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Autore: A_M_Mulberry    16/06/2013    1 recensioni
Sono passati ormai 18 anni dalla sconfitta di Lord Voldemort. La vita, in special modo a Hogwarts, ha ripreso da tempo a scorrere tranquilla fra nuovi volti e vecchie conoscenze. Ma l'antica e maestosa scuola, si sà, nasconde ancora moltissimi misteriosi segreti. Spetterà questa volta ad un nuovo affiatato trio di amici svelarli e tentare di sventare una nuova, pericolisissima minaccia che incombe su tutto il mondo magico.
§§Dal Capitolo Settimo§§
- Cieca?! Sono Cieca?!? NON VEDO NIENTE, SONO CIECA? – Continuava a domandarsi mentre si sfregava gli occhi in preda al panico.
Poco a poco la vista gli ritornò, era comunque buio intorno a lei, lo spostamento d’aria dell’esplosione di poco prima aveva fatto spegnere tutte le torce della stanza e l’unica fonte di luce, proveniva dai flebili bagliori verdognoli e dorati emessi da una massiccia barriera magica di fronte a lei. Lo scudo sembrava attraversato da una specie di aurora boreale che poco alla volta si spense facendola ripiombare nell'oscurità.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Alexander Mulberry'
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Capitolo 8

La Torre d’Argento

 

«Alex, la finisci quella?» disse una voce stranamente familiare.

Il ragazzo fissò perplesso il bicchiere posato davanti a lui. Il ghiaccio era quasi sciolto, ma c’era ancora un dito di Whisky all’interno.

Era il suo? Quando lo aveva ordinato?

«Allora, lo finisci o no?» insistette la voce, spezzando il filo di quei pensieri.

«No, non mi va più» disse Alex, passando il bicchiere alla ragazza seduta al tavolo con lui.

Ci mise qualche secondo per riconoscerla, era Valentine.

Portava un elegante tailleur nero, con una camicia di seta bianca. Il collo era adornato da una lunga collana di perle e un rossetto, di un porpora intenso, le colorava le labbra. I capelli invece, erano insolitamente lisci e raccolti in un elegantissimo chignon laterale, mentre in testa, portava un Fascinator rosso ricamato con piume nere, dal quale scendeva una veletta a rete che le copriva metà del viso, dalla tempia sinistra sino alla guancia destra.

Era di una bellezza mozzafiato, ma c’era qualcosa; un qualche tipo di incongruenza che la mente di Alex non riusciva in nessun modo a conciliare. Era come se la ragazza che aveva di fronte fosse un qualche tipo di sosia della sua amica.

«Che ti prende Alex? Hai una faccia…» disse Vall vagamente ammiccante.

Il quel momento, una ragazza in abiti succinti si avvicino al loro tavolo, portava un largo vassoio in legno carico di ogni genere di tabacchi immaginabile, sorretto grazie una raffinata fascia nera che gli passava intorno al collo.

«Desiderate qualcosa signori?» disse, avvicinandosi a Vall.

«Si grazie Poliene, il solito per me» rispose lei.

«Come desidera signorina» aggiunse la giovane hostess, allungandogli un pacchetto di sigarette senza filtro.

Alex assistette alla scena allibito.

Valentine? che fuma? Qui c’è decisamente qualcosa che non quadra.

Con le mani velate da dei deliziosi guanti di velluto, Valentine carico l’estremità di un lungo bocchino di ebano nero adornato davorio.

«Che sbadata, hai per caso da accendere?» disse, muovendo voluttuosamente lo strumento di fronte ad Alex.

«Si certo» rispose lui senza pensare «Tieni» aggiunse, passandogli dalla tasca interna del suo gessato nero, un accendino d’argento ricamato.

Ma che diavolo? Il vestito? L’accendino? Come…

Vall si accese la sigaretta, e dopo qualche lungo tiro sorrise bonaria e, come se gli leggesse nella mente disse:

«Non ti crucciare troppo Alex, non in porta il come o il perché» poi, indicando un palchetto di fronte al loro tavolo, dove appena qualche secondo prima Alex avrebbe giurato non ci fosse stato nulla, aggiunse:

«Guarda, è la tua canzone preferita, sta per cominciare»

Il sipario si aprì e una bella donna avvolta in abito lungo di seta rossa inizio a cantare, mentre le note di un saxofono la accompagnavano riempiendo l’aria già densa di uneterea cortina di fumo, con una struggente melodia Blues.

