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Autore: Padmini    18/06/2013    1 recensioni
Ciò che Sherlock ha portato nella mia vita è stato l'assurdo, l'abitudine a vivere fuori dagli schemi. Se prima, svegliandomi, sapevo esattamente cosa avrei fatto a qualsiasi ora del giorno, ora non posso più esserne così sicuro. Apro gli occhi e non mi chiedo cosa preparerò per pranzo o se litigherò con una cassa automatica del supermercato. Non posso essere sicuro di ciò che accadrà.
Sono certo dell'incertezza. Può sembrare un ossimoro, una contraddizione in termini, ma è così.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci alla fine di questa storia, ragassuoli. Avrei potuto farla continuare ancora un pochino, ma a parte il fatto che non avrei fisicamente potuto (tra pochi giorni partirò per la stagione al mare) sarebbe stata troppo ridondante e noiosa. Ho preferito perciò concludere in bellezza e lasciare un finale socchiuso (non del tutto aperto, ma nemmeno completamente chiuso, perché c'è ancora lo spiraglio della vita di Sherlock e di John insieme).

Non mi resta che ringraziarvi per avermi seguita fin qui e salutarvi, quando tornerò in autunno con nuove storie che spero mi verranno in mente mentre mi arrostirò al sole (Come pasticcera lavorerò solo la mattina, quindi avrò tutto il pomeriggio libero per pensare …)

 

HASTA LUEGO!!

PADMINI

 

 

 

 

 

 

 

Essere Sherlock Holmes*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi chiudo la porta alle spalle mentre imperversa la tempesta e quando rimango solo, al buio, tutto il rumore resta fuori. Provo una strana sensazione e pian piano il buio si dirada e mi ritrovo al laboratorio del Barts. Davanti a me c'è un tavolo ingombro di provette, microscopi e strumenti di analisi. Il mio cervello lavora rapidamente, dati e idee si accavallano freneticamente ma riesco a seguirle senza problemi. Prendo il reagente e lo aggiungo al campione ritrovato sul luogo del delitto e … mi guardo le mani … non sono mie! Si può sapere cosa sto facendo? A cosa sto pensando? Questi quesiti sembrano essere messi in secondo piano da altri più urgenti. Devo scoprire di cosa si tratta e, ovviamente, ci riesco. È vernice, del tipo usato per dipingere le scale da giardinaggio, pieghevoli e facilmente trasportabili. Il problema è che la vittima non aveva una scala simile, perciò dovrò cercarla altrove, per esempio …

Mi blocco. Cosa sta succedendo? La mia mente sembra viaggiare su due binari ma io mi ritrovo ad essere umile testimone di ciò che accade, come in un film molto coinvolgente. Ancora una volta Sherlock è riuscito a sorprendermi, a portarmi in luoghi che mai avrei pensato di vedere, eppure sono qui, così mi lascio andare alla fiducia e osservo ciò che accade, ciò che faccio accadere, cercando di non interferire con i miei pensieri, anche se non sembrano particolarmente rilevanti in quel momento.

 

Sorrido, come al solito ho ragione, ma non faccio in tempo a complimentarmi con me stesso che vengo distratto da qualcuno che bussa alla porta. È Stamford, ma stavolta sembra avere qualcosa di interessante per me. Sorrido quando vedo che ha portato un amico. Un medico militare da poco congedato per un incidente durante una missione … mi chiedo se si sia ferito in Afghanistan o in Iraq. Ha uno sguardo deciso e mi ispira fiducia, potrebbe essere un ottimo coinquilino, sicuramente Mike l'ha portato qui per presentarmelo proprio per questo.

 

Sobbalzo leggermente quando scopro che l'uomo dietro Stamford sono io. Mi guardo come se fossi un estraneo ma ugualmente riesco a capire tutto di me. È incredibile come da pochi dettagli riesca a farmi un quadro completo della situazione.

 

Lancio un'occhiata veloce al mio cellulare. Purtroppo non ha segnale, ma devo mandare immediatamente un messaggio a Lestrade. Non ho tempo per spiegargli le cose a voce, un SMS sarebbe più veloce.

Mike, mi presti il telefono? Il mio non ha segnale”

Scusa, perché non usi il fisso?” mi chiede lui. Irritante.

Preferisco gli SMS ...” odio dare spiegazioni inutili.

Scusa …” si giustifica lui “È nel cappotto”

 

“Usi il mio” mi intrometto e Mike non perde tempo per presentarmi.

“Un mio vecchio amico, John Watson”

Mi guardo incuriosito, sorpreso da tanta disponibilità, e mi alzo per prendere il cellulare.

