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Autore: PeaceS    10/06/2013    3 recensioni
« Ogni volta che penserai che ti ho abbandonato, ti basterà guardare questo segno per ricordarti che tornerò. Non so’ quando, Draco, e nemmeno se mi vorrai ancora quando lo farò, ma io tornerò sempre da te » gli promise, senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
Draco abbozzò un sogghigno placido, quasi dolce e in contrasto con i suoi occhi… tristi.
« Certo che tornerai sempre da me, Mezzosangue. È così che deve andare » mormorò con voce roca, sbilanciandosi appena quando lei gli buttò le braccia al collo, impetuosa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Draco Malfoy, Il trio protagonista | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Pansy, Luna/Ron
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo XI –
Moment

 
 
 
 

“A LuluBroken_Heart, che non esita a rendere reali i miei personaggi, sei un portento, ragazza!”

 
 
 
Hogwarts, quel venticinque dicembre, era completamente ricoperta di bianco; le torrette svettanti, il parco e le arcate – insieme alla Foresta Proibita, che si intravedeva in lontananza – erano uno spettacolo unico: fiocchi di neve, grandi quanto un pugno di un bambino, ricoprivano l’aria circostante e tutto di quel panorama sembrava gridare Natale.
Hermione non si era mai soffermata, sinceramente, su quella festività: non aveva nulla di speciale per lei – che non era nemmeno Cristiana – e non si era mai applicata con attenzione sull’atmosfera che vigeva per il castello; gli alberi maestosi, le decorazioni curate nei minimi dettagli e i… sorrisi. Hermione non si era mai soffermata sui sorrisi e la serenità che portava il Natale.
Il venticinque dicembre tutti tornavano bambini e scartavano il regalo, mangiavano cioccolata e lasciavano da parte il dolore, le preoccupazioni per tornare a quell’età dove l’unico problema era come raccontare alla mamma di aver rotto il suo vaso preferito.
Erano due giorni che – oramai – la Torre Nord era diventata il suo secondo dormitorio: dormiva, studiava e passava il suo tempo lì, in compagnia di Harry, Draco, Blaise e Theo, mentre Pansy sembrava essere scomparsa dopo il litigio con Draco. Non aveva visto Ron nemmeno di striscio, ma sembrava che Harry si stesse allenando a Quidditch in sua compagnia e lo vedesse spesso, ma Hermione, dopo quelle parole, dopo il loro litigio, non aveva voluto nemmeno guardarlo più in volto e incontrarlo nemmeno per sbaglio; lui, che l’aveva conosciuta così bene, non ci aveva messo molto a giudicarla con troppa, tanta facilità, deludendola.
Un po’ le mancava il suo modo di distrarla, di farla ridere anche in situazioni disastrose, ma era stato così doloroso essere ferita da lui, di nuovo, ed era stanca di passare sotto un tritacarne ad ogni litigio solo perché lui non si curava dei suoi sentimenti e del suo essere una persona.
Hermione non era di legno, era fatta di carne e ossa, ma anche di emozioni e faceva male, tanto male.
Era il venticinque dicembre ed Hermione cominciava a capire il significato del Natale solo dopo aver perso il suo migliore amico e la sua famiglia;comunque, una volta aperti gli occhi dopo l’ennesima nottata passata a parlare e parlare, guardarlo e parlargli, quel venticinque dicembre, Hermione, invece di trovare Harry spaparanzato sulla moquette rossa ai piedi del divanetto di pelle – che oramai era diventato il suo secondo letto – aveva trovato una scatoletta di legno accanto al suo viso.
Era grande quanto la sua mano e aveva intarsiature d’argento sul dorso: tante piccole rose gialle erano disegnate con grande maestria su tutta la scatolina, ornate da grande pietre di topazio; Hermione trattenne il fiato e l’aprì, sgranando gli occhi.
“Ora posso essere salvato” stava scritto sul bigliettino al suo interno, con una calligrafia elegante e sinuosa, mentre un ciondolo quasi brillava alla luce mattutina che filtrava dalle grandi arcate.
