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Aggiornamento ancora più di fortuna del
precedente. Ieri febbre a 39. Meno male sono riuscita lo stesso. Ancora
buon anno. Questo capitolo è un po’ più lungo e finalmente le cose
cominciano a muoversi. Non so come ringraziarvi. Mi sono arrivati
tantissimi commenti e sono più che felice. Sapete incoraggiarmi come
nessun altro. Quando ho letto le recensioni su come vi sentite preoccupate
per il piccolo Harry, per un attimo mi sono sentita una brava scrittrice,
capace di far provare qualcosa. Un grazie enorme a Summers84, Tigre94,
Kary91, iaco e pikkola prongs. In questo cap finalmente Harry ha qualcosa
da mangiare (anche perché se no muore e la storia finisce qui e non mi
sembra il caso...). Grazie a hermy88, sì, apprezzo moltissimo i Nightwish
(proprio adesso sto ascoltando Walking in the air e la adoro), però la
voce di Sharon mi ha conquistata troppo. Grazie ancora per i complimenti.
Grazie a Lexie89, ecco il prossimo capitolo. Grazie a aki-chan. Oh, non
preoccuparti. I Dursley non la passeranno liscia. Parola mia. Suvvia, non
mi schiantare Snape, se no chi si prenderà cura di Harry? Lasciamelo vivo,
per favore... ^__^ . Grazie a ellinor, in questo cap le cose migliorano,
grazie per aver continuato a leggere. Grazie a lilica, auguri anche a te e
sì, hai indovinato circa l’elfo, ma per tutto il resto bisognerà aspettare
ancora un po’. Grazie a Psike, anch’io amo Harry piccino, troppo
tenerooooo. Grazie a Rotavirus, sì, anch’io odio molto i Dursley e il tuo
paragone mi rende orgogliosa, grazie mille. Grazie a briciola88 e
LadySnape. Come promesso le cose cominciano a muoversi... Grazie a
Chrystal_93, sono curiosa di sapere se ho scritto quello che pensavi,
fammi sapere se hai tempo. Grazie a TinkerBell88, ecco qui l'aggiornamento
come ogni martedì. Grazie ancora per i tuoi complimenti. Grazie a Piccola
Vero, sono contenta che la mia ff ti piaccia. Ciao bombottosa, con
l’augurio che tu ti rimetta presto, ti ringrazio per il tuo -update or
die-. Fantastico! Ci sentiamo presto. Grazie a sam89, ecco qui il prossimo
cap e speriamo vada un po’ meglio. Ciao Lake, perdonami se ti faccio
soffrire, ma dopo ci sarà più gusto a vedere Sev farsi perdonare... grazie
per il commento. Ed infine grazie a dunky. Anch’io amo Sev alla follia e
amo anche tutte le fic in cui si prende cura di Harry sia come mentore che
come padre. Anche per me Sev è un uomo intelligente e mi dispiace farlo
sembrare ottuso, ma prendetevela con me, lui poverino non c’entra niente,
sono tutte mie macchinazioni... come sono perfida... Ancora un grazie
gigantesco a tutti. Spero di non aver dimenticato nessuno. Buona lettura.
Mel Kaine
The Heart of Everything
Capitolo 6 - / Disgraced
days /
Severus guidò il bambino-Potter in cucina.
E si sedette.
Il piccolo Harry attendeva in silenzio la sua punizione.
Senza alzare la testa rimase immobile davanti all’uomo, domandandosi come
sarebbe stato picchiato.
Zia Vernon usava quasi sempre le mani, Zia Petunia invece preferiva
colpirlo con qualcosa. Una verga, il manico della scopa, il matterello…
solitamente perché, diceva, toccarlo la disgustava. Non sapeva bene cosa
aspettarsi. Almeno Dudley non era lì a guardarlo ridendo. Oh, Harry
ricordava con orrore una particolare volta. Aveva dovuto pulire i
giocattoli di suo cugino, sua zia si era allontanata un momento e lui
aveva quasi finito quando Dudley era arrivato come una furia e gli aveva
strappato di mano l’aeroplanino ancora sporco di marmellata, certo che
Harry ci stesse giocando senza permesso. Glielo aveva portato via con
tanta forza da rompergli un ala e poi aveva iniziato a frignare e
strillare. Zia Petunia era arrivata di corsa e Dudley le aveva fatto
credere che fosse stata tutta colpa di Harry. Quella sera aveva ricevuto
la peggiore sculacciata di tutta la sua vita. Piegato sulle grasse
ginocchia di Zio Vernon era stato picchiato così forte e così a lungo da
piangere fino a non avere più voce né lacrime. E Dudley lo aveva guardato
soddisfatto tutto il tempo. Dopo Harry era stato costretto ad asciugare il
pavimento che aveva bagnato di lacrime ed era stato chiuso nel sottoscala.
Per almeno tre giorni non era riuscito a sedersi.
Sperava con tutto il cuore che l’uomo vestito di nero non fosse così
cattivo, ma non aveva molta speranza al riguardo.
In silenzio si preparò al peggio.
Severus lanciò al bambino uno sguardo critico.
“Siedi”.
Lo osservò attentamente sussultare al suono della sua voce e vide il
sospetto nel suo sfuggente sguardo verde. Socchiuse gli occhi e decise,
per il momento, di soprassedere.
Chiamò ad alta voce un elfo domestico, il bambino-Potter sussultò ancora e
quasi cadde dalla sedia quando l’elfo apparve.
Snape si volse verso la creatura.
“Del tè, del latte caldo e… – il maestro di Pozioni scrutò il bimbo. – Un
piatto di… quegli intrugli imburrati che il Preside sembra apprezzare
così… tanto ogni mattina”.
L’elfo annuì e scomparve.
Il giovane Potter sussultò per l’ennesima volta.
