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Ma salve! Eccomi qui per un altro,
lunghissimo ed incredibilmente puntuale aggiornamento. Wow! Siete state fantastiche anche
con il mio ultimo capitolo. Vi prego, non uccidetemi quando arriverete
alla fine di questo... please, altrimenti non posso continuarlo...
Passiamo subito ai doverosi e sentiti ringraziamenti. Grazie a Jerada, in
effetti Snape è sveglio, solitamente, sono io che lo dipingo così ottuso,
chiedo venia! Grazie a Lexie89, aspetta a ringraziarmi per aver fatto
aprire gli occhi a Sev... ecco per te il prox chap! Grazie a bufyna per
aver letto la mia fic e lasciato un commento. Sono molto felice che ti sia
piaciuta. Grazie ad Aki-chan per non avermi accoppato Sev, ma certo cara,
quando Sev e Alby avranno finito con i Dursley puoi fare loro tutto quello
che vuoi. Non mi hai fatto assolutamente perdere tempo, anzi... non posso
rispondere ad alcune delle tue curiosità perché se no svelerei troppo, ma
hai toccato un paio di tasti interessanti. Dumbledore in realtà E’ un
bastardo manipolatore, ma mi piace così lo trovo piuttosto IC sempre
dedito alle macchinazioni... uh uh uh. Grazie a pikkola prongs, oddio,
anche tu aspetta a ringraziarmi... (Mel_fugge_lontano: pauraaaaaaaaaa).
Grazie a briciola88 le cose miglioreranno lo prometto, non subito, ma
miglioreranno... grazie, alla fine sono guarita velocemente, evviva!
Grazie a ellinor, che nonostante tutto non mi abbandona, mi dispiace
averti fatto star male... Grazie a Rotavirus, in effetti anch’io sono
sorpresa della mia puntualità e mi chiedo quanto ancora durerà questa
cosa, speriamo di riuscire a mantenere le vostre aspettative, grazie del
bellissimo commento, cara... Grazie a Tigre94, anche tu, se puoi, non
cantare vittoria troppo presto... (Mel_fugge_ancora_più_lontano). Grazie a
Kary91, wow, il tuo commento mi rende felice, in effetti anch’io ho letto
diverse storie in cui Sev diventa subito il padre perfetto e mi hanno
fatto una brutta impressione, Sev è Sev, the ugly, greasy git, non può
diventare subito il re del miele e della melassa... Grazie a iaco, ecco per te un
altro chap! Grazie a sam89, mi sa che dovrai pazientare ancora un pochino,
un pochino solo, lo prometto... Grazie a Psike per il commento, anche io
adoro Harry-bimbo, oh, me lo mangerei. Grazie a LadySnape, wow,
addirittura i brividi? Me piacevolmente colpita. Grazie mille lilica, ecco
qui il continuo, non posso dirti molto sui Dursley se no ti rovinerei la
sorpresa, ma ti assicuro che avranno quel che meritano... Grazie lake, eh,
aspetta. Le fette di salame son difficili da tirar via... non mi uccidere,
ricorda che ti servo viva e perfettamente funzionante... Grazie ad
unknow_angel per il suo supporto e-mailiano ed infine un grazie a dunky,
wow, addirittura un paragone con la Rowling, non lo merito assolutamente
anche se pure io sono rimasta delusa dall’epilogo... Grazie mille
comunque. Un grosso abbraccio ed un altro ringraziamento a tutti coloro
che hanno semplicemente letto la mia storia e provato qualcosa. Ho
dimenticato qualcuno? Adesso vi
lascio al capitolo. Buona lettura.
Mel Kaine
The Heart of Everything
Capitolo 7 - / The cage
and the fool /
Il piccolo Harry rabbrividì.
Non avrebbe saputo dire se di dolore o di paura.
L’uomo gli era così vicino, così… sopra e lo stava guardando severamente.
‘Rispondi, Harry, ti ha fatto una domanda, devi rispondere’ si disse.
Ma sapeva che l’uomo si sarebbe arrabbiato moltissimo dopo aver ascoltato
la sua risposta.
Harry venne scosso da un altro brivido e si nascose la testa fra le
manine.
Da sotto le coperte mormorò: “T-t-tre, signore”.
L’uomo sospirò pesantemente.
Oh, Harry lo sapeva, non sarebbe mai riuscito ad essere un bravo bambino.
Sapeva che non avrebbe dovuto mangiare così tanto, che non gli era
permesso, che invece avrebbe dovuto lavorare e guadagnarsi un po’ di pane
ogni due, tre giorni. E adesso sarebbe stato punito, ma sapeva di
meritarlo e quindi sarebbe rimasto fermo. Non si sarebbe lamentato, perché
il piccolo Harry era sciocco ed ingrato e fastidioso, ma era anche
coraggioso.
Severus si passò una mano sul viso.
Dannazione!
Aveva affamato il figlio di Lily!
Tre pasti in quasi tre giorni e mezzo. No, non era adeguato chiamarli
pasti. L’unico degno di questo nome era stato la sera prima e certamente
una tazza di Wolfsbane non si poteva definire ‘pasto’.
Snape avrebbe decisamente voluto sapere perché diamine il figlio dei
Potter non aveva mangiato o perché non aveva fatto presente il problema
con l’andare avanti dei giorni, ma un semplice sguardo lo convinse ancora
una volta che la scelta del momento non fosse delle più appropriate.
Il bambino tremava da capo a piedi e non era ancora del tutto fuori
pericolo. Severus aveva bisogno di informarsi sulle possibili conseguenze
di quel gesto avventato, doveva consultare i suoi libri e rimanere attento
e presente. Interrogare il bimbo adesso non avrebbe portato a grandi
risultati comunque…
“Riposati. Più tardi ne parleremo ancora”.
Si alzò, impedendosi fermamente di compiere quell’orrido gesto di
‘rimboccatura’ delle coperte che tutte le madri trovavano sovente così
necessario. Severus Snape non era certamente una madre e ancor di meno un
padre. A grandi passi tornò in sala e prese a raccogliere testi dagli
scaffali delle sue librerie.
