Questa storia è arrivata seconda al contest “Questione
di Pozioni” di cui Lady Nonsense ha fatto da giudiciA sostitutiva… Quindi, beh,
ecco a voi ;)
Essenza di Dittamo: Essenza
ricavata dal fungo dalle molteplici funzioni curative. Tre gocce su una ferita
aperta sono in grado di fermare l’emorragia e creare uno strato sottile di
pelle nuova; cura le bruciature e fa ricrescere la pelle.
Pairing: Hermione/Ginny.
Obbligo: morte di un personaggio.
Pairing: Hermione/Ginny.
Obbligo: morte di un personaggio.
Nickname sul forum:
Mitsuki91
Nickname su EFP: Mitsuki91
Titolo: Insieme
Pairing: Hermione/Ginny
Obbligo: morte di un
personaggio
Pozione: Essenza di Dittamo
Trama: Lord Voldemort è
stato sconfitto, ma non da Harry Potter: lui si è sacrificato, in quanto ultimo
Horcrux, ed è morto davvero. Né Hermione – che aveva avuto con lui una tresca –
né Ginny si rassegnano a non avere più accanto la persona che hanno amato.
Note dell’autore: è il mio
primo tentativo di femslash, eah XD comunque, spero di non essere andata troppo
OOC, soprattutto alla fine. Valuta te >..< io lo metterei lo stesso
l’avvertimento, per sicurezza.
Insieme
Avevano vinto.
Sì, avevano vinto, ma la
realtà era che avevano anche perso.
Harry era morto. Si era
sacrificato per fare in modo che anche Voldemort potesse essere ucciso –
l’avevano capito, alla fine; l’avevano visto, nei ricordi di Severus Piton,
lasciati da Harry nel Pensatoio – e li aveva lasciati per sempre. Era stato
Kingsley a sferrare il colpo di grazia, a far sì che la battaglia cessasse, a
uccidere Tom Orvoloson Riddle; ma non poteva riportare indietro Harry.
Nessuno di loro avrebbe
potuto.
La vittoria era stata una
vittoria a metà. Fra tutti morti, fra tutti i feriti, la scomparsa di Harry era
quella che bruciava di più.
Harry, che era stata l’ultima
speranza per tutti loro.
Harry, che li aveva sostenuti
e guidati.
Harry, che aveva reciso ogni
legame con la vita distruggendo gli Horcrux. Della sua, assieme a quella di
Voldemort.
Un amico, un amante, un
fratello.
Harry.
“Hermione, posso capire come ti senti.”
L’aveva trovata in un’aula dismessa, a piangere da
sola mentre Ron e Lavanda erano in Sala Comune a scambiarsi effusioni. L’aveva
vista, pallida e sofferente, che cercava di ignorarli. L’aveva notata, quando
aveva deciso, infine, di alzarsi ed andarsene. E l’aveva seguita.
Harry era un bravo ragazzo. Hermione era una sua amica
e stava soffrendo: avrebbe voluto fare qualcosa per lei, per ripagarla di tutto
il sostegno che lei gli aveva dato nel corso degli anni.
“Oh, Harry, lo so.” disse lei, asciugandosi gli occhi
con una manica della divisa e smettendo di singhiozzare.
“Lo sai?” chiese lui, sedendosi accanto alla ragazza.
“So che sei innamorato di Ginny, mentre lei sta con
Dean. Si vede. So che sai come mi sento.”
I due ragazzi si guardarono degli occhi, Harry
arrossì. Abbassò lo sguardo e disse: “Sarebbe stato tutto più semplice se io
avessi amato te, vero?”
Ginny non riusciva ancora a
crederci. La morte di Fred bruciava, pulsante, in un punto indefinito nel suo
stomaco, e quella di Harry… No, non era possibile. Harry non poteva essere
morto. Non poteva averla lasciata, non poteva…
Viveva in un mondo strano,
Ginny. Delle volte era presente, delle volte il dolore la schiacciava ed era così
forte che l’unica cosa da fare era raggomitolarsi su se stessa e piangere,
piangere fino allo sfinimento. Delle volte, invece, era apatica. Se le
chiedevano qualcosa, su Fred o su Harry, si limitava a guardare fuori dalla
finestra e a rispondere: “Oh, sono solo usciti un attimo. Fra poco rientrano.”
Forse aveva dei problemi,
Ginny. Ma nessuno era in grado di curarla, perché tutti erano chiusi nello
stesso dolore.
Era successo, alla fine. Contro ogni logica, contro
ogni buon senso, erano arrivati ad un punto di rottura.
Harry aveva visto di nuovo Ginny e Dean baciarsi
appassionatamente, in un angolo nascosto di un corridoio.
