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Autore: D_Cocca    15/06/2013    1 recensioni
Lenn, ultimo discendente di un Clan sanguinario caduto in rovina, lascia per la prima volta la sua casa per compiere una missione: uccidere la prima persona che incontrerà sul suo cammino, un servitore della Luce, per provare così la sua fedeltà alla Famiglia. Ma la prima persona che incontra è Jao, un giovane Stregone come lui che non ha la minima intenzione di farsi ammazzare e che vede della Luce anche nel cuore divorato dalle Tenebre di Lenn.
Lo Stregone Oscuro decide di scappare e liberarsi dalla morsa di ferro del suo Maestro seguendo Jao. Insieme ad altri ragazzi, i due intraprenderanno un viaggio per raggiungere il luogo in cui si terrà un Torneo per Stregoni, il cui vincitore verrà nominato re degli Umani e degli Elfi e verrà incaricato di portare la pace fra le due razze in conflitto da secoli. Ma Lenn sarà abbastanza forte per superare tutti gli ostacoli lungo il cammino? Sconfiggerà l'Oscurità e i demoni del passato che crede di essersi lasciato alle spalle?
Riuscirà a mantenere la sua anima integra, o questa finirà in mille pezzi?
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Nuovo aggiornamento [Capitolo 12 - Cuore di Drago (Parte II)]
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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[Eccomi qua, mi scuso per il ritardo, ma per colpa della scuola non sono più riuscita a scrivere. Invece, adesso che è finita, potrò dedicarmi un po' di più alla scrittura, si spera! Nel frattempo, ecco la seconda parte del capitolo 11! Finalmente c'è di nuovo un po' di azione e incontri magici, cosa che mancava da svariati capitoli!
Spero che il capitolo piaccia e non si noti tanto il fatto che sono un po' arrugginita.
Buona lettura!]

Capitolo 11
Pietra e sabbia
Parte II





Una, due, tre picconate. Pausa. E ancora una, due, tre picconate. Spostamento dei detriti con un calcio. E di nuovo una, due, tre picconate.
Quel ritmo era deleterio e ripetitivo. Da quant'era che era lì a spezzarsi la schiena? Otto, nove ore?
Non sentiva più battere il sole sulla schiena, quindi doveva mancare poco al tramonto. Ormai il tempo non aveva più importanza, aveva acquistato una certa relatività, quindi quello era l'unico modo per poter farsi un'idea e capire quanto tempo mancava alla fine di quello strazio.
Il mezzelfo, all'ennesima terna di picconate, si mise ritto con la schiena e si guardò attorno.
L'ambiente non era dei più felici. I suoi compagni di lavoro, subito accanto a lui, erano semi-sconosciuti che però avevano le braccia e il viso sporchi di polvere come lui, graffiati da capo a piedi dalle scaglie di pietra che schizzavano ad ogni picconata data con troppa forza, o con troppa rabbia e frustrazione.
Davanti a ognuno stava una pila di rocce e detriti che si accumulavano di minuto in minuto, mentre i blocchi di pietra che avevano davanti prendevano sempre più la forma di un blocco cubico di pietra che sarebbe diventato poi una nuova abitazione.
Il ragazzo accanto a Lenn che stava spalando i detriti fuori dalla sua postazione incontrò lo sguardo del mezzelfo e disse: - Torna a lavorare, Lenn. Altrimenti ti detraggono di nuovo i soldi dalla paga come l'altro ieri. -
Lenn a quelle parole storse la bocca, ripensando all'episodio di appena due giorni prima. - Pff, che lo facciano! Non sono lo schiavo di nessuno, io. -
- Non vuoi riportare a casa la pagnotta? -
- Siamo in cinque a lavorare a casa mia. Me lo posso permettere, no? -
Il ragazzo accanto a Lenn a quel punto scosse la testa per togliersi il ciuffo di capelli castani sporchi e impolverati dal viso, poi sbuffò. - Fai come ti pare. - disse.
- Certo che lo farò. Mi rimetterò a lavorare quando ne avrò voglia. - ribatté il mezzelfo.
Detto questo, Lenn si voltò e rivolse lo sguardo verso l'alto, a guardare il lucernario che stava sopra le teste di tutti. Da lì non poteva più vedere il sole, anzi, il cielo sembrava che si stesse colorando di rosa. Il tramonto era davvero vicino, come aveva pensato.
Si diede ancora un'occhiata attorno. Nessuna Guardia in giro. Solo tanti poveretti che andavano giù di piccone senza sosta. Un uomo di mezz'età spingeva a fatica un carretto pieno di pietre e detriti ormai inservibili.
- Tsk, estensione della città. - borbottò il mezzelfo. Riprese il piccone che aveva abbandonato momentaneamente per terra, impugnò l'attrezzo con entrambe le mani, tirò indietro le braccia per darsi la spinta e infine fece calare il suo colpo sul blocco di pietra che stava scavando.
Al colpo, una scaglia di pietra rimbalzò per terra e colpì Lenn dritto sotto l'occhio sinistro.
- Merda. - sibilò il ragazzo.
Doveva stare più attento o c'era il rischio di perdere un occhio. Era già stato fortunato quella volta che gli era calata la spada di Maimed dritta in viso, era meglio non forzare la fortuna più del dovuto.
- Dèi, mi sto incazzando davvero. Aiutatemi voi o qui faccio un macello. -
Il mezzelfo sbuffò, ma questa volta lo fece per trarre poi un respiro profondo e tornare a lavorare. Questa volta il piccone scese con decisione, ma con meno forza.
Ormai sapeva come lavorare bene, doveva solo dosare le forze. Dopotutto, non era così duro di comprendonio; un mese gli era bastato e avanzato per capire come usare un piccone o un badile senza cavare un occhio a qualcuno.
Un rivolo di magia azzurra andò a guarire il taglio sotto l'occhio del ragazzo.
Odio questo lavoro.” pensò per la milionesima volta.
Non era mai stato quel tipo di persona che si lamentava ogni minuto per qualcosa, ma quel compito ingrato che le Guardie chiamavano estensione della città non gli andava giù nemmeno di traverso. Quando aveva ricevuto la lettera di reclutamento, un mese prima, non si sarebbe mai aspettato di finire a fare lo schiavo ai margini del Distretto Est. Oltre che a lavorare dall'alba fino al tramonto, era sorvegliato costantemente dalla Guardia di turno, e le pause concessegli erano davvero poche.
Ogni Guardia, poi, era della razza opposta ai suoi sorvegliati, cosicché ci sarebbero stati meno sconti per tutti, senza favoreggiamento di razza.
