso quanto bisogna farlo. Bisogna pensare ogni tanto e ragionare e…

- E che conclusioni avresti tratto? - Chiese, quasi ironico e mi diede sui nervi.

- Che ho fatto solo cazzate che non avrei mai dovuto fare – risposi, senza pensarci, troppo irritata e avendo in mente solo Clark.

Il sorriso di Max si congelò e non capii. - Ah, davvero? Bene. - E si staccò dal muro passandomi di fianco per sorpassarmi.

Lo guardai incredula, inseguendolo io questa volta.

 - Max! Che ho detto?!

Non mi rispose continuando ad andarsene.

E finalmente collegai. - Non mi riferivo a te!

- Ah, non lo so! – Ribatté freddamente, girando a destra all'incrocio tra tre corridoi.

Mi aggrappai al suo braccio per bloccarlo. - Parliamo? - Gli chiesi e ormai sembrava davvero necessario, non solo da parte mia.

Si girò e gli occhi verdi mi squadrarono un attimo, con una smorfia. - E parliamo. – Concedette, quasi scocciato.

In quel momento si sentirono altre due voci, dal corridoio che avevamo appena svoltato, e noi ci bloccammo, in ascolto.

- Dove saranno andati secondo te?!

- Francy, non credo sia una buona idea, sinceramente …

Max ed io ci guardammo: io incredula che continuassimo ad essere interrotti in quel modo, mentre lui semplicemente mi trascinò contro la parete subito dopo l'angolo del corridoio, sperando che i nostri due amici non andassero oltre.

- Alex, dove?!

- Ehm, boh, saranno usciti! Sì, dai, di sicuro usciti! - Suggerì Kutcher con un tono che indicava quanto credesse e sperasse che la sua idea fosse in realtà sbagliata.

- Giusto! - Francy però sembrò crederci e Max ed io tirammo un sospiro di sollievo: per uscire bisognava girare a sinistra a quell'incrocio, non a destra dov'eravamo noi.

I passi si avvicinarono sempre più e Francy, vidi i suoi capelli da dietro mentre oltrepassava l'angolo dove ci eravamo bloccati noi, si fermò, portandosi le mani sui fianchi e guardando dove sarebbe dovuta andare.

- Sicuro vero? - Esitò all'improvviso.

- Al 99%! - Insistette lui affiancandola e sorridendo.

E da quella posizione eravamo perfettamente visibili, bastava che entrambi si girassero e saremmo stati quasi davanti a loro.

E fu quello che Alex fece: si girò, dando un'occhiata al corridoio che dava la seconda possibilità e i suoi occhi finirono su di noi. Li sgranò, terrorizzato di averci visto e che fossimo così vicini.

Io mi portai esasperatamente una mano sulla fronte, Max cominciò a fargli bruscamente, ma silenziosamente, cenno di andarsene.

E Alex assecondò volentieri il consiglio: - Su! Andiamo! - E cominciò a spingerla dalla parte opposta alla nostra.

- Ma aspetta, Alex! - Ribatté lei.

- Non c'è tempo, Francy! Li perderemo! Corriamo! Su! Non senti i loro passi mentre si allontanano?! Mi sembra anche di vederli!

- Ma no! E un attimo che guardo anche… - Fece per girarsi mentre parlava, ma non finì la frase e nemmeno il movimento, perché Kutcher la bloccò appena in tempo: con un bacio.

A Parker e a me si dipinse la stessa smorfia sconvolta per il gesto improvviso e brusco.

Francy fece una lieve protesta, troppo sorpresa, provando a ritirarsi, ma fu riafferrata dal moro e alla fine cedette; sembrò anche volentieri.

- Io non so cosa succede ultimamente, – commentò Max, a bassa voce, scuotendo la testa e facendomi cenno di andarcene.

Fui d'accordo e lo seguii.

Dopo pochi minuti di silenzio, in cui io mi guardavo nervosamente dietro, come temendo che qualcun altro ci raggiungesse o vedesse, giungemmo all'ala più isolata della scuola, ma che io conoscevo molto bene essendo vicino ai laboratori e quindi al mio giornalino.

- Dove andiamo? - Gli chiesi, dopo essermi guardata per l'ennesima volta alle spalle, anche se l'avevo già capito.

Non mi rispose e continuò a camminare, arrivando proprio dove avevo pensato io: aprì la porta dello sgabuzzino del bidello Joe che lui si dimenticava perennemente di chiudere a chiave.

Entrai, senza aggiungere altro e sfiorandolo casualmente con una spalla.

Si chiuse dietro la porta e schiacciò con un colpo veloce l'interruttore: la piccola lampadina, che cadeva appesa a un filo nel centro della stanza, si accese tremolando e illuminando male l'ambiente.

