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Autore: Blue Drake    06/07/2013    1 recensioni
Il ricordo di un primo, fugace incontro che, dopo così tanto tempo, non sa più come abbandonare la mia testa né il mio cuore.
[Racconto partecipante al contest "Aprendo a caso il vocabolario" indetto da Lilith in Capricorn]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Sankt-Peterburg ● Санкт-Петербург'
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[Racconto partecipante al contest “Aprendo a caso il vocabolario” indetto da Lilith in Capricorn]

 

Nick EFP e FORUM: Blue Drake (EFP), Suzeanne la Petite (Forum)

Titolo: "Occhi Verdi"

Prompt: Vertigine

Genere (quello principale): Romantico

Numero capitoli: 1

Rating: Verde

Avvertimenti: /

Note: Racconto facente parte della serie "Sankt-Peterburg ● Санкт-Петербург"

Breve introduzione: "Il ricordo di un primo, fugace incontro che, dopo così tanto tempo, non sa più come abbandonare la mia testa né il mio cuore"

 

 

 

 

 

 

Occhi Verdi

 




 

 

 

 

 

 

Gelo.

Vento, che punge sulla pelle.

E poi la bruma, che ammanta una mattina non ancora sorta.

Il rombo sordo del sangue che scorre veloce.

Occhi verdi.

Vicoli umidi ed ombre profonde.

La condensa di un respiro affannoso.

Ossigeno, che brucia più del fuoco.

Occhi verdi.

 

 

È solo un momento, il tempo di un lieve battito di ciglia, quando la tempesta incontra sulla propria strada i prati della brughiera.

Perdo istanti preziosi, tempo che non può più tornare, affogando in uno sguardo che non è il mio.

E scuote la testa, confuso, incerto.

Poi voci: due, tre, quattro. Si accavallano concitate. E passi, tanti, si avvicinano rapidamente.

Vorrei andare, dovrei andare. Ma quegli occhi ancora mi trattengono. Si spostano piano, solo un momento, abbandonando i miei prima di tornare, di farmi ansimare inquieto.

Muove la testa. Non è più un diniego, questa volta. Sembra invece un'esortazione, ora, forse un invito.

Vai”, dicono le sue labbra. Ma non la sua voce. Le vedo muoversi senza emettere un suono.

E mi scruta ancora, impaziente.

Deglutisco. Inspiro, espiro, dentro, fuori, l'aria brucia ancora, così dolorosamente, dentro di me.

Li sento di nuovo. Corrono nella nostra direzione, mentre io ancora sono perso in quel verde.

Fa un passo indietro, lieve, e solo allora mi riscuoto e torco il collo a scrutare il fondo impalpabile del vicolo.

I miei piedi hanno già ripreso a macinare asfalto sotto di loro prima ancora che io possa rendermene conto, prima che io abbia il tempo di voltarmi verso una via più libera, lontano da quell'angolo di mondo in cui un paio di sconosciuti occhi verdi trattengono la mia fuga.

 

Mi manca l'aria, adesso. Mi sento spaccato in due. Una parte concentrata nella corsa, nel tentativo di fuggire a chi mi insegue convinto di potermi afferrare. L'altra ferma, incapace di elaborare l'idea di frapporre tutta quella distanza tra me ed i suoi occhi, quella luce che non riesco a scacciare e che striscia appena al di sotto del gelo che mi circonda.

 

Ho bisogno di ritrovarli davanti a me. Il desiderio ora, dopo tante ore ormai, è così forte in me che la nausea mi assale. Forse ho corso troppo, forse il freddo ha danneggiato il mio corpo, i miei sensi.

Ho bisogno di rivederli, di tornare a respirare, ritrovare un po' di tranquillità, fermarmi... infine.

 

 

 

 

Mi ritrovo di nuovo in quel vicolo, poco più di ventiquattro ore dopo.

Ci ho provato, ho tentato sul serio di allontanarmi, fuggire ancora una volta, come sempre. Non ci sono riuscito, non oggi. Per questo motivo sono qui, scrutando ansiosamente l'uscita posteriore di quella che, alla luce di un orario umanamente decente, ha in tutto e per tutto l'aria di una boulangerie.

Mi sfugge uno sbuffo divertito che, a contatto con l'aria fredda, si trasforma all'istante in chiare nuvole di condensa. L'idea di ritrovare quegli occhi all'interno di un comune fornaio, per qualche assurdo motivo, mi diverte.

Eppure... Eppure mi sento nervoso, i nervi tirano e schioccano, ciondolo irrequieto sul lucido asfalto ancora intriso dell'umidità della notte, sollevo lo sguardo su di un cielo grigio: “Lo stesso colore dei miei occhi”, rifletto distrattamente.

Potrei benissimo starmene a perdere tempo in questo posto umido ed affatto accogliente per tutto il santo giorno, è vero, ma a che scopo? Non sono certamente tornato qui per sprecare l'intera giornata. No, sono tornato perché non riesco a levarmi dalla testa il modo in cui mi hanno guardato, come mi sono entrati dentro, facendomi annaspare, barcollare. Sono tornato perché, dopotutto, ne sento ancora il bisogno: il bisogno di perdermici dentro e lasciarmi trascinare giù, fino in fondo, oltre un baratro sconosciuto e nondimeno troppo ammaliante per potervi rinunciare.

 

Pochi, semplici passi. Per uno come me, abituato ad una vita costantemente di corsa, non sono nulla più di un soffio, un esile sospiro. Ciò nonostante avverto le gambe rigide e pesanti. Un brivido mi percorre mentre scosto la porta a vetri ed il campanellino che mi annuncia trilla allegramente mandando a spasso il mio sistema nervoso. Il colpo di grazia cala come una mannaia sul mio cranio nell'esatto istante in cui, richiamato dal tintinnio esasperato, qualcuno si affretta a raggiungere il bancone sul fronte del locale.

No, mi sbaglio. Non qualcuno: lui, la stessa creatura cui appartengono quegli occhi verdi che, per un intero giorno, mi hanno caparbiamente strappato ai miei soliti pensieri, invadendo la mia testa con mille ed uno scenari, l'uno più assurdo dell'altro.

E mi sento vacillare, stranito ed affascinato al tempo stesso. In un unico, eterno istante – il tempo che impiega il suo sguardo a posarsi nel mio – la mia testa si svuota per poi riempirsi di un'ovattata sensazione di puro stupore.

Occhi verdi: il tiepido calore del sole primaverile in un'unica, fugace occhiata.

Mi aggrappo al bancone per non cadere. Sorrido. Mi sento un vero idiota ma... che altro potrei fare a questo punto? I suoi occhi hanno il potere di incollare i miei piedi al terreno e di rendere la mia testa più leggera di un palloncino. Mi bastano loro per sentirmi diverso, confuso, svuotato ed al tempo stesso piacevolmente riempito. Quando affondano in me, in profondità, perdo la presa sulla mia realtà, sul mio mondo, e mi lascio andare con l'assoluta, ingiustificata certezza che ci sarà qualcuno, alle mie spalle, pronto ad afferrarmi e riportarmi nel nostro mondo.

 

 

A Rafail, il mio angelo dagli occhi verdi. L'unico essere vivente capace di darmi un brivido ed una vertigine con un solo, semplice sguardo.

Andrian

 

 

 

 

 

Fine

 

 




 

 

 








 

   
 
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