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Autore: Filakes    19/06/2013    1 recensioni
Ho scritto questo racconto a "puntate" e pubblicato sul giornalino della scuola.
Erica frequenta il liceo, la sua vita è tranquilla, calma, finché una notte fa uno strano incubo.
Da quel momento verrà perseguitata dai suoi incubi, fino a dover combattere contro il male che è ormai dentro di lei.
Dal prologo:
"Con le mani impacciate dal tremore, cinse le spalle della donna e ne fece affiorare il viso alla luce della candela.
La ragazza urlò e scattò in piedi: la donna priva di vita aveva il suo volto, era lei."
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III


  Erica era seduta da sola in un tavolo in fondo al bar. Tra le mani stringeva una tazza di cioccolata calda, sorseggiandola di tanto in tanto, lanciando occhiate veloci all’orologio attaccato alla parete bianca. Sì, era decisamente in ritardo.
Ogni notte gli incubi la perseguitavano, la ragazza dai capelli rossi la seguiva armata di pugnale in un corridoio infinito. Aveva anche provato a non dormire, senza successo. Negli ultimi due giorni, aveva avuto persino delle allucinazioni e la notte prima si era risvegliata da un incubo in cucina, mentre tra le mani stringeva un coltello. Si era spaventata così tanto che si era chiusa a chiave nella sua camera, per evitare di far del male a qualcuno.
Quella mattina, tornata da scuola aveva trovato nella cassetta della posta un foglietto con il suo nome, l’indirizzo del bar e un orario. Ci aveva messo alcuni istanti a capire chi l’avesse scritto, ma alla fine aveva capito.
Tamburellò le dita sul tavolo liscio, la cioccolata era ormai fredda. Mentre valutava l’opzione di uscire di lì, la porta si aprì e, come aveva immaginato, il ragazzo entrò nel bar. La individuò subito e la raggiunse in fretta.
- Scusa per il ritardo, ho fatto prima che potevo. - Si scusò, sedendosi di fronte a lei.
- Figurati, sono solo trenta minuti. - Commentò acida Erica.
- Se hai accettato di venire direi che la situazione è peggiorata. - Considerò lui aprendo la lista sulla pagina della caffetteria.
- Sì, decisamente. Ma tu chi sei? Come fai a sapere di lei? - Domandò Erica, appoggiando la tazza vuota sul piattino.
- Mi chiamo Lucio, faccio parte di un’associazione speciale che si occupa del soprannaturale. La ragazza che ti tormenta ogni notte si chiama Angelica. Nel quattordicesimo secolo fu bruciata al rogo con l’accusa di stregoneria e fu maledetta. La sua anima non può andare nell’aldilà ed è rimasta bloccata qui. Il suo spirito si impossessa delle persone, le fa impazzire e le obbliga a commettere efferati omicidi, poi o li fa suicidare o li abbandona. Due secoli fa un esorcista la imprigionò in un ciondolo, credendo di aver messo fine alla catena di omicidi ma non fu così. Il ciondolo fu trafugato e da allora lei lo usa per impossessarsi di chi lo indossa.  
Spiegò Lucio, guardandola negli occhi. Erica trasalì, portando le mani al ciondolo che due settimane prima aveva comprato in un negozio dell’usato. Lucio annuì, intuendo la sua tacita domanda.
- Non basta che io lo tolga vero? - La voce di Erica era un flebile sussurro.
- No, mi dispiace. Non è solo una questione di indossare o no il ciondolo, ormai lei è dentro di te, va tolta il prima possibile.
- E come? - Chiese Erica speranzosa.
- Questa notte indossa questo - le porse un ciondolo contenente un liquido trasparente, “contiene dell’acqua santa. Quando avrai ancora l’incubo 'sta notte, affrontala. È il tuo sogno, il tuo inconscio, puoi controllarlo se ci provi. Lotta e battila. Se sarai tu a vincere lei sparirà per sempre. Cercherà di rifugiarsi di nuovo nel ciondolo, ma indosserai questo e lei sarà solo un brutto ricordo.
- E se vince lei?
- Allora io ti bloccherò prima che lei ti usi per uccidere qualcuno. - Il tono della sua voce faceva trapelare un chiaro riferimento al fatto che avrebbe potuto ucciderla, in caso di necessità.
- Fantastico. - Borbottò Erica, sostituendo il ciondolo alla catenina d’argento. Quando lo lasciò ricadere sulla pelle, sentì un lieve bruciore nel punto in cui si era appoggiato al collo.
Era in una bruttissima situazione, tutto per colpa di un ciondolo. Se avesse saputo ciò che sarebbe successo, non lo avrebbe mai comprato.
Quando quella sera tornò a casa, trovò la madre intenta ad impastare la pizza. I fratelli ridacchiavano davanti alla televisione e il padre era al computer.
- Tutto bene, amore? - Domandò la madre rivolgendole un sorriso radioso.
- Abbastanza. - Entrò in cucina e si avvicinò al forno caldo, infreddolita. - Lo sai che ti voglio bene, vero? - Chiese Erica, guardando la madre. Lei si voltò preoccupata, le mani sporche di farina.
- Certo che sì. È successo qualcosa?
- No, niente di particolare. - Erica si sforzò di sorridere e l’abbracciò.
 
L’orologio segnava la mezzanotte ed Erica camminava avanti e indietro per la stanza, fissando il letto come il peggiore dei nemici. Non aveva la minima intenzione di addormentarsi con il rischio di non essere più se stessa il giorno dopo, ma allo stesso tempo quella era l’unica soluzione per mettere fine agli incubi. Rassegnata, chiuse la porta a chiave e si infilò sotto le coperte, poi, nonostante l’ansia, si addormentò.
 


  Era in una stanza illuminata da candele sparse qua e là. Erica notò che era ampia e rotonda, il soffitto alto era roccioso. Un morso allo stomaco le fece capire che l’incubo era iniziato. Un fruscio di catene la fece voltare e a pochi passi da lei vide materializzarsi Angelica. Trattenne il respiro quando vide che impugnava un coltello lungo e affilato.
- Benvenuta nel luogo dove avrai fine. - Sorrise sadicamente Angelica.

   
 
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