Harry si arricciò su se stesso, cercando conforto nel proprio abbraccio.
Non stava più male come prima, ma la testa girava tantissimo, così come la
stanza attorno. Aveva freddo anche se sentiva che qualcosa lo copriva. Ma
non avrebbe osato chiedere una coperta. Niente cose piacevoli e calde come
le coperte per i piccoli mocciosi ingrati e seccanti.
Severus afferrò tre o quattro tomi e fece ritorno nelle proprie stanze,
levitando dietro di sé la poltrona del salotto. Il bambino-Potter non
poteva essere lasciato da solo, non adesso che la sua vita era stata
miracolosamente risparmiata dal finire in modo prematuro. Snape si dispose
ad attendere a lungo.
Dopo tre ore di ricerche ed approfondimenti il giovane maestro si ritenne
mediamente soddisfatto. Tutti gli ingredienti della sua sperimentale
Wolfsbane erano stati singolarmente analizzati e adesso nessuno di questi
rappresentava una concreta minaccia. Il bambino sarebbe stato bene prima
di sera e Severus aveva bisogno di informare Albus di quanto accaduto.
Strofinandosi il mento con le nocche della mano destra, Snape pensò a come
volgere a suo favore quel maledetto incidente.
Quella sera la Great Hall era piena di vita e di gioia. Proprio
l’atmosfera che il serio, astioso giovane uomo aborriva più di ogni altra.
Per questo detestava i weekend di libera uscita e raramente si presentava
per i pasti in tali serene, melense e spaventosamente liete occasioni. Oh,
gli elfi avrebbero fatto meglio a servirgli qualcosa da infilzare a lungo
e con soddisfazione quella sera o…
“Ah, Severus, caro ragazzo mio, che piacere averti con noi a cena questa
domenica!” lo accolse cordialmente Albus.
Snape fece un lento cenno con la testa in saluto.
“Preside, Minerva…”
“Severus…” replicò cortesemente Madam McGonagall.
Mentre attendeva il momento opportuno per introdurre il suo discorso Snape
non si poté dire affatto dispiaciuto della presenza della severa ed
inflessibile insegnante di Trasfigurazione. Certamente una donna della
fibra morale di Minerva non avrebbe acconsentito facilmente a lasciare il
giovane Potter nelle sue mani una volta saputo dell’accaduto.
Perfetto.
Assolutamente perfetto.
Poco dopo Severus cercò il modo più casuale per alzare il sipario e dare
inizio alla sua commedia d’autore. Si volse verso Albus e lo trovò intento
a spremere allegramente salsa al cioccolato sopra le sue carote lesse.
Snape arricciò il lungo naso, disgustato. Le abitudini alimentari di
Dumbledore erano fra le più terrificanti che Severus avesse mai
incontrato. Capaci di far venir meno la volontà di mangiare anche all’uomo
meno debole di stomaco al mondo…
Dall’altra parte Minerva sorrise, condiscendente.
Severus si schiarì la voce, discretamente. Albus alzò i suoi occhi
brillanti sul suo giovane impiegato.
Snape bevve un sorso di vino.
“Oggi è occorso un incidente nei miei quartieri, Preside e ritengo
doveroso informarla…”
“Parla, caro ragazzo. E’ qualcosa di cui debbo preoccuparmi?”
“…diciamo pure che il giovane Potter stava per lasciare incompiuto il suo
destino a tempo… indeterminato…”
Con la coda dell’occhio Severus vide Minerva irrigidirsi e, pur senza
girarsi, seppe che la donna li stava avidamente ascoltando.
“Oh! Sul serio, Severus? Racconta… ” domandò Dumbledore, quasi
casualmente.
“Come si dice Albus, la curiosità uccise il gatto… oh, non me ne volere
Minerva, non era un riferimento intenzionale… il bambino è evidentemente
incapace di seguire anche le più semplici e banali indicazioni. Ha bevuto
una delle mie pozioni più velenose…”
Lasciò deliberatamente la frase sospesa ed in segreto godé delle sguardo
scioccato della strega.
“… fortunatamente sono riuscito a somministrargli l’antidoto in tempo…”
Albus lo guardò con quel dannato brillio negli occhi che non accennava a
diminuire e che gridava a chiare lettere ‘Ben fatto ragazzo mio, sapevo di
potermi fidare di te’.
Ovviamente qualsiasi altro tentativo di rispondere all’immeritato
complimento del Preside venne interrotto da una agitatissima McGonagall.
“E come sta il bambino adesso? E’ stato portato da Poppy?”
“Non ho ritenuto necessario scomodare Madam Pomfrey…” rispose lentamente
Snape.
“Ma come…”
Un tono indignato che il giovane professore frenò prima di doversi
irritare oltre misura.
Severus si volse con una luce fiera e vivida negli occhi. L’orgoglio
incapace di farsi ridicolizzare da chiunque, persino dalla persona di cui
in quegli attimi aveva bisogno per convincere il Preside.
“Non ritengo che nessuno meglio di me possa conoscere tutte le possibili
conseguenze ed interazioni di ogni singolo ingrediente di una pozione, in
special modo se parliamo di una delle mie, Minerva. Il bambino sta bene.
Ma non è detto che ciò non si ripeta. Albus, come puoi vedere, i miei
quartieri non sono un posto sicuro per giovani esuberanti, e aggiungerei
stupidamente folli, Gryffindor. Io potrei non essere sempre presente ad
evitare la calamità…”
“Suvvia, non essere così duro con te stesso, ragazzo mio, siamo esseri
umani, ci è permesso più di un attimo di distrazione…”
Severus si impedì di guardare in supplica Minerva e, a stento, riuscì a
trattenersi dall’irrefrenabile istinto di lanciarle una maledizione al
solo scopo di farsi insultare davanti al Preside. Non capiva perché la
strega ancora non fosse intervenuta per togliergli il giovane Potter…
“Non desidero che nessuno dei miei attimi di distrazione costi la vita del
Bambino Sopravissuto. Come è possibile ignorare una cosa così palese!