Il silenzio si allungò durante tutta la breve attesa e quando l’elfo
ricomparve Severus decise di soprassedere anche sulla nuova, sconcertante,
abitudine che il figlio dei Potter sembrava mostrare quella sera.
Severus congedò l’elfo e si servì una tazza di buon tè nero.
Il bambino-Potter non si era neanche avvicinato alla sua tazza.
Severus nascose un sospiro. Trasse la bacchetta dalla tasca nelle sue
vesti e la agitò un istante prima di battere sul bordo della tazza una
volta.
Si guardarono.
Un lieve sorriso ironico rischiava di comparire sulle labbra sottili del
giovane maestro.
Il bambino-Potter avrebbe accettato quanto offerto?
Dopo la disastrosa reazione a quell’insignificante dimostrazione di magia
qualche momento prima, Snape dubitava fortemente che fargli vedere che
qualcosa era stato fatto alla sua tazza lo avrebbe in qualche modo
invogliato a berne… e non avrebbe potuto dargli alcun torto se Snape fosse
stato una persona corretta. Beh, purtroppo non lo era.
Il figlio dei Potter avrebbe contestato un suo ordine diretto?
Snape era anche un uomo che amava la pratica quasi quanto la teoria…
“Bevi” disse quindi e tornò al suo tè.
Lentamente una piccola, tremante mano raggiunse il manico e trascinò via
il grosso recipiente.
Severus lo vide appoggiare le labbra sul bordo e sorrise soddisfatto
dietro alla sua tazza.
Harry bevve, chiudendo gli occhi.
Sperava non fosse qualcosa di cattivo e che non lo facesse star male.
Aveva sentito chiaramente l’uomo ordinare del latte, e quello sembrava
davvero latte, ma Harry sapeva che l’uomo aveva fatto qualche magia quando
aveva toccato la tazza con quel suo bastoncino di legno. E la magia, gli
avevano detto i suoi zii, era qualcosa di orribile e malvagio, qualcosa
che non andava nominato né visto né tanto meno fatto. Oh, Harry sperava
che non avesse trasformato il latte in qualcosa di disgustoso come l’acqua
sporca dei piatti, quella che Zia Petunia alle volte gli dava da bere se
Harry non puliva bene le pentole.
Non che avesse poi molta scelta, l’uomo-col-naso-da-pinguino aveva
ordinato ed Harry non poteva che ubbidire.
Al terzo sorso il piccolo si sentì un po’ più calmo.
Il latte sembrava davvero buono.
E poi era caldo.
Harry non aveva mai bevuto del latte caldo prima.
Se riusciva ad averne un pochino qualche mattina quando Dudley lo lasciava
era già una grossa fortuna e comunque non era mai caldo e mai in una tazza
che era stata solo sua.
Harry non osava ancora alzare lo sguardo e quindi non riuscì a non
guardare le piccole, deliziose focaccine imburrate appoggiate in basso,
sul vassoio, davanti a lui. Oh, quanto gli sarebbe piaciuto mangiarne una…
anche solo un pezzettino…
Ma sicuramente l’uomo le aveva ordinate per sé e non intendeva certo darle
ad un piccolo, ingrato, sudicio sgorbio come lui. Eppure non riusciva a
smetterle di guardarle. Ogni tanto alzava gli occhi e le vedeva sempre
tutte lì. Sperava poi di non doverle buttare nella spazzatura mentre
sparecchiava, come succedeva sempre dai Dursley, gli sarebbe sicuramente
venuto da piangere e l’uomo lo avrebbe picchiato. Rubò ancora uno sguardo
e bevve un altro sorso.
Snape osservò attentamente il bambino che aveva di fronte.
Il suo sottile spirito d’osservazione aveva colto qualcosa. E non solo
adesso.
Eppure il suo maledetto, immenso orgoglio gli impediva tassativamente di
interessarsene.
Albus andava convinto che Severus non era la persona adatta e curarsi del
figlio dei Potter, tanto da ipotizzare e cercare risposte a domande
apparentemente di grande importanza, non faceva parte del piano.
Eppure la vista di quei vestiti slargati ed evidentemente logori non
riportava alla mente piacevoli ricordi.
Fortunatamente il pomeriggio seguente un elfo sarebbe andato a ritirare i
vestiti nuovi.
Snape lentamente sorseggiò il tè e ben prima di aver modo di finirlo aveva
già visto il bambino-Potter lanciare di sfuggita sei sguardi alle
focaccine. Forse non erano di suo gradimento. Oh, ma avrebbe imparato a
mangiarle se Snape aveva qualcosa da dire in proposito.
Rapidamente Severus ne prese due, le sistemò su un tovagliolo e le mise
davanti a Potter.
Il bambino alzò la testa.
Severus era certo che la vista di un bimbo così piccolo, con quegli enormi
occhi verdi, le piccola labbra socchiuse e due baffi di latte avrebbe
mandato in estasi Albus, Hagrid, Madam Hooch e quasi sicuramente persino
Madam Pomfrey e la McGonagall.
Ma non Severus Snape.
Perché Severus Snape aveva visto troppe cose orrende nella sua vita per
poter ancora avere occhi per guardare quelle belle, saperle riconoscere e
accettarle senza l’agonizzante terrore di vederle appassire davanti a sé
in un mare di sporca, intossicante cenere.
Comunque Potter sembrava più che intenzionato a non accettare l’offerta.
Snape non si scompose affatto. Posò la tazza che aveva saldamente fra le
dita e disse: “Mi sembrava d’aver capito che avessi fame Potter…”
Non una, ma ben due focaccine. Doveva essere un sogno o una delle sue
fantasie. Harry era certo che quel signore si fosse sbagliato. O che, in
alternativa, sapesse benissimo cosa stesse facendo e che fosse tutta una
trappola per poterlo punire.
“Mangia”.
Ed Harry mangiò.
