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Autore: Lisaralin    15/06/2013    4 recensioni
Un bambino che porta il nome di un grande poeta della sua terra, pallido ricordo di un passato spazzato via dall'orrore della guerra e dalla follia degli uomini. Un bambino speciale. I suoi poteri, come per tutti i Cavalieri del Cancro, sono legati alla Morte; e la Morte regna incontrastata attorno a lui. Il suo scopo pero' e' uno solo: sopravvivere.
[Saint Seiya Omega - Schiller del Cancro]
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Cancer DeathMask
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Schiller del Cancro non ha ricevuto un buon trattamento in Saint Seiya Omega: compare per due misere puntate ed e' il primo dei nuovi Gold Saint a morire. Tuttavia, a me questo personaggio piace. Oltre ad avere un character design estremamente figo (XD), ha anche una storia che secondo me offriva degli spunti interessanti (la guerra, il passato traumatico..), se non che purtroppo sono stati sfruttati malissimo dai creatori della serie. Insomma, un vero spreco di quello che poteva diventare un bel personaggio!
Fantasticando sul suo nome (Schiller, il celebre poeta tedesco...), sul pochissimo che sappiamo del suo passato e sulle caratteristiche dei Cavalieri del Cancro... e' venuto fuori questo. Tre brevi capitoletti, tre episodi in cui ho cercato di immaginare la sua infanzia e come e' venuto a conoscenza dei Saint e del Santuario.
Buona lettura!

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Il profumo della Morte




"[La natura] ci diede in dono l'inventiva
e ci depose miseri e nudi sulla riva di questo grande oceano del mondo -
Nuoti chi sa nuotare e chi e' troppo impacciato vada a fondo!
A me non diede nulla; e quel che voglio fare di me stesso riguarda ora solamente me."

(Friedrich Schiller, I Masnadieri).




Capitolo 1


Berlino, dicembre 1944



Appiattito contro il muro ruvido e freddo del cortile esterno, Schiller aspettava.
Il suo respiro si condensava in soffici nuvolette di vapore, e i pochi stracci che indossava, logori e troppo larghi per il suo corpicino smunto, non lo proteggevano in alcun modo dal freddo della notte invernale. Si strinse le braccia intorno al corpo, muovendo i piedi su e giù per non finire congelato.
Doveva tenere duro. Un'occasione del genere non sarebbe ricapitata. Una rara notte di quiete, in cui il cielo terso era solcato solo dalle scie delle stelle e non dal rombo terrificante degli aerei che venivano a vomitare fuoco e morte sulla città.
Il piano era semplice. Una volta fuori dalle mura dell'orfanotrofio avrebbe cercato l'accesso più vicino alla metropolitana e si sarebbe nascosto lì. Aveva sentito dire dagli istitutori che le linee sotterranee ormai non funzionavano quasi più, paralizzate dai continui bombardamenti, e che centinaia di persone avevano trovato riparo nelle stazioni sotterranee. Nei tunnel sarebbe stato al sicuro dal freddo e dalle bombe, e per mangiare poteva andare a caccia di ratti. Non dovevano essere più difficili da catturare degli uccellini che acchiappava sul tetto dell'orfanotrofio, quando i pasti miseri e scadenti che riceveva lo lasciavano con lo stomaco ancora dolorante per la fame.
Acchiapparli gli riusciva facile perché lui poteva sentirli. Non nel senso che udiva i rumori che facevano muovendosi; non sapeva bene come spiegarlo. Semplicemente, se si concentrava abbastanza, poteva capire in ogni momento dove si trovassero. E non solo gli uccelli e i piccoli animali; con le persone funzionava ancora meglio. Era come se ogni creatura vivente avesse in sé una piccola parte di energia, e lui quell'energia riusciva a percepirla. Ci aveva messo un po' a capire che gli altri bambini non ne erano capaci.
Anche in quel momento li sentiva: i due guardiani, il brutale Georg e il viscido Hans, troppo vecchi per andare al fronte, che pattugliavano il cortile come ogni notte. Schiller si appiattì ancora di più contro il muro, aspettando che entrambi fossero sufficientemente lontani. Quando sentì la loro energia farsi più distante si staccò dal muro come una saetta e raggiunse l'imponente cancello di ferro. Era talmente magro che passò senza sforzo tra le sbarre, e presto l'orfanotrofio fu solo un'ombra scura alle sue spalle.
Correndo da solo per le strade ghiacciate della città, per la prima volta da quando lo avevano portato a Berlino Schiller riuscì, almeno per un attimo, a sorridere.