Questa volta è stata mera casualità, pura fortuna, la prossima volta
potrebbe essere l’ultima per davvero…”
“Oh, le tue preoccupazioni ti fanno un grande onore, Severus, ma come
dicono i saggi quello che non uccide fortifica!” concluse spensieratamente
Dumbledore.
Snape venne assalito dall’improvvisa voglia di trasfigurare quel vecchio
pipistrello in una cimice raggrinzita e schiacciarlo con il piede, ma
difficilmente questo sarebbe stato un modo diplomatico di far valere le
proprie giustissime ragioni.
Di scatto si alzò e lasciò la Hall.
Minerva sospirò con grazia, volgendo il suo sguardo al Preside.
“Quello che stai facendo a quel povero ragazzo non è giusto, Albus…”
“Oh, mi perdonerà, ne sono certo…”
“E se ti sbagliassi? Se non fosse come credi? Se non avessero bisogno di…
questo? Se…”
“Vuoi una forchettata di queste deliziose carote al cioccolato, mia cara?”
La donna scosse la testa, pazientemente.
Snape si ritirò nei propri appartamenti, fremente d’ira. Trasse dalla
credenza una vecchia bottiglia di scotch e se ne versò un abbondante
bicchiere.
Dannazione! Dumbledore non intendeva in alcun modo cedere.
L’alcol calmò un poco i suoi nervi.
Lasciò il bicchiere ancora mezzo pieno sul tavolino e si diresse nelle
proprie stanze.
Per quanto fastidioso fosse aveva ancora dei doveri verso il suo
indesiderato ‘carico’, almeno fino a quando non avesse trovato il modo di
vincere la guerra contro Albus.
In silenzio si avvicinò al letto. Il bambino dormiva ancora,
appallottolato sotto il copriletto.
Severus aveva il compito di accertarsi delle sue condizioni per l’ultima
volta prima di rimandarlo in camera sua.
“Potter, svegliati!”
Il bambino si mosse un poco, piano. Con sommo piacere per il maestro di
Pozioni non sembrava necessario sprecare altro fiato in un secondo
richiamo. Snape fece per allungare una mano e sentire se era comparsa
un’alterazione della temperatura.
Due occhi verde scuro si aprirono lentamente allargandosi man mano in
comprensione, sorpresa, circospezione, terrore.
Severus osservò immobile come la piccola figura si ritraeva da sotto le
coperte verso il bordo del letto. Le piccole labbra tremanti lasciavano
uscire incoerenti, inudibili brevi frasi, ognuna delle quali puntuata da
un ‘Mi dispiace’ o un ‘Per favore’, interrotte a tratti da qualche
promessa di non farlo mai più. Senza poter far niente lo vide avvicinarsi
pericolosamente alla sponda, rotolare a terra, rialzarsi e continuare a
scusarsi.
Dannazione! Il bambino sembrava ancora in stato confusionale per colpa
della pozione…
Snape si stava velocemente irritando.
“Mi dispiace, signore, m-”
“Smetti di scusarti – lo interruppe l’uomo. – E torna qui sul letto”
aggiunse bruscamente.
Il bambino abbassò la testa ed ubbidì prontamente.
Si distese nell’esatto punto dove aveva dormito pochi minuti prima e
rimase immobile.
Velocemente Snape abbassò le mani su di lui e lo vide serrare forte gli
occhi.
Gli toccò la fronte, senza potersi trattenere dal passare un pollice
curioso sopra la celebre cicatrice.
Il bambino sussultò appena, ma non si scostò.
Le sue agili mani scesero in basso, premettero sull’addome per qualche
momento, in diversi punti.
Severus gli fece poi qualche domanda. Chiese se aveva male alla testa,
dietro gli occhi o da qualche altra parte, se vedeva la stanza girare, se
riusciva a riconoscere i colori o se vedeva doppio.
Il bambino-Potter rispondeva sempre allo stesso modo. ‘Sì, signore’ o ‘No,
signore’ era tutto quello che sembrava in grado di dire.
Il giovane maestro gli passò la bacchetta sul corpo un paio di volte e
annuì.
Si ritenne soddisfatto poco dopo.
Poteva finalmente buttare il moccioso fuori dalla sua camera.
Ma non prima di aver chiarito un paio di concetti…
“Potter, ascoltami bene, perché detesto ripetermi. A meno che tu non abbia
intenzione di replicare l’esperienza di oggi ti consiglio di rimanere
lontano dai miei calderoni e da qualsiasi cosa ci sia dentro. Non ti è
permesso toccarli, spostarli, rovinarli, bere o mangiare qualsiasi cosa ci
sia dentro. Chiaro? Domani sera verrai punito per aver rovinato la mia
pozione”.
Il bambino annuì e si affrettò a rispondere, abbassando gli occhi e la
testa.
“Sì, signore”.
Snape pensò valesse la pena di affrontare anche tutti gli altri argomenti
rimasti in sospeso.
“Come hai avuto modo di osservare in alcune occasioni, Potter, ci troviamo
in un mondo in cui non solo la magia esiste, ma viene utilizzata da
streghe e maghi. Più precisamente ci troviamo in una scuola in cui si
insegnano le arti magiche ai giovani. Farai bene ad abituarti alle
dimostrazioni di magia, perché non mi farò scrupolo ad usarne davanti a
te, in fondo sei un mago anche tu, ragazzo”.
Snape attese che il bambino annuisse nuovamente. Con la coda dell’occhio
vide quelle piccole manine torcersi l’un l’altra e tremare vistosamente,
ma soprassedé.
“Infine mi piacerebbe sapere perché non hai mangiato per tre giorni,
Potter, benché ci fosse del buon cibo disponibile in cucina”.
Silenzio.
Il bambino abbassò la testa ancora di più, fin sul petto, e spostò il peso
da una gambina all’altra.