Era un leone completamente placcato d’oro, con due rubini incastonati al posto degli occhi, dei smeraldi piccoli sulla coda attorcigliata – che sembrava richiamare un serpente –  e tante strisce di diamanti sul dorso dell’animale, che quasi spiccavano contro il colore completamente giallo. Hermione rimase basita e accarezzò con i polpastrelli quello che – sicuramente – era venuto a costare una fortuna.
Tutto, tutto riconduceva a loro: il leone che rappresentava lei, l’orgoglio, la forza, mentre i rubini e l’oro richiamavano il colore del suo dormitorio. La coda attorcigliata era simile ad un serpente e faceva parte del corpo del leone, uniti, in slegabili, mentre il verde dei smeraldi e il bianco vivo dei diamanti richiamavano i suoi colori; era tutto un insieme coordinato di indizi che richiamavano semplicemente loro e quel che erano: scoordinati, ma armoniosi. Non combaciavano mai, ma insieme si sposavano meravigliosamente, in un modo incredibile che le fece venire la pelle d’oca.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
Era incantata da così tanta bellezza, ma non avrebbe mai accettato: quel ciondolo valeva più del suo conto Babbano e quello alla Gringrott e… sinceramente, non pensava di meritarlo.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
Hermione voleva salvare Draco perché era così che doveva andare; non aveva mai avuto scelta, non era mai stato salvato e non aveva mai potuto salvarsi e, ora, era arrivato il momento che qualcuno lo facesse. Non per i regali, ma per il suo sguardo perso, che le urlava – senza saperlo – di essere nelle sue mani. Hermione voleva salvarlo per i suoi occhi, perché ora la guardavano e non facevano altro che farla impazzire. Ancora e ancora e ancora.
Draco era nelle sue mani e lei non aveva intenzione di chiuderle con forza.
Draco era nelle sue mani e a lei piaceva pensarlo, perché sentiva che non sarebbe potuto andare lontano. Non da lei, non in quel momento… perché Hermione lo stava salvando.
« È molto bello » sussurrò una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare; Hermione si girò di scatto, guardando la ragazza all’in piedi alle sue spalle.
Era avvolta da un sottile vestito azzurro di veli, come se non sentisse il gelo che filtrava da ogni più piccola fessura e  i capelli rossicci raccolti in una crocchia disordinata, mentre qualche ciocca le accarezzava il volto pallidissimo e gli occhi grandi e… rossi.
« Anastasija Romanov? » mormorò Hermione, indietreggiando appena e fissandola sorpresa. La ragazza annuì, sedendosi a poca distanza da lei e afferrando la scatolina tra le dita lunghe, da pianista.
Hermione si sentì in soggezione e quasi se ne vergognò: era… da mancare il fiato. La perfezione di ogni lineamento, di ogni movimento era sorprendente e, per la prima volta in vita sua, si sentì inferiore. Si sentì meno e… niente. Non era niente.
« Ha un significato speciale in Russia*, sai? » bisbigliò Anastasija, storcendo le labbra in un sogghigno. Hermione scosse la testa, quasi incantata dai suoi occhi rosso rubino.
« Il leone è luce, forza, coraggio e saggezza, ma è anche un animale selvaggio e passionale, che ha la presunzione di voler possedere qualsiasi cosa su cui metta gli occhi.
Il leone è distruzione ed è sinonimo di violenza.
Il serpente è il male per eccellenza – questo lo sapevi anche tu – ma anche simbolo di rinascita, lussuria, piacere. Il serpente è capace di traviare, mente e lo fa per piacere personale, ma se imbocca la propria coda prende il significato dell’infinito.
Insieme, come raffigurati in questo ciondolo, sono male e bene. L’equilibrio tra il buio e la luce, tra l’amore distruttivo e quello coscienzioso.
Il leone, messo così, prende posizione ed è il vincitore, mentre il serpente non può fare altro che essere parte di lui, nell’ombra, quasi sottoposto a lui.
Con questo ciondolo, la persona che te l’ha donato, ha voluto dire che con violenza hai preso possesso di ogni cosa che gli appartiene e si sta offrendo completamente a te. Ti sta trascinando verso di sé e non hai scampo » disse, quasi ammaliandola con la sua voce e le sue parole.
