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Autore: Filakes    20/06/2013    1 recensioni
Ho scritto questo racconto a "puntate" e pubblicato sul giornalino della scuola.
Erica frequenta il liceo, la sua vita è tranquilla, calma, finché una notte fa uno strano incubo.
Da quel momento verrà perseguitata dai suoi incubi, fino a dover combattere contro il male che è ormai dentro di lei.
Dal prologo:
"Con le mani impacciate dal tremore, cinse le spalle della donna e ne fece affiorare il viso alla luce della candela.
La ragazza urlò e scattò in piedi: la donna priva di vita aveva il suo volto, era lei."
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IV

 

  Erica era immobile, sentiva il sangue defluire dal volto, le gambe farsi molli. Guardò Angelica, poi il pugnale e di nuovo la ragazza. Sentiva la bocca asciutta, anche se quello che viveva era un sogno, ogni sensazione sembrava reale. In effetti, in un modo aldilà della sua comprensione, lo era.
Angelica avanzò di alcuni passi, sfiorando con l’indice della mano sinistra la lama del coltello. Un rivolo di sangue le scese tra le dita.
- Allora, Erica, mettiamo fine a questa storia? - Domandò con un sorriso sulle labbra.
Erica deglutì l’aria, terrorizzata. Doveva combattere per lei, per la sua vita e quella dei suoi cari. Doveva. È solo un sogno, pensò tra sé, solo un sogno.
- Ottima idea. - cercò di dire con decisione, ma le parole le uscirono deboli e tremolanti. Angelica sorrise e le lanciò addosso il coltello. Erica evitò il colpo mortale, ma la lama le ferì il braccio sinistro. Con sua sorpresa sentì dolore. - Ma come? - Si stupì toccando il sangue umido e caldo.
- Questo non è un semplice sogno, è una lotta dentro la tua anima. Il dolore si sente. - Spiegò Angelica, facendo materializzare un altro coltello. - Preparati. -
Erica strinse i denti, doveva trovare un modo per vincere. Desiderò di stringere un pugnale tra le dita e questo vi si materializzò, dolore o no, rimaneva un sogno. Angelica le si gettò contro ed Erica divaricò leggermente le gambe, per attutire l’impatto. Il coltello di Angelica mirava al suo volto, ma con un colpo dell’avambraccio, Erica deviò la mano dell’avversaria. Stringendo il pugnale fece un affondo, mirando all’addome, ma con un balzo Angelica si spostò dalla sua traiettoria.
Erica lanciò il pugnale contro l’avversaria, colpendole la mano che stringeva il coltello. Angelica lanciò un urlo di rabbia.
- Ricordati che sei in un MIO sogno. - Le ricordò Erica con un sorriso.
Nelle mani della rossa si materializzarono delle lunghe catene, alle cui estremità erano fissati dei coni acuminati. Con un movimento secco e deciso, le catene saettarono verso Erica, colpendola alla gamba, facendola cadere all’indietro. Un gemito di dolore riecheggiò nella stanza dall’aspetto infernale, mentre la risata acuta e sadica di Angelica vibrava nell’aria. Erica cercò di alzarsi, cercando di non guardare la pozza di sangue che si stava formando a terra. Dando uno strattone alle catene, però, Angelica la fece cadere di nuovo, strappandole via dalla carne le punte acuminate. Altro dolore, altro sangue. Sentì le lacrime pungerle gli occhi, la vista le si appannava contro la sua volontà. Il bruciore che sentiva salire dalla gamba ferita era intenso e l’odore acre del sangue le faceva venire la nausea. Così non andava affatto bene.
Erica sentiva le catene tintinnare e strisciare per terra, trascinate da Angelica. Alzò la testa e incrociò lo sguardo oscuro e perduto della nemica. Angelica era un assassina da secoli, come poteva pensare di opporsi a lei? Come poteva pensare di batterla? Tremante si alzò usando la gamba buona, ignorando il dolore. Le due erano vicine, tanto che nessuna delle due poteva fare un passo avanti senza scontrarsi con l’altra. Erano identiche: stessa statura, lo stesso taglio degli occhi, stessa bocca, stesso taglio di capelli, ma tanto lo sguardo di Erica era determinato e sofferente, tanto era violento e cupo quello di Angelica. Erica, ormai, era troppo debole e stanca per opporle resistenza, a malapena era conscia di essere in piedi. Come avrebbe voluto poterle piantare un coltello nello stomaco e farla finita.
La rossa alzò un’estremità appuntita della catena con la mano ancora sanguinante che Erica era riuscita a ferire, poi la calò nella clavicola della ragazza. Erica spalancò gli occhi e aprì la bocca, pronta ad urlare, ma non le uscì alcun suono, se non un gemito di stupore: Angelica non l’aveva colpita ed era ferita e urlava, contorcendosi a terra con violenti spasmi. Senza capire, Erica guardò le sue mani: stringeva tra le dita un coltello affilato, sporco di sangue. Com’era successo?
Da terra cominciò ad alzarsi uno strato d’acqua limpida e fresca, che bruciava Angelica. La scena che aveva davanti agli occhi era tremenda: la vedeva soffrire e la sentiva urlare, ma non riusciva a muovere un muscolo per aiutarla. Dopo attimi interminabili, la ragazza smise di dimenarsi e con un rantolo svanì.
 

  Erica si mise di colpo a sedere sul letto, tastandosi il braccio, la clavicola, la gamba. Stava bene. La sveglia accanto a lei segnalava che erano le quattro del mattino. Si alzò e nello specchio vide riflessa la sua immagine, ma c’era qualcosa di diverso: il ciondolo che Lucio le aveva dato non era più trasparente, ma nero. Lo tolse in fretta e lo appoggiò vicino alla finestra avvolto in un fazzoletto di stoffa.
Sorrise, finalmente serena: l’incubo era finito.

   
 
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