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Buon Anno a tutti!!
Aggiornamento di fortuna. Quando torno più tardi sistemo tutto e aggiungo
risposte alle recensioni e note al capitolo.
Eccomi ... con i dovuti ringraziamenti!
Grazie a Psike per il suo commento, auguri anche a te. Grazie a Tigre94,
fedelissima, che mi commenta ogni capitolo^__^ . Dunque adesso spiego un
attimo visto che mi sembra un dubbio diffuso. Non è che Dumbledore non si
accorge di niente, semplicemente non passa con il bambino abbastanza tempo
per accorgersene e, se come giustamente avete notato, Snape parte
prevenuto nei confronti di Harry, anche Dumbledore parte prevenuto...
prevenuto nell’idea che nessuno ha mai abusato Harry! Quindi perché
cercare segni di un qualcosa, che per lui, non dovrebbe esistere? Tornando
a Snape, Snape non è stupido ovviamente (anche se adesso si sente un po’
odiato... uh uh uh ), non è che non nota che qualcosa non va,
semplicemente NON vuole notarlo, perché ha deciso di non interessarsi del
figlio dei Potter. Comunque in questo e nel prossimo capitolo spero di
farlo capire ancora meglio. Mi fa un piacere enorme sapere che vengono
fatte delle riflessioni sulla mia fic e posti degli interrogativi. ^__^ .
Grazie a Kary91 per il suo commento. Grazie a LadySnape, solitamente adoro
quando la gente chiama crudele il mio testo uh uh uh, in questo caso anche
a me dispiace per Harry e non vedo l’ora di scrivere i capitoli in cui
l’atteggiamento di Snape cambierà, perché vi assicuro che cambierà e non
manca molto. Piccolo spoiler! Ancora 4 o 5 capitoli e le cose dovrebbero
migliorare drasticamente. Forse anche prima... Grazie ad Arya, cara i
commenti lunghi non mi annoiano affatto, anzi... spero di mantenere il mio
ritmo di aggiornamento, adesso con gli esami di gennaio la vedo un po’
dura, ma cercherò di impegnarmi. Beh, che la Figg sia fumata ormai si
sa... Snape invece avrà modo di redimersi. Grazie ancora. Grazie a sparta,
sono contenta di essere riuscita almeno un po’ a far sentire le emozioni
di Harry, anche se per adesso sono emozioni tristi. Bombottosa, visto che
giovedì sono arrivata in orario? E anche lunedì!! Sto migliorando, è il
mio buon proposito per l’anno nuovo. Ci si sente sul forum! Grazie di
tutto. Grazie a lilica, in effetti mi piace molto giocare sugli equivoci e
sui fraintendimenti e in questo capitolo e nel prossimo ce ne saranno
ancora degli altri... sì, Ratatouille è un film bellissimo, merita
guardarlo. Grazie a Chrystal_93, oddio, aspetta ad odiare Snape, ma non
voglio dire altro... sono certa che dopo i capitoli finali della mia fic
lo rispetterai ancora di più... Grazie a Jerada per il suo commento,
non ti preoccupare so che la storia è leggermente angosciante, almeno fino
ad ora, bisognerà aspettare un pochino prima di vederla diventare allegra.
Comunque grazie per avermi fatto sapere cosa ne pensavi. Ciao Lake, grazie
mille, mi dispiace averti fatto infuriare, mi sento in dovere di
avvertirti che anche questo capitolo non è leggero. Anzi... Per le altre
fic mi sa che bisognerà aspettare ancora un po’, comunque grazie di tutto.
Spero di non aver tralasciato nessuno, come sempre, fatemi sapere se
dovessi aver scordato qualcuno...
Buona lettura e ancora buon anno!
Mel Kaine
The Heart of Everything
Capitolo 5 - /Scared angel in restless hours /
“Albus, sai bene quanto io detesti ripetermi, il bambino non…”
“Dicono che la neve arriverà prima quest’anno, mio caro ragazzo…”
Severus si passò una mano sul viso, facendo appello a qualsiasi parvenza
di pazienza che ancora gli rimaneva. L’andito per giungere verso la Great
Hall era pieno di vita. Gli studenti correvano accanto a loro per pranzare
assieme agli altri alunni.