Alex stette ad ascoltare in silenzio, lasciando che la musica gli entrasse dentro, toccandogli ogni corda del suo animo. Alla fine del brano, una lacrima gli rigava la guancia.

La canzone parlava di come il protagonista era convinto di conoscere bene un’altra persona ma, in realtà, scopre di essere stato ingannato per tutto il tempo. Alex non l’aveva mai sentita prima di allora ma Vall aveva ragione, era di gran lunga la sua canzone preferita, sembrava stata scritta apposta per lui e ora che l’aveva ascoltata si sentiva leggero e svuotato, come dopo aver pianto per ore, quando dentro l’anima non ti resta più nulla, se non quel leggero retrogusto amaro della malinconia.

«Mi spiace Alex, non era mia intenzione rattristarti, ma era necessario» disse Vall, quando la cantante sparì dietro il drappo rosso del sipario.

«Necessario, per cosa?» domandò lui, con la voce spezzata, cercando di ingoiare il nodo che gli si era formato in gola. 

«Prestò capirai, ma andiamo per gradi...» rispose l’amica.

«Ho solo una domanda prima» la interruppe «Chi sei? Perché è evidente che non sei la vera Vall»

«Perspicace come sempre, eh! Me ne compiaccio, da cosa lo hai intuito…» disse lei.

«Alex. Non hai fatto che chiamarmi così per tutto il tempo, la vera Valentine non lo fa mai, non aggiunge mai la X» spiegò.

«Non credevo te ne saresti accorto, a quanto pare mi sono sottovalutato» lo liquidò, sorridendo.

Alex inarcò il sopracciglio, fissando la sua misteriosa interlocutrice.

«Che intendi dire?» domandò.

«Andiamo, lo sai benissimo che intendo dire… Fammi l’altra domanda, quella che ti frulla in testa da quando ti sei ritrovato qui in questo luogo.» rispose.

«Basta giochetti!» tuonò lui «O altrimenti…» aggiunse scattando in piedi, lanciando la sedia su cui era seduto a parecchi metri di distanza, estraendo nel contempo la bacchetta dalla manica sinistra della giacca, puntandola verso Valentine. La ragazza rise di gusto.

«O altrimenti cosa?» lo schernì «Questa non ti servirà a niente qui…» continuò, porgendogli la sua stessa bacchetta.

Alex, fissando il suo pugno destro stringere null’altro che aria, andò nel panico.

Come ha fatto? Mi ha disarmato senza battere ciglio…sono spacciato.

«Smettila di farti queste stupide domande» disse la ragazza, adirata per la prima volta «Te l’ho già detto. Non è il come o il perché che conta!»

Alex, terrorizzato a morte, cercò di fare qualche incerto passo indietro, per mettere più distanza possibile fra lui e il personaggio che aveva di fronte ma le gambe gli cedettero, diventando molli come la gomma dallo sgomento e perdendo l’equilibrio, si ritrovò seduto sulla sedia che aveva scagliato pochi minuti prima.

Il viso di Valentine tornò benevolo e, avvicinandosi, posò le mani sulle ginocchia del ragazzo, chinandosi per poterlo guardare negli occhi.

«Non sono un nemico da battere, e non intendo farti del male» disse rassicurante «Questa cosa la devi risolvere da solo, o non potrò aiutarti»

«Cosa! Quale cosa! Non capisco… chi sei? Cosa mi hai fatto? Cos’è questo posto?» Chiese Alex, sull’orlo di una crisi di nervi.

«Calmati, concentrati. Sei sulla strada giusta, ricordati come ti sentivi poco fa, alla fine della canzone, svuota la mente… chiudi gli occhi, respira…»

Alex ubbidì, non gli restava null’altro da fare se non assecondare le istruzioni della ragazza, che ora sembravano provenirgli direttamente da dentro la testa. Appena chiuse le palpebre però, fu subito scosso da brividi di freddo, che lo costrinsero a riaprire immediatamente gli occhi.