Il sapore del burro sulla lingua era qualcosa di così meraviglioso, dopo
tutti quei giorni senza cibo, che Harry quasi pianse tutte le lacrime che
aveva trattenuto fino a quel momento. Il piccolo si sentiva così felice
che quasi pensava di scoppiare, ma al tempo stesso temeva che qualcosa,
qualunque cosa, stesse per succedere da un momento all’altro. Harry sapeva
molto bene che non aveva fatto niente per meritare le focaccine e quell’uomo
non sembrava affatto generoso per natura. In qualche modo sapeva che
questa piccola fortuna non sarebbe durata, ma fin tanto che poteva… aveva
così fame…
Severus in silenzio sorvegliava il bambino-Potter.
Lo guardò posare la tazza, prendere la seconda focaccina, morderla,
posarla, riprendere la tazza, posarla di nuovo, finire la focaccina.
Stranamente il bimbo sembrava privilegiare l’uso della mano destra per
qualunque cosa che comportasse sollevare il braccio, ma questa era
un’altra delle cose che non dovevano riguardarlo troppo da vicino, si
disse il giovane professore.
Harry aveva appena finito la seconda focaccina e si sentiva pieno come mai
prima. Bevve l’ultimo sorso. Il latte, ancora tiepido, invece di portare
via il sapore del burro lo rafforzò piacevolmente ed Harry, se avesse
osato, avrebbe sospirato di felicità. Oh, certo, questo non significava
che avrebbe evitato la sua punizione, ma adesso il piccolo si sentiva la
forza di affrontarla.
In silenzio attese che l’uomo parlasse.
Severus lanciò uno sguardo all’orologio attraverso la sala.
Era piuttosto tardi.
Si alzò in piedi.
Con un sopracciglio alzato osservò il bambino-Potter sussultare un’altra
volta e fare un minuscolo tentativo di spostarsi più in là sulla sedia.
Snape scosse leggermente la testa.
“Potter, è ora di andare a dormire. Vai nella tua stanza”.
Incapace di credere alla sua fortuna Harry si alzò velocemente e sparì nel
corridoio.
Severus lo guardò ubbidire e per un attimo rimase immobile nella piccola
cucina, la fronte corrugata su una testa piena di pensieri.
Oh, Harry non poteva davvero credere alla sua fortuna. Aveva finalmente
mangiato e tanto anche. Non ricordava di essersi mai sentito così pieno da
quando un giorno era stato lasciato solo a sparecchiare ed aveva potuto
prendere tutti gli avanzi. Harry sperava solo che non finisse come quella
volta. Zia Petunia aveva guardato nella spazzatura e non aveva visto i
rifiuti, Zio Vernon era venuto a saperlo e lo aveva chiuso in cantina e
senza cibo per quasi cinque giorni. Da quel momento in poi lo avevano
sempre sorvegliato quando puliva il tavolo dopo pranzo…
Il piccolo Harry si stese sul fondo del baule. Sospirò, strusciando la
guancia contro il tessuto logoro e sporco dei suoi vestiti. Oh, se avesse
potuto avere un lenzuolo, anche uno straccetto, con cui coprirsi sarebbe
stato davvero davvero la persona più felice del mondo.
Si rannicchiò contro il legno e chiuse gli occhi. Forse non sarebbe stato
poi così male rimanere con il maestro pinguino…
Severus sedette davanti al fuoco, fissando il vuoto per lunghi momenti. La
sua mente combatté strenuamente contro l’egoismo, contro il dolore. Non
voleva in alcun modo lasciar morire le sue convinzioni, non voleva
guardare al di là, non voleva affrontare tutto quello.
Da perfetto gentiluomo inglese non sarebbe corso via, ma niente, neanche
il volere di Albus, gli avrebbe impedito di allontanarsi a passo
sostenuto. Si alzò astiosamente. Con un movimento della bacchetta estinse
il fuoco nella sala e si ritirò nella sua stanza. Prelevò una fialetta
dalla sua privata riserva di pozioni e la bevve. Il giorno dopo aveva
bisogno di calma e concentrazione. Doveva assolutamente finire alcuni
preparati per Madam Pomfrey e voleva continuare i suoi esperimenti. Aveva
quindi bisogno di una buona notte di sonno e niente meglio di una delle
sue perfette pozioni lo avrebbe aiutato in questo. In breve scivolò in un
profondo, confortante oblio.
Harry si svegliò nel cuore della notte. Ansimando piano si portò le manine
sullo stomaco. Oh, faceva piuttosto male. Non tanto come gli altri giorni,
ma abbastanza da svegliarlo. Si tirò a sedere sul fondo del baule.
Rabbrividì mentre guardava verso la porta del bagno. Faceva sempre molto
freddo fra quelle pareti di pietra e da quando le candele si erano
consumate non c’era più luce. La stanza non aveva nemmeno una finestra e
non c’era il camino come nella sala. Oh, Harry desiderava poter andare di
nuovo in bagno. Non si sentiva molto bene. Sospirò piano. Anche se
sembrava buono alla fine quello che l’uomo gli aveva fatto bere gli aveva
fatto male. Il piccolo Harry si rimproverò di essersi fidato, ma in fondo
sapeva di aver avuto ben poca scelta. Era quasi tentato di alzarsi e
andare a chiedere il permesso di poter andare di nuovo in bagno, ma non
vedeva niente e aveva freddo e non osava svegliare l’uomo. Il buio lo
spaventava, ma almeno non si udiva alcun suono. Di nuovo si stese e cercò
di addormentarsi. Chiuse gli occhi e immaginò di avere un amico. Un
simpatico, gentile amico, che lo teneva per mano e lo guidava lungo le
strade della città. Insieme passeggiavano sui marciapiedi, guardando la
gente che passava loro accanto e ridevano. Poi incontravano un signore che
vendeva palloncini ed il suo amico gliene regalava uno. Mentre immaginava
il suo palloncino contro il cielo azzurro Harry scivolò nel sonno, le
manine ancora strette attorno allo stomaco.