“Ti assicuro che se le tue intenzioni erano quelle di commuovermi avrai
un’amara sorpresa. Se hai deciso di affamarti sei libero di perseguire i
tuoi scopi fuori da questi quartieri. Non tollererò altre insulse,
patetiche richieste di attenzione. Ogni giorno mangerai a colazione,
pranzo e cena. Un elfo domestico verrà mandato nelle tue stanze se per te
è così faticoso ed insopportabile arrivare fino alla cucina. L’elfo
rimarrà con te fino a quando non avrai mangiato. Questo è quanto, Potter,
adesso sei pregato di lasciare le mie stanze e andare a dormire”.
Il piccolo Harry quasi corse fuori, chiudendosi la porta alle spalle.
Il cuore gli batteva fortissimo nel petto e non smise nemmeno quando, una
volta rientrato nella sua camera, si nascose sul fondo del baule.
Era stata una giornata orribile.
Orribilissima.
A colazione aveva mangiato quella minestra dal sapore disgustoso ed
evidentemente ne aveva presa troppa ed era stato male e l’uomo si era
arrabbiato. Oh, perché Harry era così cattivo?
Poi era stato male, così male da piangere e vedere tutto nero. L’uomo
l’aveva aiutato, anche se Harry era certo che stesse per picchiarlo. Zio
Vernon lo colpiva sempre quando Harry stava male perché diceva che se lo
meritava. L’uomo gli aveva fatto bere della strana acqua colorata che
ricordava il sapore della minestra della mattina e poi Harry aveva dormito
ed anche se era rimasto sotto il copriletto aveva avuto tanto freddo.
Quando si era svegliato di nuovo l’uomo aveva scoperto la sua
disubbidienza. Gli aveva chiesto quante volte aveva mangiato e nel sentire
la risposta Harry poteva dire di aver visto la rabbia sul suo viso ed il
rimprovero. Poi aveva dormito ancora e la pancia gli aveva fatto male per
un po’. Era stato di nuovo svegliato. Era sera, aveva dormito tutto il
giorno sul letto dell’uomo. Oddio, aveva avuto paura da morire. L’uomo si
sarebbe giustamente arrabbiato e lo avrebbe picchiato. Harry aveva provato
a scusarsi, ma l’uomo non lo aveva ascoltato e gli aveva fatto delle cose
strane con le mani e quel bastoncino di legno. Poi avevano parlato.
Hary sospirò piano. Questa volta davvero non l’avrebbe scampata. L’uomo
aveva detto che sarebbe stato punito, per aver rovinato
non-sapeva-bene-cosa, la sera dopo. Oh, Harry sperava che fosse una
sculacciata o qualche schiaffo. Oh, per favore. Non la cintura o il
bastone. Tremò.
Infine l’uomo aveva pronunciato quella parola orribile. La parola che i
suoi zii non volevano mai sentire in casa. La parola che era male.
Magia.
L’uomo l’aveva pronunciata un sacco di volte ed Harry aveva capito solo
due cose.
La prima era che l’uomo avrebbe usato di nuovo la magia su di lui e Harry
pensò che non sarebbe stata una cosa piacevole.
La seconda, ancora più spaventosa, finalmente era la risposta a tutte le
sue domande più grandi.
Adesso sapeva perché gli capitavano sempre tutte quelle cose brutte e
perché la gente lo odiava e non lo voleva toccare e nessuno lo amava o
voleva tenere con sé. Adesso finalmente sapeva perché i suoi genitori non
lo avevano voluto ed erano morti e tutti lo chiamavano mostro e sgorbio e
vermiciattolo e perché tutti avevano potuto vedere i delfini e lui no.
Adesso sapeva.
Harry era ingrato e sudicio e cattivo e pigro e inutile.
Perché era un mago.
Lo aveva detto quell’uomo e la magia era una cosa orribile e malvagia da
morire, quindi anche Harry lo era e da grande sarebbe diventato come
quell’uomo, sempre vestito di nero, senza amici, fra quelle fredde mura,
con quel naso da pinguino a fare strane cose con quello strano bastoncino
in mano.
Oh, Harry non voleva, non voleva affatto.
Si rannicchiò e cominciò a piangere.
E pianse tutta la notte, fino a che il sonno non lo portò via con sé.
La settimana prima delle vacanze natalizie era qualcosa di sconvolgente
per la sanità mentale del maestro di Pozioni. L’imminente periodo di feste
e giochi e regali rendeva gli studenti ancora più distratti e distraibili
e distraenti.
Una tripla combinazione più che letale vicino ad un calderone.
Quattro esplosioni e mezzo lo convinsero a mettere i suoi preziosi
Slytherin in coppia con alcuni dei peggiori Hufflepuff che avessero mai
varcato la soglia di Hogwarts. Anche solo per arrivare intero a fine
giornata…
Ovviamente per questo aveva premiato la Casa di Salazar con ben sessanta
punti…
Il pomeriggio fu lievemente più calmo e dopo le lezioni Snape si ritagliò
del tempo per proseguire i suoi studi sulla Wolfsbane nella solitudine del
suo laboratorio. Futile tentativo con il signor Sorier perennemente in
cerca di aiuto e risposte…
Rientrò tardi nei suoi quartieri e chiamò un elfo per farsi portare una
buona tazza di tè nero.
La creatura attese quieta accanto al tavolo.
“Il bambino ha mangiato oggi?”
“Sì, signore. Io stesso servito colazione, pranzo e cena. Il bambino non
voleva, signore, ma io bravo ad insistere”.
“Molto bene, puoi andare”.
Mentre l’elfo scompariva Snape bevve due lunghi sorsi, riposandosi dalle
estenuanti attività di quel lunedì.
Mmh… se non ricordava male aveva un’ulteriore detenzione da
supervisionare.
E se i suoi occhi non lo ingannavano il bambino-Potter era già lì
all’ingresso del corridoio.
Per natura e per circostanze della sua vita Severus detestava
profondamente tutto quello che si nascondeva nell’ombra e l’abitudine di
scivolare in silenzio nell’oscurità che quel dannato moccioso stava
prendendo lo irritava in modo preoccupante.
“Smetti di stare in agguato nell’ombra come un dannato pipistrello e vieni
qui”.