Snape, maestro di Pozioni ad Hogwarts, Scuola di Magia e Stregoneria, non
intendeva accettare questa sconfitta. Non senza una lunga, estenuante,
sanguinosa battaglia.
“Preside…”
Albus si volse verso di lui con un brillio vivace negli occhi.
“Non trovi sia un peccato non poter ammirare il verde dei prati fino alla
prossima primavera?”
“Ovviamente, Albus, ovviamente…” concesse l’uomo
Il pranzo fu accompagnato dall’insistente sottofondo di voci allegre e
spensierate. Oh, quanto li detestava. Si versò un’abbondante calice di
vino e lo bevve lentamente, per calmare i nervi. Gli studenti erano
eccitati per l’imminente weekend ad Hogsmeade e Snape si sentì estremamente
grato di non dover insegnare quel pomeriggio. Certamente il numero di
incidenti durante Pozioni avrebbe raggiunto un nuovo picco, altrimenti…
Si alzò.
Attraversò la Great Hall e si dispose ad attendere Dumbledore fuori dalle
porte.
Sapeva che sarebbe stato come trovarsi in mare a combattere contro i
flutti ed i venti in tempesta.
Ma non avrebbe accettato la resa, non ancora.
Non adesso che lo scorrere delle stagioni aveva mitigato il dolore e
annebbiato il ricordo, come del buon vino.
Non adesso che la sua vita era divenuta quanto di più vicino alla
stabilità e alla quiete avesse mai osato sperare.
Albus non poteva davvero chiedergli questo.
Non poteva.
Lo vide uscire molto tempo dopo, quando ormai la Hall era praticamente
vuota.
Lo accompagnò in silenzio verso il suo ufficio, ripetendosi in mente un
discorso che aveva già imparato e che non presentava alcuna falla.
Davanti al gargoyle di pietra Albus si girò verso di lui.
“Ragazzo mio, se la vecchiaia non mi sta giocando un brutto tiro, sono
certo di ricordare che avevi una lettera da mandare. Ti consiglio
caldamente di farlo adesso, spira un vento favorevole verso Diagon Alley,
il tuo gufo arriverà in un istante”.
Impossibile.
Non poteva davvero rifiutargli udienza!
Non aveva il diritto di… rifiutargli ogni singola, misera possibilità di
difesa, di … preservazione.
Gli occhi azzurri di Albus brillavano ancora, sì, ma non della loro luce
gioviale, non della loro luce allegra.
E, senza bisogno di alcuna parola, avvenne quella conversazione che Severus
temeva più di ogni altra cosa in quei giorni.
La richiesta incontrastabile di lealtà ed ubbidienza.
‘No, non su questo Albus, non così…’
Lasciando che il mantello attorno a lui si gonfiasse mentre si voltava
Severus si allontanò a grandi passi.
La guferia era quieta e vuota.
Il giovane maestro di Pozioni legò alla zampa di uno degli animali il suo
messaggio e lo guardò librarsi nell’aria di quel primo pomeriggio umido e
piovoso.
Si appoggiò contro la balaustra di legno e ne strinse i bordi fino a
sentire male, le nocche bianche come ossa.
La mente lontana, oltre le praterie pregne di fine pioggia, oltre le cime
dei monti e degli alberi della Foresta Proibita, oltre le placide rive del
lago.
Indietro, in tempi oscuri che non voleva rimembrare, eppure…
Come aveva potuto credere che un giorno ci sarebbe stata pace in terra
anche per un’anima nera come la sua?
E l’uomo che lo aveva salvato adesso lo mandava nuovamente incontro alla
rovina.
Le sue preoccupazioni era già molte così, senza bisogno di ulteriori pesi.
Come poteva Albus chiedergli questo?
No, quegli occhi, gli stessi, il pensiero fisso ogni istante, ad ogni
sguardo.
Un solo giorno era parso come un’eternità di agonia.
Non voleva ricordare e non voleva che nessuno lo costringesse a farlo.
Dopo molti, infiniti minuti chiuse le palpebre e lasciò la torre per
tornare ai suoi quartieri nelle fondamenta di Hogwarts.
Harry aveva cercato di dormire un altro po’, ma adesso veramente non ci
riusciva. Nascosto sul fondo del baule, con le piccole ginocchia al petto,
rimase a fissare il vuoto con gli occhi aperti per un sacco di tempo,
senza avere la forza di fare altro. La testa era leggera, leggera. Come
l’aria estiva quando si avvicinava il suo compleanno. Aveva fame. Fame.