Hermione era rientrata in Sala Comune prima del
previsto e aveva assistito alla scena quotidiana di quello che gli altri chiamavano
“mangiarsi la faccia” fra Ron e Lavanda.
Erano scappati, si erano ritrovati.
Lei era di nuovo in lacrime.
Lui era arrabbiato e sofferente.
Così, si erano baciati. Un bacio sofferto, rabbioso,
deciso. Un chiodo schiaccia chiodo: avevano preso l’occasione per sentire
qualcosa di nuovo; per provare, anche solo per un momento, a non soffrire più.
Chi l’avrebbe detto che
sarebbe nato qualcosa? Oh, di certo non Hermione. Lei era così sicura, così
presa da Ron, dal suo dolore… Non se n’era accorta. Non aveva fatto in tempo.
Ma quando lui era morto, quando Harry era morto… Si era resa conto di essere
stata cieca.
Lei era Hermione, quella
intelligente, quella forte. Anche lei, però, si era dovuta piegare sotto il
peso di un dolore così grande.
Aveva cercato di distrarsi,
sì, aveva cercato di risolvere questioni più urgenti, di rimandare. Era andata
in Australia a recuperare i suoi genitori, dopo aver presenziato ai funerali,
poi era tornata e aveva chiesto al Ministero se ci fosse qualcosa da fare, se potesse
dare una mano. Si era messa d’impegno e aveva aiutato a ricostruire Hogwarts,
così da poterci tornare l’anno dopo.
Ma non poteva evitare la
notte. Non poteva evitare di rimanere sola, ad un certo punto, ed avere tempo
per pensare. Per quanto si sforzasse, per quanto facesse attività fisica
durante il giorno, così da stancarsi ed addormentarsi subito, non poteva
evitare di pensare a lui.
Harry.
Il migliore amico che non
avrebbe più avuto.
Il compagno che era stato,
quella che ormai era una vita prima, che lei aveva considerato solo uno sfogo,
un’abitudine passeggera.
Solo ora se ne rendeva conto.
Era anche il ragazzo che
aveva amato, che amava.
Amava,
perché ora non c’era più.
Quando Harry aveva trovato il coraggio di mettersi con
Ginny, lei si era fatta da parte. Ginny e Dean si erano lasciati, lui l’aveva
baciata davanti a tutti: lei aveva capito che la cosa fra loro, qualunque cosa
fosse, doveva finire. Non ne avevano mai parlato apertamente, ma lui non
l’aveva più cercata… Non in quel senso.
Se ne era fatta una ragione.
A volte credeva di scorgere qualcosa, in lui. Uno
sguardo di dispiacere, di rimpianto, di desiderio.
Ma erano solo attimi. Attimi senza significato che lei
aveva tradotto con “Scusa, Hermione, so che mi sarei dovuto comportare correttamente,
ma ora Ginny finalmente è fra le mie braccia e non posso più tornare da te, lo
capisci? Ti ringrazio per il sostegno e mi dispiace che per te non sia ancora
giunto il momento della felicità. Ma, adesso, io non ci posso più fare niente.”
Era un’interpretazione giusta. Quello che lei non
sapeva, però, era che Harry si era reso conto di provare qualcosa per lei.
Aveva soffocato quel sentimento, aveva cercato di non pensarci, si era
aggrappato alla convinzione che Ginny fosse la ragazza giusta per lui. E, in
effetti, non aveva nulla di cui lamentarsi: Ginny era perfetta, lui la
desiderava, erano le coppia che avrebbe sempre voluto essere.
Solo che, in qualche modo, non era abbastanza.
Rispettava troppo Ginny ed Hermione per provare ad
avvicinarsi di nuovo a quest’ultima. Harry era fondamentalmente un bravo
ragazzo, non avrebbe sopportato di far del male a qualcuno. Credeva che per
Hermione non fosse stato niente, soltanto uno sfogo. Quindi preferiva ferire se
stesso che lei e Ginny.
Non si era accorto che Ginny, invece, aveva compreso.
La cosa più straziante di
tutto quel dolore, per Ginny, era non sapere se Harry l’avesse amata davvero.
Oh, l’aveva desiderata, quello sì, però… C’era un però.
Un però fatto di sguardi
sfuggenti, che Harry aveva rivolto ad Hermione.
Un però fatto di un momento,
prima che lei si lasciasse con Dean, in cui li aveva beccati, in cui aveva
visto con i propri occhi la passione dirompente fra loro, i baci quasi
disperati e il toccarsi frenetico.
Era abbastanza certa che,
nonostante tutto, da quando lui si era messo con lei non l’aveva mai tradita.
