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Autore: Demoiselle An_ne    04/07/2013    7 recensioni
Questa è una storia di tenebre, luci, amori e dolori.
Cosa sarebbe successo se Oscar si fosse vista portar via il suo André? Si sarebbe accorta prima di sentimenti da sempre assopiti?
E se André avesse incontrato qualcuno così vicino alla figura di Oscar, eppure così lontano? Come sarebbero andate le cose?
Questa storia non intende cambiare lo splendido affresco tracciato dalla Ikeda, è un modo per vedere le cose sotto una luce un po' differente.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Molti di voi non ricorderanno questa storia, sono ferma da quasi un anno e tante cose sono cambiate in questi mesi. Ho avuto un periodo molto difficile, periodo che non auguro a nessuno, se ora sono qui è perché sono pronta a scrivere di nuovo. Qualcuno mi ha fatto tornare la voglia e mi ha dato il giusto coraggio, anche se non sa di averlo fatto. Grazie.  Non so quante di voi riprenderanno questa storia, se deciderete di non farlo non potrò biasimarvi. Io intanto lo posto, se non dovesse andare, grazie comunque per aver seguito quando fu.

Un paio d’ore prima, studio del generale Jarjayes.
La luce del tramonto trafiggeva i vetri immacolati delle finestre e si stagliava su ogni cosa presente in quel serio e austero, quanto ricco studio. Augustin de Jarjayes si massaggiò le palpebre trafitte da quella luce fastidiosa. Gli ci voleva un goccio, non ne poteva più: erano ore che era chino su quelle reali e noiose scartoffie, stava per alzarsi e andare verso la vetrinetta contenente i liquori quando giunse la fedele Marron.
“Chiedo scusa, signore” – disse bussando delicatamente ed entrando calma e ferma – “Ci sono due giovani nobili, stranieri a quanto pare, che chiedono di lei. Dicono di conoscerla e affermano di avere un’udienza programmata con lei…” .
L’inflessibile uomo si meravigliò, a tal punto da sgranare gli occhi e con l’incertezza a rimarcargli la voce, chiese “Ti hanno detto chi sono? Non aspettavo nessuno…”
“Dicono di appartenere alla famiglia Moore, suppongo siano inglesi…”.
Il tempo si fermò, il silenzio avvolse tutto e nulla apparve concreto o prensente.
Al generale mancò l’aria, come poteva essere? Perché lì? Perché adesso? Si era illuso di esser fuggito da quella famiglia moltissimo tempo fa, rivide delle immagini spaventose scorrergli nella mente. Immagini che credeva appartenessero alla mente di qualcuno che non fosse lui, si aggrappò con entrambe le mani al bordo in ciliegio del suo vecchio scrittoio. Il bianco delle nocche si stagliò netto con la bella tinta di quel legno, poteva contarne le venature, le vedeva disegnare scene di guerra e creature assetate di sangue pronte a divorarlo. Era un incubo, non poteva essere, il  fato non poteva chiedergli un simile conto dopo tutti quegli anni. Aveva già pagato troppo, come un popolano oppresso dalle tasse e dalla propria condizione di inferiore, lui aveva scontato la sua pena tempo addietro…e allora perché?
No, era tutto maledettamente reale e l’espressione apprensiva dipinta sul volto della fedele Marron glielo confermava. Fuggire, anche se possibile, sarebbe stato inutile, era inutile, era in trappola. Un animale braccato, un leone, come quello del suo stemma. Ma lui non aveva arma alcuna per difendersi, deglutì aria e con la paura a modulargli il vocione da uomo d’onore e di guerra disse “Sì, credo di conoscerli…falli accomodare, subito”.
Quell’uomo tanto temuto e rispettato si vide strappare dolorosamente i gradi dal petto, non erano gradi: pezzi di cuore. Il suo. E questo è ciò che sarebbe avvenuto se non avesse giocato bene quella battaglia, doveva farcela, i passi falsi non erano in programma.
Sentì dei passi provenire dal corridoio e lentamente si posizionò sulla sedia dietro quello scrittoio che tante volte lo aveva accolto, impose vigore e forza alla propria postura e con noncuranza congedò Marron.
I due giovani che gli si pararono davanti, coprendo la porta come a volerlo imprigionare lì, sorrisero con una cordialità che non gli apparteneva. Se li ricordava bene, di cordiale avevano ben poco.