Snape si terse il sudore dalla fronte, prima di tornare davanti ai due
calderoni sui quali stava lavorando. Aveva appena completato un lotto di
Pepperup ed uno di Sleeping Draught. Stava finendo le altre due quando un
gentile bussare lo riscosse dalla sua concentrazione. In fretta Severus si
coprì gli avambracci con le lunghe maniche nere e pronunciò con decisione
un “Avanti” senza allontanarsi dai calderoni. Un giovane Slytherin si fece
scorgere oltre la soglia. Lo stesso che qualche giorno prima aveva chiesto
spiegazioni su una lezione. Snape parlò senza alzare gli occhi dalle sue
pozioni.
“A cosa devo la sua visita, signor Sorier?”
Lo studente si strinse al petto i libri.
“Mi chiedevo, signore, se potesse aiutarmi con uno dei procedimenti
descritti a pagina quattrocentoventi…”
“Mh… ha incontrato difficoltà con i metodi di estrazione della linfa dalle
foglie di Aconito?” domandò Snape, ricordando perfettamente ogni pagina
del libro di Pozioni del quinto anno.
“Sì, signore. Non volevo disturbarla, la vedo impegnato, posso tornare più
tardi nei suoi uffici?” chiese lo studente, guardandosi attorno.
“Non sarà necessario, torni fra venti minuti esatti e vedrò di dedicarle
del tempo”.
“Grazie Professor Snape”.
Una volta solo Severus si lasciò ad un leggero sorriso soddisfatto. Le sue
piccole serpi assomigliavano sempre di più al loro professore… dedite allo
studio delle pozioni anche di sabato. Con una lieve punta d’orgoglio Snape
tornò al lavoro.
Severus rientrò nei propri quartieri alcune ore più tardi. In fondo era
stata una giornata proficua. Aveva completato quanto Madam Pomfrey aveva
richiesto ed aveva fatto qualche lento, ma sicuro progresso nei suoi studi
sulla Wolfsbane. Si diresse verso la scrivania per posare i libri e gli
appunti quando scorse un pezzo di pergamena ripiegata ed una moltitudine
di sacchetti in terra accanto ad una delle poltrone. Evidentemente l’elfo
mandato da Madam Malkin era tornato con i vestiti nuovi per il giovane
Potter. Severus ne prese un paio in mano. Ad occhio e croce sembravano
della misura giusta. Velocemente raggiunse la camera del figlio dei Potter
ed entrò. Tutto era completamente buio. Probabilmente il bambino era
andato a dormire. Beh, era ora di svegliarsi… Con un movimento veloce del
polso e della bacchetta due nuove candele illuminarono la stanza. Potter
era di nuovo nel baule. Cosa facesse sempre là dentro a tutte le ore del
giorno era davvero un mistero per il giovane maestro di Pozioni… un
mistero che comunque non era intenzionato a risolvere nell’immediato
futuro.
“Vieni con me” ordinò Severus, voltandosi per ritornare verso la sala.
Harry si stirò il braccio destro ed uscì dal baule con uno sbadiglio.
Aveva di nuovo fame e sperava che l’uomo lo stesse portando in cucina,
anche se non aveva poi così tanta voglia di mangiare di nuovo qualcosa che
lo avrebbe fatto star male, però meglio di niente…
Era stato tristissimo rimanere tutti il giorno nella stanza buia senza
nulla da fare. Sperava che il maestro pinguino gli permettesse di rimanere
un po’ nel salotto accanto al fuoco.
Snape lo aspettava accanto alla scrivania. Con un gesto impaziente indicò
al bambino i sacchetti.
“Questi sono i tuoi nuovi vestiti. Vai a lavarti, cambiati e portami
quegli stracci che hai addosso”.
Harry raccolse tutti i sacchetti, cercando di non farne cadere nessuno.
Mentre stava per avviarsi lentamente verso la sua stanza improvvisamente
ricordò una cosa importante. Si fermò, incerto su come dire quello che
doveva.
“Che c’è?” chiese astiosamente l’uomo.
“Signore, oggi sono g-già stato in bagno… per me va bene aspettare
d-domani, signore”.
Snape lo osservò con un cipiglio nervoso e spazientito.
“Cosa vuoi che m’importi di quante volte ci sei stato, Potter, non sono
cose mi riguardano. Piuttosto chiaramente nessuna di queste occasioni ti
ha ispirato un po’ di senso di pulizia. Non voglio sentire un’altra
parola. Vai a lavarti. Adesso”.
Senza osare più alzare la testa, e teso per la paura di ricevere uno
schiaffo, Harry si affrettò verso la sua stanza. Si lavò come meglio poté
e scelse un pantalone nero ed una delle magliette. All’uomo sembrava
piacere molto il verde, quindi Harry ne scelse una color erba. Un paio di
tentativi dopo riuscì ad infilarsela. Il suo braccio sinistro non lo stava
aiutando molto, ma Harry fece di tutto per sbrigarsi. Sicuramente l’uomo
lo stava aspettando. Poco dopo si mise i calzini e le scarpe e raccolse da
terra i vestiti vecchi. Tornò in salotto e li consegnò a quel signore
sempre vestito di nero. Il piccolo Harry si sentì guardare. L’uomo lo
osservò attentamente. Sembrava piuttosto compiaciuto. Harry quasi sospirò
di sollievo.
“Molto meglio. E adesso anche questi faranno la fine che meritano”.
Severus afferrò gli straccetti che quei Muggle aveva avuto il coraggio di
chiamare vestiti e li gettò nel fuoco, guardandoli lentamente bruciare fra
le fiamme.
Snape si ritenne soddisfatto e si sedette alla scrivania per riprendere a
lavorare sui programmi di studio delle sue classi per le prossime
settimane.