Lenn si voltò e andò a cercare con lo sguardo la Guardia elfica che era stata assegnata a lui e ai suoi dieci compagni Umani.
L'Elfo dai capelli rossi e ricci li osservava con astio, ma solo quando non gli calava la palpebra per la stanchezza. A quell'ora diventava impossibile lavorare per tutti, Uomini e Elfi, Guardie e picconatori.
Ma quando suona 'sta campana?!", pensò il mezzelfo, sempre più irritato.
Il tempo di pensarlo, e nell'aria si diffuse finalmente il rintoccare di una campanella, poco distante da lì.
Tutt'attorno s'alzò un collettivo gemito di sollievo.
Lenn buttò il piccone a terra con disprezzo e si guardò le mani. Odiava le vesciche. Usò la magia per guarirle, tuttavia si tenne i calli; non voleva tornare a lavorare con le mani illese e sentire di nuovo dolore, come se non fossero mai state abituate a quel tipo di sforzo.
Si spolverò i pantaloni, per quel poco che potesse servire, e si incamminò verso il bancone dei pagamenti.
- Lenn! - lo chiamò una voce.
Lenn si voltò alla sua destra, e tra la folla di uomini stanchi e sporchi, simili a spettri, sbucò Harù, che gli veniva incontro.
- Ah, sei riuscito a finire in tempo? - domandò il mezzelfo.
- Sì, un quarto d'ora fa. Non mi hanno fatto fare un altro viaggio perché non ce ne sarebbe stato il tempo. -
- Meno male, ci mancava solo quello! -
- E a te com'è andata? Ti vedo tranquillo. -
- Beh, non sono stato richiamato. Però ammetto che mi stavano per saltare i nervi, la campana non suonava mai. -
- In questo periodo il sole tramonta sempre più tardi. Ti saltano i nervi perché effettivamente stai lavorando più del dovuto! -
Lenn storse la bocca, poco rinfrancato dal fatto di aver ragione. - E tu come stai? -
Harù scrollò le spalle. - Come al solito. I detriti sono sempre tanti e i carretti sono sempre pesanti da spingere. Oggi però la Guardia mi ha detto che mi sarebbe stata data una Stage in più, perché ho fatto quasi il doppio dei viaggi rispetto agli altri. -
- Sei una montagna, amico. Non ti smuove nessuno e sei perenne. - disse Lenn, dando una pacca sulla spalla all'Orso.
- Ehi, grazie. - rispose lui, quasi imbarazzato.
Lenn rispose con un sorriso. Non dispensava complimenti a chiunque, ma Harù era un compagno degno di rispetto e non esitava a mostrargli quanto lo ammirasse. Ormai si sentiva in grado di dimostrare la sua stima con una certa naturalezza, stava lavorando molto sul mostrare e esplicitare a parole ciò che pensava della gente.
Arrivati alla fine della recinzione che separava la zona degli scavi dal Distretto Est, i dure ragazzi si misero a fare la fila per raggiungere il bancone vicino all'uscita.
Una volta arrivati lì, Harù salutò l'Elfo seduto al bancone, ma quest'ultimo ricambiò solo con un nervoso cenno del capo.
- Orso, mi è arrivata un messaggio dal lago. Mi hanno detto che oggi hai lavorato bene e hanno chiesto di darti una Stage di bronzo in più. -
- In effetti sì, mi avevano detto che l'avrebbero fatto. -
L'Elfo annuì, porgendo al ragazzo un pugno di monete. - Tieni, te lo sei meritato. A dopodomani. -
- A dopodomani. - rispose il moro, e poi uscì dal cancello, fermandosi appena fuori per aspettare Lenn.
Arrivato il turno del mezzelfo, l'Elfo fece roteare gli occhi color miele, infastidito. - Lenn. Per te due Stagi di bronzo in meno, oggi. -
Lenn inarcò un sopracciglio, incredulo, per poi sbottare: - Cosa? Perché?! -
- Oh, cosa importa, ne fai sempre una! Stamattina Zedou mi ha detto che sei arrivato con un'ora di ritardo. -
- Cosa?! Non è vero! Sono arrivato qui con Harù, e siamo stati puntuali! -
L'Elfo sospirò. - Non so cosa dirti. Lui mi ha riferito così. -
- Zedou ce l'ha con me e lo sai! Dai, almeno oggi dammi la mia paga normale. -
- Zedou non lo posso contestare, è di grado superiore al mio. -
Lenn digrignò i denti e si lasciò scappare un ringhio.
- Dai, andrà meglio la prossima settimana. Intanto riposati stasera e domani. -
Detto questo, l'Elfo scrisse qualcosa sulla pergamena che aveva davanti, poi porse le Stagi a Lenn.
Lenn raccolse dal bancone le monete. Le esaminò dal palmo della sua mano, poi corrugò la fronte e guardò l'Elfo. - Fritz, sai che ti dico? Vaffanculo, a te e a Zedou. -
L'Elfo si limitò a sospirare di nuovo, mentre il mezzelfo passava oltre e usciva dal cancello. - A dopodomani, allora! - disse, ma Lenn non si degnò di rispondergli.
Harù tentò di placare il fastidio dell'amico con un sorriso, ma non ci riuscì poi tanto. - Dai, andrà meglio la prossima volta. Puoi sempre richiedere di cambiare area, se quel Zedou ti ha preso di mira. Potresti andare nel Distretto Sud. -
- No, lì non ci vado, è una merda. - rispose il mezzelfo. Se fosse stato un gatto, in quel momento avrebbe avuto tutto il pelo ritto. - Ma poi non voglio farmi cambiare area, sul serio. Sono adulto, ce la faccio a sopportare un bulletto come quello. Però mi infastidisce. -
- Beh, però lo incontri sei giorni su sette. Forse è un po' troppo, potresti farti allontanare per un po'. - suggerì l'Orso.
- No. Sono stato assegnato a quest'area e qui rimango. E poi chissà, uno di questi giorni quel maledetto Elfo potrebbe avere un incidente. Io non vorrei perdermelo. -
- Lenn, perfavore, niente violenza. Non farti espellere per una cazzata simile. -
Lenn sbuffò. - Non mi faccio espellere, non ti preoccupare. Ho troppe cose importanti da fare, tipo partecipare a questo fottuto Torneo che non comincia mai! -
- E' perché la gente continua ad arrivare. Ma di qui a un mese chiuderanno le iscrizioni, e forse finalmente cominceranno anche a estrarre la gente per i primi turni. Anzi, potrebbero anche cominciare prima. Questo mese, durante tutti i viaggi che ho fatto da qui fino al lago, ho visto sempre meno gente arrivare con i Kelpie. Noi facevamo parte dell'ultima vera ondata di gente. -
Lenn annuì. Sbuffò ancora un paio di volte mentre camminava per le strade del Distretto, però non si lamentò più.