“Augustin, zietto, come state?”- fece il giovane uomo con strafottenza, imprimendo sul suo volto un sorriso di selvaggia soddisfazione nel vedere il generale fremere. “Non sono tuo zio, lo sai bene, Michael. Cosa volete? Perché siete qui?”.
Michael Moore fu repentino e spudoratamente tirannico, si sporse verso il generale e fermandosi a pochi centimetri dal suo viso disse a denti stretti “Non siete in condizione di porre domande, vi pare? Non siete cambiato affatto, il solito uomo, pomposo, austero e autoritario. Non fa presa su me e mia sorella, mi spiace per voi. Qui se c’è qualcuno che può chiedere, siamo noi. Voi dovete solo obbedire oppure volete che…” – “Calmati Michael! Sei un gentiluomo, devo forse ricordartelo?”- a parlare era stata la giovane ferma nell’angolo della stanza, ora fattasi più vicina al fratello esercitò una leggera pressione sul braccio di questi per allontanarlo dal generale. Gli occhi dei due uomini si posarono su quella donna esile ma dalla bellezza pericolosa. Il generale non poté non pensare a una tigre, era così fin da bambina. Certe cose non cambiano mai, si ritrovò a rimuginare, gli anni che passano vi si posano sopra con grazia ma senza alterarne nulla. Non sapeva se questo fosse un bene, temeva di no, e a confermarglielo erano i bagliori mandati da quegli occhi glaciali con delle venature violette, ora più vivide che mai sotto i raggi dorati del tramonto.
“Uhm, sì, credo tu abbia ragione Rebecca…”- Michael si schiarì appena la gola e si sedette accanto a sua sorella, proprio di fronte al generale.
Rebecca prese la parola e con tono zelante, scacciando via l’arsura con un grazioso ventaglio riccamente decorato disse “Generale, sapete perché siamo qui. Sapevate che prima o poi saremmo venuti a bussare alla vostra porta, non negate. Se siamo qui non è certo per piacere, ci siamo stati costretti. Voi meglio di me sapete cosa si può essere spinti a fare alle volte, che sia per esigenza o semplice e volgare desiderio di agiatezza”- l’accento le cadde sulle ultime sillabe e il generale non poté non sentirsi messo alla sbarra – “Io non ho mai…” tuonò lui, Rebecca pose  un palmo d’alabastro tra se e il generale per stroncarlo sul nascere – “Per una volta nella vostra ipocrita vita fate silenzio e ascoltate, le conseguenze qui le pagherete solo voi se non imparerete a piegarvi!”. Michael fissò ammirato la sua sorellina amatissima e le fece un applauso appena accennato, Augustin sentì la voglia di tappare la bocca a quei disgraziati, sanguisughe, con un solo colpo di spada. Ingogliò il boccone amaro, sapeva di bile e vergogna. Vergogna cocente, doveva tacere e ascoltare, pregare il buon Dio che le conseguenze non fossero tanto devastanti. Trasse un sospiro per richiamare tutte le forze e la pazienza che aveva a disposizione e si preparò ad ascoltare. Neanche nei suoi incubi più tetri e tenebrosi si sarebbe mai aspettato quello che di lì a poco sarebbe stato costretto a fare.
“Lei dov’è?”- domandò Michael interrompendo il flusso di pensieri del generale e fissandolo con impazienza- “Lei chi?”- Augustin aveva capito, ma doveva prendere tempo- “Sapete di chi parlo, vostra figlia. La donna vestita da uomo, a quanto si dice in giro…”-attonito, l’uomo si vide costretto a rispondere.
“Mio figlio è in caserma al momento, che volete da lui?” – “Mi pareva fosse una lei…”-sottolineò Rebecca con fare canzonatorio- “Vorrei vederla, non si dica in giro che non conosco la mia futura sposa!”-esclamò Michael, lanciatosi in una risata malvagia e perversa.