Era ancora seduto sulla sedia del bar e Valentine era lì con lui, entrambi però, erano ora vestiti alla babbana e si trovavano in un bosco. Sembrava il faggeto vicino casa di Alex, se non fosse che qui tutto era morto, anzi, congelato. L’aria era gelida, gli alberi completamente spogli, una spessa brina ricopriva qualsiasi cosa e il biancore di quel posto era quasi accecante.

«Vieni, voglio mostrarti una cosa» disse Valentine, prendendolo per mano.

I due camminarono per quella distesa ghiacciata per qualche minuto, o qualche ora, Alex non avrebbe potuto dirlo con certezza. Sembrava che il tempo in quel luogo non esistesse, non se ne riusciva a percepire lo scorrere. Il silenzio poi, era assordante, solo il rumore di cristalli frantumati prodotto dalle foglie che calpestavano, spezzava quella monotonia. Improvvisamente, il faggeto lascio spazio a una radura, dove sorgeva una piccola casa a due piani, il primo in pietra, il secondo in legno, una balconata in di tronchi di pino grezzo ne decorava la facciata ma, alcune finestre erano divelte, quasi tutti i vetri erano infranti e delle pietre giacevano ai piedi della parete mentre il legno era grigio e crepato in più punti. Sembrava che lì non vivesse nessuno da decenni.

Quella desolazione, Alex se la ricordava bene, laveva già provata sulla sua pelle.

«Dove siamo?» chiese.

Una bagliore lo accecò e quando riaprì gli occhi era da solo, il prato intorno a lui era verde e ricoperto di fiori la casa era in perfette condizioni, sotto il balcone, a lato dell’ingresso erano appese delle campanelle che suonavano pigramente mosse dal vento. Splendeva un bel sole e la temperatura era gradevole mentre nell’aria risuonavano allegri i cinguettii degli uccelli nel bosco lì vicino anch’esso rinvigorito e pieno di vita. Quel sovraccarico di percezioni, investirono Alex, lasciandolo stordito.

Tutto tornò freddo e immobile.

«Io abitavo qui una volta» disse Valentine, con una punta di nostalgia nella voce guardando la vecchia casa in rovina «Il periodo più bello della mia vita»

Alex si girò per guardarla, lei ricambiò.

«Non parlare, seguimi…» lo interruppe, prima ancora che avesse il tempo di dire qualcosa. «C’è ancora una cosa che voglio mostrarti»

Appena girarono l’angolo che dava sul retro della casa, un altro flash.

Si sentiva il rumore dell’acqua scorrere, un piccolo fiume passava sul retro della baita. Alex questa volta lo riconobbe, non aveva dubbi.

Questo è il torrente che passava dietro casa di Vall, in Italia, ci siamo stati due estati fa in vacanza.

Una serie di risate e schiamazzi provenienti dalla riva attirarono la sua attenzione, fu come guardare la sena di un film.

Adesso era nel fiume, l’acqua gli arrivava all’incirca al ginocchio, era fresca e corroborante, aveva un ricordo molto preciso di quell’episodio. Stava giocando a pallavolo con Matthew e degli altri ragazzi, amici babbani di Valentine. Sulla riva stese al sole su degli asciugamani, quattro ragazze: Vall, due sue amiche italiane, poi lei, Cassandra. Stavano ridendo, qualcuna doveva aver appena fatto una battuta, le risa lo distrassero e, dopo aver rilanciato la palla, si disinteressò del gioco, catturato com’era dal suono cristallino della voce di Cass, i loro sguardi si incrociarono per caso.

Dio quegli occhi, sembra una dea, la mia dea. Si ricordò di aver pensato.

Avrebbe potuto perdersi in quelle pozze color nocciola striate di una miriade di pagliuzze d’orate. Il mondo, il suo mondo, vi era racchiuso. Buffo, come un gesto così semplice, cosi casuale, avesse la forza di provocargli tanta felicità. Amava quella ragazza, la amava con tutto il cuore, e avrebbe voluto urlarlo a squarciagola là, in quell’istante, ma il sorriso che gli si dipinse in volto e quello che ricevette di contrappunto, furono dichiarazioni più intime e potenti di quanto le parole non avrebbero mai potuto fare e tanto bastò per renderlo l’essere più felice sulla faccia della terra.

