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Autore: Niglia    07/07/2013    20 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Epilogo


























Qualcuno avrebbe detto che era una bella giornata per un funerale. Per me rimaneva soltanto un comune pomeriggio di fine novembre, con il cielo grigio gravido di pioggia e l’aria ghiacciata che penetra attraverso il cappotto e raggiunge le ossa, e ti gela le lacrime sulle ciglia impedendo loro di scivolarti sulle guance.
Gli ultimi due giorni sembravano essere stati i più gelidi, fino a quel momento.
In teoria non doveva esserci molta gente alla funzione – era stata una decisione della giovane vedova, che non voleva che una folla di curiosi assistesse al dolore suo e della sua famiglia: malgrado non fossero stati messi i manifesti, tuttavia, il paese era piccolo e la voce si era sparsa e in chiesa c’era comunque più gente di quanto avesse desiderato. A messa conclusa, il prete si era fatto avanti per impedire ai presenti di accalcarsi intorno alla famiglia, rendendo il momento più penoso di quanto già non fosse.
Le ero rimasto vicino dal momento in cui il feretro venne portato fuori dalla chiesa e caricato sull’auto, offrendomi di aiutarla con i bambini ma accettando di buona grazia il suo rifiuto di separarsi da loro. Aveva tenuto la piccola Elisa in braccio in tutto il tragitto a piedi verso il cimitero, mentre Nicola camminava al suo fianco come un piccolo ometto, terribilmente serio e pallido malgrado i suoi sette anni. Nessuno di loro tre aveva pianto, non in pubblico almeno, e solo il leggero tremito delle mani della madre rivelava quanto stesse soffrendo dietro il riparo degli occhiali da sole.
Mentre le camminavo accanto, quasi a volerla proteggere dagli sguardi di pena, compassione o persino disprezzo che vedevo nei passanti che si fermavano sul marciapiede e voltavano il capo verso di noi per saziare la loro curiosità, mi tornarono in mente uno dietro l’altro tutti i momenti che avevamo trascorso insieme negli ultimi dodici anni, un tempo sufficiente a far sì che il nostro legame si solidificasse come non sarebbe mai sembrato possibile, all’inizio.

“Le ho chiesto di sposarmi, Sté.”
“E lei…?”
“Ha detto di sì! Cioè, ha detto, sì ma non subito, prima si vuole laureare… Ma non ha detto di no!”
“L’avevo capito, sì. Beh, cugino, sono felice per te! Congratulazioni!”
“Sì, grazie, Sté, davvero. Ehi, senti, voglio chiederti una cosa…”
“Qualsiasi cosa, cugino.”
“Mi faresti da testimone?”

Al matrimonio era bellissima. Forse lo dico perché sono palesemente di parte, ma lei era bella, davvero. I capelli raccolti in una semplice acconciatura che lasciava scoperto il collo e metteva in risalto il girocollo di perle grigie, prestato dalla madre, l’abito color avorio dalle forme morbide e sinuose, il bouquet di rose rosse e fiorellini bianchi stretti in una mano mentre l’altra era stretta al braccio del padre – sembrava una visione. Forse fu quello il momento in cui iniziai ad innamorarmi di lei, mentre avanzava lungo la navata della chiesa, le guance arrossate dall’imbarazzo e un luccichio commosso negli occhi, fissi sull’uomo al mio fianco.

“Posso ballare con la sposa?”
“Certo, cugino, sei il testimone! Ma non stancarmela troppo, per cortesia.”
Enrico indietreggia di qualche passo e va a cercare il neo-suocero, non prima però di aver baciato la moglie su una guancia, semplicemente, ma con un certo qualcosa che la fa arrossire appena.
Non sono stato così vicino a Giulia dalla volta in cui ho tenuto il suo capo sulle mie ginocchia in quella maledettissima ambulanza.
Lei è incredibilmente a suo agio con le mie mani intorno alla sua vita, e sorride, sorride, perché nulla potrebbe turbare il suo giorno.
Come aveva fatto…