Harry rimase silenziosamente in piedi per diverso tempo. L’uomo non lo
guardava e lui non sapeva cosa fare. Non osava muoversi e non poteva
tornare in camera, l’uomo non gli aveva detto di andare. Lentamente,
assicurandosi che il signore che lo ospitava non lo stesse osservando, il
piccolo si avvicinò al fuoco per scaldarsi. Una voce fredda e sottile lo
fece sussultare. La voce dell’uomo.
“Potter, la tua precedente esperienza con il camino non ti ha insegnato
niente? Anche i bambini sciocchi possono prendere fuoco bene quanto i
vestiti vecchi…”
Subito Harry si scostò dalle fiamme, come se si fosse bruciato. Oh, non
voleva essere buttato nel camino… Le poche volte che si era bruciato in
casa Dursley non era stata affatto una cosa piacevole. Si ritirò al centro
della stanza, di nuovo senza niente da fare.
Severus sorrise fra sé e sé. Spaventare il bambino-Potter presentava un
certo grado di divertimento, ma Snape non aveva tempo per questo adesso.
Si alzò, prese il solito libro dal suo scaffale e lo consegnò al bimbo.
“Siediti e leggi” ordinò tornando al lavoro.
Subito Harry si sedette a terra.
Snape lo guardò, quasi oltraggiato.
“Chi ti ha detto di sederti a terra? Stai sciupando i vestiti che ti sono
stati comprati, piccolo ingrato!”
Oh, Harry si alzò subito, facendo un passo indietro. Quello che sua zia e
suo zio gli dicevano era vero. Era un piccolo moccioso inutile ed ingrato.
Non solo l’uomo non lo aveva fatto lavorare in quei giorni, ma gli aveva
anche comprato dei vestiti nuovi, così morbidi contro la pelle, né troppo
grandi né troppo piccoli, caldi e puliti e senza toppe o buchi. E lui lo
ringraziava sporcandoli…
“Mi dispiace signore, non lo farò più, signore” si affrettò a scusarsi.
Severus sbuffò poco convinto, ma decise di ignorarlo, tornando alla sua
scrivania.
Passarono due ore di completo silenzio.
Snape si ritenne soddisfatto del suo lavoro ed alzò lo sguardo per
accertarsi della presenza del bambino-Potter. Il marmocchio era
scompostamente seduto sulla poltrona, il libro che aveva letto per buona
parte di quelle due ore in bilico sulle sue piccole ginocchia, il mento
appoggiato sul petto. Dormiva.
Severus si considerava sorpreso alle volte. Un bambino così piccolo,
abituato ad avere un sacco di giocattoli e viziato oltre ogni umana
tolleranza a quest’ora si sarebbe già lamentato per la mancanza del suo
principale intrattenimento. Finalmente indossava vestiti della sua misura,
puliti. Sulla fronte, appena coperta da quel mucchio selvaggio di
disordinatissimi capelli, spiccava la cicatrice per cui Harry Potter era
così famoso. La sua più grande maledizione e al tempo stesso la sua
salvezza. Severus non invidiava affatto il destino del figlio dei Potter.
Sapeva molto bene di quali inenarrabili crudeltà era capace il Signore
Oscuro e sapeva bene che il bambino non avrebbe mai avuto tempo
sufficiente per prepararsi, non se Colui-che-non-doveva-essere-nominato
aveva qualcosa da dire al riguardo. Sospirò e guardò l’orologio. Era quasi
ora di cena. Non aveva alcun desiderio di recarsi nella Great Hall. Pensò
che per quella sera avrebbe fatto bene a trattenersi nelle proprie stanze.
Si alzò, spostando rumorosamente la sedia nella remota speranza di destare
il figlio dei Potter. Ma ovviamente no… Si avvicinò quindi e lo chiamò con
voce decisa. Lo vide muoversi, aprire quegli enormi occhi verdi e
sussultare. Un singhiozzo spaventato incastrato in gola, lo sguardo
improvvisamente terrorizzato. Vide il bambino-Potter tentare di ritrarsi e
cadere miseramente dalla poltrona. Fece per dire qualcosa, mentre
allungava una mano per tirarlo su, quando lo vide trasalire di nuovo e
cercare una via di fuga.
“Mi dispiace signore, mi dispiace, per favore, non lo farò mai più”.
Severus aggrottò le sopracciglia, un’espressione disinteressata sul suo
viso. Probabilmente aveva fatto un brutto sogno…
“In piedi, vieni con me, ragazzo”.
Oh, oh. Lo aveva chiamato ‘ragazzo’. Zio Vernon lo chiamava sempre
‘ragazzo’ quando Harry faceva qualcosa di male. Adesso sì che Harry si
aspettava una gran bella punizione. Sapeva molto bene che non gli era
permesso addormentarsi di giorno e soprattutto non davanti ai grandi, in
più aveva fatto cadere il libro che l’uomo gli aveva dato. Seguì l’uomo in
cucina e si preparò al peggio.
Snape sedette. Chiamò l’elfo, ordinò la cena per entrambi ed il suo
sguardo si soffermò sul libro di Pozioni per principianti che aveva dato
da leggere al bambino-Potter. Forse poteva occupare il tempo
interrogandolo, solo per curiosità.
Dopo appena tre domande apparve chiaro che il bambino non aveva imparato
proprio niente, anzi, non sembrava neanche sapere di cosa stessero
parlando. Tsk, tempo sprecato cercare di insegnare qualcosa al figlio di
James Potter, si disse.
“Piccolo ignorante…” si lasciò sfuggire mentre chiudeva astiosamente il
libro.
Il bambino abbassò la testa.
In quel momento l’elfo domestico decise di ricomparire, portando con sé la
cena. I due vassoi vennero posati sul tavolo prima che il silenzio
tornasse ad allungarsi fra di loro.