La prospettiva cambiò di nuovo, la scena al fiume continuava ma ora Alex ne era solo mero spettatore, vicino a lui, la controfigura di Vall.

«Era davvero un bel posto dove vivere» disse lei mestamente.

«Ne sono convinto anche io, e…» Alex fece una pausa, ora consapevole dell’identità del suo Virgilio «Mi spiace» aggiunse senza riuscire a guardarla negli occhi.

«Non è con me che devi scusarti» disse lei, «Piuttosto devi fare pace con te stesso, o questo posto non guarirà mai»

Una folata di vento gelido investì il fiume facendone congelare le acque, la vegetazione sulle sponde venne intrappolata nel mortale pallore della brina mentre le figure del ricordo di Alex si dissolsero nell’aria come se fossero state fatte di sabbia.

«Hai capito ora?» chiese Vall, continuando a fissare il fiume ghiacciato davanti a lei.

«Si, la foresta, la baita, anche quella l’ho riconosciuta, è stato dove Cass ha detto per le prima volta di amarmi. Il fiume…Sono tutti posti distanti geograficamente fra loro, ma hanno in comune il fatto che, in quei luoghi io sia statoFelice»

Alex fece una pausa per cercare di riordinare il pensiero che aveva in mente.

«Hai detto che tu abitavi qui…O forse dovrei dire…Che io, abitavo qui?» si girò, cercando il contatto visivo «Tu sei me, e io sono te, giusto?»

Valentine sorrise compiaciuta, facendo un cenno con la testa.

«E il fatto che questi posti siano tutti qui, mi fa pensare che, in realtà, questo stia succedendo nella mia testa, una specie di sogno» Alex impallidì «O…o…forse, sono morto?» domandò.

«Hehe, no, tranquillo, non sei morto» disse Vall «Ma non stai nemmeno sognando» continuò, facendosi scura in volto.

«In che senso, spiegati…» insistette Alex.

«Non ho tutte le risposte, cosa credi che sia? Il genio della lampada?» rispose lei stizzita.

«Wow, sembravi proprio Vall quando si incazza…» sdrammatizzò lui «A proposito perché le somigli?»

«Questa?» rispose lei, guardandosi le mani «E solo una forma come un'altra, avrei potuto assumere le nostro sembianza se avessi voluto, ma già ti ho incasinato abbastanza così, pensa se ti fossi trovato davanti un clone che rivendicava di essere te. Da qui la necessità di farti capire certe cose da solo, se non le avessi accettate autonomamente ma te le avessi imposte…diciamo che le conseguenze non sarebbero state piacevoli, né per me, né per te» spiegò «Comunque ho scelto Vall perché lei è l’unica a cui dai sempre retta, ho pensato che questa cosa mi avrebbe semplificato il lavoro»

«Ha un suo senso» concluse Alex. «Comunque non hai ancora risposto alla mia domanda, se non sono morto e non sto sognando, cosa ci faccio qui?»

«Beh la verità è che non lo so con precisione, so solo che non sei capitato qui per caso, è successo qualcosa…Qualcosa che non mi so spiegare» poi, indicando un punto all’orizzonte aggiunse «Guarda laggiù, la vedi?»

Alex seguì con lo sguardo il punto che stava indicando Vall finché all’orizzonte non vide un imponente roccaforte in marmo bianco, posta ai piedi di un crinale montuoso.

«E quella che diavolo è?» esclamò stupito.

«Quella, è casa nostra» disse lei con semplicità «Vieni, ti faccio strada»

Alex gli porse le mano e in un batter d’occhio furono trasportati ai piedi dell’imponente fortificazione. Ora che la vedeva da vicino, le proporzioni lo lasciarono sbigottito. Era essenzialmente un gigantesco torrione, alto più di duecento metri, per metà incassato nella montagna stessa, circondato da un’enorme muro di pietra bianca, spesso quasi dieci metri, alto più di cinquanta. L’unico accesso era costituito da un ampia arcata nel mezzo della muraglia, sbarrata da un impressionante portone d’argento, ci sarebbero potuti passare comodamente tre Tir babbani, uno a fianco all’altro, e sarebbe comunque avanzato dello spazio.