Hermione inghiottì a vuoto: Draco, con quel regalo, aveva voluto dire veramente quello che raffigurava?
Lui, a differenza di Ron, era entrato prepotente nella sua vita, in modo inaspettato, travolgendola, facendole girare la testa. Le aveva spezzato ogni singolo osso per diventare tutt’uno con lei, lasciando che le membra prendessero la forma del suo corpo, squarciandole letteralmente lo sterno e sincronizzando il proprio battito con il suo.
Draco era stato schioccante e anche se erano l’opposto, sembravano completarsi quasi con perfezione: luce e buio, male e bene, amore e odio, forza e astuzia, coraggio e conservazione.
Aveva la pelle dilaniata e le sue impronte su ogni singola parte disponibile visibile e non.
« Sei incatenata, ora e le appartieni » finì, alzandosi di scatto e guardando fuori dalle arcate con sguardo vago e perso.
Hermione sorrise: lei gli era sempre appartenuta, in realtà, e con quelle catene lei stessa vi ci era avvolta. Lei, uno spirito così libero, aveva deciso di incatenarsi indissolubilmente ad una persona.
Avevano le membra, le ossa e le vene legate tra di loro, strette così tanto da essere in slegabili. Loro erano in slegabili.
Ma le bastava chiudere gli occhi per capire il come e il perché. Le bastava ricordare il suo sguardo per rendersi conto che era così che doveva andare.
Lo sentiva così prepotente e lo anelava.
« Perché… sei qui? » domandò Hermione, rimanendo seduta e stringendo la scatola tra le dita.
Anastasija volse lo sguardo verso il soffitto, inclinando il capo e sorridendo; Hermione si morse le labbra, sospirando sconfitta. Si sentiva così in basso e non le era mai capitato: non si era mai messa a competizione con gli altri e farlo ora la metteva a disagio e quasi la faceva sentir peggio. Tremò e distolse lo sguardo: cos’era che la preoccupava? L’essere messa da parte per lei o che ora ci fosse lei a salvare Harry e a prendersi cura di lui?
« C’è aria di tempesta nell’aria, signorina Granger. Sento odore di morte e aleggia, aleggia sulle nostre teste e non va via » mormorò Anastasija, mentre Draco – già vestito di tutto punto – scendeva dalla camera e si fermava sulla rampa di scale per ghiacciarsi al sentire quelle parole. Strinse la balaustra tra le dita sottili e assottigliò lo sguardo glaciale, rimanendo nascosto.
« Lo sento sotto la pelle, come se mille aghi cercassero di squarciarmi le vene » continuò, mentre la pupilla andava verso l’alto e lasciava spazio alla sclera completamente bianca.
Sembrava essere in trans, completamente persa nel limbo di sensazioni che le scuotevano la carne. Draco spostò lo sguardo su Hermione, intenta a fissare la ragazza all’in piedi.
« È così vicino… » bisbigliò, cadendo in ginocchio, quasi piegata da un entità sconosciuta e invisibile. Il volto scattò verso l’alto e un pipistrello entrò dalle grandi arcate, sorvolando nel piccolo salottino e fermandosi di fianco ad Anastasija.
« È qui » finì, mentre – sotto gli occhi sbarrati di Hermione – quel pipistrello s’ingrandiva, prendeva forma, senso, e diventava quello che era in realtà: un ragazzo.
Aleksej Romanov distolse lo sguardo da sua sorella per posarlo sulla riccia, che strinse le dita attorno il manico della bacchetta e digrignò i denti.
« Lei starà buona per un po’, ti va bene?  » sussurrò Aleksej, sorridendo macabro e calciando il corpo della sorella, che immobile – come sotto effetto di un Petrificus Totalus – cadde con un tonfo sulla moquette.
Hermione si alzò di scatto, tenendo la bacchetta salda davanti a sé, mentre Draco scendeva qualche scalino, silenzioso. Il suo istinto gli gridava di scappare, di salvarsi la pelle, di essere Serpeverde fino in fondo… ma l’aveva detto la Romanov, lui ed Hermione erano incatenati e senza di lei, Draco, non poteva fuggire. Era ancorato al terreno. Era ancorato a lei, maledizione.
