CAPITOLO
TRENTOTTO
Jolie,
JamesRemus, Vicky e Charlie erano seduti ad
un tavolo dei Tre Manici di Scopa davanti a una calda e schiumosa
Burrobirra
che Madama Rosmerta aveva offerto loro col solito sorriso gentile e
pieno di
affetto, quello che offriva a tutti i clienti. Era per le sue
attenzioni,
dopotutto, che quel locale veniva molto frequentato. Per le sue
attenzioni e
per la Burrobirra ovviamente, la migliore di tutta Hogsmeade.
Se c’era una cosa che era rimasta piacevolmente uguale erano
Hogsmeade e i Tre
Manici di Scopa.
“Ci
voleva proprio questa uscita. Mi ero stancato di
stare chiuso in quel castello”, commentò James,
buttandosi indietro sullo
schienale della sedia e allungando le gambe sotto al tavolo.
“Puoi
dirlo forte”, gli diede manforte Victoire.
“Però,
ragazzi, non scordiamoci che abbiamo una
missione da compiere”, fece Jolie, attorcigliandosi una
ciocca di capelli rossi
attorno al dito.
“Non
ce ne siamo scordati”, rispose Charlie. “E come
potremmo? Bisogna solo aspettare il momento giusto”.
“Sempre
se non abbiamo cambiato qualcosa nella linea
temporale. Sappiamo che il tempo non è una linea retta
sempre uguale, la storia
può anche cambiare”.
“Sta’
tranquilla. Tutto andrà come deve andare e noi
salveremo tuo fratello”, la rassicurò James
mostrandole uno dei suoi sorrisi
sghembi. Questo la rincuorò parecchio. JamesRemus poteva
anche essere un tipo
imprevedibile e irresponsabile, però sapeva che
cos’era il dovere. E,
soprattutto, non avrebbe mai fatto qualcosa che poteva arrecare danno a
chi
amava.
E lo stesso valeva per gli altri.
“Sapete
per caso che fine hanno fatto gli altri?”
chiese Vicky ad un certo punto, per cambiare argomento.
“Joel
si sarà rintanato nel negozio di manga, quello
che si trova nella parte babbana di Hogsmeade”, rispose la
rossina, smettendo
di torturare la sua ciocca.
“Ma
siamo nel passato e quel negozio ancora non lo
hanno costruito. Così come non c’è
ancora una parte babbana nel villaggio”, le
fece notare Charlie come fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Oh,
giusto”, borbottò la ragazza, abbassando il
capo. Come aveva fatto a non pensarci? Nessun’altro,
però, parve far caso al suo errore.
“John
immagino che sia uscito con una ragazza, tanto
per cambiare”, disse James, portando lo sguardo fuori dalla
finestra.
Quella notte aveva nevicato parecchio e ora tutte le strade e i tetti
delle
case erano ricoperti di soffice neve bianca. Anche natale ormai si
avvicinava e
i negozi avevano già messo i loro addobbi e tirato fuori gli
articoli natalizi
da vendere. Luminosi alberi di natale facevano bella mostra ad ogni
angolo e
anche nell’aria si respirava già odore di festa,
inebriata dal profumo di buoni
dolci tipici.
Nonostante la guerra, nonostante Voldemort minacciasse
l’intero Mondo Magico,
nonostante ogni giorno sempre più persone scomparissero,
nonostante tutto la
gente aveva ancora voglia di festeggiare.
Sia ora che nel tempo dei ragazzi seduti a quel tavolo dei Tre Manici
di Scopa.
Perché le feste… le feste davano carica, davano
speranza, nuovi motivi per
combattere. Perché le feste mostravano quanto amore ancora
c’era.
Silente poteva anche essere un vecchio hippie con la faccia da babbo
natale,
però aveva tremendamente ragione.
L’amore era tutto.
“Parli
del diavolo…”, esclamò Vicky, indicando
col
dito fuori dalla finestra. John camminava nella neve con un braccio
dietro la
schiena di una ragazza che a malapena gli arrivava alla spalla e che,
con tutta
probabilità, era più piccola di lui. Anche lei
gli teneva una mano dietro la
schiena e lo guardava con un sorriso ebete e due occhi a cuoricino. Era
proprio
cotta.