La fortificazione, nonostante la sua innegabile solidità, doveva aver visto giorni migliori: il muro esterno era annerito e crepato in più punti mentre alcune parti della merlatura erano spaccate e i detriti giacevano sparsi lungo tutto il perimetro. Anche la struttura principale del torrione era segnata da qualche sfregio, che ne intaccava il marmoreo rivestimento.

«Santa madre…» disse Alex pieno di meraviglia.

«Hehe sapevo ti sarebbe piaciuta, questa, mio caro, è la Torre d’Argento» disse Vall compiaciuta «Ma vieni, non è sicuro stare qui a lungo»

Solo in quel momento Alex notò che, la morsa implacabile del gelo di poco prima, aveva lasciato il posto a un paesaggio completamente diverso, molto simile a una palude. Il terreno era fangoso, interrotto a chiazze da larghi acquitrini dai quali esalavano vapori mefitici, sulle rive crescevano strani e contorti arbusti, irti di spine.

«Che razza di posto è questo, è perché diavolo è pericoloso stare qui?» chiese allarmato Alex, mentre un brivido gelido gli risaliva la spina dorsale.

«La Torre d’Argento è la più antica delle fortificazioni che hai costruito, è stato l’unico modo per arrestare l’avanzata del gelo, anche le montagne nella quale è incastonata sono venute dopo. Insieme formano un grande anello circolare posto a protezione del circolo interno» spiegò velocemente la ragazza «Una volta qui era tutto rigoglioso, adesso invece, è un terreno di guerra. “Terra di nessuno” insomma, né gelata ne verde, la Valle delle Lacrime mi piace chiamarla. Nome pittoresco lo so, ma che ci vuoi fare, sono un inguaribile romantico, fatto sta che è qui dove si combatte»

«Guerra? Combattimenti? Contro chi poi?» Domandò incredulo Alex.

Vall stava per rispondere quando, un profondo rombo scosse la terra facendo cadere qualche piccolo masso dalla parete rocciosa.

«Non ho tempo di spiegarti ora, e poi non credo tu lo voglia sapere» disse lei, affrettando il passo.

Quando giunsero davanti alle porte, appostati all’entrata, li aspettavano due soldati completamente celati da un armatura bianca come la neve. Era sicuramente fatta di un qualche tipo di metallo ma era stremamente aderente, tanto da sembrare un semplice vestito. Sopra di essa portavano una sorcotta con un araldica ricamata sopra: una stella coperta per metà da un velo.

Quindi è così che funziona, la fortezza non serve a rinchiudere, ma a proteggere. E anche peggio di quanto pensassi. Pensò Alex.

Le guardie senza volto, incrociarono le loro lunghe alabarde sbarrando il passo ai due.

«Lui è con me, aprite il portone, presto!»

I soldati ubbidirono senza aprire bocca, spingendo senza troppa fatica le immense ante d’argento, alte più di venti metri, larghe cinque e spesse più di settanta centimetri, aprendo loro il varco. I due entrarono veloci, e il portone si richiuse pesantemente dietro di loro.

«Chi erano quelli?» chiese Alex.

«Semplici proiezioni, me ne servo per “amministrare” meglio il circolo interno e le difese, ci hanno fermato perché non ti conoscono, non ti hanno mai visto quaggiù e ti hanno scambiato per un intruso» rispose lei. «E comunque, non è così brutto come pensi, a volte; la maggior parte delle volte, vinciamo noi e il circolo interno diventa sempre più grande, strappando terra al gelo. Altre volte vince lui, e noi non possiamo far altro che rinchiuderci allinterno e difenderci al meglio, ma questo non accadeva più da molto tempo. Stavamo vincendo, lentamente ma stavamo riconquistando sempre più spazio»

Un'altra scossa, questa volta più violenta e intensa, altri pezzi, di montagna franarono, assieme a qualche frammento di marmo staccatosi dal torrione.

«Mi vuoi spiegare, per l’amor del cielo, che sta succedendo

Valentine esitò per un istante «Faccio prima a mostrartelo» disse poi, entrando allinterno del torrione.

Imboccarono uninfinita scalinata a chiocciola fino a quando arrivarono nel punto più alto della fortezza, unampia balconata delle dimensioni di un campo di Quidditch perfettamente piatta, senza parapetti incastrata fra due picchi montuosi. Da lassù si potevano vedere, sia le lande ghiacciate che il circolo interno; una colossale città giardino, verde, bella, splendente delle tonalità delloro e dellargento che ne decoravano i tetti degli edifici.