« Ritira gli artigli, bambolina, potresti farti male » mormorò Aleksej, con un tono quasi lascivo. I suoi occhi rossi la percorsero interamente, senza lasciarsi sfuggire nulla: dai ricci ribelli, che come una criniera le incorniciavano il volto, alla felpa larga e i pantaloni della tuta che indossava – proprietà di Harry. – Ed era spaventoso il modo in cui la guardava. Sembrava che volesse divorarla o bruciarla oppure entrambe le cose, Hermione non sapeva dirlo.
Hogwarts era un teatro immenso e ora che i sipari erano finalmente scesi sul palco, i loro attori calavano le maschere per mostrarsi interamente. Ringraziavano e lasciavano i panni di una vita mai vissuta su quelle grucce, sapendo di non poter più tornare come prima.
Anastasija Romanov agonizzò sul pavimento e Aleksej – in un attimo – fu a pochi centimetri dal suo viso. Con le dita percorse la sua mandibola, il naso e le labbra strette in una linea sottile: sorrise, soffiando sulla sua bocca.
« Vuoi davvero salvare tutto questo, Hermione Granger? Tutto ciò che vedi e tocchi è solo una parte della storia. Della vera storia. Tu puoi avere di più, puoi essere di più.
Ho visto come guardavi Anastasija. Lei non è niente che tu non potresti essere. Mi basta un sì, e tutto ciò che vuoi sarà tuo » bisbigliò, mentre Draco guardava fisso il vuoto. Vedeva il suo sguardo ricambiare quello di Romanov, gli occhi completamente pendenti dalle labbra rosse di lui e una strana inquietudine prese possesso della parte più irrazionale della sua testa.
Lei si stava immischiando in una guerra che non la riguardava solo per… lui e non era abbastanza. Non poteva esserlo, non per lei.
« È questo che ti hanno chiesto di fare? Di cercare di convincermi a passare dalla vostra parte? » il volto di Hermione era impassibile e la sua voce incolore. Fissava Aleksej con la mandibola contratta e le dita attorcigliate con forza attorno la bacchetta di legno.
« Se non puoi abbattere il nemico… fattelo amico » sogghignò Romanov, rispondendo alla sua domanda quasi in modo ironico. Il volto di Hermione si contrasse, disgustato.
« Ma non hai risposto alla mia domanda. Vuoi davvero salvare tutto questo? Credi che ne valga la pena? » sussurrò Aleksej e Draco si tese fino allo spasmo, ingoiando a vuoto.
Le mani di Hermione s’infilarono tra i suoi capelli, mentre le unghia penetravano nel cranio. Con uno strattone, questa volta, fu lei ad avvicinarlo a sé, poggiando la bocca sul suo orecchio e facendo venire un traverso di bile a Draco, che trattenne il respiro.
« Preferirei combattere altre mille guerre e proteggere ogni singolo Serpeverde delle prossime dieci generazioni piuttosto che essere dalla vostra parte.
Vale la pena salvare chi vuole essere salvato, Romanov e chi crede di poter essere salvato » rispose Hermione, lasciando la presa e allontanandosi quasi come se non sopportasse più quella puzza di zolfo e inferno o la prospettiva di restare accanto a lui un secondo di più.
« Sarebbe un peccato ucciderti… ma sembra che sia l’unica soluzione » sbuffò Aleksej, mentre dalle labbra di Hermione scappava un risolino sarcastico.
E, in quell’esatto momento, le maschere caddero.
« Laniatus! » la voce di Draco risuonò secca come il suono di una frusta sulla carne e dura come un cancello di ferro battuto che sbatte ripetutamente contro se stesso.
Tagli lunghi e profondi cominciarono a squarciare la pelle pallida del vampiro e sangue nero come le ali di un corvo cominciò a colare sulla pietra grezza del pavimento. Aleksej gemette.
« Tu! » urlò, indicando Draco – che ora era a pochi passi da Hermione – con una smorfia sul viso. Non c’era un solo lembo di carne che non fosse stato colpito dalla maledizione lanciata da Draco, ne era ricoperto dalla testa ai piedi e Aleksej tremò, stringendo i denti.
« Fractum » e tornò all’attacco. Draco spinse Hermione di lato, continuando a maneggiare la bacchetta come se conoscesse quegli incantesimi da una vita.