Ma sul momento ci era rimasta molto male: Hermione sapeva quanto lei amasse
Harry, eppure…
Poi aveva concluso che non
avrebbe comunque potuto dir niente, dato che lei stava con Dean. Ragionandoci
sopra, aveva compreso che la passione fra Harry e Hermione era fatta solo di
rabbia e dolore, quelli che la ragazza doveva provare in quel momento per Ron.
Però quegli sguardi… Quegli
sguardi la tormentavano. Non erano preoccupati e fraterni, non solo: erano
anche accesi e dirompenti, un fuoco che bruciava, un’elettricità che palpitava
nell’aria. Erano un qualcosa, un qualcosa da cui lei era totalmente esclusa.
Venne il giorno in cui
Hermione si ripresentò alla Tana. Era stata lontana per troppo tempo: sia per
andare in Australia per riportare indietro i genitori, sia perché credeva di
non essere più la benvenuta in mezzo a quel dolore. La morte di Fred era ancora
troppo vivida, troppo fresca perché un’estranea come lei potesse varcare quella
soglia.
Ma adesso erano passati due
mesi. Adesso, forse, era il momento buono per riprendere i contatti, prima che
fosse troppo tardi.
Bussò alla porta della Tana
con un nervosismo crescente. Sapeva che tornare avrebbe significato affrontare
tutti i suoi demoni, quelli che già le venivano a far visita ogni notte e che
non la lasciavano dormire.
Venne Ginny, ad aprire.
La ragazza era dimagrita,
aveva i capelli spettinati e due occhiaie profonde.
Hermione fece un sospiro:
sapeva che non avrebbe ritrovato la famiglia Weasley come se niente fosse, ma
la vista dell’amica l’aveva turbata.
“Hermione.” disse lei, con
fare sognante.
“Ginny. Posso entrare?”
“Sì, sì, certo… Entra.”
rispose lei, sempre con quel tono leggero.
Hermione pensò che ci fosse
qualcosa che non andava, che forse avesse fatto male a stare lontana così a
lungo.
Eccola lì, davanti a lei. Si
ripresentava dopo tutto quel tempo come se niente fosse. Era curata: aveva i
capelli raccolti in una coda, i vestiti sembravano freschi di bucato e
profumava di pulito.
Ginny decise che era una cosa
troppo grande perché potesse affrontarla ora. Chiuse il mondo fuori, come le
capitava di fare ogni tanto da quando tutto era successo, e l’accompagnò in
casa.
La osservò parlare con il
resto della sua famiglia, la vide abbracciare Ron. Vide Ron ricambiare la
stretta e baciarla, così, davanti a tutti. Non che gli altri ci facessero molto
caso, e non che ci fossero tutti: sua madre era andata in cucina a preparare
del tè e come al solito aveva l’aria assente; suo padre e Percy erano al
lavoro; George a Diagon Alley perché il negozio aveva riaperto da poco; in
salotto c’erano praticamente solo Charlie, Bill e Fleur.
Bugiarda,
pensò, osservando Hermione arrossire, imbarazzata, e scostarsi un po’.
Bugiarda.
Ron l’aveva abbracciata di
nuovo. Lei aveva ricambiato la stretta, timidamente, poi, quando suo fratello
si era fatto da parte, l’aveva vista.
Ginny sentiva di essere al
punto di rottura. Sentiva che qualcosa si stava spezzando, dentro di lei, che
la sua maschera eterea vacillava, che la realtà stava tornando.
Vide Hermione lanciarle uno
sguardo colpevole, addolorato, e capì che se ne sarebbe dovuta andare.
Ammettilo, almeno a te stessa, fu l’ultima cosa che pensò, prima di lanciarsi di
corsa su per le scale e tornare in camera sua.
Il bacio di Ron l’aveva
sorpresa. Fortunatamente era stato poco più che uno sfioramento di labbra:
sentiva che non sarebbe riuscita a sopportare un contatto più profondo.
Poi l’aveva vista.
Ginny li osservava, sulla
soglia.
Nel momento in cui i loro
occhi si erano incrociati, aveva capito.
Lei sa.
Non sapeva come aveva fatto,
come li aveva scoperti. Non sapeva nulla, ma quell’informazione era chiara,
nella sua mente.
Devo andare da lei.
Dicono che il dolore della carne può distrarre da
quello dell’anima, si ritrovò a
pensare Ginny, mentre era accucciata per terra, in mezzo al pavimento della sua
stanza, e si teneva le braccia.
Quanto male posso ancora stare?, era la domanda che si era posta, prima di affondare
le unghie nella pelle.