“Povera
ragazza”, commentò di nuovo la bionda. Le sembrava
una cucciola, quella bambina che passeggiava con John, con un faccino
ancora
innocente e dolce. Un agnellino a passeggio col leone.
“Scommetto
che è vergine”, aggiunse James.
“Non
lo sarà ancora per molto”, concordò
Jolie.
L’unico
a non esprimersi fu Charlie. Non gli
interessava quello che faceva John, né tantomeno gli
interessava quante ragazze
si portasse a letto.
Non gli interessava assolutamente. La vita di John era di John e basta.
Non capiva
perché tutti i suoi amici si divertissero a curiosare
così tanto.
“Sappiamo
come va a finire: lui la frequenta un po’,
se la porta a letto e poi la molla”.
“E
lei lo odierà per il resto della sua vita”.
“Le
sue amiche la dovranno consolare”.
“Oddio,
vi immaginate tutti quei pianti?”
“Brucerà
le sue foto”.
“I
suoi regali”.
“Magari
anche i suoi ricordi”.
“Ragazzi,
la smettete?!” esclamò Charlie guardandoli
malissimo. I tre amici si voltarono verso di lui e lo guardarono
straniti. Era raro
vedere Charlie incazzato, però quando lo era diventava
piuttosto pericoloso.
I ragazzi tornarono seri e si risedettero composti sulle loro sedie,
forse
rendendosi conto di aver esagerato.
“Tappo?”
chiamò James, ma quel sorriso malizioso che
gli era comparso non prometteva nulla di buono. “Ma non
è che sei geloso?”
“Di
chi?” fece l’altro, inarcando un sopracciglio.
“Di
John”, rispose Black come fosse la cosa più
ovvia del mondo.
Charlie
strabuzzò gli occhi e arrossì tutto
d’un
colpo. “Ma che stai dicendo? Quello geloso secondo me sei
tu”. Incrociò le
braccia e voltò il viso dall’altra parte. Ma
perché i suoi amici si ostinavano
a fare quei commenti? A lui non piaceva John. Non gli piacevano gli
uomini, e
che cacchio? E in ogni caso John era la persona meno adatta di cui
innamorarsi.
Lui era uno stronzo con le ragazze, lui non sapeva amare.
“Geloso
io?” ripeté James con espressione
pensierosa. “Be’, ammetto che a volte sogno di
essere abbracciato da quelle sue
braccia muscolose”, concluse con tutta la disinvoltura del
mondo, come se
avesse appena detto che preferiva le Cioccorane alle Api Frizzole.
Vicky scoppiò a ridere.
Nel frattempo John e la sua nuova fiamma erano scomparsi dalla loro
visuale. Chissà
dov’erano andati, si chiese Charlie. Era facile rimorchiare
le bambine che
ancora credevano nel principe azzurro. E poi per lui era facile, gli
bastava
uno schiocco delle dita e tutti cadevano ai suoi piedi.
Ginny,
Luna ed Hermione aspettavano appoggiate alla
ringhiera del ponte che attraversava un piccolo fiume che in primavera
era
pieno di paperelle. Emmie era entrata in bagno circa dieci minuti fa e
le
ragazze cominciavano a domandarsi che fine avesse fatto.
“Secondo
voi dovremmo andare a controllare?” chiese
Hermione, quella visibilmente più preoccupata.
“In
bagno possono succedere molte cose brutte”,
disse Luna col suo solito tono sognante. Le altre due ragazze la
ignorarono.
“Dai,
Ginny, andiamo”, concluse infine la riccia,
avviandosi. Ma non fece in tempo a fare due passi che videro Emmie
uscire dalla
porta e dirigersi verso di loro.
“Oh,
finalmente. Perché ci hai messo così
tanto?” le
chiese Ginny quando la più piccola le ebbe raggiunte. La
ragazza però non
sembrò averla sentita. In verità non
sembrò neanche che le avesse viste. Continuò
a camminare avanti, spedita, i capelli lunghi che le sbattevano sulla
schiena.
“Emmie!”
la chiamò Hermione correndole dietro
insieme alle altre. “Emmie, cosa fai? Fermati!”
“Emmie!”
si aggiunse Ginny.