…a cambiare idea così drasticamente su Enrico? Solo io sembravo ricordare i tempi in cui lei lo frequentava perché lui l’aveva obbligata, solo cinque anni prima?, e di certo all’epoca niente avrebbe fatto presagire un finale di questo genere. Sposata con Enrico, chi lo avrebbe mai detto. Non avrei mai creduto che sarebbe arrivato il momento in cui mi sarei pentito di averla praticamente spinta tra le sue braccia, spinta a dargli un’altra possibilità, a cercare di vedere il buono che c’era in lui. Avevo difeso mio cugino a spada tratta davanti alla donna di cui poi mi sarei innamorato – uno strano scherzo del destino, che mi ha portato talvolta a odiare quello che per me era stato come un fratello.
Inutile dire che Cecilia, la ragazza che frequentavo all’epoca, divenne una ex subito dopo il matrimonio.

“Stefano, cazzo, dimmi dov’è! Non mi risponde al telefono da questo pomeriggio!”
“Non so cosa dirti, Giuli, davvero. Ascolta, non preoccuparti, lui sa quello che fa…”
“Non preoccuparti? Non preoccuparti! Come fai a dirmi di non preoccuparmi, mi aveva detto che sarebbe tornato prima di cena e invece non è ancora rientrato!”
“Senti, posso andare a cercarlo se ti fa stare più tranquilla.”
“Vengo con te.”
“No, no, Giulia, rimani a casa. Se Enrico torna e non ti trova potrebbe preoccuparsi lui, e sono le due del mattino. Ok?”
Silenzio dall’altro capo del filo. Poi un sospiro rassegnato. “Ok. Ma rimango sveglia, quindi chiamami o mandami un messaggio qualsiasi cosa sia successa.”
“Ti tengo aggiornata, te lo prometto.”

Non era stato un matrimonio facile, il loro, ma Giulia doveva amarlo davvero tanto per resistere giorno dopo giorno in quella situazione. Ogni volta che Enrico non rientrava, ogni volta che faceva tardi, persino ogni volta che litigavano, lei chiamava me. Mi chiamava e mi gridava contro, o piangeva, o rimaneva in silenzio, perché non aveva nessun altro con cui parlare. Aveva deciso che i suoi genitori sarebbero dovuti rimanere fuori da quella storia, quindi loro non avevano idea dell’inferno da cui la loro figlia andava e veniva puntualmente per amore di suo marito, e come se ciò non fosse bastato con la sua unica migliore amica era tutto finito nel momento in cui aveva deciso di stare definitivamente insieme ad Enrico, dato che Riccardo, il fidanzato di Alessandra, non aveva voluto avere più nulla a che fare con tutti noi.
Ero diventato il suo migliore amico – non avrei potuto chiedere di meglio.

Sospira, cercando di prendere chissà quale argomento, e alla fine poggia la tazzina del caffè sul tavolino e solleva lo sguardo su di me, trattenendo un sorrisino.
“Io ed Enrico ne abbiamo già parlato, e… Ci piacerebbe che fossi tu il padrino di Nicola.”
La notizia mi sorprende davvero, dato che non mi sarei mai aspettato di essere così importante per lei. Lo sguardo mi cade inevitabilmente sul suo ventre che da qualche mese ha iniziato a curvarsi dolcemente, e che lei accarezza con aria distratta.
“Dici sul serio? Non preferiresti una tua amica, o tua sorella, o… o qualcun altro?”
“Mia sorella sarà comunque la zia, e tu sei un mio amico, Stefano. E, a meno che la tua risposta non sia negativa, non vedo perché dovrei volere qualcun altro.” Il suo sorriso è tutto ciò di cui ho bisogno.
“Cavolo, certo che la mia risposta è positiva! Voglio dire, sì, sarò il padrino di Nicola, non ti immagini quanto mi faccia piacere che abbiate pensato a me.”
“Non c’era nessun altro che volessimo, credimi”, sorride lei, alzandosi e venendo ad abbracciarmi.

Forse era quello il massimo che potevo raggiungere.