Fame. Fame. Fame.
Fame da morire.
Voleva disperatamente poter lavorare per quell’uomo e guadagnarsi
qualcosa, ma non sapeva se ne avrebbe avuto la forza, adesso.
Non ne aveva neanche per lasciarsi alle sue fantasie…
Quando sentì l’uomo rientrare fu quasi certo che sarebbe stato picchiato
subito.
Non riusciva nemmeno ad alzarsi per mettersi al centro della stanza, come
gli era stato ordinato il giorno prima…
Ma il tempo passava e nessuno aveva aperto la sua porta.
Harry sapeva che doveva farsi vedere.
Sapeva che l’unico modo per poter finalmente mangiare qualcosa era
chiedere all’uomo vestito di nero con cui adesso viveva.
E sapeva anche che prima sarebbe stato punito per tutto quello che aveva
fatto in quei giorni (per essere andato in bagno una volta in più la prima
sera, per averlo guardato ben due volte negli occhi senza permesso, per
essersi seduto su una poltrona troppo bella per un moccioso come lui e per
aver deciso di uscire dalla stanza adesso) e poi, forse, avrebbe potuto
chiedere del cibo.
Si issò a fatica fuori dal suo baule, rabbrividendo.
La pancia ed il braccio sinistro avevano ripreso a fargli male. Non
riusciva a camminare senza tremare e mordersi le labbra.
Con tutta la sua forza di volontà aprì la maniglia e scivolò verso la sala
con il camino.
Snape era rientrato in gran fretta e con il viso coperto da un’espressione
di pura rabbia.
Subito si era gettato sui suoi fogli, sulle sue ricerche e sui programmi
per i suoi allievi.
Non aveva alcuna intenzione di accertarsi delle condizioni del
bambino-Potter.
Se Albus insisteva con la sua linea d’azione Severus avrebbe risposto
usando le stesse armi. Per niente al mondo si sarebbe curato del figlio di
James Potter e prima o dopo Dumbledore sarebbe stato costretto a
rimuoverlo dai suoi quartieri e ad affidarlo a qualcuno più ‘competente’.
Snape soleva definirsi un uomo impegnato. Voleva soltanto liberarsi di
quell’inutile, piccolo esserino, di quel peso arrivato da un passato che,
per la pace della sua anima torturata, doveva rimanere sepolto e lontano,
non abitare le sue stanze e rendere insonni le sue notti.
Adesso aveva degli scopi nuovi, degli interessi e dei doveri. Non aveva
davvero tempo per quel bambino. Per la prima volta i suoi esperimenti sul
perfezionamento della Wolfsbane stavano dando i risultati sperati e la sua
miglior classe di Slytherin si avviava verso i N.E.W.T.s, avrebbe voluto
aggiungere per loro delle ore di doposcuola e prepararli ulteriormente.
Non aveva davvero tempo per altre, insignificanti cose come, per esempio,
quella che si stava muovendo alla sua sinistra.
Snape alzò di scatto la testa dalle pergamene ricoperte di fini appunti.
Dal corridoio si vedeva spuntare la testa del figlio dei Potter.
Una sorta di sottile lama d’irritazione colpì il maestro di Pozioni alle
spalle, chiudendogli quasi la gola.
L’andamento lento e strascicato del bimbo, poi, lo stava facendo realmente
infuriare.
E perché diavolo non alzava mai quella sua dannata testa?
Severus non disse niente e dopo qualche istante se lo trovò davanti.
Avrebbe voluto urlargli di andarsene, ma si mantenne calmo e composto,
limitandosi a squadrarlo con sufficienza dall’alto della sua scrivania.
Il piccolo Harry si accostò cautamente, come se ad ogni passo dovesse
arrivargli una botta sulla testa, ed era capitato alle volte, in effetti…
L’uomo aveva un viso ancora più cattivo del solito, ma ad Harry, a questo
punto, non importava più niente di farlo arrabbiare né di venir picchiato
con quelle mani enormi. Aveva fame. Ed era più che disposto a fare
qualsiasi cosa.
Prese a torcersi le manine l’una dentro l’altra, come sempre.
Adesso che era davanti a lui doveva solo trovare il fiato per parlare.