“Grazie”

 

Prendo il cellulare dalle sue mani e al contatto con la sua pelle rabbrividisco appena, ma riesco a non darlo a vedere, ma subito mi concentro su quello che devo fare, senza dimenticare di osservare questo oggetto così personale per ottenere qualche informazione in più su di lui. Invio il messaggio a Lestrade, del quale conosco il numero a memoria e gli restituisco il telefono.

Ho scoperto tante cose, ma per ora mi limiterò a sorprenderlo con una semplice domanda.

“Afghanistan o Iraq?”

 

Anche se sono io … o non sono io … be', anche ora questa domanda mi lascia a bocca aperta per la sorpresa. Non me la sarei mai aspettata da nessuno. Vedo nei miei occhi che non ho compreso appieno cosa mi ha domandato, cosa mi sono domandato … be' … non è chiaro. È solo la punta dell'iceberg dei ragionamenti che la mente di Sherlock ha elaborato in pochi secondi.

“Come, scusi?”

 

Sorrido a quella domanda stupita.

Dov'è successo, in Afghanistan o in Iraq?”

Afghanistan …” risponde, sempre più confuso “Ma come ...”

Subito la mia attenzione viene attratta da Molly, appena entrata.

Oh, Molly! Il caffè! Grazie ...” dico osservandola “Che fine ha fatto il rossetto?”

Non mi stava bene ...” si giustifica lei, ma sono spietato.

Davvero? Invece stavi meglio ... Hai la bocca troppo ... piccola ora”

 

Ascolto le parole che escono dalla sua … o dalla mia bocca con la stessa disapprovazione, ma in fondo sento che c'è qualcosa di più. Irritazione? È questo che provava Sherlock? Sì, mi sembra di avvertirla. Non mi piace che Molly sia così sdolcinata nei miei confronti, anche se è sempre molto disponibile, non voglio che pensi che in qualche modo potrei ricambiare i suoi sentimenti.

 

Le piace il violino?” un'altra domanda ad effetto, che apparentemente non c'entra nulla, tanto per stupire nuovamente l'interlocutore. Non devo lasciargli pensare nemmeno per un momento che io sia una persona noiosa o sciocca. Vedo me stesso aprire la bocca e rimanere interdetto a quel quesito così strano e, nuovamente, esporre il mio dubbio.

 

“Come, scusi?”

Sono chiaramente disorientato. Prima la storia dell'Afghanistan, per la quale non ho ancora ricevuto risposta, poi questo. Mi sento catapultato in un mondo strano. Forse sono stato in Afghanistan troppo tempo e intanto il resto del mondo è cambiato? Mi vedo lanciare un'occhiata a Stamford ma lui non fa altro che sorridere. Ride da quando siamo entrati, come se sapesse qualcosa che io non so.

Tutto questo però sta cominciando ad irritarmi, lo vedo da come mi muovo, ma percepisco anche il divertimento di Sherlock a quella reazione”

 

Io suono il violino quando penso e a volte non parlo per giorni interi. Due potenziali coinquilini dovrebbero conoscere i difetti reciproci”

Le mie labbra si increspano in un inequivocabile sorriso che palesa la mia soddisfazione interna, alla vista del disorientamento del mio interlocutore, che non sa bene a chi rivolgersi per capire qualcosa, prima a me, poi a Mike.

Gli hai parlato di me?” chiede poi a quest'ultimo e lui, divertito, scuote la testa “Allora chi ha parlato di coinquilini?”

Io. Stamattina Mike mi ha detto che sarà difficile per me trovare un coinquilino e dopo pranzo si presenta con un vecchio amico chiaramente appena rientrato da una missione militare in Afghanistan. Non è stato difficile”

Mentre parlo indosso giacca e sciarpa. Ora le informazioni iniziano ad essere più numerose, ma lo stesso vedo dalla mia espressione che ancora non capisco. Sono troppo lento per stare dietro ai ragionamenti di questo cervello.

 

Meglio fare un passo indietro. Prima di capire come abbia saputo che cerco un coinquilino voglio che mi dica come ha intuito che provengo dall'Afghanistan. Vedo la decisione nei miei occhi, quella che uso quando voglio qualcosa ma evidentemente con Sherlock non funziona, è abituato a sorvolare su come lo trattano le persone e pensa solo a sé stesso, ma io non posso saperlo, non ancora.

“Come sapeva dell'Afghanistan?”

Lui, ovviamente, mi ignora. Vedo le mie braccia irrigidirsi appena per la tensione.