Hermione… Hermione li conosceva, ma non aveva mai, mai osato usarli: erano incantesimi oscuri e lo si intuiva dal male che procuravano alla persona; la bacchetta puntò il braccio e questo si ruppe, mentre le ossa scricchiolavano in modo macabro.
Aleksej gemette ed Hermione sussultò.
La furia cieca di Draco era impressionante e… distruttiva. I suoi occhi grigi quasi non li riconosceva, erano cupi e dissonanti con il resto del volto, quasi congelato in una calma fredda e divoratrice.
« Inflammábit» questa volta lingue di fuoco circondarono il corpo del vampiro, che cadde in ginocchio, accanto la sorella. Anastasija aveva detto che la magia non poteva scalfire la pelle di diamante di uno di loro, ma Draco lo stava facendo… come? Hermione non riusciva a spiegarselo e aggrottò le sopracciglia.
Il suo sguardo cadde sulla ragazza e si accorse che più il fratello si indeboliva e più lei acquistava forze, come se stesse rinsavendo da quello stato in cui era caduta e l’incantesimo si fosse sciolto.
« Draco, basta » bisbigliò Hermione, stringendo il braccio del ragazzo tra le dita e cercando di tirarlo indietro. Lui non l’ascoltò.
Continuava a ripetere gli stessi incantesimi e continuava a ferire l’altro, mentre il sangue continuava a scorrere per la stanza. Macchiava ogni cosa ed Hermione si sentì nauseata.
« Draco, ti prego… fermati! » disse con foga.
Se voleva essere salvato doveva tenere la propria anima intatta. Lui non era un assassino e lo aveva provato. Ora doveva solamente provarlo a se stesso.
Draco si girò di scatto, ansante, con il petto che si alzava e abbassava ripetutamente, come se avesse corso per miglia e miglia senza mai fermarsi. Era stanco e confuso. « Guardami » mormorò Hermione, afferrando il suo volto tra le mani e costringendolo a ricambiare il suo sguardo. Draco gemette e Aleksej lo fece a suo seguito, ma il suono che fuoriuscì dalle labbra del biondo serpente sembrò superare di gran lunga il dolore fisico che stava provando il vampiro.
Il suo era un dolore che non poteva essere curato con delle pozioni o del buon riposo: Draco stava lottando contro se stesso e la sua rabbia, contro quel mostro che avevano fatto crescere dentro lui apposta… richiamandolo ripetutamente anche se assente.
« Va bene così… va bene »
Draco scosse il capo.
« Tu non sei così »
Draco si bloccò, stringendo gli occhi con forza e lasciando che l’ennesimo gemito uscisse dalle sue labbra, distese finalmente dalla linea che le aveva tenute contratte fino a quel momento.
« Tu puoi essere salvato, non lasciare che gli altri te lo impediscano »
E a quelle parole si arrese definitivamente, crollando contro quel corpo che lo sosteneva e lasciandosi andare in un lungo respiro ansante, addolorato, quasi senza speranza.
Ma Draco lo sapeva… lui, la speranza, la stava stringendo tra le braccia.
 
 
 
Harry James Potter avrebbe voluto davvero puntare la bacchetta alla gola di quel vampiro e urlare una bella maledizione senza perdono, ma oltre a sapere che non avrebbe funzionato, qualcun altro ci aveva pensato al posto suo.
Ron era ancora scioccato al suo fianco, mentre lui non faceva altro che marciare per la stanza, con le mani congiunte dietro la schiena e lo sguardo furioso puntato dappertutto tranne che nella sua direzione; Draco Malfoy si manteneva il capo seduto sul divano di pelle, quasi divorato dagli avvenimenti successi.
Aleksej era scappato e Anastasija si era ripresa solamente quando lui era stato abbastanza lontano da essere fuori tiro. Hermione non sembrava nemmeno scossa, mentre la sua madrina aveva maledetto ogni protettore di Hogwarts e vampiro sulla faccia della terra, furiosa per essersi fatta mettere fuori gioco come una pivellina. Non poteva molto contro suo fratello, il suo sangue glielo impediva ed erano letteralmente nella merda.