- Joe non viene mai qua prima della penultima ora e nessun altro ha motivi per entrare – mi spiegò brevemente, facendo spallucce e avvicinandosi a me.

- Esperto dello sgabuzzino di Joe? - Chiesi ironicamente.

Gli sfuggì un sorriso che un po' mi consolò pensando alla reazione che aveva avuto prima, capendo male la mia frase. - Mi stai dicendo che sono più informato della ragazza del giornalino scolastico?

- Temo di sì – mormorai, mentre si fermava di fronte a me e io mi appoggiavo vicino a una vecchia sedia di legno impolverata.

- Non per tutto, – rispose, in un modo e con un sorriso ambiguo che non capii.

Seguì un piccolo silenzio che nessuno dei due seppe interrompere.

Io non sapevo nemmeno cosa dire: avevo saputo qual era il passo successivo da fare, ma mi ero riscoperta a non avere presente il modo in cui farlo. Mi sentivo senza gambe, con una meta in testa ben precisa, ma incapace di raggiungerla.

Cercai di fare mente locale, per punti, di quello che Evelyne richiedeva di capire.

Ripensai alle frasi che mi aveva detto e che erano state ambigue, come Max era sempre. - Quello che mi hai detto ieri... – Iniziai, guardandolo di sottecchi.

Se si trovò in difficoltà a quei riferimenti non lo diede a vedere e si passò semplicemente una mano trai capelli. Mugugnò per incitarmi a continuare.

Risentii chiaramente il suono delle sue parole. - Cosa volevano dire? - Chiesi alla fine, probabilmente nel più stupido dei modi.

Esitò, guardando la sedia che mi stava vicina, poi rise. - Quello che dicevano.

Aprii la bocca, insoddisfatta, e feci per ribattere, ma mi bloccai: non riuscivo a ripetere le sue parole, non per chiedergli di spiegarmele, di dirmele meglio o semplicemente di ripetermele; e mi ero anche resa conto che significavano semplicemente quello che esprimevano – come aveva appena detto lui -, niente di più e niente di meno. Mi aveva urlato che ero sempre nella sua testa, che aveva provato ad eliminarmi con Dawn perché ero diventata l'“unica”, la più importante, e che tutto quello gli faceva paura; poi che niente era cambiato e io continuavo ad essere lì: che lo ero sempre.

Mi ritrovai ad arrossire, capendo che non potesse esserci parafrasi migliore di quella e che non ci fosse davvero altro da dire: il parlare che avevo voluto io prevedeva solo che lui arrivasse a una nuova conclusione, quella che volevo io, che mi dicesse di aver capito così di essere innamorato, innamorato di me, che ero così importante da avergli fatto credere nell'amore. Ma quel terzo punto poteva benissimo non esistere. Avevo come dato per scontato che qualcosa fosse stato taciuto, ma poteva benissimo non essere così: Max poteva aver liberato tutto, con quelle urla, e io non potevo pretendere altro, non se non c'era.

E me n'ero resa conto solo in quel momento, pur essendo stata tutto il giorno a rimuginarci sopra.

- Vero, – blaterai e volli di nuovo scappare, come quella mattina, come a mensa.

- E tu? - Mi chiese e alzai lo sguardo, trovando gli occhi verdi illuminati in parte dalla piccola luce, belli come sempre, ma con qualcosa di diverso dal solito dentro.

- Io? - Ripetei, sentendomi anche stupida.

Max annuì e abbozzando un sorriso alzò una mano, cominciando a giocare con un filo penzolante della mia sciarpa. - Non eri così tanto ansiosa di parlare? Io ieri l'ho fatto, ma tu, Evy? - E il tono era divertito, ma gli occhi mi guardavano attenti, e il verde attendeva sul serio risposte.

Boccheggiai e mentalmente ripercorsi la serata precedente. - Non è vero! Anch'io ho detto che …

- Perché sei andata con Clark? - Mi chiese serio, avvicinandosi col viso, come a volermi inchiodare sul posto e impedirmi la fuga.

Arretrai per quanto possibile, in difficoltà. - Lo sai…

- No che non lo so, ieri non hai detto niente e non hai voluto ammettere niente, – mi ricordò e i suoi occhi mi stavano davvero disorientando: qualche neurone in più si aggiunse tra le vittime. - Quindi, parla, Evy; non volevi tanto parlare? - E quasi mi venne da piangere a pensare a come tutto mi si stesse rivoltando contro.

- Per… - Iniziai. - Parker, dai! Si è capito davvero!