Le strade si facevano sempre meno affollate, seguendo il ritmo lento del sole che continuava a calare. Questo distendeva un po' i nervi del mezzelfo. La calca continuava a metterlo a disagio come sempre.
I bambini venivano richiamati dai genitori perché era ora di cena, e di fronte all'autorità delle mamme erano tutti costretti a mettere via i palloni e le pietre colorate.
Mentre la luce esterna diminuiva si accendevano i fuochi dei camini, e il riverbero delle fiamme fuoriusciva dalle finestre prive di tende o persiane a illuminare la strada.
- E' quasi ora di cena! - disse Harù allegramente. - Chissà cos'avrà cucinato Annah stasera. -
Lenn sorrise. - Qualcosa di buono, di sicuro. Detesta fare la casalinga, però è brava a far tutto. -
- Convengo! Dài, siamo quasi a casa. -
Lenn aguzzò la vista e riconobbe la loro casa, appena visibile mentre percorrevano quella via leggermente ricurva. Le abitazioni di legno alla loro sinistra erano alte e oscuravano le piccole case di pietra alla destra della strada, infatti quest'ultime irradiavano già dalle finestre la luce dei camini e di tutte le lampade ad olio disponibili, per non finire completamente al buio.
Il mezzelfo ormai si era abituato a percorrere quella via avanti e indietro, sei giorni su sette, per andare e tornare dal lavoro, ma trovava ancora strano avere una dimora fissa.
Aveva passato così tanto tempo a fare il pellegrino che si sentiva quasi a disagio nel poltrire in un unico posto. Allo stesso tempo, però, se ne sentiva confortato; l'idea di avere una casa a cui tornare sempre e comunque gli dava un forte senso di sicurezza, quella che non aveva avuto per un anno intero passato a viaggiare senza sosta. A dir la verità, quel senso di calore che provava ogni volta che pensava al blocco 365 non l'aveva provato nemmeno prima del suo viaggio, quando viveva con lo zio. Forse perché non era l'idea delle quattro mura a scaldargli il cuore, ma il confortevole affetto che vi ci poteva trovare all'interno. Ogni sera poteva ritrovarsi e stare tranquillamente con le persone che gli volevano bene, e a cui lui ne voleva. Quella certezza, anche se semplice e modesta, lo faceva stare bene. Forse era quella, la felicità.
Arrivati davanti alla casa, Harù bussò alla porta. Qualcuno dall'interno aprì e l'Orso entrò.
- Ciao! - disse il ragazzo dagli occhi azzurri.
Lenn lo seguì dicendo: - Ci siete già tutti? -
Il mezzelfo sbatté un paio di volte le palpebre per abituarsi alla luce confortevole di quel posto. L'aria era pregna di odori invitanti, spezie e carne arrosto, e il calore dell'ambiente scioglieva i muscoli irrigiditi dal freddo della sera.
Lenn si guardò attorno e vide che la tavola al centro della stanza era già apparecchiata. Il cibo non c'era ancora, ma Annah sembrava aver quasi finito di cuocere la carne, dal modo in cui armeggiava intorno alla pentola sospesa sul fuoco del camino. Là, nel suo angolo cottura, andava avanti e indietro tra il camino e i ripiani con le spezie. Aveva le guance e la fronte arrossate dal calore e un po' sudaticce, ma per Lenn era bella come sempre.
Mentre Rizo era già seduto a tavola ad aspettare che la cena fosse pronta, Chad era spaparanzato sulla sua poltrona di vimini, alla destra della porta d'ingresso, in fondo alla stanza.
Jao venne incontro al mezzelfo. - Sì, ci siamo già tutti. - disse sorridente.
- Com'è andata al lavoro? - domandò Chad dall'altra parte della stanza.
- Oh, benissimo! - rispose Harù, - Oggi mi hanno perfino dato una Stage di bronzo in più! -
- Di sicuro te la sei meritata! - rispose Jao. - E tu, Lenn? Cifra intera? -
Il mezzelfo sbuffò. - No. - rispose, imbronciato. - Tre Stagi d'argento e solo tre di bronzo. -
Jao scosse la testa. - Non è giusto che ti decurtino lo stipendio tutte queste volte. -
- E' quello che dico anch'io! Se solo quello...! -
- Lo sappiamo, Lenn! Stai tranquillo e goditi la serata, domani Zedou non lo vedi nemmeno. - intervenne Harù.
Lenn ricacciò indietro gli insulti che stava per sputare. - Va bene. Sono calmo. -
Harù sorrise gentilmente. - Bene. - disse, per poi andarsi a sedere anche lui a tavola.
- Ah, Lenn! - esclamò tutt'a un tratto Jao, come se si fosse appena svegliato di colpo da un sonnellino. - Ho una cosa per te. -
Detto questo, la Tigre andò verso il tavolo e prese una lettera sigillata che era appoggiata lì. La porse al mezzelfo.
- Oggi, al lavoro, mentre consegnavo le missive m'è capitata anche questa tra le mani. E' indirizzata a te. -
Lenn gli rivolse un'occhiata interrogativa, ma il castano non aggiunse altro. Prese dalle sue mani la lettera sigillata e la esaminò da vicino. Non era una lettera dai suoi cari fuori Malias, non ne aveva di persone che potessero scrivergli. Infatti il sigillo rosso di ceralacca aveva il marchio ormai ben conosciuto della Città di Pietra, la spada che trafiggeva il sole.
Forse sapeva perché gli avevano inviato quel messaggio, tuttavia non espresse giudizi ad alta voce e si limitò a rompere il sigillo e srotolare la pergamena.
Poche righe da leggere velocemente, ma tante ne bastavano.
Il suo viso s'accese con un sorriso soddisfatto. - Finalmente! - esclamò.
Jao gli si appese alla spalla e sbirciò il foglio, curioso. - E' quello che penso che sia? -
- E' la lettera? - domandò Annah, lasciando perdere per un attimo l'arrosto.
Lenn la guardò e annuì. - Sì. Sono stato estratto per il primo turno del Torneo! -
- Hanno già iniziato gli incontri? - domandò stupito Chad.
- A quanto pare sì... Io e Lenn ne parlavamo giusto oggi. Si vede che ormai c'è poca gente che arriva in città e hanno deciso di portarsi avanti col lavoro facendo già disputare gli incontri del primo turno. Ci sono così tanti partecipanti che la sfoltita era d'obbligo e da fare il più presto possibile. - disse Harù.
- E fra quanto dovresti presentarti? - domandò Rizo al mezzelfo.