Severus mangiò lentamente, osservando a tratti il bambino-Potter. Dopo
l’iniziale incertezza il figlio di James aveva preso confidenza e
velocemente stava finendo quello che aveva davanti, senza alzare la testa
e senza quasi prendere fiato. Dopo un boccone delle verdure cotte che
quella sera facevano da contorno Snape guardò nel piatto del giovane
Potter. L’odio dei bambini per le verdure era da sempre leggenda, ma non
nella cucina di Severus. Se il bambino-Potter non le avesse mangiate Snape
giurò che gliele avrebbe fatte ingoiare con la stessa grazie che Madam
Pomfrey usava nell’infilare pozioni dal sapore orrendo giù per la gola dei
suoi piccoli, petulanti pazienti. Ma a quanto pareva non ce ne sarebbe
stato bisogno…
Harry mangiò il più velocemente possibile. Dopo il primo boccone aveva
preso sicurezza ed il cibo sembrava buono. Questo non dava nessuna
certezza, ma almeno era qualcosa con cui riempirsi lo stomaco. Doveva
smetterla di lamentarsi e ringraziare quell’uomo che lo lasciava mangiare
senza farlo lavorare. In fretta prese ad ingoiare quello che aveva
davanti, sperando che l’uomo non cambiasse idea e gli togliesse i piatti.
Il pasticcio di carne era buonissimo. E le verdure erano succose e
fresche. Oh, Harry si sentiva di nuovo pieno. E tutto in un giorno solo.
Era stato davvero molto, molto fortunato.
Dopo cena Harry venne trascinato via dalla cucina senza avere la
possibilità di poter pulire la tavola. L’uomo riprese a lavorare sui suoi
fogli ed Harry venne di nuovo fatto sedere sulla poltrona.
Snape lo osservò nuovamente, sedendo.
Evidentemente il bambino non sapeva cosa fare, ma Severus non si sarebbe
fatto commuovere.
“Non avrai più niente da leggere, Potter. E’ chiaro che ogni buon libro è
sprecato con te e non mi duole assolutamente informarti che non posseggo
nessuna rivista più… popolare nella mia libreria, né alcuno scritto su
quel volgare, violento gioco chiamato Quidditch, vedi di adattarti”.
“Sì, signore”.
Oh, Harry sapeva di essere un piccolo idiota. Zio Vernon glielo ripeteva
tutti i giorni. E adesso aveva fatto arrabbiare l’uomo che gli aveva dato
da mangiare. Harry si sentì triste.
Rimase fermo ed in silenzio per tutto il tempo, sperando di farsi
perdonare. Ogni tanto osava alzare gli occhi e osservava il signore con il
quale adesso viveva.
L’uomo vestiva sempre di nero, ogni ora di ogni giorno, come se odiasse
tutti gli altri colori. A malapena sembrava tollerare il verde scuro…
Harry lo fissò ancora più intensamente.
Era spaventoso, sì, e cattivo, ma aveva al tempo stesso una faccia così
triste e … sola, non che dovesse averne più di una, Harry non si sapeva
spiegare bene… era come la faccia di una persona che non vedeva i suoi
amici da tanto, tanto tempo, come dopo le vacanze estive… ed anche se
Harry non aveva mai avuto degli amici per cui sentirsi triste durante le
vacanze era grande abbastanza da immaginarlo e poi aveva visto tante volte
il viso contento di Dudley quando poteva rivedere i suoi compagni…
In fondo non aveva visto nessuno venire a visitare l’uomo in quei giorni…
Ad Harry dispiacque molto per il maestro pinguino perché Harry sapeva bene
quanto era brutto sentirsi soli e non lo augurava a nessuno.
“A cosa devo questo tuo attento esame Potter? Mi è per caso spuntata
un’altra testa?”
Harry trasalì e si rimproverò la maleducazione di aver fissato l’uomo per
così tanto tempo.
“No, signore. Mi dispiace molto, signore”.
“Sparisci nella tua stanza Potter, si è fatto tardi”.
Ed Harry ubbidì.
Snape passò altre due ore alzato, lavorando alacremente alla sua pozione.
Decise di farlo nelle sue stanze perché nel suo laboratorio veniva
continuamente interrotto e la Wolfsbane era una delle pozioni più delicate
e difficili a cui il giovane maestro aveva mai lavorato.
Intrigante.
Infine stanco e con la mente annebbiata si ritirò nelle sue stanze.
La mattina dopo Harry si svegliò, sentendosi meglio di come si era sentito
in molti, molti mesi.
Uscì dal baule e si diresse in bagno.
Oh, era così felice che l’uomo gli avesse dato il permesso di andarci
quando voleva. Harry si lavò e si vestì. Non voleva far arrabbiare l’uomo
quindi scelse di nuovo una maglietta verde. Piano piano uscì dalla stanza.
Sentiva dei rumori in cucina e decise di farsi vedere.
L’uomo era già sveglio e stava lavorando sopra una di quelle grosse
pentole che Harry aveva visto disegnate sopra il libro dell’uomo.
“Buongiorno Potter” disse l’uomo, spaventandolo un pochino.
“B-buongiorno, signore…”
“Siedi”.
Harry ubbidì.
Oh, non poteva credere che l’uomo-dal-naso-da-pinguino lo avrebbe lasciato
mangiare un’altra volta. Un pasto sì e uno no era già un sogno che si
avverava, due di seguito erano pura, meravigliosa fantasia. Harry sedette
in silenzio, l’uomo era ancora chino sulla sua pentola. Harry si chiese se
fosse un cuoco, ma non sentiva odore di cibo…
Snape aveva già mangiato molto presto, mentre preparava il calderone.