“Che
cosa ha tra le mani?” chiese Luna. Solo lei,
infatti, sembrò notare che la piccola Lupin reggeva qualcosa
tra le mani, un
oggetto incartato in carta di giornale.
“Emmie!”
chiamarono di nuovo Ginny ed Hermione in
coro. Adesso erano visibilmente preoccupate.
La rossa fece una corsa per raggiungerla, ormai a metà del
ponte, ma rimase
paralizzata sul posto a poca distanza dalla Tassorosso. Emmie aveva
mollato a
terra l’oggetto e, come se qualcuno avesse usato dei fili
attaccati alla sua
testa, si era sollevata in aria, con le braccia aperte e le gambe
penzoloni nel
vuoto. I capelli le fluttuavano attorno al viso diventato pallido, gli
occhi
erano spalancati.
Ginny,
Luna ed Hermione la guardavano dal basso,
spaventate e scioccate. Non sapevano che cosa fare, non avevano idea di
che
cosa potesse essere successo. Inoltre, un bel gruppetto di persone si
era
radunato in prossimità del ponte a guardare la scena,
increduli anche loro,
chiedendosi che razza di scherzo fosse quello.
Tra questi c’erano anche James, Jolie, Vicky, Charlie e Ted.
La
ragazzina, ancora sospesa in aria, aprì la bocca
e tirò un urlo con tutto il fiato che aveva in gola, un urlo
simile a quello di
un’arpia o di una sirena del Lago Nero. Un urlo stridente,
come il gesso sulla
lavagna, amplificato trenta volte, però. Qualcuno fu
costretto a tapparsi le
orecchie.
Infine, Emmie richiuse la bocca e cadde per terra come un frutto troppo
maturo
che precipita dall’albero.
“Emmie!”
gridò Ted, raggiungendo la sorella. Si
inginocchiò
nella neve e prese la piccola tra le braccia, scostandole i capelli
castani
dagli occhi. Tirò un sospiro di sollievo quando si accorse
che respirava
ancora, doveva solo essere svenuta. “Qualcuno chiami aiuto!
Chiamate un’insegnante!”
“Professori,
avete qualche idea di quello che
potrebbe essere successo?” chiese Madame Chips, prendendo il
termometro con cui
aveva misurato la temperatura ad Emmie. La piccola aveva qualche linea
di
febbre e la pressione leggermente bassa ma non sembrava mostrare altre
anomalie. Però, da quando era avvenuto quel fatto ad
Hogsmeade, non si era
ancora svegliata.
Quella
sera l’infermeria era affollata come non lo
era mai stata. C’erano quasi tutti, si poteva dire. Silente,
la McGranitt, i
ragazzi del futuro, Harry, Ron, Ginny, Luna, Hermione, Remus, Tonks,
Sirius e
James, questi due venuti solo per stare al fianco dell’amico.
Il preside voleva che restassero solo gli adulti, ma i ragazzi avevano
opposto
tutta la loro contrarietà e l’avevano guardato con
uno sguardo che non
ammetteva repliche. E se riuscivano a mettere in soggezione un grande
mago come
Silente, allora erano veramente bravi.
“Ragazze,
ci potreste raccontare di nuovo com’è
andata?” chiese la McGranitt, rivolta a Ginny, Luna ed
Hermione.
La rossa sbuffò. Era già la terza volta che
raccontavano l’accaduto. “Emmie era
andata in bagno e noi l’abbiamo aspettata fuori, vicino al
ponte. Poi è uscita
tenendo questo oggetto in mano. Noi l’abbiamo chiamata ma lei
sembrava non
vederci e non sentirci. Poi è successo quello che tutti
hanno visto. Si è
sollevata in aria e ha urlato”.
Al
termine del racconto di Ginny, Silente si mise a
camminare avanti e indietro per la stanza, con le mani dietro la
schiena e con
lo sguardo pensieroso. Il peggio sembrava essere passato, Emmie si
sarebbe
ripresa e l’oggetto, scopertosi essere una collana di perle,
era stato affidata
a Piton perché l’analizzasse.
“Avete
visto se per caso è entrato qualcuno in bagno
dopo di lei?” chiese ancora la McGranitt come un bravo
detective.
“Non
abbiamo posto molta attenzione a chi entrava”,
rispose Hermione. “Però non mi sembra di aver
notato nessuno”.