- Fra tre giorni. - rispose Lenn. - E da adesso fino al giorno dell'incontro posso riposare e allenarmi, evitando di andare al lavoro. Devo solo portare questa lettera come prova alla Guardia a capo della mia area di scavo. -
- Posso portarla io al posto tuo, quando torno al lavoro. Tu stai qui e riposati, va bene? - s'offrì Harù.
- Grazie. - rispose il mezzelfo. La giornata non era stata delle migliori, ma ora si era un po' risollevata. E la prospettiva dei tre giorni di riposo lo rinfrancava, finalmente avrebbe potuto far riposare un po' la schiena e si sarebbe potuto allenare in modo decente per non arrivare al giorno dell'incontro completamente fuori forma.
- Ragazzi, la cena sarebbe pronta e si starebbe freddando, eh. - intervenne ad un certo punto Annah, richiamando la loro attenzione.
- Hai ragione Annah, scusa. - disse Lenn. Ripiegò la pergamena e si andò a sedere a tavola.
- Si mangia! - esclamò entusiasta Harù.
Si sedettero uno ad uno a tavola, ai loro soliti posti. Annah posò al centro della tavola la carne e ognuno si servì. La luce delle lanterne, il calore del fuoco nel caminetto, l'odore del cibo appena cotto, la presenza dei suoi amici. Lenn si sentiva tranquillo e sereno, e presto sarebbe tornato a fare ciò che gli veniva meglio: combattere. Se lo ripeté con ancora più convinzione: forse era quella, la felicità.


Lenn era avvolto dall'oscurità, in attesa. Qualcuno avrebbe potuto dire il contrario, ma non era teso. Il buio lo rasserenava più di ogni altra cosa, gli dava un senso di quiete che ormai non provava quasi mai.
Mentre il suo sguardo vagava a vuoto in quella notte artificiale, non poteva fare a meno di pensare a milioni di cose tutte assieme.
Tanto per cominciare, non si capacitava di come alcune persone temessero il buio. Ci stava pensando perché quando le porte dietro di lui si erano chiuse aveva provato pace, mentre i suoi amici l'avevano salutato e gli avevano augurato buona fortuna di fretta, per poi brancolare per qualche secondo nel buio, inciampando sui loro stessi piedi, e salire le scale che portavano gli spalti, ritrovandosi di nuovo avvolti dalla luce.
Non c'era bisogno di avere paura del buio. Era da lì che tutti provenivano, no? E' lo stato primordiale di ogni essere vivente, galleggiare in un caldo liquido per alcuni mesi, con gli occhi chiusi ma già sognanti, in un piccolo universo che di luce non ne ha. Siamo tutti figli del buio. E poi veniamo catapultati in un nuovo mondo, dove invece la luce è ovunque ed è irradiata da ogni cosa. Un posto in cui tutto è chiaro, ed è facile individuare le minacce anche se sono alle nostre spalle, perché ne vediamo l'ombra con la coda dell'occhio. L'ombra che è presagio di un buio diverso da quello da cui siamo venuti, ma a cui tutti arriveremo, un giorno. Ma dopo aver provato il gusto della Luce, nessuno vuole tornare sui suoi passi.
Perché?” si chiese il mezzelfo. Non capiva. A lui piaceva il buio, perché agli altri no? Perché nel buio non si vede nulla? Perché ricorda troppo la morte?
Forse lui non temeva niente di tutto ciò perché non era nato come tutti gli altri. Lui, appena dopo essere venuto al mondo, era stato relegato tra le tenebre. Aveva avuto un assaggio della luce del sole, ma poi ne era stato allontanato per così tanto tempo che non aveva avuto problemi a dimenticarla. E così era stato un po' come se non fosse mai nato fino ad un anno a quella parte. E non temeva la morte perché, come un bambino piccolo, non si rendeva ancora conto di quanto fosse grande, minacciosa e incombente sulla sua testa.
Si sforzava, ma non ce la faceva ad averne paura. Ecco, lo spaventavano molto di più le persone sedute sugli spalti, a pochi metri da dove si trovava lui, nel mondo esterno. Erano tante, erano urlanti, e non erano come lui. Loro erano tutte figlie della luce, mentre lui proveniva da un altro mondo. Aspettavano che uscisse dal suo rifugio e si facesse vedere, per poi combattere fino allo stremo delle forze con uno sconosciuto per vincere e avere una possibilità in più per diventare re.
Quello lo sapeva fare: combattere con tutte le sue forse, fino a morire.
Al momento era quello che il mondo gli chiedeva di fare, e quello per fortuna o per destino era proprio ciò che lui aveva da offrire; il suo corpo, la sua anima la sua mente, tutte concentrate su un unico fine: combattere o morire.
Lui provava a mostrare lati diversi di sé al mondo, ma alla fine quest'ultimo continuava a chiedergli sempre e solo una cosa. Sembrava che la luce volesse evitare di illuminare il suo corpo vivo a tutti i costi, perché continuava a chiedergli sangue. Sangue e sacrifici.
Aveva già dato tanto, quanto ancora gli sarebbe stato chiesto? A cos'altro avrebbe dovuto rinunciare? Morto lo era già stato, cosa doveva fare di più?
Non lo sapeva. Non sapeva un accidente. Però in quel momento doveva combattere, e l'avrebbe fatto con tutte le sue forze, perché era ciò per cui era nato.
Le porte davanti a lui si dischiuderono, e fremette. Portò la mano all'elsa della katana per tranquillizzarsi. Quasi gli sembrava di nascere di nuovo.
La fessura di luce davanti a lui diventò sempre più grande, finché le porte non si spalancarono e lasciarono spazio ad un muro luminoso, che colpì violentemente gli occhi del mezzelfo.
La folla emise un boato spaventoso, e investì lo Stregone con tutta la sua forza.
Calmati” si disse il ragazzo, “Fai finta che non ci siano. Niente attacchi di panico.
Respirò a fondo. Dopodiché si mise la maschera che aveva stretto in modo compulsivo fino ad allora. Si mosse e uscì nella luce.
Lenn del Clan di Nessuno rinasceva ancora una volta.


Colori, tanti colori. Troppi. Voci, centinaia di voci. Assordanti.
Lenn si guardò attorno, la mano sinistra stretta alla katana.
L'arena in cui si trovava era più grande di quanto aveva immaginato, sterrata, piatta, senza alcun luogo in cui ripararsi. Dei muri di pietra dividevano l'area della lotta e gli spalti, sui cui era seduta la folla urlante. Sedute sugli scalini o in piedi, le persone applaudivano e acclamavano il nuovo arrivato, forse il futuro re di Argeth.