Chiamò a gran voce un elfo, ordinò la colazione per il bambino e continuò
a mescolare la pozione, attentamente. Abbassò magicamente il fuoco e la
lasciò bollire. Mentre l’elfo domestico riappariva con un vassoio qualcuno
bussò alla porta.
Snape alzò la testa, oltremodo seccato per quell’interruzione.
Fortunatamente la pozione non aveva bisogno di urgente attenzione.
“Mangia, Potter” ordinò l’uomo, alzandosi per dirigersi alla porta.
Severus si dipinse sul viso la sua migliore espressione intimidatoria
prima di aprire la porta quel tanto che bastava a scorgere l’audace
malcapitato.
Quando i suoi occhi si posarono sullo studente Snape trovò difficile
trattenere un sospiro esasperato.
“Signor Sorier, per quanto apprezzi il suo zelante entusiasmo per la mia
materia d’insegnamento questo non giustifica la sua presenza nei miei
quartieri a questa infausta ora in uno dei miei giorni di riposo”.
Lo studente abbassò la testa, imbarazzato.
“Mi d-dispiace signore, non sono qui per Pozioni, signore”.
“Allora per che cosa, di grazia, è venuto a ‘rallegrare’ la mia mattina?”
“C’è stato un duello nella Great Hall, a colazione, due Slytherin e tre
Ravenclaw, signore. Pensavo fosse meglio avvertirla”.
Snape imprecò mentalmente.
“Molto bene. Cinque punti a Slytherin per la sua prontezza, signor Sorier.
Mi segua”.
E senza ulteriori pensieri si diresse verso la Great Hall. In fondo la
pozione non aveva bisogno di cure immediate ed il bambino-Potter stava
facendo colazione. Cosa poteva andare storto?
Harry guardò l’uomo uscire. Incerto prese a fissare alternativamente il
vassoio e la pentola. L’uomo aveva detto di mangiare. Harry sospirò.
Sapeva che tutte quelle cose buone che c’erano sul vassoio non potevano
essere per lui. Inutile illudersi. Si alzò e prese una tazza vuota. Portò
una sedia fino al tavolo della cucina dove c’era la pentola e vi salì
sopra per raggiungerla. Prese il lungo mestolo e si versò due cucchiai. La
minestra aveva un colore grigio chiaro e sembrava assolutamente
disgustosa. Almeno era calda…
Harry tornò a sedere, prese un cucchiaio pulito e cominciò a mangiare.
Oddio, era davvero cattiva come sembrava. Sapeva di detersivo per lavare i
pavimenti e di cenere. Era piena di grumi di polvere ed aveva veramente un
sapore orrendo. Harry trattenne i conati di vomito e si sforzò di
mangiare. Pensò a tutti i giorni che non aveva avuto niente e continuò a
ripetersi che anche quella andava bene se l’alternativa era restare a
stomaco vuoto. Con tutta la volontà che aveva ingoiò l’ultimo boccone e
pulì tutto. Mise la tazza nell’acquaio e fece attenzione a non scottarsi
mentre toglieva la pentola dal fuoco. Zia Petunia gli aveva insegnato a
non lasciare mia niente sui fornelli quando doveva allontanarsi dalla
cucina. Harry posò la pentola sopra un ripiano pulito e la coprì con un
piatto. Avrebbe voluto metterla in frigo, ma l’uomo sembrava non averne
uno… Sistemò il vassoio davanti alla sedia di quel signore e si diresse in
salotto per farsi trovare lì.
Dopo appena due minuti d’attesa il piccolo Harry si portò le mani alla
pancia e si lasciò sfuggire un guaito di dolore. Faceva male, male da
morire. Mai in tutta la sua vita aveva provato un dolore simile. I crampi
era continui e fortissimi. Quasi senza fiato il piccolo si accasciò a
terra. Passò del tempo, Harry non avrebbe saputo dire quanto, ma aveva gli
occhi pieni di lacrime e desiderava morire. Improvvisamente sentì dei
passi fuori dalla porta. L’uomo era tornato. Senza sapere nemmeno come,
Harry raccolse tutte le sue forze per rimettersi in piedi. Indossava
ancora gli abiti nuovi e non voleva farsi trovare sul pavimento. Si
asciugò gli occhi con la manica e cercò di rimanere in piedi.
L’uomo rientrò senza degnarlo di uno sguardo e subito sedette alla sua
scrivania e prese a scrivere qualcosa su un pezzo di foglio giallo. Altre
tre atroci fitte convinsero Harry ad avvicinarsi.
“S-s-signore, per favore… s-signore…”
“Cosa vuoi Potter, non vedi che sono occupato?”
Snape maledisse più e più volte tutti quei saccenti, boriosi Ravenclaw,
sempre pronti a difendere le loro ridicole convinzioni. E chi ci rimetteva
erano sempre le sue serpi, troppo orgogliose di natura, per farsi
scivolare addosso un affronto. Doveva scrivere un rapporto per il Preside
e controllare la sua Wolfsbane e Potter continuava ad importunarlo.
“La pancia, signore… fa male, fa v-veramente male…”
Snape lo guardò un istante.
Sembrava un po’ più pallido del normale. Severus immaginò che avesse
ingurgitato la colazione velocemente come la cena la sera prima. Beh, non
gli stava altro che bene…
“Quante scene, Potter. Vai nella tua stanza e lasciami lavorare”.
Harry fece per dire qualcosa, ma uno sguardo severo dell’uomo ed una fitta
fortissima lo lasciarono senza fiato.
Lentamente si avviò nel corridoio. Non fece che quattro miseri passi.
Davanti alla sua porta cadde a terra e adesso non sarebbe riuscito a
rialzarsi nemmeno se fosse improvvisamente apparso Zio Vernon con un
bastone in mano. Si raggomitolò su se stesso e pianse tutte le lacrime che
aveva, senza un suono. Il dolore lo stava lasciando senza forze e senza
aria. Chiuse gli occhi e le figure dei suoi genitori, come se li era
sempre immaginati, gli apparvero nella mente. Quella fu l’ultima cosa che
vide.