Anche se si sentiva la bocca asciutta si trovò ad ingoiare il groppo che
gli si era formato in gola.
“Si-signore…” alzò un istante gli occhi per conferma e trovò quello
sguardo nero puntato su di lui.
“Signore… p-p-per favore, posso… avere qualcosa? Da m-mangiare… –
silenzio. – Per favore, per favore…” aggiunse per sicurezza, a Zio Vernon
piaceva molto sentirlo pregare.
Snape sollevò un sopracciglio.
Era la prima volta che lo sentiva dire qualcosa di diverso dai soliti ‘Sì,
signore’ , ‘No, signore’.
Ancora senza scomporsi l’uomo lanciò uno sguardo all’orologio. Non erano
trascorse nemmeno due ore dalla fine del pranzo.
“No”.
Harry abbassò la testa ancora di più. Le lacrime stavano inesorabilmente
diventando intrattenibili. Già le sentiva pungere dietro gli occhi,
dolorosamente.
“Non voglio che tu prenda l’abitudine di mangiare fuori pasto”.
I grandi occhi verdi di Harry, ancora più grandi su quel visetto pallido e
scarno, si spalancarono in sorpresa ed incomprensione.
Non capiva.
Forse l’uomo non voleva che prendesse l’abitudine di mangiare ogni tre
giorni?
Forse doveva cercare di arrivare almeno a (non sapeva bene)… sei?
Oh, Harry davvero non aveva capito.
Sapeva solo che non avrebbe mangiato.
Spostò il suo misero peso da una gambina all’altra, pensando.
Forse poteva fare un ultimo tentativo.
Poteva chiedergli se aveva qualche lavoro da fargli fare, qualsiasi cosa…
si sarebbe impegnato e forse l’uomo gli avrebbe dato qualcosa, dopo.
Di nuovo rimase in silenzio un pochino, non sapendo come chiedere, cosa
dire.
Alzò un’altra volta la testa, l’uomo non lo guardava.
“Posso… ”
Snape sollevò la testa.
Cosa faceva ancora lì?
Attese.
“… fare … qualcosa…?”
Severus alzò gli occhi al cielo.
“Cosa facevi solitamente a casa, Potter? Dormivi? Giocavi? Continua a
farlo, ma bada bene che non tollererò alcuna infrazione alle regole che ti
ho elencato due sere fa…” lo guardò l’ultima volta prima di tornare alle
sue carte.
Harry esitò un istante, prima di parlare: “Non mi era permesso giocare…”
“Mh…”
L’uomo non lo stava ascoltando già più. La piuma di piccione andava su e
giù velocemente, senza quasi fermarsi.
Harry sospirò pianissimo e si spostò verso il fuoco. Si accucciò lì
vicino, guardando fisso dentro le fiamme.
Un pezzetto di carbone stava lì, al margine del camino, solo e nero.
Harry pensò di somigliargli.
Piccolo e solo, lontano da tutti gli altri pezzi, lontano dal fuoco.
Anche se non poteva fare niente per se stesso, poteva fare qualcosa per
quel piccolo carbone.
Lo prese, lanciando un minuscolo guaito di dolore e lo rigettò fra le
fiamme.
Severus rialzò lo sguardo.
Sembrava proprio che il bambino-Potter si fosse bruciato vicino al fuoco.
Se si aspettava conforto da lui avrebbe fatto meglio a prepararsi ad una
lunga attesa.
Non si sarebbe affatto lasciato intenerire dalle lacrime o dagli sguardi
addolorati.
Niente poteva insegnargli a non avvicinarsi al camino meglio di una buona
scottatura…
Si preparò, in attesa dei pianti e degli strilli, certo di perdere la
pazienza fin dal primo momento.
Attese.
Attese.
Attese.
Niente. Inclinò la testa lievemente, guardando il bambino.
Potter si teneva la manina offesa contro il petto, ma non si era voltato
a cercarlo, né stava piangendo… solo un leggero brillio negli occhi umidi.
Meglio così, si disse, non aveva tempo per gli isterismi.
In perfetto silenzio Harry si leccò il dito bruciato. Faceva male, ma non
era nulla in confronto a quello che suo zio alle volte gli faceva. Non
c’era motivo di disturbare quell’uomo per niente. Ancora Harry non si
capacitava di come avesse potuto evitare ‘una buona dose di disciplina’.