“Ho adocchiato un piccolo appartamento al centro di Londra, insieme potremmo premettercelo. Ci vediamo lì domani sera alle sette. Scusate, devo scappare. Ho lasciato il mio frustino all'obitorio”

Ora la misura è colma. Vedo che sto per perdere la pazienza, infatti sbotto.

“Tutto qui? Vuole condividere un appartamento con me? Noi due non ci conosciamo, non so il suo nome, non conosco questo posto...”

 

Anche se non lo esterno troppo, sto intimamente ridendo per quella reazione così decisa. La persona che ho davanti è decisa, sicura di sé e di ciò che vuole. Non ci sono dubbi, mi troverò bene con lui … o con me … I ricordi si fanno sempre più offuscati e anche se la mente di Sherlock prevale sulla mia, faccio fatica a capire che sono veramente.

Io so che lei è un medico militare e che è stato ferito in Afghanistan. So che ha un fratello che si preoccupa per lei ma non gli chiederà aiuto perché non lo approva, probabilmente perché è un alcolista o meglio perché di recente ha lasciato la moglie … e so che la sua analista pensa che il suo zoppicare sia psicosomatico. Diagnosi corretta, temo. È sufficiente per frequentarci, non crede?”

Nuovo stupore, nuova soddisfazione per me, ora manca solo un'uscita ad effetto.

Il mio nome è Sherlock Holmes e l'indirizzo è il 221 B di Baker Street. Buonasera”

Non mi sono fermato a guardare, ma sicuramente devo essere rimasto a bocca spalancata, incapace di proferir parola e forse Mike mi avrà detto che è un comportamento normale per me … per … lui?

 

 

 

Uscendo dal laboratorio comincia a girarmi la testa. Non so più chi sono e, sinceramente, parlare con me stesso dalla bocca di Sherlock è stata un'esperienza che sarebbe riduttivo definire strana.

Faccio qualche passo in un corridoio nero, dai contorni indistinti, apparentemente senza meta.

Ricordo quel giorno. Allora ero ancora dubbioso, non riuscivo a fidarmi degli altri, ma Sherlock aveva destato qualcosa in me. Interesse? Sì, in effetti quel suo comportamento sfuggente e le sue frasi misteriose mi avevano incuriosito. Non c'era nulla di banale in lui eppure c'era qualcosa di più, il bisogno di stupire, di essere al di sopra degli altri, in un luogo sicuro, dove nessuno avrebbe potuto ferirlo. Avevo provato io stesso quei sentimenti, mi ero immedesimato in lui, riuscendo a comprendere una minima parte della sua vita, della sua continua lotta contro la banalità.

Continuo a vagare, entrando ed uscendo dai suoi ricordi.

La scoperta del messaggio lasciato da Jennifer Wilson; la ricerca della valigia in mezzo ai cassonetti e la gioia di averla ritrovata, confermando così la sua teoria; il disagio provato parlando di sesso e di relazioni amorose; l'eccitazione per l'inseguimento del taxi; il lavoro febbrile del cervello nel tentativo di mettere al loro posto ogni tassello del puzzle; la paura mista a euforia per il rapimento del taxista e il successivo colloquio e infine … tranquillità.

Quando i suoi occhi si sono posati sui miei ho provato un sentimento bello, caldo, avvolgente come una coperta. Non la coperta arancione, che con invadenza i paramedici gli hanno posato sulle spalle, è qualcosa di diverso, di migliore, un dolce invito a lasciarsi andare, ad essere semplicemente sé stesso, in qualunque situazione, senza inutili pose o atteggiamenti di difesa. Non se l'era presa sentendosi chiamare idiota perché sapeva che dietro a quella parola c'era un grande affetto, lo sentiva. Nemmeno io ero consapevole di ciò che gli stavo trasmettendo, eppure essendo lui ho sentito che il mio cuore reagiva a quella voce, a quella risata.

Ero troppo preso da me stesso allora, troppo occupato a capire cosa volevo veramente, per potermi concentrare su di lui ed entrare in empatia, eppure lui l'aveva fatto. Si era fidato di me subito, obbedendo a qualcosa di diverso dalla sua intelligenza.

 

 

Esco dalla stanza di quel ricordo e mi ritrovo nel corridoio rassicurante del mind palace. È sempre notte, ma il cielo ora è sereno e una luna splendente è incastonata tra le ultime nuvole leggere. Sospirando di piacere mi volto, pensando di distendermi nel mio bel lettone, ma mi trovo di fronte Sherlock.