Il mezzelfo era circondato, dato che l'arena era circolare. Invece di sentirsi lusingato da tutto quell'entusiasmo, lui si sentiva solo minacciato da quelle urla e da quel battere i piedi a terra che faceva tanto chiasso. Dov'era il suo avversario? Preferiva affrontare la lama di una spada piuttosto che l'attenzione di tutte quelle persone. Per fortuna aveva la maschera che lo difendeva, ma non per molto.
Il suo sguardo corse a cercare i visi conosciuti dei suoi amici, ma ovviamente non li trovò. Sapeva che erano lì, ma questo non bastava a rinfrancarlo.
Invece individuò immediatamente i re. C'erano anche loro ad assistere, ovviamente, e stavano seduti sui loro scranni dorati, proprio di fronte a lui, appena sopra la porta dello spogliatoio da cui sarebbe presto uscito il suo avversario.
Lenn riconobbe Fanir, che era identico a come l'aveva visto nella sua mente, durante la Prova: biondo, occhi neri, orecchie lunghe e ingioiellate; solo i suoi vestiti erano diversi, infatti indossava una tunica dai bordi dorati e la corona a forma di serpente che si morde la coda, simbolo del suo Clan.
Al suo fianco era seduto un uomo che Lenn non conosceva, ma che doveva essere per forza Kaloshi, data la corona che portava anche lui in testa. Non riusciva a capire cosa rappresentasse la corona, probabilmente era un qualche tipo di pianta.
Il re degli umani era l'opposto di quello degli Elfi: massiccio, dalle spalle larghe e le braccia pelose; aveva una lunga barba rosso scuro e delle folte sopracciglia dello stesso colore; gli occhi marroni si confondevano e spuntavano appena da quella selva di peli folti ma ben curati.
Entrambi i re avevano gli occhi puntati su di lui, loro unico oggetto di curiosità, per il momento.
Lenn non ce la faceva più a sopportare tutta quella pressione. Che fine aveva fatto il suo avversario?
Ma per fortuna, appena finito di pensarlo, la porta sotto gli scranni si aprì lentamente, e un nuovo boato assordò il povero mezzelfo.
Dall'ombra emerse una nuova figura, quella del suo sfidante, finalmente.
Lenn ebbe subito la spiacevole sorpresa di capire che il suo nemico era un Elfo. Nonostante la maschera rossa che gli copriva il viso, le orecchie a punta spiccavano come non mai ed erano talmente lunghe e arcuate che le punte arrivavano fin dietro la testa e quasi si toccavano. Un avversario di quella razza era sicuramente più temibile di un Umano; Lenn era in svantaggio, perché era come se fosse stato un Elfo, ma con qualcosa di meno. Non era in svantaggio come un Umano per intero, ma non poteva nemmeno usare la sua magia Celeste da mezzelfo, altrimenti sarebbe stato scoperto. Nessuno doveva venire a sapere che era un ibrido, altrimenti i suoi guai sarebbero triplicati.
L'Elfo camminò con passo fiero e deciso verso il centro dell'arena, e Lenn decise di fare lo stesso, con la sola differenza che il mezzelfo avanzava con la katana sempre a portata di mano, guardandosi di continuo attorno, soppesando ogni passo che compiva in direzione del nemico. Era così teso e pronto ad ogni reazione pericolosa che poteva apparire quasi impaurito, anche se lui continuava solamente a ripetersi di rimanere il più cauto possibile.
L'Elfo si fermò a pochi metri di distanza da lui, e Lenn lo imitò. Il ragazzo non capiva come mai il suo avversario sembrasse sapere già cosa fare. Possibile che gli avessero dato prima qualche informazione che a Lenn non era stata riferita?
Lenn digrignò i denti in segno di minaccia, senza pensarci. La persona davanti a lui non notò quel segno perché le maschere continuavano a coprire il volto di entrambi, rendendoli irriconoscibili.
Oltre alla maschera rossa, l'Elfo aveva anche il corpetto, gli spallacci e gli schinieri in cuoio dello stesso colore, esattamente come l'equipaggiamento di Lenn, che però era tinto di blu. Tutto per renderli riconoscibili l'uno dall'altro anche da lontano, per gli spettatori sulla sommità degli spalti.
Il suono di una campana risuonò nell'aria per una decina di volte, finché tutti non la udirono e, sentendola, si zittirono. L'arena crollò in un silenzio di tomba.
Oh, Dèi, grazie.” pensò Lenn, le cui orecchie finalmente avevano tregua.
Poi, sempre dalla porta da cui era uscito l'Elfo in blu, sbucò un uomo grassottello, abbronzato e vestito di bianco, con un turbante giallo in testa a ripararlo dai raggi del sole del deserto.
L'uomo corse frettoloso verso il centro dell'arena, e si fermò quando raggiunse Lenn e il suo sfidante. Dopodiché alzò le braccia al cielo e, rivolgendosi al pubblico, gridò: - Malias! -
Il popolo rispose con un urlo di esultanza.
Quando le grida scemarono poco dopo, l'uomo riprese: - Oggi inauguriamo l'arena e disputiamo il primo incontro del Torneo che ci rivelerà il nome del nostro futuro re! -
Altre grida, altro silenzio.
- Gli sfidanti di oggi sono ragazzi forti e vigorosi che nonostante la loro giovane età, poco più che uomini, aspirano alla corona. Uno di loro è anche discendente di un Clan conosciuto in tutto il mondo che mai avreste immaginato di vedere ancora tra noi! Speriamo che porti con sé speranza e pace per Argeth. -
Lenn storse il naso, infastidito. “Cazzo, questo parla di me. Pace e speranza. Non come i miei antenati, che hanno portato solo morte. Ora la mette come se ricadesse tutto su di me, hm? Non sa che io con quelle persone non ho avuto mai nulla a che fare, e non sono qui per chiedere la redenzione di nessuno.
Ma l'annunciatore non poteva sentire la risposta del mezzelfo, e così continuava con la sua arringa per esaltare la folla, come se non lo fosse già stata prima. - L'altro, invece, è uno dei padroni del deserto. La sua famiglia incarna la forza della natura, e speriamo che questa forza la donerà anche ad Argeth, per risollevarla dalla sua crisi profonda. -
Lenn fremette. Non ce la faceva più, l'attesa lo stava snervando, doveva distruggere qualcosa. Possibilmente colui che gli stava davanti e lo osservava dalle fessure della maschera.
La folla continuava a gridare. Lenn cominciava a provare astio anche per loro. Era stato chiamato per combattere, non per perdersi in inutili ciance. La vera lotta non era quello che stavano presentando.