Erano due giorni ormai che dormiva fino a tardi e non puliva niente. E
adesso aveva persino osato chiedere e rivolgergli lo sguardo e la parola e
ancora niente botte.
L’uomo improvvisamente si alzò.
Il cuore di Harry partì come un cavallo al galoppo. Tentò di farsi piccolo
piccolo contro il lato di pietra del camino, ma sapeva cosa sarebbe
accaduto. Quando si faceva male da solo, in casa Dursley, suo zio o sua
zia gli urlavano contro di essere un povero stupido e per educarlo lo
colpivano dove si era ferito. Il piccolo tentò di nascondere la mano al
petto, spingendola così forte contro le coste sporgenti da sentire dolore.
Ma l’uomo lo oltrepassò senza degnarlo di alcuna attenzione.
Con i libri pieni dei suoi appunti sotto braccio Severus si chiuse la
porta alle spalle, la fermò con un incantesimo e si diresse ai suoi
laboratori.
Rimasto solo nella stanza Harry si alzò. A passo incerto tornò in camera
sua e di nuovo si stese sul fondo del baule, esausto.
Snape lavorò alle sue pozioni tutto il pomeriggio. Le maniche tirate su
fino al gomito (nella solitudine del suo laboratorio poteva permettersi
tale privilegio senza il rischio di svelare il suo passato), la testa
china sui fogli, sugli scritti, il calore del fuoco sotto il calderone.
L’esatta arte del misurare ingredienti e la sottile scienza del mescolarli
insieme, trasformando materia in altra materia, era qualcosa di unico
nella sua vita.
Sembravano riportarlo verso ere precedenti, ove l’asse della sua esistenza
era stabile come una reazione ben conosciuta.
Per tanti anni era stato come gettare radici di piante sconosciute e
polveri non etichettate nel calderone stracolmo e in ebollizione della sua
vita, in attesa dell’esplosione. Poi Albus lo aveva tolto dal fuoco dopo
che il Bambino Sopravvissuto ne aveva estinto la fiamma. E adesso
intendevano ributtarlo nell’inferno d’incertezze dal quale era così
faticosamente emerso.
Ed ancora Dumbledore si sorprendeva del suo rifiuto…
Ma Severus sapeva che alla fine ne sarebbe valsa la pena, di combattere
ovviamente, di opporsi.
Alla fine sapeva che il dolore lentamente si sarebbe dissolto.
Con niente ad alimentarlo, niente a farlo crescere e sbriciolare i muri
che penosamente tenevano in piedi la sua anima di peccatore.
Continuò a lavorare fino a sera, inconscio del tempo che passava,
inconscio del mondo al di fuori, ignaro e sordo, mentre ombre si muovevano
per incontrare altre ombre ai margini della Foresta Proibita ed il piccolo
Potter piangeva nella sua stanza.
Oh, Harry si sentiva davvero male. La pancia di nuovo ed il braccio, il
dito bruciato, la testa, il petto. Non gli piaceva per niente tossire se
poi tutto il torace sembrava in fiamme. Aspettava che l’uomo tornasse.
Così poteva andare in bagno e poi raggiungerlo, supplicarlo ancora, farsi
dare qualcosa. Aveva pianto un pochino nel pomeriggio e poi si era
addormentato. Adesso cominciava, per la prima volta, ad avere paura.
Quell’uomo sembrava cattivo abbastanza da lasciarlo morire di fame. Forse
non gli avrebbe dato proprio niente ed avrebbe atteso di… lasciarlo andare
in cielo, come la sua mamma ed il suo papà, ma il pensiero non lo
consolava. Non credeva affatto che i suoi genitori sarebbero stati felici
di vederlo. E forse, Harry, il cielo non se lo meritava neppure. Era così
inutile ed ingrato, sempre a chiedere, sempre ad innervosire i grandi.
Nascose la testa sotto il braccio destro e lasciò che il tempo scorresse.
Snape si ritirò nei suoi quartieri un’ora dopo cena. Frustrato ed irritato
si sbatté la porta alle spalle. I suoi esperimenti con la Wolfsbane non
erano andati a buon fine e adesso avrebbe dovuto ricominciare da capo.