“Forse
qualcuno è entrato prima e le ha lanciato un
incantesimo”, ipotizzò Sirius, seduto su uno dei
lettini dell’infermeria che,
miracolosamente, era vuota quel giorno.
“Sì,
ma quale incantesimo è in grado di fare una
cosa del genere?”
“Potrebbe
essere stato quell’oggetto che aveva tra
le mani”, propose allora James. “Magari lo ha
trovato in bagno e lo ha preso”.
“Avrà
solo quattordici anni ma non è di certo
stupida!” lo rimbeccò Ted, seduto accanto alla
sorella che giaceva nel letto,
profondamente addormentata. “Sa che non deve prendere le cose
che trova in giro”.
James lo guardò con aria colpevole.
“Ted
ha ragione, sicuramente c’era un’altra persona
che glielo ha dato”, concordò JamesRemus, al che
Ted gli lanciò un’occhiata
grata.
“Inoltre,
si sarebbe accorta che nella collana c’era
della magia”, fece notare il licantropo.
“Senza
offesa, ma come fa una ragazzina di
quattordici anni a notare che c’è della magia in
una collana?” chiese Ron con
un’espressione palesemente tonta.
Ted
roteò gli occhi esasperato. “Con il fiuto,
ovvio”.
“Con
il fiuto?”
“Cose
da licantropi, lascia perdere”.
“Adesso
capisco perché voi ragazze siete solite
andare in bagno insieme”, commentò John ma nessuno
rise a quella battuta. Be’,
eccetto James e Sirius.
“Ma
chi potrebbe aver fatto una cosa del genere a
una quattordicenne? E perché?” Sembrava proprio
che Madame Chips non riuscisse
a concepire una cosa del genere, dal tono che aveva usato.
“E’
stata colpa sua, professore”. A parlare era
stato JamesRemus e aveva usato un tono estremamente calmo ma deciso,
come se
fosse assolutamente certo di quello che aveva detto. Silente si era
voltato
verso di lui, senza scomporsi, incontrando i suoi penetranti occhi
color
ghiaccio. Tutte quante le teste si spostarono verso i due.
“Se lei non avesse
detto a tutta la scuola che noi siamo qui per sconfiggere Voldemort
questo non
sarebbe successo”. Fece una pausa osservando come alcuni
rabbrividivano nel
sentir pronunciare quel nome. “Mi spiace dirglielo, ma i suoi
studenti non sono
tutti santi. Tra quelle file ci sono figli di Mangiamorte e alcuni di
loro
presto riceveranno il marchio. Sicuramente hanno spifferato qualcosa e
il
Signore Oscuro di certo non vorrà lasciarci andare in giro a
organizzare la sua
sconfitta”.
Dopo
quelle parole, nell’infermeria, calò un
profondo silenzio, un silenzio in cui la tensione poteva
tranquillamente
tagliarsi con una daga. Silente non disse niente, semplicemente
sollevò la
palandrana che indossava e si diresse al primo letto libero che
trovò.
“Non
posso darti torto, ragazzo”, soffiò sedendosi,
e la sua voce sembrava essere diventata improvvisamente più
vecchia di almeno
dieci anni. “Potremmo restare qui a ipotizzare mille e mille
motivi su quello
che è successo, ma credo che non giungeremo mai alla
verità. Vorrei solo che il
responsabile uscisse fuori. Cercheremo di scoprire il più
possibile su questo
mistero e nel frattempo, terremo gli occhi bene aperti”.
I
ragazzi del futuro si guardarono l’un l’altro
esasperati. Silente di certo era un grande mago, saggio per certi
aspetti. Ma a
volte era troppo buono e sì, persino ingenuo.
“E
se la collana non fosse stata per Emmie? E se era
per Harry?” chiese Ron con gli occhi sbrilluccicanti.
Probabilmente credeva di
aver appena avuto un colpo di genio.
“Per
Harry?” ripeté Hermione.
“Voldemort
lo vuole morto, dopotutto”.
“Non
credi che in tal caso noi lo sapremmo?” gli
fece notare Ariel.
“E
in ogni caso non credo che Voldemort mi
ucciderebbe in questo modo”, aggiunse Harry. “Lui
vuole uccidermi con le sue
mani”.