“Siete qui per questo, dunque! Non potete farlo, lei non accetterà mai!”. Augustin Reynier de Jarjayes non era mai stato un uomo dallo spiccato istinto paterno, soprattutto con Oscar. Non nel modo in cui ci si aspetta lo siano i padri con le figlie, almeno, ma le voleva bene e in quel caso sentì l’istinto urlargli di difenderla e tutte quelle sensazioni si raccolsero in un groviglio. Quasi a formare una palla di cannone che gli si agitava nell’animo e si propagava per tutto il corpo, Oscar era stato il suo orgoglio e non avrebbe certo accettato di disonorare l’intera famiglia con quel matrimonio che sarebbe risultato come un’esilarante, quanto crudele, barzelletta agli occhi di tutti. Anche se si trovò costretto a pensare che se non avesse imposto quel matrimonio a sua figlia, forse quella scomoda situazione sotterrata dal tempo sarebbe potuta riemergere e lui solo poteva immaginare quanto dolore, quanto fango e quanta  vergogna avrebbero portato. C’era anche la volontà di Oscar da calcolare, difficilmente se la immaginava a piegarsi a un simile ruolo, l’aveva cresciuta forte e fiera. Un’amazzone, una quercia inossidabile. Come convincerla senza rivelarle nulla? Non avrebbe sopportato lo sguardo deluso e disgustato di Oscar, si era sempre elevato a modello con lei e lei non aveva mai messo in discussione la sua scelta di crescerla come un uomo, il suo soldato, la sua sola speranza di perpetrare nel tempo. Se avesse saputo di quell’accaduto, probabilmente lo avrebbe incolpato per sempre. L’avrebbe ritenuto debole e indegno, non poteva permetterlo. Assolutamente.
“Non c’è altro che io possa darvi, che non implichi Oscar?”, doveva tentare il tutto per tutto, magari si sarebbero accontentati di una lauta somma. “Signore, come voi ben sapete e come già vi ho detto, se siamo qui è solo a causa vostra e da tempo la famiglia Moore non verte in condizioni di agio. Avete altre figlie non maritate? Non credo, non siete mai stato particolarmente legato agli esseri umani, mi pare. L’unica alternativa è il vostro discutibile esperimento, quello che vi ostinate a chiamare figlia, ma che credo abbiate martoriato nell’animo fino a confonderla sulla scelta di vivere come soldato o come donna. In quanto donna anch’io, mi raccapriccia sapere che le avete imposto un simile destino, pur affascinandomi l’idea di una vita più libera. Dall’altro lato mi diverte oltre ogni dire sapere che vi porteremo via l’erede. Non accettiamo compromessi, il matrimonio. Altrimenti…be’, sapete bene a cosa andate incontro. I reali sarebbero felici di sapere chi è in verità uno degli uomini su cui ripongono maggior fiducia, no?”.  Rebecca prese fiato e fece l’occhiolino al generale.
“Lei non accetterà mai!” “E’ una donna! Farà come voi le dite, siete passato sopra tanti cuori e tante teste. Cosa cambierebbe? Un insetto in più, uno in meno… Dunque, non fateci perdere altro tempo, e non siate scortese con le vecchie conoscenze. Vogliamo da bere, giusto Rebecca?”
 
Scuderie di villa Jarjayes.
“Allora, Oscar? Perché non mi rispondi? Troppo scomodo sentirsi dire le cose apertamente? Stavolta l’uniforme non ti servirà come scusa, con me non è mai servita. Avresti potuto essere qualunque altra cosa, i miei sentimenti non sarebbero mutati. Se mi hai visto con quella donna è perché ti somigliava. Io so bene che la gelosia non rientra certo in te, mio gelido comandante, ma mi sembra di scorgerne un po’. Altrimenti perché prendersela così e seguirci?”. André le si avvicinò sempre più, Oscar riusciva a sentire il cuore pomparle nel petto come impazzito. Contò le pagliuzze in quello sguardo verde smeraldino e pensò che non poteva e non doveva cedere. Lei non era gelosa, non poteva esserlo. E di cosa poi?
Si sentiva come in trappola, lei era un animale libero e forte, non si sarebbe mai piegata e come in tutte le battaglie che si rispettino non chinò il capo.
“André, io…”                               
Un sonoro cigolio fece sussultare i due giovani, come colti sul fatto. Anche se di concreto non c’era niente, era solo una lotta di anima e sentimenti. Niente che si potesse comprare, toccare, vedere o annusare. Anima e basta. Bellezza effimera e impalpabile, la loro lotta si sarebbe potuta paragonare a un duello con la spada: André impugnava il sentimento, Oscar la ragione.
“Madamigella Oscar, dopo cena vostro padre desidera avere un colloquio con voi nel suo studio. Da soli”.
  
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