Aveva un altro, fastidioso, principio di emicrania e non aveva ancora
cenato. Si guardò attorno con occhi socchiusi. Ricordava perfettamente di
aver lasciato il bambino-Potter accanto al camino. Beh, era già tanto che
l’intero salotto non avesse prese fuoco…
Aveva magicamente chiuso a chiave la porta, quindi non lo avrebbe certo
trovato fuori dai suoi appartamenti. A grandi passi si diresse verso la
stanza del figlio dei Potter. La aprì senza riguardo ed alzò gli occhi al
cielo.
Di nuovo in quel dannato baule a giocare a non-si-sapeva-cosa. Lo lasciò
senza dire una parola e raggiunse la piccola cucina.
Chiamò un elfo, ordinò la cena e si sedette al tavolo.
Un istante dopo gli venne servito il pasto.
Harry aveva trattenuto il respiro fin da quando aveva sentito la porta
sbattere con violenza. Alle volte anche Zio Vernon lo faceva e solitamente
non era una cosa buona per Harry. Immancabilmente finiva con lui
trascinato vicino alle scale e picchiato per qualche ragione. Tanto era
tutta, come sempre, colpa sua.
Raccolte le poche energie che gli erano rimaste uscì dal baule e si
affacciò sul corridoio dallo stipite della porta.
Da lontano poteva vedere una parte della sala illuminata dal camino ed in
fondo in fondo, nell’angolino, poteva vedere anche la cucina.
L’uomo stava mangiando.
Harry ingoiò diverse volte la saliva che aveva preso a riempirgli la
bocca. Con la testa appoggiata alla porta rimase fermo a guardare. Il suo
stomaco ormai era abituato a non fare più molto rumore, ma quando si
contraeva dalla fame faceva davvero un gran male. Oh, come avrebbe voluto
avvicinarsi, anche solo per guardare cosa stava mangiando quel signore… Ma
non ne aveva il coraggio e quindi rimase dov’era, gli occhi pieni di
lacrime che si rifiutava di continuare a versare.
Snape si volse incuriosito verso l’elfo domestico che ancora non si era
congedato dopo aver posato sul tavolo il vassoio.
“Io non sa bene come dire, signore…” cominciò la creatura.
“Allora non dire proprio niente, non ritengo ti sia richiesto”.
“Io mi scusa tanto, tantissimo, signore, ma volevo dire che ogni giorno il
cibo…”
Venne miseramente interrotto, da un maestro di Pozioni stanco e nervoso.
“Non ho tempo per queste cose, puoi andare, sei congedato!”
“Sì, signore” e con un lieve ‘pop’ l’elfo scomparve.
Severus consumò la sua cena in silenzio, cercando di chiudere la mente a
qualsiasi pensiero molesto. Uno dei suoi Slytherin era venuto nel suo
ufficio, quel pomeriggio, per chiedere qualche chiarimento sulla lezione
di Pozioni e questo lo rendeva oltremodo orgoglioso. Le sue piccole serpi,
quell’anno, mostravano tutte una buona attitudine per lo studio di tale
materia e Snape se ne era detto soddisfatto.
Se non fosse stato per la crudele tortura di dover insegnare loro assieme
ad una classe di inutili, goffi Hufflepuff…
Si alzò velocemente e si sistemò alla sua scrivania. Non avrebbe avuto
pace fintantoché la sua Wolfsbane non fosse stata perfetta. Prese a
lavorare in modo preciso e veloce. Ma aveva bisogno di osservare nella
pratica alcuni accorgimenti che riteneva indispensabili. Raccolse i fogli,
lasciando in gran fretta i suoi appartamenti.
Il piccolo Harry scivolò lungo il muro del corridoio buio. Si guardò
attorno. Anche se aveva sentito la porta sbattere e sapeva che l’uomo era
uscito, sentiva il bisogno di controllare che fosse vero. Lentamente si
fece strada fino al salotto. Nella penombra la cucina sembrava un premio
ambito, meraviglioso.
Harry guardò di nuovo la porta chiusa e poi di nuovo verso la cucina.
Senza un suono si abbassò e sgattaiolò sotto il tavolo.
Forse l’uomo aveva lasciato cadere qualcosa… anche una mollica di pane
andava bene, anche un piccolo ossicino di qualcosa. Qualunque cosa. Harry
non riusciva a vedere molto bene al buio, ma con le manine tastava e
cercava.