Aveva sette anni quel giorno.
Diversamente da altri compagni della sua età, Schiller non era arrivato all'orfanotrofio da piccolo. Non era un figlio non voluto, abbandonato da neonato alla carità delle istituzioni. Lui i suoi genitori li ricordava. Ricordava la bella casa ai margini del bosco in cui avevano abitato tutti insieme prima che il padre partisse per la guerra. Ricordava le torte di mirtilli della mamma e le corse a perdifiato sulle rive del lago insieme all'adorato cane Fritz. Lo ricordava, anche se sembrava appartenere a un'altra vita.
Soprattutto, ricordava una mattina d'estate limpida e serena, quando l'erba del giardino era stata imbrattata dalle orme di decine di soldati che avevano fatto irruzione sfondando la porta e si erano portati via la mamma. Fritz, il fedele Fritz, aveva abbaiato e morso la caviglia di uno di loro prima di cadere con un guaito raccapricciante, abbattuto da un colpo di pistola.
Anche la mamma aveva urlato e si era ribellata, ma smise di lottare quando un soldato gridò con la sua vociaccia cattiva che il papà era stato fucilato.
Fucilato.
Schiller all'epoca non conosceva bene il significato di quella parola, ma dalle lacrime della mamma aveva capito subito che non lo avrebbe più rivisto.
I soldati la trascinarono via semi svenuta, senza nemmeno lasciarle il tempo di mettersi qualcosa sopra la camicia da notte, e lui fu spedito all'orfanotrofio, lontano dalla casa al limitare del bosco, nella città grigia e piena di macerie.
Non rivide più nemmeno la mamma. Nessuno le disse cosa ne era stato di lei, e Schiller aveva troppa paura per chiedere agli istitutori cosa volesse dire “fucilare”. Ma doveva essere qualcosa di orribile, di brutto e sbagliato come l'erba tinta di rosso dal sangue di Fritz.
Anche l'orfanotrofio era brutto e sbagliato. Il cibo era disgustoso e sempre razionato; dopotutto, ripetevano gli istitutori, che diritto avevano degli stupidi bambini di mangiare quando i coraggiosi soldati del Reich pativano la fame al fronte per la gloria della nazione? Con il gas che non arrivava più il freddo ti divorava fin nelle ossa, ma niente era peggio di quando suonavano le sirene. Niente era peggio delle notti passate raggomitolati nelle cantine con le mani premute sulle orecchie, piangendo in silenzio e sobbalzando a ogni boato, mentre in cielo si scatenava l'inferno e la terra tremava come scossa dalle mani di un gigante.
E se la vita dietro quelle mura grigie era dura per tutti, per lui lo era in modo particolare.
Gli altri bambini lo evitavano, nessuno parlava con lui. Era sempre escluso dai giochi. Ogni tanto qualche nuovo arrivato provava a fare amicizia, ma subito accorrevano i più grandi a sentenziare con disprezzo: “è figlio di traditori”, e Schiller rimaneva di nuovo solo.
Traditori. Un'altra parola che non conosceva.
I suoi genitori erano traditori.
Doveva essere anche quella una cosa brutta e sbagliata, perché gli istitutori lo picchiavano sempre. Molto di più che gli altri bambini, sicuramente. Se succedeva qualcosa e non saltava fuori un colpevole, era sempre con lui che se la prendevano. Una volta li aveva sentiti parlare, mentre giaceva con la faccia contro il pavimento, dolorante per le botte ricevute:
“E dire che suo padre aveva davanti una carriera promettente nell'esercito. E invece è andato a invischiarsi nel complotto di quel criminale di Von Stauffenberg.”
“Ha avuto quel che meritava per aver tentato di assassinare il nostro Führer.”
Allora aveva capito cosa voleva dire “traditori”. Voleva dire che era colpa loro. Avevano sbagliato, e lui ne pagava le conseguenze. Lo avevano abbandonato.
Era solo. Nessuno sarebbe venuto a tirarlo fuori da quella prigione grigia.
Nessuno.
Fu in quel momento che decise di fuggire.

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Nota: Claus Schenk von Stauffenberg (1907-1944) fu l'ufficiale tedesco ideatore e principale autore del famoso attentato contro Hitler. Venne fucilato come traditore insieme ai suoi complici dopo il fallimento dell'attentato.
  
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