“Se c’è qualcosa che devi dirmi fallo e basta, Stefano.”
Non mi sta guardando. I suoi occhi sono fissi sul marito che insegna al piccolo Nicola, di tre anni, a nuotare in piscina. E’ seduta su un lettino, i capelli raccolti in una treccia e gli occhiali da sole sollevati sulla nuca, in una normalissima domenica di luglio.
“Dobbiamo stare via per un paio di giorni, tutto qua. Credevo che Enrico te l’avesse detto.”
“No, non mi ha ancora detto niente. Suppongo stesse aspettando il momento adatto, o forse non ha ancora escogitato una bugia abbastanza decente da rifilarmi.”
“Giulia…”
“Saltiamo la parte in cui cerchi di giustificarlo, ok? So a cosa andavo incontro quando ho accettato di stare con lui, ma in tutta onestà credevo che le cose sarebbero cambiate. Se non subito, almeno con la nascita di Nicola… E invece mi sembra solo che siano peggiorate.”
Le risate e gli schiamazzi che provengono dalla piscina stonano con l’argomento della nostra conversazione. Non ho il tempo di trovare una risposta, perché Giulia si alza, si toglie gli occhiali e il pareo e rimane in bikini, pronta a raggiungere i suoi uomini in acqua.
Prima di andare mi rivolge una supplica sussurrata.
“Tornate tutti interi e basta, ok?”

Enrico non era geloso del rapporto che avevo con sua moglie. Forse perché anche lui, come me, era consapevole che Giulia malgrado tutto era innamorata persa di lui, e che se anche a volte litigavano tanto furiosamente da far temere che potessero arrivare alle mani – e invece, per quello che ne sapevo io, a casa loro non era mai neanche volato un piatto – poi alla fine si perdonavano tutto e continuavano ad andare avanti, come se uno fosse il sostegno dell’altro e viceversa. Suppongo che fosse il minimo avere un rapporto del genere, dopo tutto quello che avevano superato insieme.
L’unico geloso ero io. Più di una volta mi sono ritrovato a desiderare che Giulia guardasse me in quel modo, ma mai, neanche per un istante, per quanto potessero essere tragiche le cose tra di loro, mi aveva rivolto quel particolare tipo di attenzioni.
La sua fedeltà era quasi commovente. E mi faceva diventare matto.

“Oh mio Dio, Enrico, che cos’è successo?”
“Niente, tesoro… Un incidente di percorso.” Un sibilo dolorante segue quelle parole quando Giulia preme il sacchetto del ghiaccio sullo zigomo del marito. Lei sussulta, ma la sua mano è ferma: non è la prima volta che Enrico torna a casa in condizioni simili.
“Domani c’è la festa di compleanno di Nicola, e tu avrai un occhio nero! Sei uno stupido”, ribatte lei. “Che cosa penseranno gli altri genitori? E ai miei, che cosa dovrei dire? Che ti picchio perché non sai caricare la lavatrice?” Parlano e malgrado tutto scherzano sussurrando per non svegliare il bambino, e io distolgo lo sguardo premendo a mia volta una bistecca congelata sul labbro. C’è troppa dolcezza nel modo che ha lei di sfiorarlo, di guardarlo, persino di sgridarlo, e io non riesco più a sopportare tutto questo.
Poi però lei solleva gli occhi e per un istante la sua preoccupazione è tutta per me. “Anche il tuo labbro non è messo per niente bene. Fai vedere…” Allunga una mano e sfiora la mia bocca spaccata, facendomi sussultare. Lei crede che sia dolore, e si ritrae.
“Nulla che non si possa sistemare con un po’ di fondotinta, per domani”, mormora, e riesce quasi a strapparmi un sorriso.

Il cimitero era vuoto quando arrivammo – a parte gli uomini delle pompe funebri. Il padre di Giulia aveva preso in consegna la nipotina, che adesso si stringeva al collo del nonno anche se il suo sguardo non lasciò la madre per nessuna ragione, mentre la nonna prese per mano Nicola e lo avvicinò a sé. Lei quasi non se ne accorse – tutta la sua attenzione era per il feretro che veniva portato fuori dall’auto e avvicinato ad una buca precedentemente scavata nel terreno.
Il sacerdote disse altre preghiere che si persero nel vento, benedisse un’ultima volta la bara e poi diede l’autorizzazione a calarla lentamente nella fossa. Qualcuno, non vidi bene chi, porse una rosa a Giulia e lei la posò delicatamente sul feretro che si abbassava, accarezzandone la superficie di legno lucido come se in quel modo avesse accarezzato un’ultima volta in viso di suo marito. Le sfuggì un singhiozzo, e poi divenne impossibile trattenere ancora il pianto.