Alzò la mano dalla mia sciarpa, raggiungendo la mia guancia e pizzicandomela. - Un motivo in più per ripeterlo allora, no? - Insistette, mentre mi lamentavo bloccandogli la mano, e un sorriso sadico cominciava sempre di più a spuntargli sulle labbra: sembrava che iniziasse a capire quanto lui potesse essere, in quel momento, il padrone della situazione.

- Parla.

- No, Parker!

- Gray, non costringermi a usare mezzi illeciti.

Quella minaccia fu dura anche solo da sentire per la mia sanità mentale e confessai, di getto: - Per vendetta!

Sorrise e lo sapeva già, quella fu la conferma.

- Ah sì?

- Sì, stronzo! Perché eri andato a letto con Dawn e quindi dovevo far vedere anch'io quanto poco me ne fregasse! - Aggiunsi, troppo irritata dal suo sguardo, ma per poi pentirmene subito dopo.

Scoppiò a ridere, nonostante tutto e si piegò un po' in avanti, verso di me, nell'impeto. Gli diedi un colpo sul petto infastidita. - Non ridere, deficiente!

- Sai che mi sta piacendo questa storia del parlare? - Domandò retorico, appena si riprese, e prendendomi per il culo.

Gli regalai una smorfia a cui lui non sembrò fare caso, ma anzi, sorrise ancora, avvicinandosi al mio viso col suo. 

- E quindi, devo concludere che in realtà te ne frega molto?

Esitai, dandomi dell'idiota per aver parlato con così tanta leggerezza - avrei dovuto sapere che anche Max era bravo a capire le parole, capirle e ritorcerle contro - ma pensai alle cose che mi aveva confessato lui la sera prima, vidi i suoi occhi, così vicini. E ripetei l'errore: - Un poco, – ammisi e smisi di guardarlo, sentendomi andare a fuoco.

- Solo? - Chiese e alzai gli occhi di colpo, per controllare se la domanda fosse stata seria o, come al solito, ironica.

Lo trovai così vicino e il verde sembrava sincero. Trattenni il respiro, in un conflitto interiore, non sapendo cosa dire e cosa fare, cosa mostrare e cosa no.

- Quanto te, – ribattei stupidamente, proteggendomi con lui.

Sorrise e non mi sembrò, in quel momento, di ricordare più come fossero i suoi sorrisi ironici; la sua mano che era tornata alla sciarpa si rialzò, sfiorandomi la nuca e andando piano verso la coda, per poi sfilarmi l'elastico. Sentii i capelli ricadermi sulle spalle quando parlò: - E ti sembra “un poco”? - Domandò ed era davvero una domanda, non c'era retorica, né ironia. Una semplice domanda: sembrava che lui avesse voluto saperlo, per poterlo capire per se stesso.

- Dipende, – risposi sinceramente.

- Da cosa?

Ed ero sorpresa dalla piega che stava prendendo la conversazione e mi sentivo tesa, elettrica; quando la sua mano mi sfiorò il braccio quasi sobbalzai.

- Va a momenti. Quando me ne sono andata da casa tua eri sotto lo zero, dopo quello che è… Successo ieri invece sei...

- Sopra lo zero? Sai, mi sento molto un grafico, – ironizzò, ma dagli occhi capivo quanto invece stesse facendo caso a tutte le parole.

- Un grafico molto irregolare. Sono brava in matematica sai? Ma qui le cose non le riesco a prevedere e tanto meno a capire, – dissi di getto, ancora.

Sorrise e la sua mano si avvicinò al mio polso, scivolando distratta.

- E quindi hai detto che anche tu sei come me? Siamo due grafici uguali?

Non parlai subito, pensando davvero che fosse il caso di darmi un freno, un limite; ma non mi ascoltai, di nuovo: - No, ho avuto anch'io uno strano andamento, lo ammetto, ma siamo diversi: tu vai su e giù e non riesco a capirti; io invece sono molto semplice, sono una costante ormai, soprattutto perché più in alto di così nessun grafico può andare.

Tutte le parole risuonarono chiare nello sgabuzzino e suonarono strane: probabilmente nessun termine matematico, detto da qualcun altro, sarebbe stato percepito in quel modo. Quello che si sentiva dietro a ogni parola, ogni sillaba, ogni lettera, lo capì il mio cuore, dopo averle sentite, e lo capirono gli occhi di Max.

Lo capirono perché le sue labbra trovarono le mie, subito, con un'urgenza nuova, com'erano sempre nuovi i suoi baci.

Mi baciò e non ci furono altre parole dopo quelle.

Perché entrambi eravamo fermi lì, non riuscivamo ad andare oltre, me ne resi conto in quel momento.

Io volevo parlare, l'avevo davvero voluto, mi ero detta quello: ma in realtà era lui che volevo parlasse.