Severus finì velocemente di scrivere il suo resoconto e si diresse in
cucina. Sperava che il bambino-Potter non avesse toccato niente. Guardò
dove aveva lasciato il tutto e lanciò un’imprecazione. Quel piccolo,
malefico, marmocchio.
Una perfetta Wolfsbane completamente rovinata!
Oh, ma lo avrebbe punito così duramente che il moccioso ci avrebbe pensato
sei volte prima di toccare di nuovo una delle sue pozioni. Stava per
uscire a passo di marcia dalla cucina quando due particolari gli
ghiacciarono il sangue nelle vene. Il vassoio portato dall’elfo era ancora
pieno e faceva mostra di sé sul tavolo, davanti alla sedia che solitamente
il maestro occupava. Una tazza con un leggero alone grigio era stata
posata nell’acquaio.
Severus si affrettò disperatamente verso il corridoio.
Il bambino-Potter non poteva essere stato così folle, così terribilmente
idiota da…
Non appena lo scorse lanciò un’altra maledizione.
S’inginocchiò accanto alla piccola figura ripiegata su se stessa nel mezzo
del corridoio e lo sollevò delicatamente.
“Potter! Dannazione, Potter! Potter, rispondimi! POTTER!”
Il bambino aveva un’espressione di assoluto dolore sul viso rigato di
lacrime e Severus pregò che non ne avesse bevuto più di una tazza. Si
alzò, portando il bambino con sé nelle sue stanze. Lo posò attentamente
sul letto, ascoltando il suo respiro laborioso e si mise a rovistare
disperatamente fra le fialette della sua riserva personale. Afferrò una
pozione azzurro chiaro ed una rosso scuro. Tirò a sedere il bambino e gli
rovesciò le fiale in gola, sperando che non le rigettasse. Il bimbo ingoiò
e dopo un interminabile, angosciante momento sussultò, destandosi.
Severus tirò un sospiro di sollievo.
Si sentiva il cuore in gola e l’attimo di puro terrore che aveva provato
al pensiero di avere sulla coscienza il figlio di Lily lo avevano lasciato
debole ed infuriato.
Il maledetto figlio di James non aveva badato ad esibizionismi. Pur di
screditarlo e giocargli un tiro mancino era arrivato a rischiare la vita.
Oh, quanto l’avrebbe punito…
Lo vide tossire e rigirarsi un’altra volta e, senza potersi impedire un
altro sospiro di sollievo, rivide il verde offuscato dei suoi occhi.
“Si-signore…?”
Snape provò a parlare, ma per un attimo dovette rinunciare. Indignato
ingoiò il groppo che gli si era formato in gola e ritentò.
“Potter, questa volta hai fatto davvero una cosa troppo stupida persino
per un imbecille come te! Ti rendi conto che potevi morire? Te ne rendi
minimamente conto?”
“Cough… mi d-dispiace signore… non lo farò più…”
“Su questo puoi giurarci, Potter. Fosse anche l’ultima cosa che faccio non
ti permetterò mai più di avvicinarti ad una delle mie pozioni”.
Severus lo guardò.
Il bambino era ancora pallido e c’era tempo per sgridarlo. Osservò i suoi
occhi pieni di dolore e paura e lacrime e decise di lasciar stare per il
momento.
Prese un’altra pozione e gliela fece bere. Gli tastò il ventre, scrutando
attentamente le sue reazioni.
Stupido bambino!
La Wolfsbane era così piena di veleno da uccidere un adulto.
Fortunatamente il giovane Potter sembrava non averne assunta abbastanza…
Severus lo avvolse nel copriletto e si diresse in cucina per sbarazzarsi
di un altro esperimento fallito.
Non appena entrò uno degli elfi lo aspettava ansiosamente sulla soglia.
“Cosa c’è ancora?” chiese irritato il maestro.
Possibile che le pessime sorprese non dovessero mai finire?
“Io deve parlare con lei, signore. Io molto dispiaciuto, ma deve proprio”.
“Allora parla e non farmi perdere altro tempo” ordinò mentre raggiungeva
il suo povero calderone.
“Io disperato, signore. Noi elfi tutti disperati. Il bambino del signore
non apprezza il nostro cibo. Ogni giorno noi portiamo cibo, ma nessuno lo
mangia e sempre noi riportiamo indietro vassoio pieno, signore. Noi non
sappiamo come fare, il nostro cibo non è buono, signore? Noi possiamo fare
meglio se il signore lo ordina e ci dice come fare…”
L’elfo abbassò la testa e prese a stropicciarsi la sudicia tovaglietta che
aveva attorno al corpo.
Snape si volse, incredulo.
“Spiegati meglio, elfo”.
Nuovamente Severus si trovò ad affrettarsi lungo il corridoio. Aprì la
porta della propria stanza e si sedette sul bordo del letto. Osservò in
silenzio la piccola figurina tremante avvolta nella coperta. Il bambino
sembrava troppo piccolo per la sua età anche dentro vestiti della sua
taglia. E adesso Severus sapeva perché.
Gentilmente lo scosse, per attirare la sua attenzione.
“Potter, ho bisogno che tu risponda ad una mia domanda, ma devi dirmi la
verità e guarda che mi accorgerò se mentirai…”
Attese che il bambino annuisse.
“Potter, quante volte hai avuto da mangiare da quando sei qui?”
Continua…
Nota grammaticale: per
mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni
altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini
inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati,
ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’.
Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di
ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
Madam Hooch: Madama Bumb;
Ravenclaw: Corvonero.
Note capitolo: La
Pepperup è la pozione che permette di curare il comune
raffreddore. La
Sleeping
Draught è la pozione che causa, a chi la beve, di cadere in un lungo
sonno.
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