L'annunciatore disse ancora qualcosa, tuttavia il mezzelfo non lo udì perché era troppo impegnato a ringhiare. Ad un certo punto l'Umano col turbante doveva averlo sentito, perché si era girato con aria preoccupata verso di lui.
Tagliò corto e si rivolse ai due ragazzi. - Mi raccomando, mantenete lo scontro più pulito possibile. L'incontro finisce quando uno di voi due non è più in grado di alzarsi da terra e combattere o quando dichiara la resa. -
Finito di dire quella frase, guardò in cagnesco entrambi, ma sembrò soffermarsi più a lungo su Lenn. - E' severamente vietato uccidere il proprio avversario. Pena, l'espulsione dal Torneo, più qualche cosetta decisa direttamente dai re a seconda dei casi. Buona fortuna. -
L'uomo col turbante batté le mani un paio di volte, poi gridò di nuovo verso gli spalti: - Che vinca il futuro re! Via le maschere! -
Detto questo, l'annunciatore corse di nuovo via, veloce come era venuto, e si rifugiò nello spogliatoio dalle porte rosse, chiudendosi là dentro.
Poi, quasi come davanti ad uno specchio, il mezzelfo e l'Elfo si tirarono via le maschere allo stesso tempo, gettandole a terra. E, proprio come di fronte ad uno specchio, sbarrarono gli occhi quando si riconobbero.
Porca puttana troia” pensò Lenn. Gli si accapponò la pelle. L'Elfo che aveva davanti lo aveva già visto, e non in un'occasione felice. Alto più o meno quanto lui, magro, dai capelli a caschetto nerissimi, colore raro in uno della sua razza, occhi azzurri e pelle bianca come l'avorio.
Prima che uno dei due potesse proferire parola, sopraggiunse imponente la voce del re Kaloshi, che si era alzato dal suo scranno.
- I due pretendenti al trono sono Lenn del Clan del Drago e Neruo Karim del Clan della Sabbia! - tuonò il re Umano. - Entrambi godono della nostra benedizione. Che l'incontro abbia dunque inizio! -
Il re non aggiunse altro, e si tornò a sedere.
Lenn portò di nuovo lo sguardo sull'Elfo, che estrasse la spada dal fodero e fece un salto indietro per prendere le distanze. Lenn sguainò la katana e indietreggiò di qualche passo.
- T-tu! - sibilò Neruo, gli occhi sbarrati o per paura o per sorpresa. Sembrava avesse appena visto un fantasma. - Tu dovresti essere morto! -
Lenn, interdetto, rimase per qualche momento in silenzio, prima di replicare: - E tu? Tu eri in Sovraccarico! Come fai ad essere già in grado di combattere? -
- Lo Stato di Sovraccarico finisce, e io non ho avuto ripercussioni dopo esser diventato adulto. La morte invece non è uno stato da cui si guarisce, come sei sopravvissuto? Ti ho visto spirare con i miei occhi in quella gola, eri in un lago di sangue! -
Lenn ringhiò. - Sta' zitto, animale! Non me lo ricordare! Sono sopravvissuto giusto per vendicarmi su tua sorella. -
l'Elfo a quel punto fece esattamente quello che Lenn aveva sperato, perché il suo sguardo corse velocemente in un punto preciso degli spalti, alla destra del mezzelfo. Seguì la traccia e si girò, individuando tra la folla le tre Elfe che aveva incontrato nel deserto.
Poi si voltò di nuovo verso l'Elfo. - Ringrazia che oggi ci sei tu nell'arena, e non lei. -
Neruo a quelle parole piegò indietro le orecchie e cominciò a soffiare come un gatto, digrignò i denti e mise in mostra i canini affilati.
Lenn gli rispose allo stesso modo, seppur in modo meno minaccioso perché non aveva tutte le caratteristiche ferine dell'Elfo completo.
Il mezzelfo non aveva davvero la sete di vendetta che aveva dichiarato, anzi, aveva sempre sperato di non incontrare più quei fratelli per evitare scontri inutili, ma voleva spaventare l'avversario e apparire il più minaccioso e incazzato possibile.
Gli sembrò di riuscire nel suo intento, perché alla sua reazione Neruo piegò ancora più indietro le orecchie, ma questa volta perché era stato assalito dall'insicurezza.
Lenn approfittò dell'esitazione dell'avversario e fece la prima mossa: impugnò la spada con entrambe le mani e la fece calare davanti a sé, sulla testa dell'Elfo.
Ekyarista! -
Il mezzelfo sentì la spada vibrare e rimbalzare dopo aver colpito uno scudo di magia blu.
Lenn sibilò. “Merda, questo ricorre alla magia fin da subito. Non devo dargli il tempo di formulare gli incantesimi.
Neruo ringhiò qualcosa di indecifrabile e poi si gettò a spada sguainata contro il mezzelfo. Lenn si fece scivolare a terra sulla schiena; appena l'Elfo gli fu sopra piegò le gambe e diede un calcio deciso con entrambi i piedi allo stomaco che l'avversario aveva lasciato scoperto durante il salto in avanti.
Neruo, preso in pieno, tossì e si schiantò oltre la testa del mezzelfo, con la spada atterrata a un metro da lui. Si portò le mani allo stomaco dolorante.
Lenn si rimise in piedi con un salto e, senza distogliere lo sguardo dall'avversario, si avvicinò alla spada caduta per darle un calcio e spedirla ancora più lontano. Non avrebbe mai impugnato l'arma di un avversario indifeso, sarebbe stato troppo meschino per lui.
- Sei più scarso delle tue sorelle. - disse il mezzelfo. Voleva continuare a istigarlo per fargli montare la rabbia e renderlo meno concentrato.
Neruo a quelle parole gli s'accesero e vibrarono come se fossero percorsi da fiamme. - Stà zitto! -
L'Elfo si rimise in piedi con un balzo e gridò: - Ora ti faccio vedere io, ekyarista! -
Una nuova barriera di luce blu attorniò il ragazzo.
Lenn non esitò e schiantò la spada contro lo scudo, ma questa volta infuse nella spada una forte energia luminosa.
Quando la lama incontrò la magia vitale dell'Elfo, lo scudo si crepò.
- Questa volta muori sul serio. Tora haien mer! -
A quelle parole la terra sotto i piedi di Lenn sollevò di scatto, andando a formare delle spine di roccia grandi quanto un bambino. Una fece in tempo a graffiargli un braccio sinistro, poi fu salvato dallo scudo di Luce che innalzò subito dopo.
Lenn si coprì il braccio con la mano libera per nascondere i rivoli di magia azzurra che andavano a curargli la ferita.