Il bambino si fece avanti, avanzando con poca sicurezza.
Snape lo guardò.
Il mento basso, il collo incassato nelle piccole spalle, le manine l’una
nell’altra.
Il figlio di James non aveva carattere, proprio come il padre, si disse
Severus disgustato.
Oh, ma fintantoché fosse rimasto nelle sue ‘gentili e premurose mani’
Snape avrebbe fatto del compito d’insegnargli un po’ di disciplina la sua
personale crociata…
“Alza la testa quando ti parlo, ragazzo e rispondimi. Chi ti ha dato il
permesso di uscire dalla tua stanza?”
“N-n-nessuno, signore, ho sentito… del rumore… e …pensavo…”
“Oh, pensavi. Ma che piacevole novità! Avevo cominciato a dubitare della
possibilità che tu fossi capace di simili funzioni superiori dopo averti
visto tentare di porre fine alla tua esistenza in modo così… clamoroso.
Veramente degno di quel Gryffindor di tuo padre, Potter. Non voglio più
vederti fuori dalla tua camera. Verrò io a chiamarti se e quando potrai
uscire. Intesi?”
“Sì, signore”.
“E adesso seguimi”.
A passo di marcia Severus lo condusse nella piccola cucina.
Niente di meglio del figlio di James Potter per riversare un po’ di
frustrazione!
Harry sperò che non fosse stato portato lì per mangiare.
Aveva vomitato tutto il giorno e non avrebbe potuto sopportare neanche un
cucchiaio di quella minestra dell’altra mattina.
Ma l’uomo non lo fece sedere ed Harry quasi tirò un sospiro di sollievo.
Poi alzò gli occhi.
Sul ripiano accanto al lavandino c’erano quattro pentole enormi e nere.
Uguali a quelle dove il piccolo aveva preso la sua minestra. Erano tutte
quasi vuote e sembravano davvero sporche e appiccicose…
“Pensavo di fartene pulire una per punizione, Potter, ma continui a
mostrare indesiderati cenni di ribellione, quindi ne pulirai due” ordinò
quel signore vestito di nero.
Oh, finalmente l’uomo lo faceva lavorare, Harry aveva cominciato a temere
di dover andare via perché non riusciva a guadagnarsi il suo mantenimento.
E non voleva andare via. Non era molto meglio che dai Dursley, ma almeno
Harry aveva la sua camera (anche se fredda e sempre buia), poteva mangiare
(anche se spesso non riusciva a tenere niente nello stomaco) e poteva
dormire durante il giorno (anche se non gli era permesso avere una
coperta). Ma se l’uomo lo faceva lavorare Harry poteva guadagnarsi tutto
quello e rimanere…quindi sorrise un pochino, mentre si avvicinava al
bordo.
Severus lo guardò con un’espressione tirata, le pallide, sottili labbra
premute furiosamente l’una contro l’altra.
Piccolo presuntuoso, provocante marmocchio, aveva pure il coraggio di
ridere e di farsi beffe della sua punizione con la stessa baldanza di quel
dannato cane pulcioso di un Black.
“Non più due calderoni, Potter, ma tutti e quattro. Vediamo se questo
riesce a cancellarti quel sorriso beffardo dal viso”.
Harry inclinò la testa?
Non poteva sorridere?
Oh, avrebbe cercato di ricordarselo.
Si tirò su le maniche e cominciò a lavare.
Cercò di finire in fretta, anche se non voleva, perché sapeva che dopo i
suoi lavoretti l’uomo l’avrebbe punito così come aveva detto la sera
prima. Oh, Harry tremava al solo pensiero…
Le pentole erano grosse e pesanti e solo con il braccio destro il bimbo
faceva molta fatica a sollevarle, ma si fece coraggio, in fondo in questo
modo si guadagnava un posto dove stare.
Snape corresse velocemente alcuni compiti del primo e terzo anno. La sua
piuma vergava frasi ancora più sarcastiche e pungenti del solito. Non
c’era tempo nella vita di Severus Snape per gli infantilismi e per quel
piccolo, dannatissimo, Gryffindor.
C’erano le lezioni, le pozioni, le informazioni da passare ad Albus, la
propria salvaguardia.
Erano tutte cose troppo importanti, troppo preminenti.
Il resto andava eliminato, possibilmente come tutto il terzo anno degli
Hufflepuff…
S’immerse quindi nei suoi programmi e nelle sue attività. In sottofondo
sentiva l’acqua scorrere e sorrise fra sé e sé, ironicamente.
Un po’ di sano lavoro era quello che serviva…
Si alzò per servirsi due dita di scotch e festeggiare.
Diverso tempo dopo si sentì osservare.
Aveva perso alcuni dei suoi riflessi, diluiti nell’ambra del suo buon,
vecchio scotch e venne colto di sorpresa quando alzò lo sguardo per
incontrarne un altro.
Limpido e verde.
Verde. Verde. Verde.
Per un istante un incessante fluire di memorie lo gelò sul posto, prima
che la rabbia montasse ed esplodesse.
“Cosa fai lì, a strisciare in silenzio verso il salotto? Hai finito?”
“Sì, signore”
Harry attese, nervosamente.
Zio Vernon lo portava sempre vicino alle scale prima di picchiarlo e poi
lo chiudeva nel sottoscala o in cantina.
Harry non vedeva scale e non ne aveva viste in quei giorni, ma sicuramente
l’uomo poteva avere un altro posto preferito in cui picchiarlo…
“Sparisci nella tua stanza allora!” gli venne gridato ed Harry corse via.
Quella notte Severus rivisse in sogno l’assassinio dei Potter, la sua fuga
verso Hogwarts, il viso spietato del Signore Oscuro e la sua perfida,
disumana risata.
Verde. Rosso. Verde. Rosso. Verde. Verde. Verde. Verde. Verde. Verde.
Verde.
Quegli occhi verdi, la passione, l’odio, la gelosia.
La sua prima vittima, se stesso, il suo primo, reale omicidio.