Harry si odiava. Non era riuscito a proteggere Hermione e l’aveva lasciata nelle mani di quel mostro: se non fosse stato per lui, ora, probabilmente lei sarebbe già morta.
« Sei stato bravo, non avrei potuto fare di meglio » mormorò verso Draco, che sobbalzò, alzando gli occhi di scatto e fissandolo come se gli fossero spuntate due corna sulla testa.
« Mi stai ringraziando, San Potter? » sibilò Draco, sogghignando amaramente. Aveva appena dimostrato che il suo lato oscuro non era mai sparito, ma si era solamente assopito per aspettare il momento giusto e balzare fuori.
Hermione, al suo fianco, gli strinse il braccio con forza.
« » rispose Harry con una smorfia, guadagnandosi un sorriso di incoraggiamento da parte della sua migliore amica. Ron rimase in silenzio, vicino l’uscio della porta, mentre Anastasija legava e scioglieva i capelli in un tic fastidioso, mormorando frasi sconnesse.
« Hai fatto la cosa giusta, Draco, non importa che… » iniziò Hermione, venendo interrotta da uno sbruffo ironico uscito dalle labbra del ragazzo. Blaise si fermò di fianco a Ron, silenzioso e preoccupato.
« Tu non conosci la natura di quegli incantesimi, tu non sai » sibilò Draco, stringendo le labbra e maledicendosi.
In fondo non era poi così distante dall’immagine che gli altri avevano di lui: la maschera era caduta e la sua vera natura era venuta a galla; era davvero uguale a suo padre e non aveva esitato ad usare gli insegnamenti da lui impartiti per fare del male. Non importava chi, anche se Romanov aveva intenzione di ferire Hermione, era sceso ai livelli dei Mangiamorte.
Cattivo sangue non mente mai.
« Avrei fatto lo stesso. Natura o non degli incantesimi, avrei usato anche una Maledizione senza perdono per salvare Hermione » sbottò Harry, zittendolo con un occhiata truce.
Era la stessa cosa che avrebbe fatto lui, giudicarlo non sarebbe servito a niente. Giudicarlo per il suo cognome non sarebbe servito a niente. Era per quello che si stava torturando, Harry l’aveva capito e cominciava ad irritarsi.
« Harry… Harry ha ragione » mormorò Ron, parlando per la prima volta da quando era entrato. Tutti gli occhi si posarono su di lui ed Harry si rilassò, sorridendo: il suo migliore amico stava ritornando e non poteva esserne che felice.
Ron era cambiato da quando Fred li aveva lasciati, ma Harry sapeva che dietro quella facciata di rifiuto ci fosse ancora il ragazzo impacciato che aveva conosciuto sul treno anni fa.
Non apprezzava Draco, probabilmente non l’avrebbe mai fatto, ma Harry era sicuro che – per non perdere Hermione e lui stesso – avrebbe cercato di perdonare. « Ho capito, ho capito! » sbuffò Draco, intercettando il sorriso di Blaise, ora sereno e tranquillo.
Incredibile, i Grifondioti lo stavano consolando. Sentì le dita di Hermione percorrere delicatamente il suo braccio, quasi come una dolce carezza: la sentiva appena, ma era prepotente e stava lasciando lunghe scie rossastre al suo tocco.
Lei lo bruciava.
Hermione lo consumava.
« Miseriaccia, credo che dovremmo davvero prendere lezioni da Anacosa se non vogliamo rimanerci secchi! » disse Ron, facendo ridere Harry ed Hermione.
Blaise lo spalleggiò scherzosamente e Draco scosse il capo, tossendo per mascherare una risata. Stava diventando sempre più poco se stesso o almeno sempre più poco l’immagine che gli altri davano di lui.
Sentiva il peso del suo cognome diventare sempre più leggero, sempre meno oscuro e gli stava bene.
Ora non c’era più nessuna protezione che lo salvaguardasse, ma non gli dispiaceva: la Mezzosangue sembrava perfettamente in grado di prendersi cura di ogni cosa che prima era nascosta.