Nonostante fosse stato appena ferito, il mezzelfo aveva deciso di continuare a mantenere il suo atteggiamento sprezzante. - Tutto qui? -
Una volta guarito completamente usò la mano libera per lanciare contro Neruo una sfera di Luce. Il globo palpitante si schiantò contro lo scudo e lo frantumò definitivamente.
Lenn fece una smorfia scontenta. Riusciva a distruggere le difese nemiche, ma non con la facilità che avrebbe desiderato. Non poteva usare la sua magia da mezzelfo per nessun motivo al mondo, altrimenti sarebbero stati guai, ma non poteva usare nemmeno quella Oscura, altrimenti avrebbe rivelato a tutti di essere uno Stregone Oscuro. Ma si sentiva debilitato, con la Luce non riusciva a infondere nemmeno la metà della forza che incanalava negli incantesimi usando l'Oscurità. Era come usare le stampelle quando invece si era in grado di camminare perfettamente.
Il mezzelfo fece roteare la spada un paio di volte, poi partì alla carica verso l'avversario. Evocò il fuoco, il più puro che riuscì a tirar fuori dalla sua anima Oscura, e lo infuse nella katana.
Cercò di colpire di piatto l'Elfo, ma questo evocò il ghiaccio attorno al suo braccio e parò l'attacco senza scottarsi.
Farim! -
Lenn si sentì percorrere il corpo da una scarica elettrica che partiva dal terreno e gli percorreva le gambe, il torso, le braccia, la testa. Per un attimo gli parve di sentire il suo cuore paralizzarsi. Perse per un istante il controllo dei muscoli e mollò la presa sulla spada.
Finita la scarica, cadde a terra, intontito, con i capelli che gli fumavano e la vista annebbiata da una serie di lucine colorate che continuavano a lampeggiargli davanti.
Per la prima volta Lenn si deconcentrò e fece caso a ciò che gli stava attorno, le grida del pubblico. Si era alzato un boato di sorpresa. Alcuni esultavano alla vista del Drago steso a terra, altri insultavano Neruo per il suo colpo particolarmente pericoloso.
Neruo d'altra parte sembrava infischiarsene altamente, infatti si limitò a ridacchiare. - Sei spavaldo, ma anche irrimediabilmente stupido, Drago. Ora ti mostro qualcosa che eguaglierai a fatica. -
Detto questo, l'Elfo sollevò le braccia al cielo. I suoi occhi si accesero di una luce inquietante, per poi diventar color marrone chiaro.
Sira kye tam faraiendra der... -
Neruo cominciò a cantare una litania che sembrava infinita.
Lenn, intanto, si era messo a sedere. La testa gli girava vorticosamente, e se la scuoteva ritornava a vedere i puntini viola e dorati davanti agli occhi. Alzò lo sguardo e vide che attorno all'Elfo si stava alzando un vento vorticoso che gli faceva fluttuare le vesti.
Si rimise in piedi a fatica, e in quel momento volò su di lui un'enorme ombra che oscurò tutto il terreno vicino a lui. La gente sugli spalti cominciò a gridare. Lenn, percependo la paura nelle loro voci, sollevò la testa e vide cosa gli stava accadendo attorno.
Il sole era stato completamente oscurato da un'onda di sabbia grande quanto quelle che aveva visto nella sua mente assieme a Fanir. Il vento continuava a far sollevare i granelli del deserto appena fuori dallo stadio, formando quella massa enorme di terra.
L'onda poi si inarcò e si riversò nell'arena. Il vento e la sabbia sollevati ulteriormente dallo schianto del fiume di sabbia andarono a investire anche Lenn, che alzò uno scudo appena in tempo per non essere spazzato via da tutta quella terra in movimento.
Neruo continuava a ridere in modo inquietante, mentre la sabbia gli girava attorno senza sfiorarlo mai.
Dalla parete luminosa del suo scudo di Luce, Lenn vide la sabbia addensarsi e prendere una forma distinta, vagamente umana.
- Questo è lo Spirito del Clan della Sabbia! - gridò l'Elfo, per farsi sentire nonostante il boato del vento.
Perfetto.” pensò Lenn. Davanti a sé aveva appena preso vita un Troll di sabbia alto almeno dieci metri. Gli si accapponò la pelle quando la testa dell'essere di sabbia si girò verso di lui e i suoi occhi cavi riverberarono di una sinistra luce marrone-dorata.
Il piccolo fulmine che gli aveva percorso il corpo lo aveva stordito ben bene, il mezzelfo non riusciva a pensare a nulla di intelligente da fare contro quel mostro di sabbia.
Fece la prima cosa che gli venne in mente, non molto logica, e pensò intensamente all'acqua. Questa gli si materializzò intorno alle braccia e poi indirizzò i getti contro il gigante.
Il mostro di tutta risposta si aprì un varco nello stomaco e lasciò che l'acqua vi passasse attraverso come nulla fosse.
Lenn digrignò i denti. Continuava a sentirsi castigato dal non poter usare i suoi poteri al meglio.
Decise di esporsi un po' per mettersi in una posizione che non fosse almeno di svantaggio.
Usò la sua magia Celeste in una maniera che non poteva destare molti sospetti: la usò su di sé per farsi levitare e sollevare da terra, a livello del mostro. Non aveva mai provato quella tecnica, era insolita per un Umano in grado solo di usare magia elementale, quindi cercò di cammuffarla facendo alzare un poì il vento attorno a sé e suggerire a chi lo stava guardando che era riuscito a sollevarsi da terra solo grazie alla magia usata per dominare il vento.
Il mezzelfo andò a osservare il suo avversario, e Neruo pareva sinceramente stupito del suo livello di abilità magica. Forse cominciava a pensare che fosse stato sconfitto dalla sorella per un colpo di sfortuna, più che dalla sua inettitudine combattiva.
L'Elfo però non perse ulteriore tempo e corse verso il mezzelfo, seppur li separassero metri e metri di distanza.
Lenn lo osservò solo per qualche secondo, perché poi sentì di fronte a sé il rumore dei passi del Troll di sabbia che si schiantavano uno dopo l'altro più vicini a lui. Il Troll, come tutti gli Spiriti che aveva visto prima di allora, imitava fedelmente i movimenti del suo Stregone, ma li decuplicava.
Infatti quando Neruo evocò la sua magia vitale blu e distese le braccia verso il vuoto, il gigante di sabbia distese le braccia e investì Lenn con un getto della sabbia di cui era composto.