Il verde più malefico che si potesse immaginare, il verde più crudele,
senza ritorno, senza perdono.
Il colore malvagio dell’Avada Kedavra.
Severus si svegliò coperto di sudore, la gola impastata, come qualcuno che
ha passato la notte a gemere e gridare.
Nei due giorni successivi Snape non si avvicinò alla camera del
bambino-Potter, nemmeno per sbaglio.
Non desiderava affatto vederlo.
I suoi occhi lo facevano ricordare e Severus preferiva non dover arrivare
al punto di non saper controllare la propria ira.
Ogni sera si informava dall’elfo sui suoi pasti e questo, riteneva, era
tutto quello che era tenuto a fare per dovere.
Due giorni dopo Dumbledore lo fermò nella Great Hall e senza mezzi termini
si invitò personalmente (ed in modo del tutto arbitrario) nei suoi
quartieri quella sera.
Era un dannatissimo mercoledì.
Harry uscì piano dalla porta del bagno e si diresse a memoria verso il suo
baule.
Erano ore che non vedeva niente.
Ogni giorno sembrava ripetersi all’infinito e al piccolo sembrava di
impazzire.
Ogni mattina, pomeriggio e sera una di quelle stranissime creature con gli
occhi grandi come piattini gli portava da mangiare e rimaneva a guardarlo
tutto il tempo. Il cibo era buono, ma Harry non era abituato a mangiare
così tanto. E così riusciva a tenere poco nello stomaco, semplicemente
passava lunghe mezz’ore in bagno dopo ogni pasto, a vomitare praticamente
tutto. La pancia gli faceva male da qualche giorno e stare al buio non gli
piaceva per niente. Quando arrivava, l’elfo accendeva qualche candela, ma
dopo qualche ora era buio come prima, se non di più…
Oramai Harry non ricordava più molte cose. Non ricordava più il profumo
dell’erba ed il colore delle cose illuminate dal sole. Non ricordava più
nemmeno il suo nome proprio, nessuno lo chiamava mai per nome, solo
‘ragazzo’ o ‘Potter’ adesso. E non ricordava più come si faceva a correre
e saltare, né come fosse sentire l’aria sul viso, il suono di… qualcosa.
Erano giorni che non usciva. Giorni che stava disteso sul fondo del baule
e presto, temeva, avrebbe finito le fantasie e poi cosa avrebbe fatto?
Quelle mura sembravano una fredda prigione grigia e nera.
Oh, come desiderava poter uscire…
Le poche volte in cui riusciva a vederlo l’uomo era sempre chino sopra
quelle pentole enormi.
Passava praticamente tutto il giorno a cucinare, anche se non era grasso
come Zio Vernon…
Il rumore di alcuni passi lo destò dai suoi pensieri…
Una mano bussò violentemente alla porta.
“Potter, preparati, abbiamo un ospite. Vieni in soggiorno appena sei
pronto”.
Harry alzò la testa.
“Sì, signore” rispose tutto eccitato.
Oh, finalmente, finalmente, poteva uscire!
Harry si vestì come poté al buio e sgattaiolò fuori dalla sua camera.
L’uomo vestito di nero lo aspettava accanto al camino e lo osservò,
seccato.
Severus guardò la maglia alla rovescia che il bambino-Potter così
orgogliosamente esibiva.
“Incapace…” mormorò prima di correggere il problema con un colpo di
bacchetta.
Pochi attimi dopo qualcuno bussò cortesemente alla porta.
Harry guardò in sorpresa l’uomo vecchio che stava entrando.
Era lo stesso signore anziano che aveva visto in quella stanza piena di
orologi quando era stato portato lì.
Solo che oggi il nonnino indossava un vestito ancora più strambo.
Era blu con tutte le stelline e le lune fosforescenti e sembrava un
enorme, buffa camicia da notte. Sotto il signore portava due calzini
completamente diversi l’uno dall’altro che… sembravano mandare una
musichetta ed aveva su due ciabatte tipo quelle di Aladino con due enormi,
verdi pon-pon che si muovevano da soli.
Oh, Harry lo trovava molto simpatico…
“Albus, per favore, fai tacere quei dannati calzini nei miei quartieri…”
disse l’uomo vestito di nero.
Il signore anziano agitò una mano e la musichetta sparì.
Oh, anche lui era un mago allora.
Harry se ne rattristò, sembrava tanto una persona perbene…
“Oh, il giovane Harry!” esclamò d’un tratto il nonnino.
Harry fece del suo meglio per non tirarsi indietro quando lo vide
avanzare.
Tuttavia l’uomo non lo toccò.
“Sbaglio o sei cresciuto un pochino?”
Snape incrociò le braccia sul petto.
“Sbagli” sussurrò con certezza.
Lo aveva affamato e fatto quasi avvelenare. Come diavolo poteva sembrargli
cresciuto? Al limite poteva essere diventato più pallido, forse…
Comunque strano che il bambino-Potter non fosse già partito con i suoi
‘Sì, signore’, ‘No, signore’…
“Ci fai compagnia stasera, Harry?”
Il piccolo non rispose.
“Ti piace il latte? I biscotti? Oh, devi assolutamente dirmi di tutti quei
deliziosi dolci Muggle che conosci, mio caro…”
Silenzio.
Harry guardava negli occhi l’anziano signore e ci vedeva un sacco di
lucine ‘sbrilluccicose’, ma non sorrise né rispose.
Perché l’uomo vestito di nero era lì e gli aveva ordinato di rispondere
solo alle sue domande e di non sorridere.
D’improvviso un sbuffo irritato lo fece voltare, prima che quella voce lo
richiamasse bruscamente.
“Potter…”
Oh, Harry lo sapeva che non doveva parlare e ridere. Non c’era bisogno che
glielo ricordasse, Harry era un bravo bambino se si impegnava…
Il silenzio si stese fra le tre figure immobili, come una scomoda, grossa
presenza.
Severus, infuriato, si ritirò in cucina.
Ingrata, maleducata, piccola pulce!
Oh, Severus lo sapeva bene cosa stava facendo.