Sangue.
Piccole perle rosse che le
colavano lungo le braccia.
Faceva male, bruciava. Faceva
parecchio male.
Non è abbastanza.
Appena aprì la porta della
stanza di Ginny, Hermione si rese conto che la ragazza era crollata.
Stava a terra, raggomitolata
su se stessa, e aveva dei rivoli rossi lungo le braccia, che partivano da dove
si era conficcata le unghie nella carne.
Si avvicinò e si chinò, per
poter essere con il viso alla sua altezza.
“Ginny.” disse solo,
aspettando una reazione dell’amica.
Calde lacrime iniziarono a
scendere sul suo viso.
“Anche tu lo amavi,
Hermione?”
La domanda l’aveva lasciata
un po’ spiazzata. Ma, subito, aveva compreso quale fosse la cosa giusta da
fare.
“Sì. Ma quando stava con te…
Non ti ha mai tradito, Ginny. Né io ho mai tradito te, la tua amicizia.”
Lei annuì: già sapeva.
“Credi che ci amasse
entrambe, allo stesso modo?”
Un sospiro, da parte di
Hermione.
“Non lo so. Sinceramente sono
sempre stata convinta che amasse te e basta.”
Stavolta Ginny scosse il
capo.
“Non è così. Io l’ho visto. Come
ti guardava. Come ti cercava. Come ti desiderava.”
Una flebile, piccola speranza
nacque nel petto di Hermione, per poi disintegrarsi mezzo secondo dopo, messa
di fronte alla nuda realtà.
“Non lo sapremo mai. Lui non
c’è più.”
La voce le si era rotta, su
quest’ultima parola.
Dopo tanto tempo passato a
combattere contro i demoni, ecco che anche Hermione piangeva.
Ginny osservò quella che
aveva sempre considerato la sua migliore amica. Stava crollando, anche lei.
Erano sole. E stavano andando in pezzi.
Harry le aveva lasciate. Non
solo lei, non solo Hermione.
Le aveva lasciate entrambe.
La disperazione l’avvolse,
tanto che Ginny si liberò dall’abbraccio che si era auto-imposta per farsi
aria, per cercare di respirare in mezzo a quel mare nero di dolore.
Vide Hermione osservarle le
braccia, i punti dove le unghie avevano premuto a fondo, cercando di farle
sentire un altro male, un male fisico per distrarla da quello interiore.
“Ho dell’Essenza di Dittamo,
se vuoi.” disse poi, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano e frugando
nella borsa. Ne estrasse una piccola boccetta contenente la pozione, che allungò verso Ginny.
“E che me ne faccio del Dittamo?!”
chiese lei, la voce acuta, mentre ancora stava tentando di respirare.
“Rimargina le ferite.”
Ginny smise di agitarsi. Si
fermò e fissò Hermione negli occhi, le lacrime che ancora scendevano.
“Le mie ferite non si possono
rimarginare, così come le tue. Siamo sole, Hermione.”
Siamo sole.
Le parole più brutte. Le
parole più tristi.
Siamo sole.
Le parole più vere.
“No, non è vero.” esclamò
Hermione.
“Come sarebbe?!”
La ragazza si alzò in piedi e
la fissò dall’alto in basso, gli occhi ancora pieni di lacrime e lo sguardo
duro, orgoglioso.
“Non siamo sole. Siamo
insieme.”
Anche Ginny si alzò,
meravigliata.
“Insieme?” chiese, con un
sussurro.
Insieme.
Una parola strana. Una parola
meravigliosa.
Insieme.
Una parola ancora più vera.
“Credi che ci amasse entrambe, allo stesso modo?”
Era stata Hermione a fare la domanda. Ginny le stava
accarezzando i capelli, mentre lei aveva la testa poggiata sul suo petto nudo.
Erano nel loro dormitorio, appena un giorno dopo
l’inizio delle lezioni, e si stavano coccolando dopo aver fatto l’amore.
Ginny chiuse gli occhi e sospirò, continuando ad
accarezzarle i capelli.
“Sì, Hermione. Secondo me ci amava proprio allo stesso
modo.”
Hermione alzò il capo e la osservò a lungo negli
occhi. Ginny aspettò, paziente, che dicesse qualcosa.
“Sarà felice?”
“Harry?”
“Di saperci insieme. Le due donne che amava, insieme.
Io credo che lo sia, dopotutto.”
Ginny sorrise, poi l’attirò a sé e la baciò.
“Certo che sarà felice.”
Hermione sorrise, poi solleticò Ginny, che scoppiò a
ridere.
Alla fine, era tutto apposto.
Alla fine, bastava essere insieme.