Ah, quasi si lasciò sfuggire un gridolino di gioia.
Una briciola!
Se la mise velocemente in bocca mentre ne cercava altre, sentendosi già
meglio al sapore del pane contro la lingua.
Vicino alla sedia ne sentì un’altra. E lì vicino un’altra ancora.
L’uomo aveva mangiato in gran fretta…
Ma Harry era così contento che l’avesse fatto, e così felice dopo aver
assaggiato anche il secondo pezzetto di pane, che non si accorse
assolutamente del suono della porta, né vide l’ombra dell’uomo affacciarsi
alla porta.
“Che diamine stai facendo lì sotto, Potter?!”
Harry alzò la testa di scatto, mancando il tavolo per un pelo.
I suoi occhi verdi come il bosco si dilatarono di terrore, il suo respiro
divenne frenetico e irregolare.
Cercò di rifugiarsi d’istinto contro una delle sedie, ma una mano enorme
si chiuse attorno al suo braccio, trascinandolo via dal suo riparo.
Snape era tornato indietro pochi istanti dopo aver cominciato i suoi
esperimenti. Aveva scordato di sigillare magicamente la porta dei suoi
quartieri e anche se le barriere che aveva eretto personalmente attorno
alla porta non avrebbero permesso a nessuno di entrare senza permesso,
altrettanto non si poteva dire per chiunque ne volesse uscire.
Così era tornato indietro in fretta, negandosi la sensazione di lieve
preoccupazione al pensiero del bambino-Potter in giro per i corridoi di
Hogwarts. Era rientrato gettando subito uno sguardo al corridoio, la porta
della stanza sembrava aperta… c’era solo da aspettarselo…
Intenzionato a cercare meglio prima di correre fuori era stato fermato da
un suono alla sua sinistra, una sorta di minuscolo grido di esaltazione,
più un sospiro contento, in realtà.
Aveva guardato nella penombra della cucina e dopo un istante aveva visto i
piedini di quello che tutto era fuorché un elfo domestico affaccendato
sotto al suo tavolo.
Quasi sollevato e certamente irritato al tempo stesso, si era fermato un
attimo a domandarsi cosa diavolo stesse facendo là sotto, prima di esigere
spiegazioni a voce alta.
Lo trascinò fuori da lì senza dire altro.
Il bambino era rigido come una statuetta e gli occhi erano scuri ed
enormi.
Subito la sua mente acuta registrò che uno dei piccoli pugnetti era chiuso
ermeticamente attorno a qualcosa di molto piccolo.
“Cos’hai in mano?”
Il bambino cercava debolmente di sottrarsi alla sua presa, Snape lo scosse
leggermente per dissuaderlo da quel proposito e gli afferrò la mano.
“Niente, niente, signore. Mi dispiace, mi dispiace… per favore, mi
dispiace…”
Snape sapeva bene che i suoi appartamenti non erano il luogo adatto per un
bambino. Molto spesso il giovane maestro portava con sé fiale e
bottigliette di pozioni o le appoggiava sui mobili e sulle mensole. Aveva
fatto attenzione a sistemare ogni cosa la mattina del secondo giorno, ma
non poteva avere la certezza che quello che il figlio dei Potter stringeva
fra le dita non fosse una pozione velenosa o addirittura mortale. Facendo
attenzione a non usare troppa forza lo costrinse ad aprire la mano. In
lieve sorpresa rimase a fissare un piccolo pezzettino di pane sul palmo
del bambino.
Negandosi per la seconda volta quel fastidioso senso di sollievo glielo
tolse per gettarlo via.
Gli occhi neri si indurirono in uno sguardo di palpabile disprezzo e
scherno.
“Quei Muggle con cui vivevi non ti hanno insegnato che non si mangia
quello che si trova per terra?”
Oh, Harry lo sapeva, era un bambino grande, ma quando non avevi niente da
mangiare per giorni anche quello che stava per terra andava più che bene.
Comunque annuì, troppo spaventato per poter parlare.
“Vai a lavarti le mani e non raccogliere più niente da terra” ordinò
l’uomo ed Harry ubbidì, il cuore che ancora non si era calmato.