Lo stava mettendo in ridicolo davanti al Preside.
Certamente non parlava perché intendeva imbarazzarlo e giocare a fare la
piccola, innocente, vittima.
Ma lo avrebbe punito.
Altri quattro sudici calderoni gli avrebbero insegnato le buone maniere…
In fretta ordinò un vassoio di tè, latte e focaccine prima di tornare in
soggiorno.
Albus non si scompose.
Osservò il professore allontanarsi e strizzò un occhio al giovane Harry.
“Allora… come ti trovi qui con Severus, mio caro ragazzo?”
Il bambino lo guardò un attimo.
Oh, allora l’uomo aveva un nome tutto suo!
Si chiamava Sevreus!!!
Era un nome buffo e lungo, ma Harry non avrebbe mai osato riderne.
Albus si raddrizzò e sorrise beatamente.
“Chi tace acconsente” disse a voce alta, sorridendo verso la seccata ed
incolore espressione sul viso del suo miglior pozionista.
La serata trascorse tranquilla. Harry era felice per il maestro pinguino.
Anche lui, allora, aveva un amico.
Sedettero vicino al fuoco per un po’. Ed Harry ebbe altre due di quelle
buonissime focaccine.
Sperava solo di riuscire a tenerle nello stomaco almeno un pochino…
I grandi parlarono a lungo e nessuno gli fece più domande.
Harry era felice di poter stare un po’ fuori dalla sua stanza e sperava
che il nonnino restasse ancora e che poi tornasse presto a trovarli.
“Questo weekend Hogwarts rimarrà vuota, mio caro ragazzo, perché non porti
il giovane Harry fuori? Hagrid è ansioso di fare la sua conoscenza…”
Snape lanciò uno sguardo in tralice al bambino-Potter.
Effettivamente un po’ di sole e di aria non erano un cattivo pensiero…
“Non è un rischio che dovremmo correre…”
“Oh, pochissimi studenti rimarranno e questo weekend è di libera uscita
per Hogsmeade, sai, per comprare gli ultimi regali. Il piccolo avrà bisogno
di giocare un po’ all’aria aperta, suvvia Severus non essere così
intransigente…”
Snape seppe che in un modo o nell’altro il Preside avrebbe vinto, quindi
concesse un pareggio.
“Va bene. Me soltanto un paio d’ore”.
Dumbledore sorrise, soddisfatto.
Il vecchio signore andò via e ben presto Harry seppe di essere nei guai.
L’uomo era arrabbiato per qualcosa.
Ma lui non sapeva cosa.
Aveva fatto tutto quello che gli era stato detto e non aveva parlato o
sorriso.
Eppure l’uomo disse che l’avrebbe punito e gli fece pulire altre quattro
pentole.
Ma neanche quella sera lo picchiò.
Harry andò a letto incerto se essere contento o terrorizzato.
Sperava che il giorno in cui l’uomo si ricordasse di tutte le punizioni
che gli doveva fosse lontano, molto molto lontano.
Quel perfetto sabato pomeriggio Snape occhieggiò fuori dalla finestra in
un corridoio.
Il sole a tratti veniva coperto dalle nuvole, ma il tempo non era
sgradevole.
Il giovane maestro di Pozioni sospirò.
In fondo Albus non aveva torto.
Era molto tempo che Severus non usciva a passeggiare nel parco e
senz’altro un po’ di aria avrebbe fatto bene anche al moccioso.
In realtà il pensiero più piacevole era quello di potersene liberare per
un paio d’ore.
Hagrid sarebbe stato più che disposto ad occuparsene al suo posto.
Quasi tutti gli studenti era tornati a casa per trascorrere il Natale
assieme alla proprie famiglie e tranne qualche rara eccezione, la scuola
era vuota.
Severus ordinò al bambino-Potter di vestirsi e di mettersi il cappotto.
Lo guidò accanto al camino e senza una parola gli coprì la fronte con un
unguento.
In pochi attimi la famosa, incriminante cicatrice scomparve, lasciando la
pelle soffice e rosea.
Snape non era uomo abituato a rischiare.
Uno qualsiasi degli studenti poteva sempre decidere di avventurarsi nel
parco o vicino al lago.
Oppure il signor Sorier, che in quei giorni aveva fatto del seguirlo e
tempestarlo di domande il nuovo sport della stagione, poteva essere nei
dintorni.
No, nessuno doveva conoscere la vera identità del bambino.
L’unguento aveva la proprietà di coprire tutti i segni magici per almeno
ventiquattro ore. Sarebbe stato più che sufficiente.
In silenzio Snape lo guidò fuori, facendo attenzione a non farsi scorgere.
La capanna del guardiacaccia mandava fumo chiaro nel cielo di quel primo,
rigido pomeriggio di fine dicembre.
Hagrid sedeva sul portico, intento a tagliare della carne per Fang, il suo
grosso, codardo cane.
Il rubicondo omone alzò appena lo sguardo e da sotto l’immenso cespuglio
di barba e baffi e sopracciglia riconobbe il bambino che avanzava accanto
al professore.
“Per la barba di Merlino! Harry Potter! Il piccolo Harry Potter! Ehilà,
Professore, dico bene, è il giovane Harry quel piccoletto?”
Severus annuì.
“Personalmente preferirei evitare tutti questi convenevoli, Hagrid. E per
l’amor del cielo, non gridare il suo nome come se fosse una rivelazione.
Hogwarts non è un posto completamente sicuro, nemmeno di questi tempi”.
“Oh, giusto, giusto”.
Snape vide il mezzogigante alzarsi in piedi e pregustò il piccolo spavento
sul viso del bambino-Potter.
Harry lasciò che le sue piccola labbra si socchiudessero per la sorpresa.
Quell’uomo era ENORME!
Oh, Harry non aveva mai visto un uomo così grosso in vita sua.
Così alto e largo e grosso.
Aveva un po’ paura, ma non poteva scappare dentro.
Si sforzò con tutto il suo coraggio di rimanere fermo.
Severus alzò un sopracciglio, quasi impressionato.