“Ciao, John”

Lo osservo per qualche istante senza sapere cosa dire. Il ricordo della tempesta che poco prima aveva imperversato sul castello. Tremo al pensiero di quanto i suoi sentimenti possano essere impetuosi e mi rendo conto che lo sono soprattutto quando reagiscono per me. Mi guarda dolcezza e un velo di malinconia. Mi avvicino e lo abbraccio di slancio, prima che la parte più rigida della mia mente mi impedisca di farlo. Mi immagino che lui si irrigidisca, invece risponde al mio abbraccio con più entusiasmo di me.

“Non so cosa farei senza di te, John” mi dice abbassandosi per nascondere il viso nella mia spalla “Sei il mio migliore amico, non potrei sopportare di perderti!”

Lo stringo forte. Queste parole hanno un che di egoistico e d'altra parte non posso pretendere di sopprimere questa parte di lui, anche perché sarebbe ipocrita da parte mia perché anch'io sarei perduto senza di lui e questa cosa mi spaventa, così come mi ha turbato l'esperienza del suo ricordo. Volto appena il viso per indicare la soglia dietro di me.

“Questo posto ...”

Lui ride appena, ma quando torno a guardarlo vedo che è teso.

“Non dovrai più entrare qui” mi dice lui, con un tono stranamente severo e, prima di lasciarmi rispondere, scioglie l'abbraccio, mi oltrepassa ed estrae un mazzo di chiavi. Scelta quella giusta la infila nella toppa e chiude a chiave, a doppia mandata e il suono secco del chiavistello che si muove si sente anche nelle altre porte, lungo tutto il corridoio.

Boccheggio, incredulo, e mi sento rifiutato. Lui ovviamente capisce e mi sorride di nuovo.

“Non prenderla a male, John” mi dice “Non voglio che tu entri nei miei ricordi, ma ciò non ti impedirà di entrare nella mia mente, se lo vorrai”

“Perché?” ho la forza di domandare.

“Questi” dice sfiorando il legno della porta “Sono miei e di nessun altro. Non c'è bisogno che tu viva questi ricordi, non ho bisogno che tu mi capisca totalmente anche perché nemmeno io mi capisco del tutto ...”

Esita e arrossisce appena. Vorrei chiedergli perché, ma lui si limita ad abbracciarmi, stringendomi forte.

“Ho bisogno che tu sia qui, ho bisogno di sapere che tu non mi lascerai mai solo”

C'è una nota di urgenza nella sua voce, è una preghiera che mi porge e io non posso fare altro che rispondergli.

“È ovvio che starò sempre con te” lo rassicuro, carezzandolo piano sulla schiena “Non dubitarne mai”

Lui si stacca da me per guardarmi negli occhi. Uno sguardo deciso, pienamente convinto e sincero.

“Anch'io ci sarò sempre per te, John. Sempre”

Lentamente, come per magia, qualcosa accade nei suoi occhi. Si fanno lucidi e una lacrima evade da una delle sue acquamarine, scivolando brillante e ipnotica come un diamante sulla sua guancia di latte. La osservo incantato e tutto all'improvviso si fa bianco.

 

 

Riapro gli occhi lentamente, per abituarmi alla luce. Un raggio di sole entra prepotentemente dalla finestra, sfondando le tende. Mi alzo di slancio e vado ad osservare il cielo. Raramente un azzurro così intenso copre i tetti di Londra e ora sta avvolgendo la mia anima, rinfrescandola e curandola da tutte le preoccupazioni.

Come sempre ha ragione lui. Non è necessario che lo comprenda fin nel profondo anche perché mi piace così com'è, con quell'aura di mistero che lo rende speciale ai miei occhi.

Scendo le scale canticchiando e lo trovo raggomitolato su un angolino del divano stretto alla sua veste da camera, mentre il violino giace abbandonato sulla poltrona, affianco al suo archetto ma quando lo tocco lo sento freddo. Deve aver smesso di suonare da un bel po', infatti sembra profondamente addormentato.

Mi siedo accanto a lui per svegliarlo ma mi fermo. Tracce di lacrime sono ancora ben visibili sulle sue guance. La preoccupazione deve essere stata tanta e mi commuovo pensando che sono io la causa di quelle gocce salate che così raramente varcano la soglia del suo sguardo.

Sento di voler fare qualcosa di speciale per lui.

Quando è così non lo sveglia nemmeno un terremoto perciò vado in cucina e inizio a preparare la colazione, come piace a lui. Pane tostato, uova, pancetta e caffè nero con due zollette di zucchero. Sono costretto a rompere nuove uova perché, distratto da tutti quei pensieri, le ho fatte bruciare, ma va bene così. Non sono perfetto e mai lo sarò e nemmeno Sherlock lo sarà, ma siamo perfetti insieme, ci completiamo e tanto basta.