« Daphne è stata attaccata! » la voce di Pansy era un misto tra orrore e angoscia: il suo volto era macchiato di sangue e i suoi vestiti imbrattati di rosso. Gli occhi neri guizzavano da una parte all’altra, mentre Draco balzava all’in piedi e Blaise sgranava gli occhi.
« Era un… era un fottuto diversivo! » sibilò Harry, fissando attento il volto di Pansy per accertarsi che non fosse ferita.
« È in infermeria con Theodore e Astoria » sussurrò quest’ultima, rispondendo alla muta domanda dei suoi amici. In un attimo la sala si svuotò: Anastasija urlò nuovamente, sbattendo i tacchi e seguendo Draco, Blaise ed Hermione.
« Stai bene? » sussurrò Harry verso Pansy, rimasta immobile al centro della stanza. Ron arrossì e prese quella che considerò la migliore scelta: darsela a gambe.
« Fottiti, Potter! » sbottò Pansy, mentre il petto si alzava e abbassava. Probabilmente aveva corso o forse aveva solo voglia di dimenticare di avere appena visto la sua unica amica stramazzata al suolo in un lago di sangue.
« Cazzo, ti ho fatto una domanda, Parkinson! Stai bene? » urlò Harry, alzandosi di scatto e già stanco di prima mattina. Pansy sobbalzò e – mordendosi con forza le labbra – mostrò il taglio sul braccio scoperto.
Harry la raggiunse a grandi falcate, afferrandole con forza l’arto ed esaminando per bene la ferita: non sembrava profonda, ma doveva bruciare tanto dal rossore e le escoriazioni che lo circondavano.
« Sta ferma » bisbigliò Harry, puntando la bacchetta contro il taglio e mormorando “Ferula” a bassa voce, lasciando che – soddisfatto – delle bende stringessero il braccio della Serpeverde e bloccassero l’uscita copiosa di sangue.
« Non avevo bisogno del tuo aiuto » sussurrò Pansy, distogliendo lo sguardo dal suo e fissando il vuoto alle sue spalle.
Harry sogghignò e – lasciando che lei arrossisse – le baciò il punto esatto dove aveva visto il taglio. Pansy sobbalzò nuovamente e lui l’afferrò per la collana a forma di serpente che portava al collo: le loro labbra si toccarono e lei rilasciò un lungo sospiro nella sua bocca.
« Sta zitta » sbuffò Harry, prima di morderle con forza il labbro inferiore e costringerla a schiudere le labbra: in un attimo la sua lingua fu all’interno della sua bocca, intenta ad accarezzare i denti bianchi e il palato, quasi facendo violenza su entrambi.
Pansy si aggrappò alle sue spalle, chiudendo gli occhi e gemendo appena quando Harry la sbatté rudemente – di nuovo – al muro. La sua mano prima le stringeva i fianchi, poi le mani sporche di sangue e ancora il viso imbrattato, senza curarsi di niente.
« Che. Merlino. Ti. Fulmini! » sillabò Pansy, ansante, quando lui si staccò dalle sue labbra. Harry rise, tirandole con forza una ciocca di capelli e seguendo la mascella con la punta del naso.
« Ribadisco: sta zitta » sussurrò Harry, ribaciandola e spingendo il bacino contro il suo. Pansy mugolò e lui ingoiò a vuoto.
« Potter, quale parte dell’Infermeria non hai capito? Scendi, ora, o salgo io… e davvero non mi interessa sapere cosa state facendo tu e quell’altra! » urlò Draco dalle scale, facendo alzare gli occhi al cielo al suo nemico secolare.
Harry si staccò dal corpo freddo di Pansy, che ora sembrava rovente, guardandola interamente: aveva i capelli scompigliati e le labbra gonfie di chi poteva essere baciata all’infinito, le guance rosse come non le aveva mai avute e gli occhi lucidi.
« Vieni  » mormorò, porgendole le mano e lasciandola di stucco. Le sue dita si tendevano nella sua direzione e bruciavano ancora della passione che l’aveva travolto nemmeno cinque secondi prima.
« Ora » le ordinò, duro, serrando la mascella.