Aveva distintamente notato che il figlio dei Potter non aveva alcuna
intenzione di nascondersi dietro ad una delle sue gambe come sarebbe stato
prevedibile in ogni caso in cui un bambino incontrava per la prima volta
un mezzogigante.
Un sorriso sprezzante tirò le labbra del maestro di Pozioni.
Era più che evidente che il figlio di James non aveva nessuna fiducia nel
suo tutore.
Severus sbuffò, irritato dal fatto di esserne irritato.
‘Ti assicuro che la cosa è del tutto reciproca, signor Potter…’ si
ritrovò a pensare.
E li lasciò soli, allontanandosi in cerca di ingredienti per le sue
pozioni al limitare della Foresta Proibita, ma sempre nelle vicinanze per
tenere un occhio sulla situazione.
Le due ore trascorsero rapidamente.
Harry aiutò Hagrid a pulire il campo dalle erbacce ed anche se aveva paura
di Fang lavorò in silenzio, senza lamentarsi.
Vicino agli alberi un po’ più in là vedeva l’uomo vestito di nero andare
avanti e indietro, chinarsi a raccogliere qualcosa e poi andare un po’ più
avanti.
Il signore grosso grosso si chiamava ‘Agrid’ e sembrava bravo, ma Harry
sapeva che anche il nonnino sembrava buono eppure era un mago e quindi
anche l’uomo enorme doveva esserlo, ma Harry non osava chiederlo, sapeva
che era scortese offendere una persona senza nemmeno conoscerla.
Poco dopo l’uomo-Sevreus venne a prenderlo ed insieme tornarono dentro.
Oh, Harry era così stanco che si addormentò subito.
Sperava di poter tornare fuori uno di quei giorni… ma non avrebbe mai
avuto il coraggio di chiederlo…
Incredibilmente il suo desiderio sembrò realizzarsi senza sforzo.
L’uomo-Sevreus lo portò di nuovo fuori.
Dopo avergli spalmato sulla fronte quella strana crema e dopo avergli
fatto mettere il cappotto Harry si vide portare fuori.
La mano dell’uomo-Sevreus era poco più in alto, mentre camminavano fianco
a fianco, ma Harry non osava afferrarla.
Nessuno voleva mai toccare Harry.
E quindi il bambino si rassegnò.
Di nuovo salutarono ‘Agrid’, ed anche se Harry aveva ancora paura di
quell’uomo grandissimo e del suo cane, lavorò con lui senza dire niente e
si divertì anche un pochino.
Dopo un’oretta alzò la testa.
Non riusciva a fare a meno di guardare dove fosse l’uomo-Sevreus.
Lo osservò da lontano.
Non era che un’alta figura nera contro i tronchi degli alberi.
Hagrid seguì lo sguardo del bambino.
Con un largo sorriso sul faccione rubicondo gli diede una piccola spinta.
“Vai dal Professore, Harry, chiedigli se ha bisogno di una mano”.
Harry annuì.
In fretta raggiunse l’uomo ed in silenzio prese a seguirlo.
Snape si volse un paio di volte.
Oh, bene, il bambino-Potter aveva deciso di tormentarlo.
Meraviglioso!
Decise di non rivolgergli alcuna attenzione, sperando di scoraggiarlo.
Dopo una decina di minuti sospirò, rassegnato.
Si volse e mostrò al bimbo un piccolo fungo color rame.
“Sto cercando questi, Potter. Si trovano sotto i sassi e sotto al
muschio”.
Non che sperasse in una sua remota possibilità di comprensione, ma almeno
lo poteva tenere impegnato, anche se futilmente impegnato…
Quindi si allontanò per continuare la sua ricerca.
Qualche silenzioso minuto dopo pensò di essersi impigliato in un ramo
basso.
Al secondo, piccolo strattone si volse ed abbassò gli occhi.
Potter!
Chi altri?
Un commento sprezzante stava giusto per affacciarsi alle sue labbra quando
lo sguardo gli cadde sulle mani del bimbo.
Una decina di piccoli funghi ramati lo fissavano irriverenti da quei
piccoli palmi aperti.
Severus alzò un sopracciglio, impressionato.
Prima che potesse ingoiarla una piccola frase lasciò la sua bocca.
“Ben fatto, Potter, bravo”.
E non c’era alcuna ironia nelle sue parole.
Harry quasi sorrise, mentre versava i funghetti nel cestino dell’uomo.
Aveva fatto contento l’uomo-Sevreus, almeno una volta.
Oh, era così orgoglioso di se stesso!
In fretta corse a cercare altri funghi al limitare degli alberi lì vicino.
Il vento si era levato nelle radure accanto alla Foresta.
Strani lamenti precedevano spesso i temporali.
Severus decise che si era fatto tardi.
Cominciava a fare freddo.
Si volse per richiamare Harry, lo poteva ancora sentire dietro di sé,
intento a cercare piccoli funghi magici.
In un istante tutto gli apparve per come era realmente.
Terrificante.
Ed il sangue gli si gelò nelle vene.
Quegli occhi verdi erano enormi sul viso pallido e gridavano muti.
Una mano premuta sulla bocca, un braccio attorno al petto.
Harry penzolava sinistramente dallo strano, orrido abbraccio di quell’uomo
incappucciato.
Severus trasse la bacchetta dalla sua manica, pronto a colpire, a salvare
a costo della sua la vita del giovane Harry Potter.
Ma una voce alle sue spalle lo fece voltare di scatto. I suoi lunghi
capelli frustarono l’aria e si avvolsero nel vento davanti al suo viso.
Gli occhi di ossidiana del maestro di Pozioni si allargarono
impercettibilmente.
“Signor Sorier…?” domandò, incredulo.
Il ragazzo alzò la bacchetta e gridò:
“Stupefy”.
Continua…
Nota grammaticale: per
mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni
altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini
inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati,
ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’.
Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di
ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
Fang: Thor.
Note capitolo: Fang è il cane di Hagrid. Stupefy è un incanto che fa
perdere i sensi a chi ne viene colpito.
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