Metto tutto su un vassoio, che porto poi in salotto e poso sul tavolino davanti al divano. Mi sporgo e lo bacio delicatamente sulla tempia e lui si ridesta.

Mi guarda spaesato e si rende conto che è ancora evidente che ha pianto. Una sfumatura di intenso rosa si diffonde lentamente sulle sue guance e schiude le labbra per scusarsi per quella sua debolezza, ma io non ci faccio caso, come sempre. Non c'è bisogno di parlare e lui lo sa, perciò rilassa la bocca in un tenue sorriso di gratitudine e osserva la colazione sul tavolo, incredulo, si ricompone e mi sfoggia quel suo sorriso beffardo che tanto mi fa ridere.

“Hai fatto bruciare le uova, John” mi dice, con finto rimprovero e io, mio malgrado, scoppio a ridere.

“Non ti si può nascondere nulla!” dico, fingendomi offeso, ma lui ha già cominciato a mangiare di gusto, così anch'io prendo il mio piatto e lo imito poi, ingoiato il primo boccone, prendo la tazza di caffè e la sollevo in uno strano brindisi mattutino.

“A John Watson e a Sherlock Holmes” dico, solennemente.

Sembra una posa, un'esagerazione, ma è ciò che penso realmente. Lui sorride e alza a sua volta la tazza, facendola scontrare con la mia con la sua voce più sincera, più vera.

 

 

 

Sono passati due mesi. Ovviamente abbiamo vissuto molte altre avventure, una più incredibile dell'altra. Come dicevo, Sherlock sembra capace di trovare cose sempre più assurde da fare e quando penso di aver toccato il massimo della follia lui mi stupisce ancora e ancora e ancora.

Il mind palace e vasto e profondo, ma ormai non ci entro più. Mi basta guardarlo negli occhi per sentire la sintonia che ci unisce. I giornalisti insistono a millantare una qualche relazione omosessuale tra di noi, ma non c'è nulla di strano. Nessuno può capire l'alchimia che c'è tra di noi. È qualcosa che va al di là del tempo, dello spazio e della mente. Noi ridiamo a queste cose e spesso fingiamo di confermarle.

Un mese fa eravamo su una scena del crimine. Sherlock aveva appena fatto arrestare il colpevole, quando arrivarono i giornalisti. Andarono subito da Lestrade e poi vennero da noi. Sherlock rispose in modo professionale, guardandoli seriamente mentre io, che ero al suo fianco, ridevo sotto i baffi sapendo che era tutta una messa in scena.

“ … quindi era ovvio che si trovasse nel retrobottega. Ora, se volete scusarmi, ho di meglio da fare”

Detto questo mi aveva preso per le spalle e mi aveva baciato sulle labbra e io avevo finto di ricambiare, poi mi aveva preso a braccetto e se ce n'eravamo andati, sotto lo sguardo sbalordito dei presenti. Il giorno dopo erano usciti articoli scandalosi su di noi e tutti sembravano essersi dimenticati il serial killer che per due settimane aveva terrorizzato le vie di Clapton. Abbiamo riso alle loro spalle e, chiaramente, pochi giorni dopo era arrivato un nuovo scandalo a oscurare il nostro.

 

 

Ogni giorno mi propone nuovi stimoli, nuove possibilità e gioisco al solo pensiero che posso viverli con lui. Se prima in sua compagnia mi sentivo bene, più vivo, ora ne sono anche più consapevole. Il viaggio nel suo inconscio mi ha permesso di prendere coscienza del nostro legame e di goderne di più, sia quando ridiamo che quando mi arrabbio. Va tutto bene finché siamo insieme.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sherlock, comodamente seduto nella poltrona di una piccola ma confortevole casetta – minuscola se paragonata al suo mind palace, ma incredibilmente confortevole, sorrise a quelle parole. Una lacrima di gioia gli attraversò il volto. Aveva visto ogni cosa, ogni pensiero, ogni sforzo di John per cercare di comprenderlo meglio perché, mentre il dottore era entrato nel suo mind palace, anche lui aveva trovato un accesso per il suo.

Si alzò e lentamente raggiunse la porta. Anche lui, che seppur inconsciamente sapeva di quel legame, ora lo vedeva in modo più chiaro, più definito. Se lo tenne nel cuore e lo cullò, voltandosi per osservare per l'ultima volta, non senza una certa malinconia, quel luogo che lo aveva protetto e amato, l'anima di John, sapendo che non lo stava veramente abbandonando.

“Ci vediamo nella realtà”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* Non ho visto il film 'Essere John Malcovich, ma questo capitolo è più o meno ispirato a quello. John entra nelle memorie di Sherlock e vive la realtà come se fosse lui ...

   
 
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