Il mezzelfo tentò di volare via, ma l'energia blu dell'Elfo gli andò a legare le caviglie e ancorarlo al terreno. Un istante prima di essere investito dalla sabbia Lenn invocò un altro scudo di Luce, che però si frantumò pochi attimi dopo. Lo scudo che aveva usato prima per proteggersi dalla sabbia era stato colpito da un'ondata incontrollata e meno potente rispetto a un attacco diretto, le cui energie erano state concentrate appositamente per l'atto di ferire, e quindi aveva retto, mentre la barriera che aveva appena invocato non aveva accusato il colpo e si era sbriciolata miseramente.
Lenn chiuse gli occhi e si coprì il viso con le mani per proteggersi dalla sabbia sferzante e dai detriti più grossi dei granelli che continuavano a graffiargli il le orecchie e a ferirgli le mani.
Provò a prendere una boccata d'aria, ma ingoiò solamente terra. Tossì violentemente e si sentì mancare il respiro. Ancora pochi secondi dentro a quella tempesta e sarebbe morto asfissiato.
Aveva anche perso il senso dell'orientamento, non avrebbe saputo dire quale fosse il sopra e quale il sotto, perché continuava a venir sballottato del vento e con gli occhi chiusi non poteva ovviamente vedere dose stesse andando, quindi non poteva nemmeno volare via.
Decise di usare una magia più seria e potente, anche se si sarebbe esposto molto. Ma non importava. Questa volta ne andava della sua vita.
Pensò intensamente al fuoco, come aveva fatto quando aveva incendiato il palco appena arrivato a Malias, però trasferì quell'immagine delle fiamme su di sé.
Pregò gli Dèi che non lo facessero finire abbrustolito.
Poi liberò parte dell'energia che sentiva racchiusa nel petto e la usò per dar vita all'incantesimo.
In un istante il suo corpo venne circondato da capo a piedi da scintille azzurre e poi dalle fiamme, che però non gli bruciavano la pelle, perché parte di lui.
Il vento vorticoso non fece altro che alimentare la sfiammata del suo corpo e la sabbia attorno a lui si surriscaldò a tal punto da divenire vetro, che si schiantò pesantemente a terra.
Lenn fu finalmente libero dalla gabbia di terra e sabbia; il vento furioso smise di tenerlo sospeso in aria e cadde con poca eleganza a terra. Si mise a carponi, tremante, e prese una boccata d'aria come non ne aveva mai prese prima di allora. Respirava e sputava terra in contemporanea.
Neruo intanto lo osservava, interdetto. Probabilmente non si era aspettato che l'avversario fosse così forte da invocare tutte quelle fiamme in un colpo solo senza perdere troppe energie.
Lenn sputò un altro grumo di terra e saliva. - Sei proprio un Elfo di merda...! -
Neruo ringhiò. - Hai ancora il fiato per parlare? Allora non ci sono andato giù abbastanza forte! -
Detto questo, l'Elfo diede un calcio all'aria. Lenn si alzò in piedi ma non fece in tempo a pensare al calcio che gli avrebbe sferrato lo Spirito di sabbia. Infatti fu investito da un muro di sabbia e terra che lo fece letteralmente volare a vari metri di distanza.
Lenn digrignò i denti, frustrato. Non riusciva a reagire come voleva, e la presenza dello Spirito di Neruo rendeva l'incontro irrimediabilmente impari. Se solo avesse saputo evocare a comando il suo Spirito come aveva fatto l'Elfo! Ma non conosceva la formula.
Neruo intanto lo aveva raggiunto camminando tranquillamente. - Non fai più il gradasso, eh? -
Lenn sollevò lo sguardo e fissò l'Elfo con disprezzo. Raggruppò quel poco di saliva che gli era rimasta nella bocca secca e sputò contro lo Stregone avversario.
Gli occhi color miele di Neruo si infiammarono e il suo viso si distorse dalla rabbia. - Ti arrendi?! -
Lenn non ricambiò lo sguardo infuriato, ma lo fisso con tutta la serietà e la superiorità che sentiva di avere dentro. - Piuttosto muoio. -
L'Elfo allora con uno scatto possibile solo da uno della sua razza sollevò la sua spada, che aveva recuperato chissà quando, e la conficcò nel braccio sinistro di Lenn. La lama trapassò i muscoli e si andò a piantare a terra.
Il mezzelfo gridò di rabbia e dolore.
- E allora muori. -
Lenn si sentì di nuovo investire dalla terra e dalla sabbia, che gli coprirono tutto il corpo, meno che la testa. Il Troll di sabbia si era ridimensionato, anche se continuava ad essere un colosso, e teneva il mezzelfo fissato al terreno con la forza di una sola mano.
Questa volta non arrivò la sabbia a sferzargli il viso, perché c'era già la forza del mostro di sabbia che lo stava soffocando. Lenn non riusciva a muovere un muscolo, e perfino sollevare il petto quel tanto che bastava per respirare stava diventando sempre più difficile.
Gli mancava il respiro, la spada che gli trafiggeva il braccio gli provocava un dolore insopportabile, non riusciva a ragionare con lucidità.
Sentiva solo due emozioni: dolore e rabbia.
Sentì la rabbia, in particolare, scorrergli tra le vene; gli rendeva il sangue di fuoco e faceva pulsare le vene che aveva sul collo.
Poi arrivò la frustrazione, il senso di impotenza che provava nel non potersi muovere, nell'essere troppo poco lucido per poter usare un incantesimo intelligente, nel non poter usare l'Oscurità per cavarsi via da quel guaio. Se avesse usato la magia nera, sarebbe stato espulso dal Torneo perché Stregone Oscuro, se lo sentiva; e cosa ci sarebbe stato dopo? Nessuno scopo da raggiungere nella sua misera vita; tanto valeva morire, allora.
La sua immensa furia traboccò dal suo piccolo corpo con le lacrime, che però si addensavano e diventavano sabbia bagnata appena gli uscivano dagli occhi.
Allora gridò. Cominciò a gridare perché altrimenti la testa gli sarebbe esplosa, lo sapeva.
Neruo, accanto al mezzelfo, doveva aver pensato che quelle grida fossero di dolore, perché si mise a ridacchiare compiaciuto. Non sembrava realizzare che di quelle grida doveva solo avere paura.
Lenn gridò ancora, e nel mentre cominciò a raccogliere tutte le forze che gli rimanevano nel petto, finché aveva ancora aria per respirare.
Sentiva il cuore battere all'impazzata.
Poi l'energia accumulata dentro al petto cominciò ad assumere un calore vero e tangibile, e Lenn si sentì invadere le viscere di un fuoco che sembrava sempre di più lava bollente.
Sentì gli occhi pungergli un po', come se qualcuno stesse pungolandoglieli dall'interno.
Gridò ancora, e ancora.
Poi la forza che aveva trattenuto nel petto si sprigionò.
Il suo ultimo grido divenne un ruggito.
   
 
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