Passi veloci nel corridoio dell’ospedale.
“Dovrei esserci io qui, maledizione, non lui”, mormora a mezza voce, tenendo una mano sul pancione. “Se la bambina nasce e lui non può assistere, giuro che mi incazzo.”
“Il dottore ha detto che deve rimanere solo altri due giorni. Ha una gamba ingessata, non un trauma cranico.”
“E come fa a rimanere in piedi al mio fianco con una gamba ingessata?” Sibila, irritata. Si blocca all’improvviso in mezzo all’andito con un gemito, e io mi preparo al peggio.
“Oddio. Ti si sono rotte le acque?”
Questo la fa ridere. “No, è la bambina che ha fatto una giravolta. Penso che sia arrabbiata anche lei all’idea che il padre potrebbe non assistere alla sua venuta al mondo.”
“Non lo invidio proprio mio cugino, deve combattere con due donne furiose e una di loro non è ancora nata!”
Arriviamo ridacchiando nella sua stanza e già Giulia ha dimenticato la sua rabbia mentre si precipita accanto a lui. “Devo partorire io e ti fai ricoverare tu?” La sento che dice, cercando di sgridarlo.
Lascio loro un po’ di intimità e ritorno in corridoio. Sospiro. In realtà ho detto una bugia…
Anche se ha una gamba rotta, non posso fare a meno di invidiarlo.

Mi inchinai su di lei e l’aiutai ad alzarsi, allontanandola con discrezione dalla fossa. Stava singhiozzando da spezzare il cuore, come una bambina, e nel vedere la loro madre in quelle condizioni anche i figli sembravano aver rotto la diga. I nonni li cullarono e cercarono di calmarli, portandoli via in un angolo più appartato, e anche io cercai di fare lo stesso con Giulia, ma inutilmente. Sembrava decisa a rimanere lì, vicino alla fossa, fin quando non fosse stata ricoperta dalla terra; si aggrappò al mio braccio e io la lasciai fare, sentendola tremare contro di me e odiandomi per non essere capace di esserle più d’aiuto. Le accarezzavo la schiena con la mano libera e l’abbracciai, in silenzio, pregando che tutto finisse il prima possibile.
Purtroppo sapevo benissimo che il suo dolore sarebbe continuato ancora a lungo.
“Ci sono io, adesso, Giulia.” Le sussurrai, le labbra seppellite contro i suoi capelli e le braccia intorno alle spalle. La strinsi a me impedendo a chiunque altro di vedere le sue lacrime, forse geloso che altri a mio parere più immeritevoli di me la avvicinassero e cercassero di consolarla o di stringerla, consapevole di essere il suo attuale unico porto sicuro nella tempesta – o forse sperandolo e basta. “Non preoccuparti. Andrà tutto bene. Sei con me, ora.”




*


Lo squillo di un telefono nelle prime ore del mattino. Una mano che esce da sotto le lenzuola e si affanna alla cieca per afferrarlo. Fuori è ancora buio.
“Pronto? Chi è?”
“Giulia, sono Stefano. Scendi, sono qua fuori.”
Qualcosa nel suo tono di voce la mette in allarme, e tremando scende dal letto e corre giù per le scale, scarmigliata, mezza nuda, quasi inciampando nei propri passi. Raggiunge la porta di ingresso, la spalanca e i suoi occhi si posano sul viso pallido e l’espressione devastata del suo migliore amico.
“Giulia”, mormora piano, alla ricerca delle parole. “Giulia, mi dispiace. È…”
“No!” Grida lei, indietreggiando. Si porta le mani tra i capelli, gli occhi si inondano di lacrime e la bocca continua ad aprirsi e chiudersi ripetendo in continuazione la stessa parola. “No, no, no, no, no…”
Lui allunga le braccia, cerca di avvicinarsi, di inventarsi qualcosa per farla smettere di urlare e rischiare così di svegliare i bambini, ma lei si scansa, indietreggia ancora, inizia a singhiozzare, poi gli da le spalle e corre a cercare un punto per sedersi prima che le gambe tremanti le cedano e la facciano crollare. Si accascia sulla poltrona accanto al camino, incurante di indossare solo un paio di slip e una canottiera, e si lascia andare al pianto nascondendosi la faccia tra le mani.
Stefano la raggiunge e si inginocchia davanti a lei, ma lei non da segno di accorgersi della sua presenza. Piange da far sanguinare il cuore. Non grida più. Mormora solo, all’infinito, come un mantra, un semplice “no”. Non vuole crederci, eppure dentro di sé sa di avere aspettato quel giorno dal momento in cui lui le aveva messo l’anello al dito. La sua vita era stata costantemente minacciata da quella terribile spada di Damocle, e adesso che ciò che più temeva era successo, lei si sentiva… Si sente, orribilmente, privata di un peso. Quasi – è orribile anche solo pensarlo – sollevata.
Il pensiero la fa solo piangere di più.
E sono le braccia di Stefano, adesso, che le appaiono calde e confortanti.






