Pansy si morse le labbra e – titubante – accettò la stretta: non sapeva nemmeno perché faceva quello che lui le diceva, ma riusciva davvero ad acconsentire solamente quando si comportava in quel modo. Le piaceva davvero essere trattata male? Era davvero quello l’unico modo per relazionarsi ad una persona? Quasi non gemette nel pensare quelle cose, lasciando che il sapore ferroso del sangue coprisse qualsiasi altro sapore avesse nella bocca. Il suo labbro stava sanguinando per la forza in  cui spingeva i denti nella carne.
Era davvero una miserabile.
« Daphne starà bene » la rassicurò Harry, addolcendosi appena un po’.
« Sei bipolare o cosa? » domandò Pansy, storcendo la bocca in una smorfia e strizzando gli occhi.
« Smettila con questa maschera di durezza, Parkinson… non ti si addice nemmeno » sussurrò Harry, raggelandola. Scendevano le scale ancora per mano e Draco li aspettava sull’ultima rampa, con un sopracciglio alzato e un sogghigno disgustato sulle labbra.
« Potrei vomitare » disse, dando le spalle ad entrambi e dirigendosi verso i corridoi assolati.
« Stimolo che ho io ogni volta che ti vedo, Malfoy » rispose Harry, sbattendo civettuolo le ciglia.
« Spero che Morgana ti eviri, Potter » sibilò Draco, mentre Pansy alzava gli occhi al cielo per quelle schermaglie. A quei due non li fermava nemmeno la morte, maledizione!
« Più tardi possibile, Malfoy o … » iniziò Harry, venendo bloccato da uno strattone di Pansy, che lo fulminò con un occhiata.
« Direi che è abbastanza » sbottò furiosa, lasciando la presa e superandoli con passo imbufalito.
« Non è per te, Potty, lascia perdere » mormorò Draco, affiancando Harry e guardando i capelli dell’amica seguire il passo cadenzato dei fianchi morbidi.
« Potrei dire la stessa cosa per Hermione, Malfarrett  » rispose il bambino sopravvissuto, infilandosi le mani nelle tasche e storcendo le labbra in un sorriso macabro.
« È gelosia quella che sento, Potter? » domandò Draco, rovesciando il capo nella sua direzione e lasciando che qualche ciocca bionda gli cadesse dinnanzi gli occhi grigi.
« Falle male e giuro che morirai tra atroci sofferenze, Malfoy » sibilò Harry, scatenando una risata convulsa in Draco.
« Non ti darò lo stesso avvertimento per Pansy… perché sarà lei ad avvelenarti » sogghignò, fissandolo in modo eloquente.
Oh sì, questo Harry lo sapeva bene: più la toccava e più sentiva la pelle putrefarsi; agiva come veleno e lui lo sentiva eccome scorrere nelle vene, giù per la gola, in ogni parte del corpo quando la sfiorava.
« Ma si sa’… si diventa dipendenti da qualsiasi sostanza, prima o poi » disse Draco a bassa voce e seguendo Pansy nell’infermeria.
« Il mio sangue non è compatibile con il suo » sentirono dire da Astoria appena misero piede nella stanza. Aveva il volto impassibile tirato e guardava Theodore con aria di sfida.
« Sei sua sorella, com’è possibile? » urlò Theodore, mentre Madama Chips cercava di calmarlo. Il volto di Astoria non si mosse di un millimetro.
« Non ti fidi di me, per caso? » disse ironica, alzando un sopracciglio e incrociando le braccia la petto, come se stesa in quel letto non ci fosse sua sorella.
« Astoria, guardami e non contarmi stronzate! È tua sorella, maledizione; metti me un secondo da parte e pensa che ha il tuo stesso sangue nelle vene! » sbottò Theo, fuori di sé.
« Il mio sangue non è incompatibile con il suo  » ripeté Astoria, come una nenia.
« Giuro, Astoria, dopo questa stammi lontano! » urlò Theodore, scompigliandosi con forza i capelli.
« Il tuo amore per lei mi disgusta »
« Il tuo poco amore per lei, invece, mi fa capire che infondo non sei peggio di tua sorella »
Astoria strinse i denti, alzandosi di scatto e uscendo dall’infermeria stizzita, lasciandosi dietro solo facce basite.
Lei non era sua sorella… non dal momento che non faceva altro che disprezzarla!

 
   
 
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