Volevo che fosse Max a parlare.

Che dicesse altro, che si facesse sfuggire altre frasi.

Ma altre frasi a metà, quelle, volevo solo quelle.

Perché avevo paura, dannatamente paura, forse tanta quanta lui mi aveva detto di avere.

Avevo paura che tutto quello che era successo potesse esplodere in mille pezzi, che il mio cuore si spezzasse di nuovo, dando nuovi significati ad ogni suo gesto.

Avevo paura che il terzo punto, in cui speravo con tutta me stessa, non arrivasse mai, che lui non volesse che arrivasse.

E non volevo saperlo. Non volevo la frase chiara e tonda che mi dicesse che non c'era niente e che niente ci sarebbe mai stato.

E non volevo parlare io, non volevo perché avevo paura dei suoi occhi quanto li amavo, avevo paura, tanta paura e lo amavo, lo amavo.

Paura perché quello che stava succedendo sembrava bastarmi.

Mi bastava perché non volevo rischiare il niente.

Avevo voluto parlare, la mia ragione mi aveva detto che bisognava parlare, chiarire, arrivare a una fine. Dovevo arrivare a una fine prima che arrivasse da sola, uccidendomi.

Ma il mio cuore si era ribellato: perché il mio cuore dopo tutto stava bene così, no? Perché anticipare la morte?

Stava bene mentre baciavo Max e lui baciava me, mentre mi stringeva e io mi aggrappavo alle sue spalle.

Stava bene, ma non aveva tutto.

Per il tutto il mio cuore avrebbe voluto alla fine sentirsi ricambiato, a parole, avrebbe voluto la mano di Parker che in quel momento era ancora sul mio polso.

Ma Max ed io eravamo bloccati lì.

A baciarci e baciarci ancora, a sfiorarci, a scontrarci.

E nessuno dei due avrebbe parlato chiaro e tondo.

Perché entrambi avevamo paura. Non solo lui.

La mia sciarpa volò per terra e nessun suono, tranne respiri accelerati, schiocchi di labbra, continuava a sentirsi nello sgabuzzino.

Max mi sollevò veloce la maglietta con un bisogno che era eccessivo, ma pari al mio.

Era tutto troppo ma non riusciva a sfociare.

Ed era meglio quello.

Tutto quello era meglio al niente.

E se invece rischiando non avessi trovato il niente, ma il tutto? Mi chiesi all'improvviso, portando anch'io le mani ai bordi della sua maglietta, per sentire pelle contro pelle.

Ma la domanda fu corta e breve, perché un nuovo rumore risuonò nello stanzino.

Ed era la porta, la porta che si apriva.

Perché fuori c'era un mondo e c'erano altre cose. Altre cose che forse avrebbero dovuto farmi più paura di quel niente.

 



*Angolo autrice:

Hola!
Sìsì, so che arriveranno frecciatine del tipo "Sei in ritardo", ma comprendetemi: il capitolo è lungo, c'era la fine della scuola e comprendetemi . ahahahah
Questo capitolo è stato un parto, davvero, forse per la lunghezza, forse per il doppio pov, forse per Evelyne che crede di essere così logica ma in realtà è un casino, per Parker che è figo ed è figo (?!), ma insomma ho fatto davvero fatica a scrivere e spero che vi piaccia! Io non lo rileggo più perchè sennò rischio di cancellare e magari peggiorare! ahahahah
Che direee!
Spero che il pov di Alex vi sia piaciuto! Da quello si capisce poi che nel capitolo precedente, quando Evelyne incrocia Francy ed Alex e la prima sembra un po' strana e imbarazzata, i due avevano appena finito di sbaciucchiarsi allegramente. E lasciamoli continuare così che sono contenti e Francy la smette di pensare ad Evelyne! 

Riguardo Clark: avete qualche idea? Perchè forse dovreste ...

Spero che il pov di Evelyne e quel salto temporale all'indietro, per poi tornare in avanti, non vi sia sembrato strano: era la cosa su cui avevo più dubbi, ma volevo parlare di entrambe le cose!
E alla fine i due non avevano fatto l'amore, come qualcuno aveva pensato. Il perchè del rifiuto di Parker? Si saprà, tranquille, come tutto; secondo voi?

E questi due hanno la maledizione di essere interrotti, sì, ma Evelyne è sfigata, come me, e io sono sadica. QUINDI <3

Non dico niente sulla data del prossimo aggiornamento, ma cercherò di non metterci troppo, ma pensate che non avrò intere giornate libere: ho uno stage lavorativo per tre settimane infatti! !

Alla prossima e grazie, come sempre <3

Gruppo della storia e spoilerhttps://www.facebook.com/groups/326281187493467/

   
 
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