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Angolo Autrice.
Mi volete uccidere, lo so. E stavolta credo che non sia a causa del ritardo - dato che miracolosamente non è passato un mese dall'ultimo aggiornamento, yai! - ma proprio per la conclusione... Ma questa storia non poteva avere proprio un happy ending, capite... mi spiace se vi ho illuso, con il precedente capitolo - era la quiete prima della tempesta, se vogliamo. :D
Qualcuna di voi pensava che l'Epilogo sarebbe stato scritto dal punto di vista di Enrico - non credo di averlo mai detto, comunque mi dispiace se si sono create false aspettative! Volevo tentarmela con un piccolo "colpo di scena", ecco. Avevo in mente Stefano da tanto, benché abbia avuto pochissimo spazio questo personaggio si è ostinato a venire a bussare alla porta del mio ufficio per pretendere un ruolo un po' più di rilievo, e così... Eccoci qui :D
Bene, non credo di avere molto da dichiarare. Sono riuscita a portare a compimento questa storia - e se da una parte la soddisfazione è tanta, dall'altra la tristezza e la nostalgia che avrò di questi personaggi sarà incalcolabile :( Ecco cosa succede quando ci si trascina una storia così a lungo e soprattutto quando ci si affeziona così tanto ai propri personaggi!
Se l'ispirazione non muore nel frattempo, potrei - e sottolineo il potrei, perché per ora è solo un'idea molto vaga e nebulosa - tornare con Enrico e Giulia in una breve raccolta di Missing Moment scritti dal punto di vista di Enrico, ma non voglio darvi false speranze! Se li scriverò, sarete i primi a saperlo: pubblico gli aggiornamenti su Faccialibro, tanto :)
Per qualsiasi cosa - domanda, commento, curiosità, o semplicemente per mantenere i contatti, potete trovarmi su Ask e su Twitter :) Per quanto riguarda le recensioni, ora che mi sono liberata del grosso degli esami posso rispondere anche singolarmente alle recensioni, e ne approfitto ora per chiedere perdono per non averlo fatto prima! Il tempo scarseggia @_@
Nel frattempo, per aver recensito lo scorso capitolo ringrazio immensamente: Charity, Misfit, la mia carissima Sylphs, luck_y, ciuciu, Utena e Brigida, sono davvero tanto, tanto, tanto onorata che siate arrivate fino alla fine con tanta pazienza e buona volontà! :** Grazie anche a tutte coloro che hanno aggiunto "L'uomo Sbagliato" tra i Preferiti e le Seguite, e che seguono in silenzio ma con assiduità sin dall'inizio <3
Inoltre, ultima ma non ultima, devo ringraziare la mia, di geme, che è stata testimone della nascita di questa storia e che mi ha seguito passo passo per tutta l'avventura, che conosce tutti i retroscena e sa quanto questa storia abbia significato per me :)
Ma ora basta, sto diventando una sentimentalona! :D Vi lascio e vi auguro tante belle cose, speriamo di ritrovarci per qualche altra storia su queste pagine :) Tanti baci e abbracci forti a tutte! *lancia coriandoli e stelle filanti*
La vostra, immensamente grata, 
Niglia.

PS: Mi sono appena resa conto che concludo questa storia appena un pelino prima del mio compleanno, mi sento soddisfatta! Potrò dire di averla terminata a 21 anni e non a 22, LOL.

   
 
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