«Laggiù» indicò Vall, passandogli un binocolo.

Sulla sommità di una piccola collinetta, situata perfettamente al centro della città, sorgeva un maestoso palazzo dal quale si stava alzando una densa cortina di fumo nero, sembrava che qualcosa stesse andando a fuoco allinterno. Alex notò anche del movimento fuori dalle mura, ma la distanza era considerevole e non riusciva a vedere chiaramente.

«Quello è il Palazzo dIo, di cui sono sovrano, o meglio di cui ero sovrano» continuò lei, «Quando sei arrivato, non eri solo, altri si sono presentai. Non so come ne perché, ma sono riusciti a superare ogni difesa, colpendoci dritti al cuore. Sono riuscito a rifugiarmi qui per un soffio, altri non sono stati così fortunati. Chi ha attaccato non credeva avessimo difese cosi solide, immagino abbia peccato di Hýbris nel sottovalutarci, il che ci dice che non è di queste parti. Tuttavia, sta guadagnando potere, mentre noi ci stiamo indebolendo»

«E cosa vogliono?» chiese Alex.

«Non ne ho idea, ma in quel palazzo ci sono cose che è meglio tenere ben chiuse» fece in tempo a rispondere, prima di bloccarsi con lo sguardo perso nel vuoto per qualche istante.

Intanto, il suono roco e stridulo di un corno si diffuse dalla collina al centro del cratere, rimbalzando fra una cima delle montagne, facendo tremare di nuovo la terra.

«Ti hanno trovato! Sanno che sei qui! Stanno venendo a prenderti!» disse la ragazza in un soffio, affacciandosi al bordo della balconata a strapiombo che dava sul circolo interno.

Alex la segui e, scrutando la città immediatamente sottostante la fortezza, che sorgeva esattamente speculare anche dallaltro lato delle montagne, vide un gran numero di figure nere e sfuggenti aggirarsi veloci nei vicoli, confluendo verso le mura del forte.

«Cosa sono quelli?» domandò lui continuando a seguire lavanzate delle creature.

«Spettri, ti basti sapere questo e» Vall si interruppe, Alex si girò per capirne il motivo.

«Non posso permettere che ti trovino, torna qui una volta che avrai capito cosa sta succedendo, fai presto! Non cè molto tempo»

«COSA?! Tornare, andare di che stai parlando? Cosa dovrei fare? Ioionon ho idea di» farfugliò confuso Alex

«Mi spiace» lo interruppe lei, alzando una mano, posandola sul suo petto «E lunico modo che io conosca» aggiunse, chiudendo gli occhi.

Senza nessun preavviso, una forza misteriosa e irresistibile scaraventò Alex oltre il bordo della balconata, facendolo precipitare per le centinaia di metri che lo separavano dal suolo. La persona che lo aveva spinto ora, aveva ripreso il suo aspetto originale e osservava impotente la caduta del suo sosia, che scomparse nel nulla appena prima di impattare contro la parete rocciosa.

«Fai presto ti prego, sei la tua ultima speranza» disse sottovoce, prima di infilarsi lelmo bianco che teneva sotto il braccio.

Si girò, e con passo marziale si diresse verso la grande scala a chiocciola che portava ai livelli inferiori del torrione. Aveva del lavoro da fare, La Torre dArgento doveva prepararsi a sostener battaglia, lultima battaglia se la sua parte cosciente non si fosse sbrigata a trovare una soluzione, di questo ne era certo.

 

WoW! Pisco deliri! Non vedevo lora.

Spero che questo capitolo vi piaccia! Io lho trovato interessantissimo, perché verso la fine, quando ho dovuto cercare un nome che mi sembrava appropriato per il Palazzo dIo, nelle mie ricerche sulla sacra Wiki ho scoperto che praticamente avevo appena descritto nel racconto, lIo (psicologico) del signor Freud senza saperne assolutamente una cippa. Beh, quantomeno la cosa mi ha fatto un pochino riflettere.

Comunque, colgo loccasione per ringraziare tutti quelli che leggeranno questo capitolo.

Saluti

Alessandro.

   
 
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