Rimasto solo nella sala Severus si trovò a maledire generazioni e
generazioni di streghe e maghi perbene. Nuovamente corse fuori dai suoi
quartieri (castando l’incantesimo sulla porta questa volta). Era certo di ricordare,
adesso, di non aver estinto il fuoco sotto al suo calderone. Arrivò al suo
laboratorio in tempo per assistere alla completa distruzione del suo
esperimento. Con un gesto furibondo della bacchetta fece svanire ogni
traccia e, raccolti i suoi appunti, tornò per l’ultima volta indietro.
Harry pianse un pochino mentre si lavava le mani. La sua bella, buona
briciola… andata. La sua ultima possibilità di avere qualcosa da mangiare…
Si sciacquò il viso e bevve tutta l’acqua che poteva bere senza sentirsi
male.
Tornò in sala solo per trovarla nuovamente deserta. Mentre si chiedeva se
non avesse sognato d’aver visto l’uomo sentì i suoi passi fuori dalla
porta.
Severus rientrò ancora una volta, sbattendo la porta così forte da farne
risuonare l’eco lungo i corridoi delle segrete.
“Dannazione!” gridò entrando.
Scavalcò quella piccola piaga, causa della sua innaturale distrazione, e
lasciò cadere i pugni sopra il tavolo.
Il rumore sordo e potente fece scorrere un brivido lungo la schiena del
bambino.
Immobile per la paura Harry pregò che l’uomo non si girasse a guardarlo.
Improvvisamente ci fu una seconda esclamazione di rabbia e tutti i fogli
sulla scrivania vennero gettati a terra, assieme ai libri e l’inchiostro.
Terrorizzato Harry rimase dov’era. A tratti non osava neppure respirare.
Severus si girò.
I suoi occhi neri e furenti incrociarono lo sguardo colmo di paura del
bambino.
Per un attimo non si udì alcun suono.
In quei momenti Harry si convinse che quella sera sarebbe stato
davvero picchiato.
Severus chiuse gli occhi.
Aveva dato fin troppo spettacolo.
Si ricompose velocemente, afferrando la bacchetta la agitò brevemente
sorvegliando i fogli che rapidamente tornavano al loro posto, l’inchiostro
che rientrava nella boccetta ed i libri che si poggiavano nuovamente sulla
sua scrivania.
Dopo aver guardato l’orrore dipingersi negli occhi del bambino-Potter
aveva capito di aver operato quella magia davanti a lui nel misero
tentativo di distrarlo dal suo scatto d’ira. Ed aveva fallito miseramente,
come poteva ben vedere.
Harry sentì le ginocchia tremare tanto forte da farlo cadere a terra e,
senza una parola, andò ad accucciarsi nell’angolo, accanto alla credenza.
No, no, no. Lui non aveva visto niente. Fatto niente.
Scosse una volta la testa, sentendo gli occhi di quell’uomo su di sé.
Snape sollevò un sopracciglio, realmente perplesso questa volta.
Ovviamente la reazione del figlio dei Potter non era da catalogarsi tra
quelle che normalmente accompagnavano l’uso di qualsiasi magia davanti ad
un bambino. Inconsciamente fece un passo avanti.
Harry aprì quelle sue labbra tremanti per parlare.
“No, n-n-non ho visto niente, signore… non ho fatto niente… mi dispiace…
non ho fatto n-niente…” prese a ripetere.
Quegli occhi verdi erano grandi come quelli di un animale spaventato a
morte e Severus si rese conto che un perfetto sconosciuto, che da poco
aveva smesso di gridare e buttare a terra libri e fogli e che si
avvicinava rapido, difficilmente sarebbe stato un fattore rassicurante a
qualsiasi livello. Si lasciò quasi sfuggire un sospirò, fermandosi.
Era stato un giorno senza tregua per entrambi.
Con uno sguardo vicino alla sconfitta Severus Snape lo scrutò.
“Vai a letto, Potter”.
Ma mentre Harry ubbidiva, quella voce lo fermò di nuovo.
“Aspetta. Vieni qui”.
Ed Harry, tremando, seppe
che questa volta niente lo avrebbe salvato.
Continua…
Nota grammaticale: per
mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni
altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini
inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati,
ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’.
Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di
ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
Note capitolo: La Wolfsbane è la pozione che serve a Remus Lupin per non
perdere la capacità di intendere e di volere durante la sua trasformazione
in lupo mannaro. E’ una pozione molto difficile da preparare.
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