Ron dovette rassegnarsi, rendendosi conto che i suoi amici avevano
ragione. Si ritirò
in un angolo e decise di restarsene zitto.
“E’
più probabile che la collana fosse diretta a me”,
si intromise, allora, il Professor Silente.
“A
lei?!” esclamò Il Ragazzo che è
Sopravvissuto.
“Certo.
Non credo che Voldemort si lascerebbe
intimorire da dei semplici ragazzini. Mentre io… io sono
quello che lo spaventa
di più. E’ chiaro che desidera la mia
dipartita”.
Nessuno
trovò niente da obiettare neanche a questo.
“Stiamo
tutti dando per scontato che sia stato
Voldemort a fare questo a Emmie”, disse ad un tratto Luna,
guardando tutti i
presenti coi suoi brillanti occhi azzurri, senza lasciarsi intimorire.
“Ma
forse qualcun altro ha preso l’iniziativa, forse uno studente
di questa scuola.
O potrebbe essere stato un banale incidente, terrificante, ma banale
incidente”.
L’ipotesi della Corvonero era piuttosto semplice e forse
persino poco probabile,
ma aveva senso.
Il fatto era che stavano navigando senza un minimo di vento; non
avevano idea
di cosa potesse essere successo, le ipotesi erano tante, proprio come
aveva
detto Silente. Lo avrebbero scoperto soltanto quando Emmie si fosse
svegliata. Almeno
lo speravano.
“Ora
andrò dal Professor Piton a chiedere se ha
scoperto qualcosa sulla collana”, concluse il preside,
dirigendosi all’uscita. “E
a cena diremo agli studenti quello che è successo. Speriamo
non ricapiti più. Voi
potete tornare nei vostri dormitori, Madame Chips vi farà
sapere se ci sono
novità sulla signorina Lupin”.
“Professore!”
lo richiamò Teddy. “Io posso restare?”
“Ma
certo”, concesse Silente con un sorriso.
E
naturalmente anche Tonks e Remus sarebbero rimasti
con lui, fino a che Emmie non si fosse svegliata.
“Ted?”
chiamò JamesRemus, prima di seguire gli altri
fuori dall’infermeria. “Vuoi che rimanga con
te?”
L’amico
gli sorrise
teneramente, ma scrollò il capo in un cenno di diniego.
“No, non serve, grazie”.
MILLY’S
SPACE
Da
quant’è che non aggiorno questa fanfic?
Da molto, troppo tempo, lo so. Non starò qui a propinarvi le
solite scuse,
spero solo che non ce l’abbiate troppo con me *qualcuno dalla
platea le lancia
un pomodoro*. Ok, come non detto ^^.
Allora,
sicuramente quello che è successo a Emmie ve lo
ricorderete dal sesto libro. Solo che in quel caso la vittima era stata
Katie,
se non sbaglio. Be’, io ho voluto cambiare
^^. Non mi ricordo però se l’oggetto
fosse una collana, ma va be’.
Credo
di aver sfasato un po’ la figura di Silente in
questo capitolo, ma il fatto è che a me non è mai
piaciuto, soprattutto negli
ultimi libri, mi ha parecchio dato sui nervi. I’m sorry, ma
è così, non posso
farci niente.
Spero
mi lasciate qualche recensioni, anche per dirmi che
mi odiate per aver tardato così tanto
nell’aggiornamento : ) e non
dimenticatevi di fare visitina alla mia pagina facebook
(https://www.facebook.com/MillysSpace),
anche
perché ho in corso parecchie altre fanfic, così
magari vi tenete aggiornati ^^
Un
bacione grande grande,
Milly.
FEDE15498:
ahaha l’autrice sembra essere scomparsa lo stesso ^^ mi
dispiace averti fatto
aspettare così tanto, spero tu non ce l’abbia
troppo con me. Però penso che
questo sia un capitolo abbastanza emozionante, quindi mi sto rifacendo
un po’ :
D Charlie tranquillo? Be’, vedremo, vedremo… ne
devono ancora succedere di
cose. Fammi sapere cosa ne pensi di questo capitolo, sempre se ancora
ti
ricordi della storia : )
Bacioni,
M.